mercoledì 17 gennaio 2024

Presentazione "AMO LE PAROLE. Poesie17-23"/ PROGRAMMA 30-1/- Canta Francesco. Circolo Artisti Casa di Dante - A. Macchia, G. Baldassarre, G.Frisina, V. Bazzecchi, G. Dei






Pianeta Poesia  - Circolo Artisti Casa di Dante

martedì 30 gennaio 2024, ore 17

Presentazione “Amo le parole. Poesie 2017-2023”

Programma della serata

 

Annalisa Macchia : presentazione del libro

·      Graziano Dei : letture: /da Prometeo, Confini p.161, Gerusalemme p. 162, Tempo IV p. 193 / da Orfeo in Fonte Santa, Canti I(p.113), III (p. 116), VI (p. 119), XII (p.125), XIV (p.127)

-        Francesco Rainero : Il mare immenso di Bungaro

Giusy Frisina: il Mito nel lavoro di Roberto

·      Graziano Dei: letture: /da Il profumo dell’iris: S. Spirito p. 19, Porta al Prato p. 27,Erta dei Catinai p. 45, via di S. Leonardo p. 48, L’oro del fiume p.55/da Eratoterapia, Terapia p. 100, Amo le parole p. 100

-        Francesco Rainero: Costruire di Nicolò Fabi

Giuseppe Baldassarre: Florentia, la Toscana , il Mare

Proiezione “Navicello Etrusco” e …

Roberto : “Amo la video-poesia: dal Navicello Etrusco al Profumo dell’iris”

Virginia Bazzechi : Cucire immagini sui versi di Roberto

·      Graziano Dei : letture: da Il nostro giardino globale: Mediterraneo p. 203, Giardino globale p. 200

Annalisa Macchia: saluto finale

-        Francesco Rainero: L’infinito di  Francesco De Gregori








 

martedì 9 gennaio 2024

Relazione fra la fotografia e la poesia - Per Baudelaire l’immagine può essere uno dei cardini dell’ispirazione - R. Mosi in "Testimonianze", n. 518-519

 


Video su Poesia/Fotografia - Link


 
********

Poesia e fotografia
Roberto Mosi

 

(a. Incontro 17 febbraio al Punto di Lettura dell’Isolotto a cura dell.ass. Semicerchio; b. Testo per il n. 518/2018 di Testimonianze, in corso di stampa)

 

          E’ senza dubbio affascinante considerare la relazione fra poesia e immagine, per mettere in luce i collegamenti, rendere visibili le comunanze, le correlazioni e i legami. Fin dall’antichità si praticava la forma poetica dell’ècfrasi, ossia la descrizione poetica e celebrativa di un’opera d’arte visiva; un celebre esempio di ècfrasi è la descrizione dello scudo di Achille nell’Iliade, importante anche in veste di documento archeologico e storico artistico, in quanto nello scudo sono descritte le città greche studiate dagli archeologi.

          Lo scrittore greco Luciano di Samosata del II secolo d.C. fu un precursore della critica d’arte con le sue descrizioni e interpretazioni di opere d’arte visive.  A fine Quattrocento gli intellettuali dei cenacoli fiorentini si occuparono di studiare e tradurre l’opera di questo scrittore e nel Cinquecento dettero impulso alla vera e propria critica storica attraverso la descrizione dei capolavori artistici. A questo proposito è fondamentale l’opera del Vasari, nelle Vite le descrizioni di opere d’arte acquistano nuovo spazio e nuovo ruolo, grazie ad esse possiamo, infatti, ricostruire e rintracciare opere del passato (Gianna Pinotti, I colori delle emozioni, in “Testimonianze”, 2017 n. 4 (514), pagg. 107-110).

          Nell’ambito di questo tipo di riflessione, avvicinandosi alla nostra epoca, appare importante riferirsi al pensiero di Baudelaire (C. Baudelaire, “Mon coeur mis à nu”, Oeuvres completes, Gallimard, Paris 1975), poeta della modernità, che “chiarisce quanto l’immagine possa essere uno dei cardini dell’ispirazione, quasi una preziosa sorgente da cui è possibile recuperare, distillare parole per scolpire il volere del poeta stesso: “Glorifier le culte des images (ma grande, mon unique, ma primitive passion)”.[1]

          C’è come una supremazia visiva che agisce sul poeta ed è così anche in Giacomo Leopardi: “Vedere” è per Leopardi come per Baudelaire, la matrice da cui trarre, oltre che piacere personale, il raccolto d’immagini fondamentale per l’opera del poeta (G. Leopardi, Pensiero n. 1118, in Zibaldone, Roma, Newton Compton, 2001).

          “L’occhio del poeta ha da sempre la capacità di saper leggere dentro la luce, dentro i colori, la forma, la prospettiva di un’azione o nel movimento, così come nel tempo, per tradurre poi ogni entità in un mondo di parole”. [2] La guida del poeta sono quelle “prunelles ardentes” che lo stesso Baudelaire attribuiva ai poeti, a quei loro occhi sempre aperti e capaci di familiarizzare con ogni forma sensibile, con il buio e con la luce.

          Italo Calvino nella lezione sulla “Visibilità” (Lezioni Americane, Garzanti, 1988) afferma che le immagini nascono prima delle parole e incombono sull’artista e sul poeta come una sorta di pioggia “prima sotto forma di bassorilievi che sembrano muoversi e parlare, poi come visioni proiettate davanti ai suoi occhi, come voci che giungano al suo orecchio, e infine come immagini puramente mentali”.  La voce dei poeti nasce dalla visione, dai loro occhi, aperti o chiusi che siano, in continuo dialogo con l’io sotteso che tradurrà a un pubblico il pensato (G. Patrizi, Narrare l’immagine. La tradizione degli scrittori d’arte, Donzelli 2000).

          Certamente nel Novecento il rapporto fra immagine e poesia è sempre più centrale, con il netto predominio della dimensione visiva è ormai al suo apice. Nella letteratura la ricerca si è sempre mossa in molteplici dimensioni, nel solo linguaggio non si è mai potuta sedare la sete della spiegazione. L’intreccio fra generi artistici diventa sempre più stretto nel Novecento, è ancor più saldo e il rapporto tra la poesia e l’immagine.

 

Nell’attenzione che il poeta ha per il mondo reale, compare alla fine del XIX secolo una nuova presenza: l’elettricità che cambia la potenzialità dello sguardo ed esercita una grande influenza nella vita quotidiana dell’uomo. Dal momento in cui l’illuminazione si diffonde nelle strade della città, sia all’esterno che all’interno delle case, il poeta si trova ad affrontare un nuovo mondo visibile; non è quindi la notte leopardiana ma quella campaniana, dove la città è illuminata continuamente come un teatro.

Vediamo in Dino Campana (Pei vichi fondi tra il palpito rosso, in “Inediti”, Vallecchi, 1942) quest’attenzione per l’elettricità:

… Nel silenzio caldissimo ambiguo

Della notte voluttuosa

Scuotevasi il mare profondo:

Era caldo il silenzio sullo sfondo

Le navi inermi, drizzate in balzi

Terrifici al cielo

Allucinate in aurora

Elettrica inumana risplendente

Alla poppa per l’occhio incandescente …

          Vediamo in Amelia Rosselli (Le poesie, Garzanti, 2007, p. 266).

E l’aria era calda e umida e scottante e i miei occhi pieni

di grata febbre.

I miei occhi pieni di grattacieli! Ed il tuo occhioo

sornione che guida la macchina della velocità per

i ritrovi fangosi della tua tarda età. E la mia

gioventù che forse è più scaltra della tua abile

macchina fotografica.

          La tecnica irrompe in modo prepotente nella vita dell’uomo del Novecento e la Rosselli richiama uno strumento che rivoluziona il rappresentabile, la macchina fotografica. “Se la luce ha cambiato il visibile del mondo, sarà la fotografia a cambiare definitivamente la sua rappresentazione. Il poeta si trova, per altro verso, a misurarsi con l’immagine fotografica che ha la capacità di condurre all’immediatezza la rappresentazione stessa della realtà, a differenza della pittura.” [3] Il lampo di tempo dello scatto fotografico si può identificare con l’istante in cui tutto il rappresentabile è stato catturato con un colpo di luce: il segreto della fotografia è che il momento dell’ispirazione e quello del rappresentato coincidono. Poeta e fotografo si osservano, arrivano a scoprire che i loro mezzi espressivi, in una certa misura, sono simili.

          Il poeta coglie questo cambiamento, l’accelerazione dei tempi, impara, in sintonia con il fotografo, a cogliere il lampo dell’attimo, il respiro del momento, all’aprirsi e al chiudersi del diaframma: meccanismo che consente, in definitiva, di scrivere con la luce, incidendo ora sulla pellicola ora sui supporti digitali (Yves Bonnefoy, Poesia e fotografia, O Barra O Edizioni, 2015).

 

          Emerge netta la consapevolezza che queste nuove dinamiche incidono sulla stessa lingua poetica, portano a considerare la lingua come un materiale di sillabe e ritmo, il singolo verso, la singola parola hanno la luce di un lampo.

          Si veda di Dino Campana, la celebre composizione “Batte Botte” (Dino Campana, Canti Orfici e altre poesie, Einaudi 2003, p. 60).

“Ne la nave
Che si scuote,
Con le navi che percuote
Di un’aurora
Sulla prora
Splende un occhio
Incandescente:
(Il mio passo
Solitario
Beve l’ombra
Per il Quai)
Ne la luce
Uniforme
Da le navi
A la città …

Ne la notte
Più lontano
Per le rotte
De la notte
Il mio passo
Batte botte.”

          “La singola parola, la singola sillaba, diventa così centrale in quello che è il tentativo di rappresentazione poetica”[4] . Si può dire che in questa poesia di Campana sono intrecciati e amalgati in un corpo unico, tutti gli aspetti e tutte le potenzialità delle parole ed emerge la contemporaneità di “visto” e “rappresentato” propria della rappresentazione fotografica. Il poeta interviene sulla narrazione, questa diviene movimento, icona e parola.

          Appare naturale il passaggio a Giuseppe Ungaretti e a uno dei versi più celebri di tutta la letteratura del Novecento. Si veda il suo “M’illumino / d’immenso”, in cui la poesia e la modernità si confrontano: l’io, la luce e l’universo (Mattina da Allegria di Naufragi, 1919).

          “Il poeta raccoglie ed esprime tramite l’attimo e l’essere nella luce, il valore di un singolo momento a scapito di tutti gli altri, trasfondendo anche nel linguaggio, questo procedere per lampi, in una nuova ritmicità, al di fuori di una narratività descrittiva. E’ una parola che vive di se stessa e per se stessa, si fa cioè oggetto, soggetto ed esperienza come estratta da un lungo frasario quotidiano ed eletto, restituita al valore di se stessa, mostrando al contempo una pluralità di prospettive.”. Se prima il poeta era uno specchio in cui raggruppare la visione, “ora vediamo la parola rompersi, lo specchio del poeta cadere e farsi frammento di luce e immagine spoglia, distante, destabilizzante, contrastante, lontana da una narratività, e volutamente straniante per raccogliere diverse prospettive in una sorta di superappresentazione, in una visione contemporanea di tutte le prospettive.”[5]

         

          Credo di poter verificare nella mia esperienza di fotografo e di poeta e nell’impegno che dedico nella collaborazione con alcuni pittori, le considerazioni fin qui illustrate. L’occhio, lo sguardo vigile e tutti gli altri sensi rivolti al recupero delle sensazioni, alla maniera di Proust, rappresentano il passaggio centrale per fissare in parole, in immagini, la vita che ci circonda. Una premessa naturale a questa esperienza, è la conoscenza che ho potuto approfondire delle opere di Gabriella Maleti[6], poetessa e fotografa, autrice di video-film, documentari e video d’arte. Un recente numero della rivista L’area di Broca (n. 102-103 del 2016) introduce alla figura di Gabriella Maleti e alle sue opere. Fra queste la raccolta poetica “Vecchi corpi” illustrata da tenere immagini dei volti delle ospiti, e della vita quotidiana, di un Istituto per anziani, a Milano. E’ stato scritto sulla raccolta “E’ lo sguardo dell’autrice a essere poetico, a fare sgorgare da quei volti, dai gesti, dalla malattia, … dalle lacrime, una purezza, un’innocenza animale, infantile.” Dai versi, dalle fotografie emerge “una tenerezza che nasce dall’autentica empatia con la quale aderisce alle cose e alle creature, e fa sì che anche nella disperazione e nella prossimità accecante della morte compaia un sorso di luce.”  [7] 

          E’ proprio il motivo della luce uno dei due elementi che ho cercato di approfondire – e fissare nella poesia e nelle immagini fotografiche – nel mio pellegrinare con la macchina fotografica e il blocco degli appunti in mano, per le vie della città di Firenze. Il tema della luce, del variare del tono della luce nelle ore della giornata, che veste di vesti sempre nuove gli oggetti, il paesaggio che ci circonda, ci stimola, suscita emozioni diverse, da cogliere sui due versanti, del comporre e del fotografare. A questo riguardo è da dire che il poeta “educa” il fotografo e il fotografo “educa” il poeta.

          Il secondo motivo della mia ricerca riguarda il tema del movimento, delle dinamiche del mondo e dei mondi che ci circondano e la capacità di cogliere la scansione delle frazioni del tempo che vengono a comporre il racconto della vita quotidiana: nella successione dei fotogrammi della pellicola, la successione delle immagini pensate e scritte.

          Vari capitoli dell’e-book “Firenze, foto grafie” (Nonluoghi, Firenze riflessa, Moda e oltre, Myth in Florence)[8] mostrano la ricerca del fotografo condotta nelle varie ore del giorno e della notte in luoghi particolari del centro e delle periferie: i vestiti in mostra, i manichini, gli stessi monumenti riflessi nelle vetrine dei negozi, acquistano una “vita” diversa, ora sembrano immobili, ora in movimento. I versi che più volte accompagnano queste immagini, seguono con ogni evidenza la vivacità o la “pigrizia” dello sguardo che fissa le immagini con la macchina fotografica e colgono anche momenti di alienazione e di solitudine.

          Nell’immaginazione del poeta un personaggio particolare, un giullare, si aggira per le strade di Firenze.

Gioca con grafie di luce

il Giullare apparso dal nulla

la testa coronata di fiori.

Gira per la città la camera

Lumix a tracolla sonagli

sulla giubba cattura fotografie

in successione ripartite

per le ore del giorno.  

Innamorato dei personaggi

delle vetrine, sceglie la notte

per incontrarli. Il Giullare

li fotografa da lontano cercando

di sorprenderli al naturale.

-----

Prepara percorsi fra le vetrine

nella irrealtà riflessa in frammenti.

Strani incontri, manichini

abbracciano solenni monumenti

le gambe affusolate di una modella

entrano dentro Palazzo Vecchio

fra gli smoking pronti per una serata

elegante l’ombra del Battistero.

          Il poeta–fotografo è immerso in un paesaggio particolare, pieno di stimoli, di segni impressi dalla storia, affollato da turisti provenienti da tutto il mondo, sempre in movimento, ora in gruppo ora dispersi. Sente di aver bisogno di ricorrere a molteplici mezzi espressivi, di registrazione, per imprimere nella memoria, sulla carta, nella macchina fotografica, le scene che via via si dipanano davanti al suo sguardo. Avverte l’esigenza di essere rapido nel suo lavoro, di sapere cogliere il valore dell’istante in sintonia con il mutare delle situazioni. Fra gli esempi possibili, riferiti al capitolo “Firenze calpestata” della raccolta “Firenze, foto grafie”, vi è il turista, pantaloni di seta a pois, scarpe di una forma improbabile, che calpesta la lapide in ricordo del rogo del Savonarola in piazza della Signoria; intorno a lui vari personaggi che la poesia – e le fotografie – colgono in posizioni sorprendenti.

Dalla lapide emerge il Frate

pantaloni neri a pois, incontra

personaggi felici la ragazza

muove un passo, scarpe rosa

incrociate un piccione

la raggiunge la coppia

di vigili urbani allegra

trascende in un giro di valzer …

          Questa ricerca si avvale del patrimonio di preziose esperienze realizzato dal gruppo di “Poesia visiva”che ebbe validi rappresentanti, negli anni sessanta, specie nell’area fiorentina, a partire da Eugenio Miccini. Nell’e-book “Pittopoesia”, pubblicato con “Segreti di Pulcinella”[9] sono raccolte alcune delle opere realizzate, frutto dell’incontro fra poesie e fotografia  (e, in alcuni casi, del disegno e della pittura[10]). In queste opere l’attenzione del fotografo, più che all’immagine “unica” nella forma, è rivolta al racconto di storie della nostra epoca o a richiami a un illustre passato. Accade che a volte l’immagine si divida in frammenti o lasci spazio al disegno del pittore: si veda l’opera “Ogni sera Dante ritorna a casa”, con le figure del sommo poeta e di Virgilio che si aggirano per le strade del centro di Firenze, a volte sorprese dall’improvviso apparire di torme di diavoli. In un’opera-racconto di un incontro di poeti, le immagini raccolte rinviano alla celebrazione del dio Narciso più che della divina Erato.

Erato guarda dall'alto,

le mani nei capelli,

il pubblico adorante

sull'aia della casa.

 Maria sospira d'amore

Anna alza il braccio al cielo

Miriam si tormenta le mani

Fosca è piena d'allegria

Gianna gesticola parole

Lucio stravolge gli occhi

Lelio canta lugubre la morte.

 Erato volge la testa,

le mani nei capelli,

verso le ombre

della notte.

          Un’opera-racconto “Narrare la non paura” dedica nove immagini a ricordare all'indomani dell'eccidio presso Rouen di don Jacques Hamel, ucciso mentre era all'altare per celebrare la Messa, l’incontro fra sacerdoti e una delegazione di musulmani intorno all’altare del Duomo, mentre, all’esterno, un automezzo militare presidiava la porta della Cattedrale e una pattuglia di soldati vigilava sulla folla dei turisti. In un’altra opera infine, il poeta-fotografo sempre con le vesti del giullare con la macchina fotografica a tracolla, s’immerge, nella realtà sconvolgente dei cantieri che hanno stravolto la città e con uno sguardo vigile, vibrante, dalla doppia valenza espressiva, ci arricchisce d’immagini e di emozioni.

Cavaliere errante nella città

in sella al ronzino, sopra

i gas di scarico la testa eretta,

si scontra con le greggi

dei penduli cellulari,

con le mandrie dei turisti,

Corre sul cavallo lungo

mostruosi cantieri, 

ruotano mulini a vento

svettano aeree trivelle

occhieggiano cavità

di polveri fumanti.

Cantieri officine

della città, dei futuri

nonluoghi, crogiolo

di solitudini urbane.

Il paesaggio che avvolge

il cavaliere solitario.

 

          L’alleanza tra lo sguardo del poeta e lo sguardo del fotografo può sostenere l’avvento di tempi nuovi? Un tempo nuovo è possibile nell’epoca delle immagini affollate, disseminate, consumate? Perché questo sia possibile, è forse necessario uno sguardo che sappia vivere con empatia la città, catturare la bellezza del mondo nell’istante ma sappia silenziosamente preservarla e custodirla.



[1] Si veda: Nicolò Cecchella e Emanuela Nanni, Poesia contemporanea e fotografia, capoverso 2, in “Cahier d’études italiennes”, pagg. 147-177. In linea, consultazione gennaio 2018.

[2]  Ibidem,  capoverso 5.

[3] Ibidem, capoverso 25.

[4] Ibidem, capoverso 47.

[5] Ibidem, capoverso 52.

[6] Gabriella Maleti ( Marano sul Panaro (Mo) – Firenze 2016) scrittrice, ha pubblicato libri di versi, Rcconti e prose letterarie. E’ stata inoltre fotografa e autrice di video-film, documentari e video d’arte. Redattrice della rivista “L’area di Broca”, nel 1984 ha fondato on Mariella Bettarini, le Edizioni Gazebo.

[7] Franca Alaimo, Vecchi corpi, in “L’area di Broca”, n.102-103 del 2016, pag. 29.

[8] Si veda l’eBook Roberto Mosi, Firenze, foto grafie, www.Larecherche.it, 2015.

[9]  Si veda l’eBook Pittopoesia, Enrico Guerrini / Roberto Mosi, Pittura / Poesia Catalogo delle mostre e degli incontri, Firenze 2017.

[10] Riferimento alla collaborazione con il pittore fiorentino Enrico Guerrini.



domenica 7 gennaio 2024

Umberto Zanarelli al piano:"Sinfonia per San Salvi": 25-1 ore 17 - Jazz Bistrot via Aretina - R. Mosi-Nicoletta Manetti- Sylvia Zanotto, recensione


Video Link : ti regalerò una rosa



Recensione di Sylvia Zanotto per il libro

“Sinfonia per San Salvi. Variazioni per parole e musica. “

“Litania su Piombino” di Roberto Mosi.

Interventi di Giordano Lupi e Nicoletta Manetti

Progetto di Nicoletta Manetti e Roberto Mosi

Edizioni Il Foglio, 2020

Pubblicata sulla rubrica nella pagina Facebook di Sylvia Zanotto: “IO LEGGO DI TUTTO, DAPPERTUTTO E SEMPRE. E TU?”

 

"Ci sono luoghi che richiedono parole speciali. Abitate dalla magia. Dagli alberi. Noi siamo esseri vegetali al settanta percento, dicono alcuni. E con questa sapienza ci avventuriamo nel parco di San Salvi. La follia è stata qui. Ha colorato le sue piante con pensieri e parole senza casa. Solo un luogo di passaggio. Lontano dai familiari che si vergognano della pazzia. Ma chi è il vero folle? Cosa nasconde nelle sue lettere questa parola? Fantasia? Orizzonti? Luce? Lava? Emozioni? Sto divagando? Può darsi. Anche “Sinfonia per San Salvi” divaga. È un dolce modo di allontanarsi dal comune buonsenso. Quello che Roberto Mosi chiama ‘poesia aumentata’. Poeta e fotografo, Roberto Mosi ci propone un’opera davvero originale. Inclassificabile. Di rara bellezza. Il titolo stesso invoca arte e purezza. “Sinfonia per San Salvi”, con il sottotitolo “Variazioni per parole e musica. Litania per Piombino”; è dedicata a Carmelo Pellicanò, ultimo direttore dell’ospedale psichiatrico di Firenze ed è illustrato da 28 fotografie in bianco e nero. Le foto si focalizzano su uno dei padiglioni della vecchia struttura ospedaliera. L’opera non nasce a caso. È il frutto di una collaborazione con Nicoletta Manetti, poetessa e scrittrice e Gordiano Lupi, direttore della casa editrice, Il Foglio. Nicoletta, con eleganza e sapienza riscostruisce legami poetici con la storia o la polvere, Giordano con la sua “Litania su Piombino” si affaccia sul nostro mare Tirreno. Una sinfonia d’altronde si avvale di più mani. Che vibrano. Che fanno vibrare. Così non ci stupiamo se la poesia ‘aumenta’ con T. S. Eliot, con Neruda, con Alda Merini, Dino Campana, Giorgio Caproni. La Genova città intera, diventa Piombino città ferriera. La terra desolata di Eliot, che ha messo in crisi la poesia del dopoguerra, è qui un pretesto per parlare di follia, di magia, di sogni, di piani che si sovrappongono, si completano, si compenetrano. Roberto Mosi per non dimenticare un pezzo della nostra storia, decide di ricordare in termini poetici oltre ogni limite e confine. Con l’ausilio della fotografia. Della musica. Della commistione di generi. Dell’aumento. Sì. Quando si mescolano i generi, si richiamano i poeti dal passato, si scrivono nuovi versi ispirati al vecchio frammisto di noi, si fotografano luoghi del dolore, luoghi dell’abbandono. Si palesa una dimensione in più. Difficile da contenere nelle parole. Ecco perché Roberto Mosi dilata essere e emozioni e cerca di spiegarlo con quello che definisce ‘poesia aumentata’. E va oltre: cosa di meglio di una sinfonia? Sinfonia deriva dal greco e all’origine designava l’accordo dei suoni, il che implicava la capacità dei musicisti di suonare insieme. L’orchestra per produrre la sinfonia deve saper ascoltare gli altri strumenti, saper prevedere condivisione, inclusione dell’altro, senso di comunione d’intenti. Tutto questo diventa sinfonia. Come sappiamo la sinfonia è fra le forme musicali più complete. Eppure non è perfetta. Porta in sé i germi della follia, dell’unicità. Della sua capacità in trasformarsi in opera unica. D’arte. Un vero e proprio bijou. Questo scopriamo nello splendido libro che mescola tutto quello che può, con arte e maestria, trasformandolo poi in poesia. Mi ritrovo a leggere a voce alta brani del libro. Il suono apre a nuove visioni, laddove l’essenza delle vite non incluse si manifesta oltre il ricordarle. È un dolce tornare. Un dolce andare. E intanto la sinfonia si snoda in tutti i suoi movimenti. Portando il senso del dolore, della follia in ogni gesto quotidiano che si tinge grossolanamente di normalità. Scopriamo l’errore che commettiamo ancora: allontanare il diverso. Non essere diverso. La forma perfetta non esiste e anche se rimane un sogno, noi amiamo sognare. Con Roberto. Con Nicoletta. Con Grdiano. I poeti. Ma anche con i medici come Carmelo Pellicanò, ultimo direttore di San Salvi, che tanto ha dato ai suoi ospiti, mai da lui considerati gli ultimi. Un non-luogo. Un respiro in quattro tempi. Con Ouverture. E una carezza al cuore. Peccato che chi un tempo era qui, ai margini di una società perbenista non possa sentirne la musicalità. Noi ci adoperiamo con gioia a interpretare il senso della parola ‘aumentata’ e ci piace sognare che questa sua qualità arrivi anche laddove l’umano diventa altro.  Quell’altro sconosciuto. Che richiama l’altro. In continua vibrazione. Respiro felice l’aria ‘aumentata’. Richiudo il libro del non-luogo, ma ormai sono come lievitata in luoghi che non esistono forse nel mondo reale, ma che sanno accogliere l’anima."




 

sabato 6 gennaio 2024

"L' Arte dell' Intervista" di Fabrizio Borghini -"TOSCANA nuova"1-2024 -Video-Ricordo di R. Mosi


Intervista Fabrizio Borghini Mostra di Fotografia Circolo Artisti Casa di Dante


Fabrizio Borghini e l’arte dell’intervista

Memorie di un autore, poeta e fotografo

 

        Gli incontri con Fabrizio Borghini per le interviste erano per me come una festa, c’era il piacere di incontrare un amico con il quale, rispondendo alle domande, fare il punto sul lavoro svolto, davanti ai quadri di una mostra o alla presentazione di un nuovo libro. All’inizio dell’ intervista percepivo che Fabrizio aveva ben presenti le coordinate del mio impegno, la direzione del mio percorso e gli obiettivi che mi promettevo di conseguire; e questo avveniva anche se gli incontri erano a distanza di tempo, perché non si perdeva mai il collegamento con lui, grazie alle tante iniziative di cui era protagonista, dalla Rivista La TOSCANA nuova alle mostre collettive, dalle rassegne sugli artisti della Toscana alla serie di pubblicazioni sui quartieri fiorentini. Fabrizio interpretava il ruolo di giornalista con professionalità e, allo stesso tempo, con entusiasmo, attento alla personalità di ogni interlocutore, un atteggiamento ben diverso da quello che ho sperimentato in altre occasioni.

          Mi piace soffermarmi sulla mostra Firenze, foto grafie, sottotitolo Dal Mito ai Nonluoghi (Società delle Belle Arti – Circolo degli Artisti “Casa di Dante”, novembre 2016), risultato di cinque anni di lavoro dedicato a immagini di Firenze che più suscitano emozioni, raccolte secondo un criterio circolare, dalle colline, alle periferie, al corso dell’Arno, al centro e alle vie della moda, alla rete dei vicoli dispersi; nell’ambito di questa iniziativa venne presentata anche una raccolta di poesia e fotografia dedicata al racconto di un giullare-poeta che con la macchina fotografica a tracolla si aggira per le vie di Firenze ( Firenze, foto grafie, e-book n. 180 edizioni www.laRecherche.it). Fabrizio con la sua intervista, presente in rete ancora oggi e liberamente accessibile, riesce a creare un suggestivo affresco del mio lavoro, con immagini vive sulle tematiche della mostra e con il coinvolgimento, insieme all’autore, delle persone presenti all’inaugurazione, da Silvia Ranzi, critico d’arte, a Severino Saccardi, direttore di Testimonianze, a Lella Marchini, presidente del Circolo. Dall’insieme dell’intervista emerge un quadro a più voci intorno alla Firenze inedita “raccontata” dall’autore, al di là della tradizione e delle mode, con libertà, ai confini del sogno, con attenzione alla città policentrica che vive dei tanti suoi ambienti, previlegiando il dialogo fra passato, presente e le speranze per il domani. La macchina “vede” secondo precise abilità tecniche, ma è soprattutto l’intervista di Fabrizio che focalizza lo sguardo del poeta intento a cogliere i caratteri di una Firenze “personale”, inedita, poetica.  

          Altri appuntamenti mi aspettano con nuovi lavori sul solco dei precedenti impegni, come la presentazione del nuovo libro Amo le parole. Poesie 2017-2023”, Ladolfi Editore, ma non ci sarà più l’appuntamento con l’intervista di Fabrizio per disegnare insieme, in un nuovo affresco, le ultime scene della mia ricerca poetica.

 

Roberto Mosi





* * * *

“Impressioni di una sera d’estate a Firenze”

 

La fotografia per esprimere emozioni, impressioni su un luogo magico come la città di Firenze, il suo fiume, nello spengersi della luce del giorno, in una sera d’estate. È il compito che si è assunto il “Gruppo di fotografia” denominato “Camera Chiara di Palagio”, attivo presso la Biblioteca del Palagio di Parte Guelfa posta nella omonima piazza, nel centro medievale della città.

Il punto di arrivo di questo impegno, la Mostra sulle “Impressioni di una sera d’estate a Firenze”, che è stata inaugurata mercoledì 6 novembre e rimarrà aperta fino al 12 gennaio 2020, con gli orari della Biblioteca.

L’esposizione si apre nella storica Sala dei Consoli, l’attuale Emeroteca.  Celebre la Sala dei Consoli: sul soffitto si trova una rappresentazione in chiave araldica della città, con gli stemmi delle corporazioni fiorentine, dei quartieri, il giglio del Comune guelfo e la croce del Popolo; si trova anche un grande affresco trecentesco attribuito a Bernardo Daddi (o a Niccolò di Pietro Gerini), con la Vergine col Bambino in trono circondata da sei santi (1395-1400).

Hanno presentato l’iniziativa il bibliotecario Andrea Roselli e Marco Fantechi docente di fotografia FIAF.  Partecipano alla Mostra: Adriana Levi, Carlotta Salvatore, Cristina Fontanelli, Elisa Ricci, Enos Mantoani, Karine Gaior, Lia Mucciarini, Marco Fantechi, Raffaello Gramigni, Roberto Fallani, Roberto Mosi.

Nel manifesto della Mostra compare anche il testo della poesia – letta al momento della inaugurazione - “Pesci innamorati” : una precisa metafora per richiamare l’amore per Firenze dei fotografi del gruppo “Camera Chiara di Palagio”. È da segnalare che la Biblioteca presenta una particolare sensibilità per la poesia; al suo ingresso un’apposita postazione accoglie l’utente con l’offerta della “poesia del giorno”, scelta fra le composizioni più celebri.

Da parte mia - presente all’esposizione con due foto dedicate ad una festa sull’Arno – mi è apparso, dunque, naturale raccogliere il senso poetico delle immagini fotografiche in mostra, con questa poesia:

                                            Pesci innamorati

 


Pesci innamorati

inseguono immagini

sospese fra sogno e realtà

nell’acquario della città.

 

Firenze si scioglie al sole,

evapora ogni angolo d’ombra,

ventilatori ronzano intorno

a opachi pensieri.

 

Avanza poi per il fiume

la calma della sera,

brezze leggere fasciano

i raggi rossi del sole.

 

Pesci innamorati

sorprendono il respiro

della luce, dalle rive, dai ponti

confusi fra gli spettatori.

 

Si tuffano nello specchio

lucido di torri palazzi

e campanili, catturano rosse

scintille scoppiettanti sul fiume.

 

Appassionato il colloquio

con la Bellezza nel chiarore

ultimo della sera, nel mistero

opaco della notte.

 

Sguardi ancora dall’alto

per la scalinata del Monte

alle Croci, la luce solitaria

di un fanale, e sullo sfondo

 

la Cupola, Palazzo Vecchio.

Una Dea di marmo ammira

il giardino di Boboli

dalla finestra di Palazzo Pitti.

 

Chitarre si accordano

con le brezze leggere

per una festa sul fiume:

risate di allegre ragazze.

 

Nel folto della notte

i pesci raggiungono

gli anfratti nell’acquario

della città addormentata.

 

Cornucopie di immagini

diverse con loro, armonie

e disarmonie, bianco e nero,

colori, lentezza e velocità.

 

Pesci innamorati vagano

sognando nelle sere d’estate.

                          Roberto Mosi

 

          In una giornata, dunque, uggiosa di pioggia, di novembre, anche l’antica Sala dei Consoli è stata investita dal vento della poesia, dei fotografi “pesci innamorati” della città di Firenze.