domenica 18 ottobre 2015

Giuseppe Panella presenta "La vita fa rumore" - Alla Libreria Libri Liberi 21 ottobre

IL RUMORE DELLA VITA DI ROBERTO MOSI (LINK)
Poesia e lavoro

«Ancora vita il tuo dolce rumore
dopo giorni bui e muti riprende.
Porta il vento di maggio l’odore
del fieno, il cielo immobile splende.
Gli occhi stanchi colpisce di lontano
il rosso papavero in mezzo al tenero grano
»
           (Attilio Bertolucci, Convalescente)

1. Il rumore del lavoro e la forza del ricordo

«La cultura viaggia nell’aria
suono di voci, note,
musica, fruscio di idee,
non porta degrado,
confonde facce di pietra
teste devote agli schermi»

Il punto di partenza di quest’ultimo progetto poetico di Roberto Mosi è legato a un fatto di cronaca che assume nei suoi versi una notevole importanza: la manifestazione avvenuta nel luglio del 2013 a Firenze in seguito a un’ordinanza che imponeva la chiusura alle ore ventidue dei locali della popolare Libreria Café de la Cité dove, invece, eventi culturali e attività musicali a essi connesse duravano fino a tarda ora, tra la rabbia e lo sconcerto degli abitanti del quartiere.
Il corteo che richiedeva il ripristino degli orari precedenti si era snodato, pur nell’afa estiva, pacifico ma molto colorito e vivacemente scandito dagli slogan gridati con forza e determinazione dai partecipanti alla lotta:

«Oggi si spalanca la porta:
si va in corteo, si parla
dell’essere alla città dell’avere.
Rabbia, lavoro che muore
sepolto il progetto di anni
oltre il senso comune.

Sul sagrato del Carmine
s’inchiodano cartelli
nell’afa di luglio:
“No alla città vetrina”
“La noia è normalità”
“Adotta un libraio»

Il rumore prodotto dalla vita è esibito quale conferma del suo non conformismo e della sua progettualità, l’idea di un ritorno alla normalità dopo la dimostrazione che qualcosa di nuovo e di originale poteva essere perseguito scatena la rabbia di chi pensava che almeno qualche spazio di libertà sarebbe stato lasciato aperto per l’invenzione e la gioia di vivere da parte di chi vuole ridurre tutto a noia e a normalità, a consumo e ad esibizione di un’esistenza fasulla e legata esclusivamente all’avere. Ma non è una pura questione di rumore quella sollevata da Roberto Mosi: la posta in gioco è più alta ed è legata al problema del lavoro, della sua potenza, della sua mancanza.
In molti dei componimenti che seguono, infatti, il tono rievocativo si tinge di un pathos molto intenso. Il ricordo delle lotte del passato tinge di rimpianto e lo sciopero delle trecciaiole (nella poesia omonima) ne diventa il simbolo perduto.

«Tosca, cerco i fiori del bello
in periferia al calore delle utopie,
fiori rossi degli anni pari e dispari».

Il calore dell’utopia legata alla forza trasformatrice del lavoro e delle lotte organizzate per renderlo più umano e più equamente rimunerato riverbera in queste parole e si trasforma in un ritratto di donna (Tosca che avanza, il suo bambino in braccio, simbolo di un Quarto Stato ancora a venire ma sempre indomabile e impossibile da ricondurre nell’ambito della pura normalità produttiva).
La descrizione dei luoghi del lavoro si lega a quella delle lotte attuali di chi chiede “pane e lavoro” (lo slogan caro a Lenin e ai bolscevichi fin dal 1905 e sempre replicato con la stessa forza e insistenza nelle manifestazioni operaie).
Qui lo scenario è diverso da quello della San Pietroburgo o della Mosca d’inizio secolo ma l’obiettivo è pur sempre quello e le forze addette alla sua repressione appaiono le stesse, ferreamente scagliate a proteggere i privilegi dei troppi pochi in grado di assicurare livelli decenti di vita ai molti che non possono averne la possibilità:

«Le tute blu arrivano da Rifredi
la polizia è schierata, sbuca
dai portici la camionetta,
picchiano forte i manganelli,
si grida in coro pane e lavoro.

Le Giubbe Rosse sono sbarrate,
i poeti scomparsi.

La musica è delle sirene,
i versi le urla degli operai»

La dimensione culturale non può che essere accantonata e tacere in un contesto simile.
Nel fuoco e nel furore della lotta, la poesia non è in grado di far sentire la propria voce: i versi sono ingoiati dalle urla di rabbia degli operai in cassa integrazione o licenziati, la musica è rappresentata dalle sirene delle auto della polizia. Eppure anche in un contesto di questo tipo c’è spazio per la scrittura e per il suo potere di ricordo e d’incitamento a prendere la parola, di non cedere, di ritrovare una verità di là dalle menzogne e dell’oblio. In un testo successivo, una delle protagoniste di una manifestazione per la Festa delle Donne dell’8 marzo invita chi scrive a farsi voce e memoria del passato e del presente delle lotte:

«Federiga, le compagne
tornano a difendere
il silenzio della fabbrica.
Fosca mi accompagna
sull’argine del fosso:
“Parla delle nostre idee,
tessi il filo della memoria”».

La dimensione operaia e popolare predomina in questa prima parte della raccolta: le voci e le testimonianze dei protagonisti diretti, la nostalgia per un’epoca ormai definitivamente tramontata, la necessità di mantenerne viva la memoria, la forza dell’evocazione e il rimpianto per non essere più protagonisti in una stagione rinnovata di presa di coscienza e di emergenza delle lotte, tutto questo contraddistingue la scrittura poetica di questa sezione del poemetto (nonostante la suddivisione in liriche apparentemente singole e collocate isolatamente, infatti, non vedo una netta separazione narrativa nell’ispirazione fluida che caratterizza questi testi nella loro continuità e tenderei a considerarli, piuttosto, come un unico flusso po’ematico, un poemetto suddiviso in altrettanti stasimi):

«Sento il pianto dei bimbi,
voci, grida d’amore.

Il cortile centrifuga giorni
stagioni vicine e lontane,
la memoria dei volti.
Un vortice all’alba
disperde sogni e ricordi
nell’aria rossa della città.
I gatti sulle terrazze
si stirano languidi»

Anche i luoghi della condizione operaia (per dirla con Simone Weil) non sfuggono alla descrittività ricca di pathos di Mosi e i cortili delle case operaie sono rappresentati come il luogo privilegiato della loro soggettività dopo il momento dell’alienazione nel lavoro. Il cortile in cui risuonano i pianti dei bambini, le urla delle coppie che litigano o i gemiti di quelle che fanno l’amore ne è la rappresentazione più esatta e, nello stesso tempo, simbolicamente esaltata dal contesto.
In esso tutto ciò che è accaduto nel tempo, i bisogni e i ricordi, le passioni, i desideri e il dolore di vivere si confondono in un’atmosfera irreale come di sogno astratto ma la caduta in una drammaticità estranea al tono stilistico generale dell’opera è impedita, quasi bloccata, dall’ironica presenza dei gatti ieratici e pigri che “si stirano languidi” sulle terrazze, una sorta di contrappunto animale e appagato rispetto all’insoddisfatta rabbia e nostalgia che caratterizza le vicende degli umani. Il guizzo rappresentato dai felini appollaiati sui tetti impedisce la caduta in un pathos eccessiva e mostra le due facce della scrittura di Mosi: la lirica coinvolgente e sostenuta da un’autentica passione e la bonaria capacità di smontarla e di decostruirla in nome di un appello a sentimenti meno esasperati e più legati alla quotidianità.
Così i migranti, i lavavetri, i raccoglitori di pomodori nella Maremma e quelli di arance a Rosarno sono riscattati nel loro dolore e nella loro rabbia da uno sguardo che li coglie nella loro umanità e non ne fa solo simboli di una condizione umana tenuta sotto il giogo ferreo della necessità di sopravvivere ma li coglie nella loro dimensione di persone che sanno reagire all’abbattimento in cui si trovano e rivendicano la loro personalità di esseri viventi.
Alle mani bianche degli operai del primo (come pure del secondo) Novecento sono sostituite quelle nere del nuovo Millennio: mani atte a lavorare anch’esse e anch’esse sfruttate senza pietà, spremute ai limiti del possibile da un feroce meccanismo che da esse ricava ciò che può e che vuole e che poi le emargina e le accantona ai bordi dell’esistenza comune degli altri componenti della compagine sociale che subiscono certamente lo stesso sfruttamento ma spesso in maniera meno diretta e devastante, lasciando così loro l’illusione che il trattamento ad essi riservato sarà del tutto diverso e che con le “mani nere” essi non avranno mai niente a che fare.

2. Il lavoro e le sue facce molteplici

Il lavoro, dunque, si è visto, è al centro di quest’accorata raccolta di versi di Mosi.
Il poeta fiorentino non si concentra solo sullo sfruttamento e sull’angoscia che esso produce nelle sue vittime predestinate. Il lavoro è guardato  talvolta con la lente deformata del grottesco e della satira sociale. E’ il caso di Federigo, impiegato presso una ditta di pompe funebri, che accorre in mano il catalogo delle bare ogni volta che apprende dell’esistenza di un moribondo che sia un potenziale cliente. Il lavoro dell’infermiera dell’ospedale psichiatrico (quello ormai chiuso da qualche tempo di San Salvi) e quello dell’addetta alle pulizie in un vagone delle Ferrovie dello Stato (la donna telefona al suo fidanzato di aspettarla all’arrivo del treno, direttamente al binario dieci della stazione, in modo da avere più tempo per l’amore) sono visti con rispetto e, nel secondo caso, con un tocco di tenerezza e di sentimentale affezione.
Il lavoro è – anche secondo Mosi – la difficile conquista del Novecento che rischia di andare perduta nel nuovo Millennio e tornare a essere difficilmente raggiungibile (ed equamente remunerato) com’è accaduto nell’Ottocento dell’egemonia capitalistica e del trionfo della grande industria. Non avere lavoro o perderlo è ormai la grande paura di tutti i salariati e dei lavoratori dipendenti ed è giusto, quindi, che la poesia si faccia carico della natura profonda di questo problema così bruciante, così attuale.
Ma è lavoro anche l’attività artistica e, di conseguenza, il teatro. Mosi rinnova il suo interesse per l’opera lirica, ad esempio, e aggiunge alla raccolta un suo personale omaggio a Giuseppe Verdi:

«Emerge l’immagine:
comparsa in costume
vestito da frate, da principe
da soldato e da servo
sulle assi del palcoscenico.

Don Giovanni, Carmen
Lucia di Lammermour.
Maschere si affacciano,
personaggi vestiti di musica
danzano sulle cornici
bianche di calce,
scivolano in platea,
Carmen e Radames,
salgono nelle luci del palco
corrono tenendosi per mano
nel vortice delle note»

che suona anche come un omaggio dovuto alla fatica diuturna degli artisti e alla loro capacità di rendere la vita altrui talvolta più leggera e meno schiacciata dal dolore quotidiano di vivere.
Anche il mito classico partecipa di quest’atmosfera di cauta leggerezza, di deliberata sospensione del giudizio, di assonnata partecipazione a metà. Anche gli ieri di ieri sono fatti della stessa materia di cui sono costituiti quelli di oggi. Anche Ulisse e il suo nostos a Itaca:

«L’eroe raggiunge
la reggia nel sonno.
Penelope dorme stizzita
Arturo saluta, la coda ritta.
L’eroe guarda la posta,
dispone in ordine le armi
si distende sul letto,
il risveglio è vicino.

Ogni sera Ulisse
torna ad Itaca»


La poesia di Mosi, dunque, si distende tra i due poli (a lui consueti) del pathos duro e veemente della partecipazione e dell’ironica verifica degli stilemi di un passato divenuto eterno nell’immaginario collettivo. Tra mito e modernità, allora, si apre per lui lo spazio della poesia: uno spazio da riempire con la forza delle idee e delle soluzioni verbali.

martedì 29 settembre 2015

"Quasi l'Eroica", 6° Tappa Anello del Rinascimento


Domenica 4 ottobre 2015

Anello del Rinascimento 2.0 – 6° Tappa

Escursione: media, km 19, dislivello 600m. in salita
Vaglia – Montesenario – Madonna del Sasso – Santa Brigida

Percorso ricco di testimonianze storiche, religiose, di vegetazione
con vista aperta su suggestivi paesaggi

         Dalla stazione di Vaglia si segue per un breve tratto la strada asfaltata per Bivigliano e si prende, poi, uno stradello che, superate alcune case coloniche, prosegue prima attraverso pascoli e entra nel bosco fino ad incrociare nuovamente la strada Vaglia-Bivigliano nei pressi di questo paese.
         Prendiamo la direzione di Montesenario, per incontrare la Ghiacciaia, il Sentiero di Andrea (percorso in onore di un lavoratore forestale) e l’antico Monastero (quota m. 817). Si prosegue su un sentiero che attraversa ampi prati e boschi fino a raggiungere prima, la vetta Le Croci e successivamente la località Alberaccio.
         Da qui, attraverso un bosco, si raggiunge il Santuario della Madonna del Sasso, situato nei pressi di un luogo dove nel 1484, secondo la tradizione, apparve più volte la Vergine Maria. La costruzione dell’attuale convento risale al XVII secolo. Si scende quindi lungo una scalinata che presenta evidenti tracce di un’antica strada medievale e permette di raggiungere la strada che porta al paese di Santa Brigida. Qui fu eretta, secondo la tradizione, una famosa chiesa sulla grotta in cui Santa Brigida, una religiosa proveniente dalla Svezia,  si ritirò in eremitaggio verso il secolo X.

        
Percorso:  Vaglia – Bivigliano – Montesenario – Vetta Le Croci – L’ Alberaccio – Madonna del Sasso – Santa Brigida
Partenza: ritrovo biglietteria Stazione SMN ore 8,20, treno ore 8,40. Ritorno con bus Sita (ore 18,10) fino alla stazione di Pontassieve (ore 18,50) e proseguimento  con il treno per Firenze.
Accompagnatori: Raffaello Romei e Roberto Mosi

TAPPA SUCCESSIVA DELL’ “ANELLO DEL RINASCIMENTO”

7° Tappa:  Santa Brigida – Pontassieve, 1° novembre 2015 (ultima tappa)

mercoledì 23 settembre 2015

"L'eroica" dell'Anello del Rinascimento. La salita a Monte Morello

  

L'EROICA: V Tappa - Calenzano.Monte Morello.Vaglia

         Percorso impegnativo quello della quinta tappa dell’Anello del Rinascimento al centro la lunga salita al Monte Morello, la Montagna fiorentina. La sezione toscana di TrekkingItalia – sede di Firenze – ha organizzato questa tappa nella terza domenica del mese di settembre, sul tratto Calenzano – San Donato – San Ruffiniano – Rifugio Gualdo – Monte Morello – Pescina – Paterno – Vaglia. Il dislivello in salita è di 700 metri, la lunghezza, notevole, di 20 km, che si percorrono in circa sette/otto ore. Per raggiungere Calenzano il bus urbano n. 2 è abbastanza frequente; al ritorno da Vaglia il treno della linea Borgo San Lorenzo – Firenze, con frequenza ogni due ore la domenica pomeriggio. 


         Sono diverse le parti di questo trekking di notevole interesse. Subito all’inizio dal centro di Calenzano si sale per una lunga scalinata alla Chiesa di San Donato nella quale fu parroco Don Lorenzo Milan: è posta in posizione panoramica con una bella vita sulla Calvana. 

Immediato è stato il ricordo di Don Lorenzo e non si è potuto fare a meno di leggere, sulla scalinata della chiesa, la prima lettera che scrisse alla madre, una volta arrivato a San Donato (ottobre 1947.)

Cara mamma, … Ieri sera sono arrivato che pioveva, ma c’era sotto l’acqua una quindicina di ragazzi e giovanotti a aspettarmi e che m’hanno accompagnato in corteo fino a casa e poi si sono attaccati alle campane e hanno suonato un gran doppio a distesa per annunciare l’arrivo del tanto atteso cappellano. Oggi poi m’ha mandato a girare i malati. Ne ho visti 13, confessati e ascoltate tutte le loro malattie e acciacchi. Qui poi ho trovato una cameretta piena di brutti mobili, ma così accuratamente pensata, fiori, pennini nuovi, penna, calamaio, gomma, matita appuntata, buste, fiammiferi, rotolino di carta appiccichente! … Spero che potrai mandarmi presto la roba. Specialmente calzoni (oggi avevo preso tant’acqua che me li son dovuti levare e non avevo da cambiarli! per fortuna nessuno m’ha alzata la tonaca.) Le scarpe appena risolate da Gino (quelle basse) fanno acqua perché hanno uno spacco da parte a parte nel mezzo della suola. Tanti tanti baci e a presto tuo Lorenzo

         Si cammina poi per antiche, piccole strade, in mezzo a coltivazioni di olivi, viti, cipressi, fino ad arrivare alla solitaria pieve di San Ruffiniano. Da qui la sorpresa di scorgere nella valle rigogliosa, che scende verso la piana, l’elegante torre di Baroncoli, attribuita ad Arnolfo di Cambio. Lungo la strada si trovano quindi fattorie d’impronta tardo rinascimentale.
Siamo ora ai piedi di Monte Morello e incominciamo a salire per una strada forestale – circa un’ora e mezzo di cammino – in mezzo al verde, quercioli, pini, abeti, cipressi, che sono la testimonianza della lunga opera di rimboschimento portata avanti con successo nel ‘900, questa montagna, infatti, era stata spogliata dei boschi che fornirono il legname necessario a costruire celebri edifici fiorentini, a cominciare dagli Uffizi. 
          Si arriva all’agognato Rifugio Gualdo, posto nelle vicinanze della strada panoramica che da Sesto sale al piazzale Leonardo da Vinci, prezioso punto per il ristoro.       E’ incredibile la vista che si gode dal Rifugio, verso la pista dell’aeroporto, la piana, le colline di Scandicci e del Chianti, la città con centro la Cupola del Brunelleschi, costante punto di riferimento dell’Anello del Rinascimento. Ancora mezz’ora di salita nel bosco passando dalla fonte del Vecciolino, per arrivare alla Sella delle Colline un verdissimo prato fra alti pini, incrocio di più sentieri che salgono dalla Fonte dei Seppi e che raggiungono gli oltre 900 metri delle tre cime di Monte Morello. Il posto porta il nome anche de “Il tedesco morto”, memoria della Lotta di Liberazione che su questa montagna contò innumerevoli episodi di scontri e di eroismo, dalla battaglia di Valibona, al rastrellamento ordinato da Albert Kesselring il lunedì di Pasqua del 1944, allo scontro della Fonte dei Seppi, alla fucilazione nel bosco di Cercina dei martiri di Radio Cora. Si contano trentatré cippi in quest’area a ricordo dei vari episodi, che vide protagonisti insieme ai partigiani di Firenze e della piana, prigionieri fuggiti dai campi di concentramento (russi, ucraini, inglesi, americani, ecc.). Luoghi di memorie – ha pensato il nostro gruppo – che meriterebbero il progetto di un insieme di sentieri dedicati al ricordo e alla pace.
         Dalla Sella delle Colline si passa al versante del Mugello con vista sugli Appennini, dalla Futa al Giogo e si scende fra i boschi a Pescina, dove sorge una piccola chiesa del Quattrocento, che aveva un’immagine in ceramica di Luca della Robbia. La chiesa fu investita da una rovinosa frana – così frequente in questo territorio prima del rimboschimento – che coprì il portale di accesso. Gli abitanti del borgo trovarono la semplice soluzione per accedere alle funzioni, di “girare” la chiesa, aprendo la porta nella parte posteriore. Ancora quaranta minuti di cammino e siamo a Paterno: il ristorante lungo la strada merita una piccola sosta per un corroborante “Tiramisù “.
         Da qui sono circa cinque chilometri di monotona strada asfaltata per arrivare alla meta. Fra i segni del paesaggio l’enorme cava che ha visto lo scarico di materiali velenosi, lo scheletro di un cementificio in disfacimento, l’enorme “bocca” affacciata su un pendio, presa d’aria della Direttissima che in questo tratto passa sotto i nostri piedi.
         All’arrivo a Vaglia prima di prendere l’affollatissimo treno proveniente da Borgo San Lorenzo, il tempo per un panino e un bicchiere di vino e, per gli amanti del gioco, per un giro di carte. Soddisfazione da parte di tutti per una giornata di trek trascorsa nella scoperta di una parte, di solito, poco nota dell’area fiorentina immersa nel verde dei boschi. 
          La prossima camminata sull’Anello del Rinascimento è prevista per domenica 4 ottobre, da Vaglia a Santa Brigida, un percorso che incontra i monasteri di Montesenario e della Madonna del Sasso, e l’anello del “sentiero di Andrea”.


domenica 31 maggio 2015

A "Concerto" di R. Mosi il Premio della Critica - Abano Terme



“VOCI” CITTA’ DI ABANO TERME
iplac  insieme per la cultura

Premio della Critica  “Anterem”
“Concerto” - Gazebo Libri
Roberto Mosi

MOTIVAZIONE DEL PREMIO

“Ecco cosa accade nel libro di Roberto Mosi, Concerto. Una parola si stacca dalla terra delle cose già compiute per scatenare una lotta all’interno del pensiero che essa stessa produce. Quella parola non viene per decretare qualcosa di concluso, ma per lasciare dire qualcosa a chi la ascolta. E’ un dire che si fa musica – nella struttura, di volta in volta, di sinfonia, di concerto, di canto – per farsi vicino all’essenza autentica di ciascuno, tanto da costituirsi come uno specchio dove ogni ascoltatore può andare a raccogliere frammenti di verità. La parola e il suono, ci dice Mosi, vivono di queste continue emergenze: vanno per scale ascendenti modellando le forme della nostra interiorità. Ecco cosa accade nel libro di Mosi. In Concerto interminabilmente viene alla vista il non-veduto della vita, in quel moto di svelamento che è proprio della ricerca dell’autenticità.”

Per la Giuria     Flavio Ermini
Il Presidente della Giuria   Roberto Mestrone


Abano Terme, 30 maggio 2015 
-----



Roberto Mosi

Concerto

 Collana di poesia e prosa a cura di

 Mariella Bettarini e Gabriella Maleti

 

Roberto Mosi

Concerto

 

Premessa di Giuseppe Panella


                                                     A Costanza,

                                                   musica nella mia vita

Giuseppe Panella

La fonte del ritmo, l’avventura del tempo

 

1.

«Tutto è ritmo, l’intero destino dell’uomo è un solo ritmo celeste, così come l’opera d’arte è un unico ritmo»                                  (Friedrich Hölderlin)

«L’io / Scopre il suono di una voce che lo raddoppia / In immagini di desiderio, in figure che parlano, / In idee che gli vengono sotto forma di parole, / Vecchi e filosofi sono assillati da questa / Voce materna, luce nella notte …»             (Wallace Stevens)

 

A Populonia, in tutta evidenza, si verificano durante l’anno vicende inspiegabili e si scoprono rapporti oscuri tra le diverse parti che compongono il quadro unitario delle esistenze umane.

Basta saperli osservare e descrivere usando lo strumento privilegiato della poesia.

Il bene e il male della Storia convergono e si dispiegano come su uno schermo a mostrare ciò che li caratterizza e influisce sul destino delle esistenze umane. Ciò che appare risulta non soltanto completamente diverso da ciò che sembra accadere in realtà ma è tanto più contraddittorio rispetto a quello che si crede (o si vorrebbe) che avvenga tanto che si può coglierlo soltanto per accenni, per scarti, per tagli di luce e, fondamentalmente, solo per riflesso, per contatti lontani.

Non si tratta, però, di una dimostrazione lirica basata sulla qualità e la specificità dei contenuti quanto sull’esigenza del ritmo, sulla potenza del suono, sull’efficacia delle notazioni timbriche.

Per Populonia si può esigere soltanto un concerto, non un poema basato esclusivamente sulla linearità delle parole.

Lo dichiara apertis verbis lo stesso autore commentando al termine del suo poema quanto ha scritto:

 

«La poesia gioca, in quest’occasione, con alcune forme del mondo della musica, ne riprende tratti, impronte. E’ abbandonata la fisionomia consueta della forma-libro, orientata, di solito, in una determinata, unica direzione, per seguire il movimento delle composizioni musicali in andamenti plurali, ascendenti e discendenti. Questa raccolta, Concerto, pone attenzione alle istanze della musica nella struttura sinfonica per movimenti e a quelle poetiche nello svolgersi delle evocazioni che generano immagini. Insieme le due istanze producono emozioni che si rincorrono nel flusso della coscienza, di frammenti di memoria. E nella sinfonia – come nel concerto – è composizione di abbandoni e riprese, dove un tema è introdotto, poi sviluppato, poi accantonato, poi variato e organizzato in discorso.»

 

Dunque, Mosi si cimenta con un linguaggio, quello della musica, in cui i livelli tonali si susseguono in una ricerca di armonia finale e in cui ogni elemento si ricompone alla fine dell’esecuzione e si ritrova nella sua particolare dimensione autonoma per cui è nata, pur mantenendo la sua posizione all’interno del tutto. Tra autonomia del significante e necessità del significato, la poesia di Mosi si aggira tra le vicende del presente e la nostalgia del mito per cercare di ottenere il risultato che gli interessa: dare alla poesia una chance di intervenire sulla realtà senza esserne travolta e schiacciata.

I quattro movimenti del suo Concerto, allora, dedicati come sono alle quattro stagioni (seguendo una tradizione ben definita nella storia della musica), alternano ricostruzioni delle vicende di attualità a momenti di vita familiare, intercetta segni orribili di inciviltà persistente (il razzismo che i terribili fatti di Rosarno hanno mostrato come ancora prevalenti nella in-cultura della penisola) ma si apre a moti di speranza per il futuro delle generazioni che verranno.

Il dettato poetico di Mosi si concentra sul dato e si articola per brevi sequenze narrative che sviluppano lo spunto principale di partenza. Eccone un esempio (dalla sezione Inverno, Caos):

 

«A trecento chilometri / il treno per la città. / L’incontro da “Mimì / alla Ferrovia”, gli amici. / Sulla tovaglia tracce / di vino, la città di Gomorra. / Nove cerchi rossi / del nostro Inferno. // Al centro il porto / intorno Secondigliano, / Scampia e Forcella, / Torre Annunziata. / “La gente, vermi della terra, / rimangono vermi, sempre”, / la voce d’aspide della Camorra. //

 

Sono cinque giorni / che mangiamo arance / nascosti nell’aranceto”. / La faccia appare / al telegiornale. / Per le strade di Rosarno / la furia della gente, / ronde di bianchi in giro. // Seduti nell’ombra / aspirano crack, / fiammelle per la dose, / uomini e donne / di Castel Volturno. / Sopravvissuti alla droga, / la pelle di cenere. / Morti gli altri, senza nome» (pp. 4-5).

 

oppure sul versante mitologico dell’intervento poetico, l’ironia subentra al posto del dramma:

 

«Mito. Labirinto mito / al centro la vampa / dell’io, in volo / con ali di cera. // E’ forse uguale / a un dio l’uomo / calvo, senza ombra / che dorme in piedi / alla porta di Populonia ? / I ginocchi piegati / la testa in avanti. // Ogni notte l’Eroe / raggiunge la reggia. / Penelope dorme stizzita, / Arturo saluta, la coda ritta. / Apre la posta, ordina le armi, / si distende sul letto, / il risveglio vicino. / Ulisse torna sempre a Itaca. // Sono giunto alle terre / degli Etruschi. Le navi / passano il Bosforo, / bandiere al vento. / Inseguo Giasone / alla conquista del vello / d’oro, le carovane / sulla via della seta» (p. 8).

 

Nella sinfonia delle Quattro Stagioni impostata nel libro, come si è visto, i momenti tragici della cronaca nazionale (i fatti di Rosarno o l’incidente del Moby Prince) si alternano alle scoperte che costituiscono la sostanza della vita quotidiana e familiare (come nella sezione Primavera, tutta la sequenza relativa alla nascita e ai primi anni della nipotina Marta) mentre nella sezione dedicata all’Estate la vita della natura e i suoi suoni e moti si intrecciano ai giochi e ai canti dei bambini.

Nell’ultima sezione, quella che chiude la Prima Parte, infine, l’Autunno, è la descrizione delle parole della poesia, paragonate alle foglie che delicatamente si staccano dagli alberi, a confortare la scrittura e renderla forma espressiva capace di rafforzare e rinvigorire la sostanza di un Io che tenderebbe a sbiadire nel corso del tempo. La potenza delle memorie conservate nel baule inesausto dell’esistenza passata, tuttavia, è in grado di riportare il silenzio dalla sua condizione di oblio incombente e minaccioso a quella di un elemento che fonda la vita stessa, accentuandone gli elementi di bellezza assoluta:

 

«Ascolto il silenzio / dalla Rocca di Populonia / lontano dalle spiagge, / dai motori delle strade. / L’aruspice segue /il volo del falco, / coglie i segni del cielo / per la nuova stagione. // La violenza del giorno / è lontana, la città cade / nell’antico mistero. / I sacerdoti in processione / salgono all’altare / per il sacrificio. / Nuovo sangue / nutre la vita del mito. // Mi lascio andare, / l’acqua accarezza / il nuoto leggero. / Sotto di me le ombre, / le creature del mare. / Sopra di me la luce / di Febo. La bellezza / a portata di mano» (pp. 28-29).              

 

2.

«Della Primavera nessun segno! / Leonardo va su e giù nella sua stanza angusta / … arrogante fissa la neve ostinata. / Raffaello entra in un bagno caldo / … i suoi lunghi capelli di seta sono secchi / per il poco sole. / Aretino ricorda la Primavera a Milano; la / madre, / che ora, su dolci colline milanesi, dorme. / Della Primavera nessun segno! Nessun segno! / Ah, Botticelli apre la porta del suo studio»                                                      (Gregory Corso)

 

Il secondo tempo del libro di Mosi, invece, è un omaggio all’arte fiorentina e soprattutto alla pittura che l’ha resa grandissima. E’ alla Primavera di Sandro Filipepi-Botticelli che i primi versi sono dedicati in questa sezione della rapsodia ed è con i versi del Poliziano che il testo si apre.

Ma poi, dopo la descrizione della grande apoteosi dei Medici che hanno riportato la pace a Firenze (secondo una bella intuizione di Cristina Acidini Luchinat ripresa e fatta propria nell’esecuzione del suo tempo poetico da Mosi), segue la descrizione di Fiorenza stessa e delle sue bellezze artistiche:

 

«Geometrie dalle piazze / il cerchio dei bambini, / le ellissi delle rondini, / il quadrato dei turisti, / la retta della palla calciata / la sfera in rosa del cielo. // Colori della storia. / L’argento della pietra forte, / l’oro della pietra serena, / il bianco della calce, / il verde dei marmi, / il rosso dei tetti. // Il suono della poesia, / Shelley alla Fonte del Narciso, / i Futuristi alle Giubbe Rosse, / Montale all’antico Istituto, / Campana a San Salvi, / Dante per ogni dove» (pp. 36-37).           

 

La sezione dedicata alla produzione artistica si conclude con un omaggio a Tredici tempere su tela che il pittore Vinicio Berti aveva regalato alla Società di Mutuo Soccorso di Peretola e che raccontavano per immagini la storia dell’associazione. Anche in essa la decantazione rappresentativa delle vicende collocate sulla tela e la musicalità delle parole si integrano in una sorta di concento di colori e suoni che vogliono dare il senso e produrre forme evocative dei “miti popolari di un’epoca” (come sostiene Mosi nel suo commento finale).

Sarà la Natura, invece, a dare il la alla parte finale dell’opera, quella che vuole rendere omaggio alla potenza quasi naturale dei versi di frate Francesco di Assisi. Riprendendo talune sue composizioni già pubblicate, Mosi si distende nella descrizione della forza degli elementi e di ciò che ricompone il quadro della bellezza del mondo:

 

«Compongo in versi / suoni e silenzi / cerco parole, creo / un ammasso d’argilla / da modellare a piene mani. // Scompongo, ricompongo / i versi, cerco la forma. / Ora il fuoco abbraccia / l’argilla, la riscalda, / la cuoce, la brucia. // La poesia è pronta / per la polvere del giorno» (p. 51).     

 

Allo stesso modo, tra scrittura / descrizione della realtà e sua trasfigurazione in immagini e suoni, si apre lo spazio di una soggettività che si muove tra l’una e l’altra, quella di un poeta che accetta i limiti della parola scritta e vuole andare oltre di essa, nel tentativo di costruire un progetto artistico che sia capace di ritornare alla natura mitopoietica del canto che vive nel e con il mondo in cui si trova a esistere.         

 

 

 


 

 

Sinfonia

per

Populonia

                              I. Inverno    

 

 

                                        Caos

 

Labirinto caos

domato da Dedalo

misura finita circondata

dal mare infinito.

 

Scrosci d’acqua

sciolgono la notte,

Populonia è muta

aggrappata alla costa,

ruscelli di melma

uccidono il mare,

le scorie galleggiano

precipitano sul fondo.

 

A trecento chilometri

il treno per la città.

L’incontro da “ Mimì

alla Ferrovia”, gli amici.

Sulla tovaglia tracce

di vino, la città di Gomorra.

Nove cerchi rossi

del nostro Inferno.

 

Al centro il porto

intorno Secondigliano,

Scampia e Forcella,

Torre Annunziata.

“La gente, vermi della terra,

rimangono vermi, sempre”,

la voce d’aspide

della Camorra.

 

 

 

“Sono cinque giorni

che mangiamo arance

nascosti nell’aranceto.”

La faccia appare

al telegiornale.

Per le strade di Rosarno

la furia della gente,

ronde di bianchi in giro.

 

Seduti nell’ombra

aspirano crack,

fiammelle per la dose,

uomini e donne

di Castel Volturno.

Sopravvissuti alla droga,

la pelle di cenere.

Morti gli altri, senza nome.

 

Osservo l’andare

alla via Domiziana

per  prostituirsi,

e il ritorno per la droga.

Chiuderanno gli occhi

tra monti di spazzatura,

sono solo immigrati

e, peggio, neri africani.

 

 

 

 Passione

 

Labirinto passione

di Teseo per Arianna

il filo teso

nei rossi meandri.

 

Ogni sera m’affaccio

alla terrazza Mascagni:

i gabbiani guidano

le navi. Alla Meloria

si accende l’occhio rosso.

Si allontana l’ombra

della Moby Prince

per il destino di fuoco.

 

“Aiuto”, l’eco rimbomba,

dilata la paura. Intorno

ossa biancheggianti

infisse nella grotta.

Avanzo a fatica, le onde

padrone del corpo.

Vespero si affaccia,

vedetta, in attesa.      

 

Euridice alla guida

della pala ruotante,

nell’Inferno, l’elmetto

sopra i capelli biondi.

Orfeo implora Ade

di lasciarla partire.

“Alla fine dello scavo,

al passaggio del treno”.

 

 

Brillano gli sguardi

nell’ombra, un fuoco sottile

affiora rapido alla pelle *

“Lasciateci amare

come vogliamo” ha scritto

sul muro della scuola.

La dolce-ridente Saffo

coronata di viole **.

* Saffo, fr. 2. (trad. S. Quasimodo)

** Alceo, fr. 63. (trad. S. Quasimodo)

 

Venere, l’impiegata

più bella dell’ufficio,

ha lasciato Efesto,

placido e triste.

Adone il nuovo

compagno. La sera

frusta l’Alfa Romeo

per arrivare da lui.

 

Bolle la pentola

il sogno d’Europa

ballano le fiamme

le streghe agitano il brodo.

Il dito del banchiere

l’occhio di un rom

il sorriso di un nero.

Le vecchie gettano dentro.

 

 

 

Mito

 

Labirinto mito

al centro la vampa

dell’io, in volo

con ali di cera.

 

E’ forse uguale

a un dio l’uomo

 senza ombra

che dorme in piedi

alla porta di Populonia?

I ginocchi piegati

la testa in avanti.

 

Ogni notte l’Eroe

raggiunge la reggia.

Penelope dorme stizzita,

Arturo saluta, la coda ritta.

Apre la posta, ordina le armi,

si distende sul letto,

il risveglio vicino.

Ulisse torna sempre a Itaca.

 

Sono giunto alle terre

degli Etruschi. Le navi

passano il Bosforo,

bandiere al vento.

Inseguo Giasone

alla conquista del vello

d’oro, le carovane

sulla via della seta.

 

Striscio nel bosco,

in mano il pugnale:

il Santuario di Diana,

fra le colonne, al centro,

l’albero dal Ramo d’oro.

Spio i passi del sacerdote,

il vento intona un lugubre,

continuo lamento.

 

Scatto, un serpente.

Il pugnale si abbassa,

una lotta furiosa

per il Ramo d’oro.

Ritorno sui miei passi.

Appendo il Ramo alla porta

di Populonia. La luce

rischiara i nostri tempi.

 

Un gemito. Dal solco

scavato si è alzata

tra le zolle rimosse

la testa di un bambino.

“Sono Tagete, arrivato

 tra voi per mostrare

 i segni del Cielo.

E nel silenzio scompare.

 


 

 

 II. Primavera

 

 

Nascere

 

Nella casa avvolta

dalle ombre, risuonino

accordi di chitarra,

i canti riempiano

le stanze, il colloquio

con le ombre diventi

sommesso. La vita

ha generato la vita.

 

Quando sei nata

c’era una falce di luna

sospesa sull’ospedale.

Quando sei nata

il tuo primo viaggio

nella culla condivisa

con un fagottino cinese.

Gli occhi a mandorla.

 

Quando sei nata

sono uscito felice,

il mondo sospeso

ha ritrovato la vita,

i rumori della strada

il loro sordo rumore

i profumi della campagna

il profumo di giugno.

 


 

Dieci le tappe

del viaggio nella casa,

dieci i mesi di Marta,

il braccio è la sella,

sprona il vecchio cavallo.

Dieci le tappe

del viaggio nella casa,

dieci i mesi di Marta.

 

Intreccio parole

rubate alla dispensa

delle fate, alla fattoria

di ogni dove, alle canzoni

del lavoro. Rotea i piedi,

mi stringe la mano.

Lontano è lo sguardo,

nel mondo dei sogni.

 

Vola vola l’altalena

fra scrosci di risa.

Piazza d’Azeglio,

granelli di luce

nel cielo degli occhi.

Sento la voce di Radio

Cora, i versi di Luzi,

“Serenata alla piazza”.

 


 

Crescere

 

Batte leggero

il cuore dell’orchestra

sulla spiaggia del Golfo

di Baratti, voci alte

occupano il silenzio.

Si allontana il rombo

dei motori. La risacca

gioca con i pensieri. 

 

Siamo maschere,

le mani nella sabbia

coperta a tratti dal mare.

Batte i piedi felice,

sul viso i colori

accesi della spiaggia.

Si abbattono castelli

tra scoppi di risa.

 

Ha scoperto l’ ombra,

l’ombra la segue,

alza un braccio, saluta

i riflessi nella sabbia.

Per palcoscenico

la passerella del bagno,

illuminata dal sole.

Marta non è più sola.

 

Villa dei Pinoli,

aghi di pino sul tetto.

Cantano gli uccelli

diretti dalle cornacchie

a ogni ora del giorno.

Muove i primi passi

le braccia aperte

galleggiano nell’aria.

 

Dalla terrazza

l’aria del mare,

i traghetti un rollio

lento, lasciano il porto

sfiorano la Piazza.

Marta da principessa

passerà nel Corso

in trionfo sul carrettino.

 

Marta è nel tempo

venti secondi per respirare

venti minuti per urlare

venti giorni per sognare

venti settimane per sorridere

venti mesi per giocare

venti anni per amare

Marta è il nostro tempo.

 

 

Scherzare

 

Salpa la nave bianca

per la terra dei ghiacci,

a bordo imbianchini,

gelatai e grasse sorbettiere.

Torna la nave carica,

ghiaccioli e nasi rossi.

Negli occhi il Polo Sud

a strisce e colori.

 

Sessanta le olive

dell’olivo sul balcone

Sessanta olive da spremere

per gli animali della fattoria.

Sei cucchiai per le oche,

il cavallo e l’asinello.

Sei cucchiai per il gallo

e poi non ce n’è più.

 

Vola la forchetta

per New York, l’aereo

passa davanti alla bocca,

chiuso l’aeroporto.

Un colpo di telefono

allo zio Nicola.

La bocca si apre

per mille bocconi.

 

 

Ona,, la bella rificolona!

La mia ha i fiocchi

la tua i pidocchi!”

Sibilano cannucce,

urlano i ragazzi

le batterie pronte.

S’infiamma, un falò,

un tizzone annerito.

 

L’omino della pioggia

accoglie dalla rotonda

le auto in fila indiana.

Ai piedi la valigia

piena d’occhiali rosa

per vedere la città,

i palazzi tutti in fila

galleggiano a mezz’aria.

 

I treni innamorati

s’incontrano a Scarlino.

S’incrociano sui binari,

fischiano, sbattono le ciglia:

è nata una passione.

                                         L’Eurostar dava baci

alla Littorina. Nascerà

presto un trenino,

il gioco per un bambino.

 

 

 III. Estate

 

 

Fiorire

 

Un punto di tenerezza

una sarabanda di luci

un gioco di geometrie

un gattino vorace.

La sezione aurea

dello sguardo dei nonni.

Anna si è intrufolata

nella nostra vita.

 

E’ una piuma in volo

leggera. La stringo

tra le braccia, sento

il battito del cuore.

Le braccia annaspano,

giocano con le emozioni.

Siamo vicini, da lontane

stagioni della vita.

 

La favola continua,

domande condite

di perché. Silenzio.

Si raccoglie sul fianco,

un piccolo gomitolo,

il respiro, un soffio.

Le labbra assaporano

il gusto dei sogni.

 

Ci hanno aggredito

le ore della notte

agitata da ombre

dipinte di nero,

abitate dalla paura.

Si dispera nel sonno.

L’impotenza invade

la solitudine della notte.

 

Dalla loggia assaporo

lo stupore del cielo

stellato. La notte

avvolge la casa.

La campagna sonora

è appesa lontano,

all’eterna fiamma, alta

sui fumi dell’acciaieria.

 

La linea delle colline

disegna i confini

dell’Acropoli, si avvolge

nella Rocca di Populonia

solenne sul mare,

s’immerge tra le tombe

abitate dalle ombre

degli Etruschi.

 

Al mattino la voce

delle tortore sul pino,

nel giardino due upupe

a caccia di chiocciole.

Nel cielo gabbiani,

rondini in volo.

Il falco traccia

i confini dell’orizzonte.

 

 

Giocare

 

Il triciclo intreccia

viaggi sul prato.

Anna raggiunge

veloce Milano

riparte per Roma,

la bambola sul seggiolino.

Chiama l’albergo:

“Una camera per quattro!”

 

“Si gioca ancora!”

Siamo nella foresta

il leone che mangia

il lupo, il pompiere

che salva il gattino

sulla cima dell’albero,

il macchinista del treno

ora sobrio, ora brillo.

 

Giochiamo tra le canzoni

sulle onde del mare

che accarezzano

la spiaggia, i castelli

di sabbia costruiti,

abbattuti ogni mattina.

Il sole impigliato

nelle ciocche dei capelli.

 

“Dormite  bambini,

la mamma è in ufficio,

vi racconto la storia

di Cappuccetto Rosso    

che va dalla nonna.

Incontra il lupo nel bosco:

“Il dolce nel panierino

è  per la nonna malata.”

 

 

Il suono di un disco

rende ogni ora sonora:

“Bovi, bovi dove andate

tutte le porte son serrate.”

“Siam serrate a chiavistello

con la punta del coltello.”

Parole dove andate

vestite come fate?

 

“Andiam, andiam

a caccia del leon.

Se si sveglia, se si sveglia

lui ci mangia in un boccon.”

Le braccia in avanti

strisciamo sul prato.

Le mani alla bocca,

il fucile vicino.

 

“Cosa fanno le belle manine?

Battono, battono

e se ne vanno.

Cosa fanno le belle manine?

Girano, girano

e se ne vanno.”

Frullano, passerotti

in volo nella stanza.

 

 

 

Cantare

 

Impazzisce il canto

imperturbabile delle cicale

arroventate dal sole.

Il giardino si alza

dai campi di pomodoro,

solchi di piante

dagli occhi arrossati,

fino alle colline.

 

Canta alle bambole:

“Tanti auguri a te”,

ride, batte le mani.

Sommersa da mille

occhi curiosi,

guarda stupita

le candeline sul dolce.

Piange ora disperata.

 

Cantano i bambini

“Giro giro tondo

come è bello il mondo

tra tanti uccellini.”

Creano un cerchio,

una nube di evviva,

appendono alle nubi

le storie di tanti anni fa.

 

Le acque di Torre Mozza

parlano: “Gaetana

da sola difese la Torre

dall’assalto degli inglesi.

Francesco fu nascosto

dai pirati a Montecristo.

Un cucchiaio lucente

guidò la barca dei fratelli.”

 

 

 

Le acque dello Stellino

parlano del pescecane:

“Mangiò, un boccone,

il palombaro al lavoro

sul fondo del mare.

Emerse una bombola

trafitta dai denti

del Carcarodonte.”

 

Cantano i venti

padroni della casa,

arrivano a raffiche

dalle spiagge vicine,

braccia della tempesta.

Le bambole coperte

fino alla punta del naso

nel tepore del sottoscala.

 

“Vento, portami via con te!”

canto vicino al letto.

“Fischia il vento.”

“Ancora, non smettere mai.”

“Il vento ha buttato

giù la canna, bambina

 fai la nanna

il nonno vuol dormir!”

 

 

Partire

 

La spiaggia un tappeto

di colori, la storia

di ieri, degli Etruschi:

il rosso dei forni,

l’argento del ferro.

Salutano le braccia

del  Golfo di Baratti

verdi di antiche pinete.

 

L’agosto porta i viaggi,

il silenzio della casa.

Porta i temporali,

le cantine allagate.

L’agosto porta

il messaggio: Anna

ha visto dalla nave

giocare i delfini.

 

I girasoli circondano

la casa del mare.

Dalla loggia ascolto

il silenzio dei girasoli,

seguono le nostre storie.

Fissano nella memoria

i ricordi dell’estate.

Ondeggiano, salutano.

 

Dalla Rocca di Populonia,

la magia dell’aruspice:

il vento ha mangiato

ogni nube, si apre

il mare coronato

da lontane montagne.

L’Elba e la Corsica

la costa francese … e oltre.

 

 

 

Antichi personaggi

abitano le onde

di questo mare.

L’Imperatore famoso

nacque tra le montagne

azzurre della Corsica.

Conquistò le terre

davanti ai nostri occhi … e oltre.

 

Catturato dai lupi

fu portato all’Elba,

re di un piccolo regno.

Incontrò sui monti Maria,

la Principessa amata.

Fuggì per queste acque

verso l’ultima battaglia,

la prigionia, la morte … e oltre.

 

La lanterna si alza

da Populonia, gonfia

d’aria, di pensieri

per la stagione che verrà.

Raggiunge nel cielo

le altre lanterne,

si confonde tra le ombre

che lievitano dalla terra.

 

 IV. Autunno

 

 

Tramonto

 

Labirinto antro

del Minotauro

spazi grigi di pietra,

al centro l’Enigma.

 

Ti vesti di parole,

piovono dal canto,

spuntano nel giorno

coriandoli di colore.

Bolle di sapone

si gonfiano.

Scoppiano nell’aria,

riappaiono dal nulla.

 

Lettere piovono

dal cielo, piccole grasse,

lettere suonano

sibilano gracchiano.

Lettere in fila,

i vagoni di un trenino,

conquistano un senso,

diventano parole.

 

 

 

Ti vesti di parole

sempre nuove.

Mi spoglio di parole

sempre nuove,

volano via i nomi

dalla stanza della mente.

Rimane l’ombra

dei vestiti appesi.

 

Se il nome riemerge

è festa, l’incontro,

un amico ritrovato.

Al centro della mente

s’innalza la dimora

raggrinzita dell’Io.

La porta aperta

per l’ultimo volo.

 

 

 

Memorie

 

Labirinto conoscenza

il filo di Arianna

nelle mani di Teseo,

legame d’amore.

 

Scivolano i ricordi,

la colonia una nave

arenata fra le dune

del mare. Si alza

la torre dell’acqua

sulle chiome dei pini.

Le raffiche del vento

invadono i corridoi.

 

Irrompono i ragazzi,

sono un punto, la testa

rapata sugli occhi celesti,

in mano la valigia

(corredo: costume,

magliette, mutande).

Arriva dal piazzale

il canto dei ragazzi.

 

Bambini scendono

seguendo il maestro,

le braccia nel vento.

Sulla neve le spire di un serpente.

Li seguo dal rifugio,

spariscono tra gli abeti.

Li rivedo in volo, aquiloni

nella luce del tramonto.


 

Vola  l’aeroplano,

un foglio di poesia,

un colpo di vento

solleva il muso in alto.

Improvviso l’aeroplano

d’acciaio: “Nonna valigia!”

grido, poi le bombe

squassano il quartiere.

 

 

Silenzio

 

Labirinto miraggio

il nulla al centro

scomposizione del reale

seduzione dell’invisibile.

 

Ombra della sera

figura d’uomo

allungata nella luce

triste del tramonto,

grappolo d’uva

dimenticato al tralcio

della vite nel tempo

della vendemmia.

 

Ascolto il silenzio

dalla Rocca di Populonia

lontano dalle spiagge,

dai motori delle strade.

L’aruspice segue

il volo del falco,

coglie i segni del cielo

per la nuova stagione.

 

La violenza del giorno

è lontana, la città cade

nell’antico mistero.

I sacerdoti in processione

salgono all’altare

per il sacrificio.

Nuovo sangue

nutre la vita del mito.


 

Mi lascio andare,

l’acqua accarezza

il nuoto leggero.

Sotto di me le ombre,

le creature del mare.

Sopra di me la luce

di Febo. La bellezza

a portata di mano.



               Concerto  per  Flora

 

 I. “La Primavera

 

Flora

… al regno ov’ogni Grazia si diletta

ove Biltà di fiori al crin fa biolo,

ove tutto lascivo, drieto a Flora,

Zefiro vola e la verde erba infiora. *

 

 

Flora esce con lieta

baldanza dal bosco,

sparge rose recise

raccolte nel grembo.

Nel volto il sorriso

della rinata Fiorenza.

 

Al suo fianco, strida

di donna, frasche spezzate,

Zefiro, le gote gonfie

di vento, afferra Clori,

l’amata ninfa, zampilli

di fiori dalla bocca.

 

Il vento s’ingorga

nei pepli, li scuote,

li increspa a onde

in un turbinio

continuo di stoffe,

gremite di petali e fiori.

 

Al centro del prato

un tappeto di fiori,

Venere accenna

a un passo di danza,

saluta, un lieve gesto,

l’arrivo della primavera.

 

Riprende l’eterea

danza delle Grazie.

Cupido sta per scoccare

la freccia, bendato.

Un colpo e si accende

il fuoco dell’amore.

 

Mercurio nel bosco

profumato d’aranci,

in vesti da guerra,

alza in alto il caduceo

cinto da due feroci

serpenti avvinghiati.

 

Trafigge l’ultima nube

residuo della discordia,

mostra il tempo della pace.

La tempesta vola via

dalla città di Fiorenza,

dalla terra dei Medici.


 Fiorire

 

“Ben arrivato agli Uffizi”,

Flora salutandomi

mi porge una rosa.

“Sandro mi ha rifatto

il trucco per ricevere

la folla dei visitatori”.

 

La fila della folla

disegna nel Piazzale

le spire di un anaconda.

Un Cupido dipinto di bianco

lancia frecce di gomma

ai passanti.

 

“La notte usciamo

dai quadri, mi scateno

con Venere e Mercurio.

Arriva il profumo dell’Arno,

l’aroma del pane,

il canto degli ubriachi”.

 

Non dormite, non riposate

la notte?  La vostra

salute è in pericolo.

Oggi c’è bisogno

di bellezza, di simboli

sereni del bello.

Quando dalla Torre

suona il mattino,

arrivano i padri,

a colpi di pennello

sparisce la stanchezza,

si ricompongono le vesti.”

 

Chiedi ai padri

di rimanere tra noi,

l’arte fecondi

la sterilità dei tempi,

rinascano le botteghe,

i gigli del Rinascimento.

 

“Le ombre tra le ombre!

L’arte incontra il bello

seguendo con occhi puri

la cadenza dei tempi,

inseguendo le esili

tracce dell’utopia”.

 

 Fiorenza

 

Attraverso le piazze

cammino per le vie

cerco pagine di storia

raccolgo immagini.

Per segnalibro

l’idea della bellezza.

 

Pullman sull’Arno

da tutto il mondo,

le dieci del mattino.

Pullman dall’Arno

per tutto il mondo,

le cinque della sera.

 

Cupola, rossa corolla

al centro della valle,

lo slancio dei costoni,

la sequenza degli embrici.

Galleggia sulle strade,

segno puro d’armonia.

 

Geometrie dalle piazze

il cerchio dei bambini,

le ellissi delle rondini,

il quadrato dei turisti,

la retta della palla calciata

la sfera in rosa del cielo.

 

Colori della storia.

L’argento della pietra forte,

l’oro della pietra serena,

il bianco della calce,

il verde dei marmi,

il rosso dei tetti.

 

Il suono della poesia.

Shelley alla Fonte del Narciso,

i Futuristi alle Giubbe Rosse,

Montale all’antico Istituto,

Campana a San Salvi.

Dante per ogni dove.


 

 

II. Tredici tempere su tela

Tosca

 

Tosca mi guida per un varco

dentro la fabbrica abbandonata

“Parla delle idee che abbiamo vissuto,

tessi il filo della memoria.”  * *

 

Tosca, cerco i fiori del bello

nati nella periferia

al calore delle utopie

che rivestono di rosso

gli anni pari e dispari

della mia lunga vita.

 

“Incontriamoci alla Società

di Mutuo Soccorso

stasera, dopo l’arrivo

dell’ultimo volo

quando svanisce

il rumore dei motori.”

 

Nei quadri alle pareti

del ristorante, Vinicio

racconta per linee e colori

la storia del paese.

Sui tavoli lattine

di birra e Coca Cola.

 

Longarine e ganasce,

tavole da cantiere

si spingono in alto:

lo slancio della Cupola,

delle idee in fermento

per la nuova società. 

 

Tra le strutture, macchie

di colore, rosso e nero,

giallo e azzurro,

la tavolozza del Botticelli.

Lievitano parole,

viti d’acciaio del racconto.

 

La COSTRUZIONE

della Casa del Popolo,

dopo il lavoro di quattordici ore.

L’Assalto dei Fascisti,

la RESISTENZA,

sentieri rossi per la rinascita.

 

Rinasce Peretola

e la Casa del Popolo,

cultura e solidarietà.

L’aria profuma di sogni,

del sapore sensuale

della rivoluzione.

 

Marcia  il Quarto Stato,

una folla in corteo,

Tosca in prima fila,

il bambino in braccio.

Facce sfumano sul fondo,

formano un POPOLO.

 

 Trame

Escono dai quadri,

per le strade dietro le torce

delle guardie di notte.

Tra le ombre delle fabbriche,

dei supermercati,

le zolle degli ultimi campi.

 

“Lo sciopero delle trecciaiole.

Mi distesi sulle rotaie

 il bambino in braccio.”

Tosca ricorda agli amici:

“La cavalleria ci attaccò

da ogni parte, nella piazza.”

 

Remo al villino

di via della Stazione:

“Chiusi questo cancello,

partii per la guerra.

Lo riaprii dopo sei anni,

per compagna la tubercolosi.”

 

Cesare porta gli amici

fino all’Arno,

alla barca da renaiolo:

“Fatica dura dall’alba

al tramonto, un carico

per un pezzo di pane.”

 

Orlando indica le luci

di Monte Morello:

“Un anno sul Monte,

da partigiano. Fummo

circondati dai tedeschi.

Solo io mi salvai.”

 

All’alba i primi voli,

le sirene dell’Osmannoro.

Alla Casa del Popolo

Tosca, Remo e gli altri

riprendono  posto

nei quadri di Vinicio Berti.

 

Tracce

 

“Il primo tra i vini quello

di Peretola e Brozzi, il miglior

 che un cristiano ingozzi”

dice Bacco parlando

alla rovescia: “ Sa di botte,

di cuoio e marcorella.”

 

Il primo volo quello

di Zoroastro da Peretola:

le ali di Leonardo,

si lanciò da Monte Ceceri

nel vuoto, con le rondini.

La gamba rotta, la gloria.

 

Il primo navigatore

Amerigo Vespucci.

I modelli delle navi

nel Fosso Macinante,

prima di dare il nome

al nuovo continente.

 

Il primo a partire

per il noce di Benevento,

il Gobbo di Peretola

e a tornare con due gobbe,

una davanti e una di dietro.

La punizione delle streghe.


Il primo a dire

che le gru di Peretola

hanno una zampa sola,

Chichibio il cuoco

innamorato di Brunetta

dalle facili promesse.

 

Il primo cavaliere

con Ettore Fieramosca

alla disfida di Barletta,

Albimonte da Peretola,

guerriero temprato

dalle risse del paese.

 

La prima a vedere

Pinocchio impiccato

alla Grande Quercia,

la Fata dai capelli

turchini, con il falco

e il can-barbone.

 

Il primo burattino

a diventare un ragazzo,

Pinocchio. La Fata:

“ Per il tuo buon cuore,

ti perdono. Sarai

un ragazzo come gli altri.”


 

                                        III. La Nascita di Venere”

 

 Venere

 

Una donzella non con umano volto

da Zefiri lascivi spinta a proda

gir sopra un nicchio; e par che ‘l ciel ne goda.

Vera la schiuma e vero il mar diresti … * * *

 

 

Venere superba

solca le onde del mare

verso la terraferma.

Rinnoverà alla felice

terra di Toscana

i doni dell’amore.

 

Il volto reclinato,

copre con la destra

un seno, con l’altra

preme sul pube

la ciocca  lunga

dei capelli biondi.

 

Sulla riva frastagliata

di spiagge e insenature,

un tappeto erboso:

Carite dispiega

nel vento un mantello

di pianticelle fiorite.

 

Volano abbracciati

Zefiro e Aura:

dalle bocche spira

un effluvio, una pioggia

diffusa di rose recise

sulle acque increspate.

 

Fiorenza attende Venere.

Sarà annunziata

dal riflusso frangiato

delle onde del fiume

che scherza controcorrente

ai piedi del ponte.

 


 Vedute

 

“Mi affaccio dalle sei

finestre affrescate”.

Le immagini di Venere

sul telone che copre

il palazzo in costruzione,

vicino all’autostrada.

 

“Canto una canzone

d’amore, in bicicletta”.

Sui Lungarni, dopo

la notte in discoteca,

sullo sfondo la chiesa

di San Frediano in Cestello.

 

“Corro tra gli ippocastani

nel giardino di Boboli”.

Maglietta e calzoni bianchi,

la cuffia  dell’i-pod,

l’immagine riflessa

nella vasca del Nettuno.

 

“Ondeggio nella sfilata

al Piazzale degli Uffizi”.

Il vestito rosso

di Armani, lampi

di flash tra due

nubi di applausi.


“Guido un gruppo

sulla monobici”.

Occhiali ray-ban:

sulle lenti la luce

alternata delle insegne,

l’ombra del Campanile.

 

“Scherzo con gli amici

a Santo Spirito”.

Bottiglie di birra,

un pitbull al guinzaglio,

sul braccio il tatuaggio

LOVE, LOVE, LOVE.

 

“Lancio baci

ai viandanti della notte”.

In piedi al finestrino

dell’ultima vettura del tram

che attraversa la città

addormentata.

 

 

Visione

 

Venere spinta dai venti

giunge alla riva,

ai piedi della Galleria

degli Uffizi, dove

un tempo sorgeva

il porto romano.

 

Tosca in disparte

dal Ponte Vecchio

osserva l’arrivo

di una nuova stagione,

assapora il profumo

della primavera.

 

Flora accoglie la dea,

la coperta ricamata

di gigli fra le braccia.

Mano nella mano

salgono la scalinata,

raggiungono gli Uffizi.

 

L’Alba si annuncia.

C’è ancora il tempo

per intrecciare una danza,

per invitare Mercurio

a rinnovare il rito

per un nuovo Rinascimento.


 

Canto

“Sora nostra

matre terra”

 

“Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile  ...

Laudato si’, mi Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, …

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, ...”

                     dal Cantico delle creature, San Frencesco d’Assisi

 

Acqua

Si ode solo il fruscio
delle foglie, è scomparso
il suono dell’acqua
dal fondo della valle.

Prendo nella mano
la sabbia del fiume,
solo detriti del bosco,
gusci di granchi.

“Che cerchi tra i rovi,
pellegrino smarrito?”
chiede la civetta
dalla finestra della casa.

“Ero la civetta da richiamo

del vecchio civettaio
Ora la mia voce si alza invano

fino al volo dei falchi:

la galleria scavata

alle radici del bosco

ha rubato per sempre

il suono dell’acqua.”


Terra

La luna mostra il suo volto

a Matmata, la città nel deserto

del sud, le case scavate

intorno a profondi crateri.

 

La luna mostra il suo volto

nelle dune di sabbia rossastra

nelle colline bruciate dal sole.

 

Seguendo fresche gallerie

scavate dalle origini del tempo

sono sceso al riparo per la sera.

 

Nella notte di stelle disteso

sulla stuoia, mi sento felice

vicino al cuore della terra.


 

Fuoco

 

Compongo in versi

suoni e silenzi

cerco parole, creo

un ammasso d’argilla

da modellare a piene mani.

 

Scompongo, ricompongo

i versi, cerco la forma.

Ora il fuoco abbraccia

l’argilla, la riscalda,

la cuoce, la brucia.

 

La poesia è pronta

per la polvere del giorno.



Vento

 

Una schiera di cavalieri

galoppa sul crinale

del monte, sopra la città.

Si piegano, si rialzano.

Sventolano gli stendardi.

 

Sono gli alberi del bosco

sulla cima del monte,

scossi dalle raffiche

del vento, dall’ululato

che penetra i nostri sonni.



Sole

 

Il sole scende dal carro

e getta l’armatura,

gli ultimi raggi

incorniciano la nave

all’orizzonte.

 

Vespero alto nel cielo

precede le stelle

per ogni dove,

sulle rive dell’ isola

abitano ancora

gli eroi di Omero.


 

Stelle

 

Osservo le stelle

dalla radura del bosco

bagnata di silenzio.

 

Leggo nella volta celeste

il racconto dei miti.

 

Cerco la mia stella

per l’incontro con altri

cieli, altre terre,

 

per orientarmi nella vita

incerta di migrante.


 

Luna

 

La luna versa

una bianca luce di latte,

sorta dall’orlo delle colline

al di là dei binari.

 

Il treno taglia la notte

al centro di un manto di luce.


 

 

 

Nota dell’autore

 

   Concerto

  

Questa sera a teatro, al Concerto! La serata si apre con la sinfonia dedicata alla città etrusca di Populonia. Segue il Concerto per Flora, la nostra Fiorenza. Per ultimo il CantoSora nostra matre terra”.

La poesia gioca, in quest’occasione, con alcune forme del mondo della musica, ne riprende tratti, impronte. E’ abbandonata la fisionomia consueta della forma-libro, orientata, di solito, in una determinata, unica direzione, per seguire il movimento delle composizioni musicali in andamenti plurali, ascendenti e discendenti.

      Questa Raccolta, Concerto, pone attenzione alle istanze della musica nella struttura sinfonica per movimenti e a quelle poetiche nello svolgersi delle evocazioni che generano immagini. Insieme le due istanze producono emozioni che si rincorrono nel flusso della coscienza, di frammenti di memoria. E nella sinfonia – come nel concerto – è composizione di abbandoni e riprese, dove un tema è introdotto, poi sviluppato, poi accantonato, poi variato e organizzato in discorso. 

Sinfonia per Populonia e Concerto per Flora partecipano a tale assunto: il ricordare e l’interrogarsi, il raccontare e il descrivere diventano dato caratterizzante in quel preminente gioco di fusioni, di richiami, in associazioni d’idee che si rincorrono e si frappongono tra la realtà e il sogno, tra il desiderio e la memoria.

La malta per questa costruzione è offerta dalla ricerca che ho sviluppato nel campo della poesia. I movimenti che compongono i temi della Sinfonia per Populonia e del Concerto per Flora, presentano tra loro registri diversi secondo gli argomenti, con la ricerca ora di dissonanze, ora di toni aulici o umili.

La Raccolta Concerto termina con il componimento Sora nostra matre terra dedicato all’incontro dell’uomo con la natura. In questo caso l’attenzione è rivolta alla forma dei Lieder,  opere per voce solista e pianoforte, e ai Liederkreise, o "cicli",  una serie di canzoni legate da un singolo tema narrativo.

 

 

     Sinfonia per Populonia

 

Si alternano le stagioni nella terra di Populonia: Inverno, Primavera, Estate, Autunno.  Vari sono i passaggi, dai giorni nostri all’epoca degli Etruschi, dalla dimensione pubblica a quella del quotidiano privato, secondo una varietà di flussi di coscienza che spaziano in lungo e in largo, tra passato e presente.

Populonia, si ricorda, è una frazione del comune di Piombino in provincia di Livorno. L'antico abitato si trova in posizione dominante su di uno dei promontori che formano il golfo di Baratti. Populonia fu un antico insediamento etrusco, di nome Fufluna (da Fufluns, dio etrusco del vino e dell'ebbrezza) o Pupluna,  l'unica città etrusca sorta lungo la costa. Era una delle dodici città della Dodecapoli etrusca, le città-stato principali che facevano parte dell'Etruria, governate da un lucumone.

Già in epoca arcaica l'abitato si estese anche alle alture limitrofe e all'area del golfo di Baratti, dove, oltre alle principali necropoli della città, è localizzato anche il quartiere industriale. Insieme a Volterra fu uno dei centri più importanti per l’attività mineraria e per l'industria metallurgica degli Etruschi.

 

 

         Concerto per Flora

 

Il Concerto è dedicato alla ninfa Flora, il mitico personaggio che richiama la città di Firenze e il suo antico appellativo: “Fiorenza”. Il riferimento è alla perenne fioritura o ri-fioritura della città sotto il governo mediceo e in altre stagioni della sua storia. “Alla bella Flora trionfante non può che convenire l’identità di Fiorenza, la città.” (Cristina Acidini Luchinat, Botticelli. Allegorie mitologiche, Electa, 2001, pag. 34). Per Landino – nel Proemio al Commento della Divina Commedia, 1481 – “ Volle essere detta Florentia, in che appruovo l’opinione di Plinio, fiorendo essa d’ogni spezie di bellezza ...”

Alcune delle scene richiamate nel Concerto per Flora sono ambientate alla Galleria degli Uffizi, presso i celebri quadri di Sandro Botticelli, La Primavera e La nascita di Venere. I due quadri presentano, com’è noto, allegorie mitologiche che hanno dato luogo nel tempo a molteplici interpretazioni della figura dei personaggi e delle loro azioni, con valenze legate o al committente o di natura storica o filosofica. Fra le interpretazioni possibili, la scelta nel nostro caso si rivolge alla lettura proposta nel bel libro di Cristina Acidini Luchinat, ora citato. Secondo questo testo, La Primavera celebra la riconquista della pace sotto la guida dei Medici e nella Nascita di Venere la dea, in piedi sulla conchiglia, è spinta dai venti verso la costa della Toscana, per fare dono delle sue ricchezze.

Una posizione importante, in particolare, assume nel quadro La Primavera la figura di Mercurio: “Ecco dunque che col suo caduceo inquieto, in via di pacificazione, il dio tuttora in assetto di guerra dissolve una nube, forse un’ultima piccola nube, residuo di una grande discordia”. Il caduceo è l’insegna che impugna Mercurio, formata da un bastone al quale si avvinghiano due serpenti, simbolo nella tradizione del dio Esculapio, “segno – nel mondo antico – di concordia, unione, pace”.

Le citazioni in corsivo riportate nella Raccolta, all’inizio de La Primavera * e de La nascita di Venere * * *, sono riprese dal primo Libro delle Stanze per la Giostra di Giuliano di Agnolo Poliziano e, precisamente, dalla strofa 68, la prima, e dalla strofa 100, la seconda. Si veda A. Poliziano, Le Stanze, in Poesie Italiane a cura di S. Orlando (Rizzoli Milano, 1988). Sandro Botticelli, com’è noto, trasse ispirazione dal poema del Poliziano.

 

Il secondo tempo del Concerto per Flora, Tredici tempere su tela - di Vinicio Berti - fa come da collegamento tra il primo e il terzo tempo. Vinicio Berti (Firenze, 1921Firenze, 1991) è stato un pittore, illustratore ed autore di fumetti. Tra i fondatori dell'astrattismo classico fiorentino, fu una delle personalità artistiche più significative del dopoguerra.

Negli anni Ottanta Vinicio Berti regalò alla Società Mutuo Soccorso di Peretola tredici tavole che raccontano la storia più che centenaria dell’associazione. Sono esposte in una delle sale della Casa del Popolo e illustrano tratti importanti dell’identità sociale di Peretola, un borgo di antiche origini alle porte di Firenze. Queste opere interpretano, in definitiva, i miti popolari di un’epoca. Riprendere il filo di quei racconti, può aiutare a ritrovare il senso della storia di un’intera città.

 La citazione in corsivo che apre il secondo tempo Tredici tempere su tela, è ripresa dalla poesia La Manifattura Tabacchi **, presente nel libro dell’autore Florentia (Gazebo Libri, Firenze 2008).                             

L’ultimo movimento del secondo tempo, Tesori, è costruito attingendo alla storia e alle leggende legate a Peretola, alcune tramandate in ambito popolare. Possono essere indicate tra le fonti, le novelle di Franco Sacchetti Trecentonovelle, Giovanni Boccaccio Decamerone, l’opera di Francesco Redi (Bacco in Toscana e Il Gobbo di Peretola), Pinocchio di Collodi, il film Il soldato di Ventura di Pasquale Festa Campanile.

Nel precedente movimento Tracce, le parole riportate in lettere maiuscole, ricordano uno dei tratti tipici della Poesia Visiva - specie delle opere di Eugenio Miccini -, movimento che nasce a Firenze dalle sperimentazioni artistiche e letterarie compiute nel clima della Neoavanguardia, a partire dagli anni Sessanta del secolo passato.

Una citazione, infine, riguardo al movimento Vedute de La nascita di Venere: la figura di Venere che si affaccia dalle finestre affrescate sul telone del palazzo in costruzione, ricorda alcune opere di Andy Warhol.

 

 

       Canto “Sora nostra matre terra”

 

Il titolo, com’è evidente, fa riferimento al Cantico delle creature di San Francesco d’Assisi.     

 Le poesie che compongono il Canto sono riprese, con alcune modifiche, dai libri dell’autore Itinera (Masso delle Fate, 2007) e Luoghi del mito (Lieto Colle, 2010) .

 

 

        Le immagini del libro

 

La foto in copertina è dell’autore. I tre disegni che aprono le sezioni del libro, sono del pittore fiorentino Enrico Guerrini.

 


Roberto Mosi vive a Firenze. E’ stato dirigente per la Cultura alla Regione Toscana.  Ha pubblicato le raccolte di poesia: L’invasione degli storni (Gazebo Libri, 2012), Luoghi del mito (Lieto Colle, 2010), Nonluoghi (Comune di Firenze, 2009), Florentia (Gazebo Libri, 2008).  Nella collana Libri Liberi, www.a.Recherche.it sono pubblicati gli eBook di poesia: Aquiloni e Itinera. Recensioni sulle opere dell’autore sono riportate nel sito www.literary.it. Mosi cura i Blog per la poesia www.robertomosi.it e www.poesia3002.blogspot.it . Ha realizzato mostre presso caffè letterari e biblioteche dedicate al rapporto fra testo poetico, immagine fotografica e pittura.

Roberto Mosi è fra i redattori della rivista fiorentina Testimonianze, fondata da Ernesto Balducci. Alcuni degli articoli pubblicati: “Il paesaggio fra poesia e memoria” (2002), “Dino Campana, un viaggio chiamato amore” (2004), “Gli angeli sulla Cupola di Berlino” (2004), “Mario Luzi, la tensione verso la semplicità” (2005), “Da quando Modugno cantò volare” (2007), “Aeroplani di carta” (2008), “Quando mio padre combatteva in Etiopia” (2011), “Bertgang di L. Fontanella” (2012).

Altre opere: “Cibernetica e città del futuro”, in “Città e anticittà” a cura di Giovanni Michelucci, 1971; “Sulle tracce di Napoleone e Elisa: percorsi napoleonici nella costa toscana” (Fazzi Editore, 2005); “Elisa Baciocchi e il fratello Napoleone. Storie francesi da Piombino a Parigi” (Foglio Edizioni, 2013).

L’autore è impegnato come volontario nel campo della cultura.

Riferimenti: r.mosi@tin.it .

 


 

Indice

 

Giuseppe Panella

                  La fonte del ritmo, l’avventura del tempo

 

Sinfonia per Populonia

     I.   Inverno

              Caos, Passione, Mito

           II.  Primavera

                     Nascere, Crescere, Scherzare

     III.  Estate

                      Fiorire, Giocare, Cantare, Ricordare

     IV.  Autunno

               Tramonto, Memoria, Silenzio

 

Concerto per Flora

       I.    “La Primavera”

                 Flora, Fiorire, Fiori

       II. “Tredici tempere su tela”

                         Tosca, Tracce, Tesori

       III. “La nascita di Venere”  

                     Venere, Vedute, Visione

 

Canto “Sora nostra matre terra”

          Acqua, Terra, Fuoco, Vento, Sole, Stelle, Luna

 

Nota dell’autore

L’autore