venerdì 31 maggio 2019

"Navicello Etrusco": la passione per il viaggio nel commento di Arrighetta Casini




Roberto Mosi, Navicello Etrusco. Per il mare di Piombino, Edizioni Il Foglio
Piombino 2018, p. 70, euro 10

Commento di Arrighetta Casini


“Avevo incontrato la poesia di Mosi in occasione della presentazione della silloge: “L'invasione degli stormi” alcuni anni fa. Presentazione speciale in quanto anche spettacolo, immagine.
L'opera si concludeva con un dialogo fra l'Autore e la Cornacchia della valle dell'Inferno, titolo anche della prima poesia.
“Devi tornare a trovarmi con un sacco di racconti, di storie, di film, di versi. Il tuo è un viaggio alla ricerca della speranza e la speranza è contagiosa”.
Penso che Mosi abbia fatto tutto questo, soprattutto il viaggio. Il viaggio, quello reale, quello simbolico è tema universale anche per la poesia.
Leggendo i versi di Mosi nella raccolta Poesie 2009-2016 e poi in “Navicello etrusco”, mi è sembrato che il viaggio sia un tema molto caro al poeta. Viaggio in tanti luoghi, ma anche nei non-luoghi. Mosi è un viaggiatore speciale perché porta con sé tante “cose”: la curiosità dell'uomo con in più la sensibilità del poeta, una grande cultura assimilata a tal punto da fare tutt'uno con il suo modo di viaggiare, (se non di essere) certamente del poetare.
Inseguirò l'ombra dei miti” scriveva nella poesia Giasone.
Infine Mosi è anche un fotografo.
Amo molto la fotografia, ci sono fotografie che hanno fatto la storia più di mille reportage: chi non ricorda Vietnam 1972, la bimba nuda, ustionata e piangente su di una strada desolata? O il generale vietnamita che spara alla testa di un vietcong su una strada fiancheggiata da macerie?
L'uso magistrale del bianco e nero che gioca con la luce e con le ombre fa pensare a Caravaggio, anche un solo scatto suscita emozioni, rimanda a ricordi, a storie e alla storia.
Questo è ancora più vero per la poesia che usa le parole, ma che parole! Forse uniche con la forza di uno scatto fotografico.
Così, mi sembra, per la poesia di Mosi: i suoi versi leggeri, (ma della leggerezza di cui parlava Calvino), misurati, immediatamente godibili, ci regalano immagini nitide talvolta crude come quando il suo sguardo si posa sulle tragedie di ieri e di oggi. Interviene allora nel componimento poetico l'elemento culturale o mitico e lo eleva dal quotidiano e lo porta in una dimensione più alta quasi a ricordarci l'eternità del mito di fronte alle vicende umane.
Tutte queste componenti della poesia di Mosi si esaltano nel “Navicello etrusco” (“Per il mare di Piombino” è il sottotitolo); si esaltano perché interviene e si aggiunge un forte sentimento, Mosi canta una terra non solo conosciuta, ma così amata come si può amare qualcosa che è parte della tua vita, dei tuoi affetti familiari.
Il navicello percorre, sospinto dai venti della costa, il tratto di mare dal golfo di Baratti al promontorio di Piombino, alle spiagge del golfo di Follonica, “sempre al cospetto dell'isola d'Elba”:
È un omaggio ad una terra amata.

Siamo nel sud della Toscana che vide fiorire la civiltà etrusca, centro della lavorazione del ferro importato dall'isola d’Elba, (. Lana del Garbo e ferraccio dell'Elba, così anche nella Repubblica fiorentina.), ma anche patria di Dardano che fondò Troia secondo la leggenda.
Una terra che serba ancora brillii di pirite e schegge di rosticcio.
La silloge poetica è divisa in due parti: “Lo specchio di Turan” e “L'ombra della sera
Entrambi i titoli fanno riferimento agli Etruschi: Turan “signora “dell’amore e della fertilità” nella mitologia etrusca, “L'ombra della sera” si riferisce alla statuetta conservata nel Museo di Volterra.
È lo stesso Mosi che, in una sorta di post-fazione, fa un breve excursus sulla storia del luogo e sui riferimenti mitologici senz'altro utile al lettore.
Questo angolo di Toscana offre a Mosi tutto ciò che, secondo me, caratterizza la sua poetica: il paesaggio, il mare, la visione delle isole a occidente, le alture che si perdono a est, ma, soprattutto, offre ricchezza di miti, di leggende, di storia antica e più recente. Con tutto questo Mosi sembra tessere un dialogo intimo che si manifesta all'improvviso con passaggi rapidi.
Un nome, un'immagine, un gioco da spiaggia: il vulcano, e subito si avverte una continuità come se il dialogo con il passato non si fosse mai interrotto, (rimando alla poesia “Il vulcano” pag.11).
Eppure, in molte poesie di questa silloge, c'è qualcosa in più ed è una nota intima e dolcissima, quella degli affetti familiari.
Marta e Anna padrone della spiaggia, Anna che con una canna scrive le prime parole sulla sabbia bagnata, Marta che passerà lungo il corso sul passeggino da principessa. Sono loro con il loro respiro leggero le dee dell'amore e della bellezza, piccole discendenti della dea Turan
Allora, nella città-nave, fra lo stridore dei gabbiani come non navigare felici!
Città-nave”, “città-libro”, “città-lanterna”, sono queste le città ideali di Mosi nelle quali con bellissime immagini trasfigura luoghi a lui cari.
Spesso nelle poesie si crea un'atmosfera sospesa fra la realtà del presente e immagini del passato dove il tempo sembra annullato e non stupisce il cavaliere solitario fiero sul suo ronzino con le insegne degli Appiani, antichi signori di Piombino, di vedetta sulla Torre della centrale elettrica o Elisa Baciocchi che “entra dalla porta di Rivellino raggiante nel riflesso del diadema di brillanti”.
Così sembra apparire all'eremo della Madonna del Monte, Napoleone in attesa di Maria Walewska, suo ultimo amore.
Anche i luoghi parlano di miti e leggende: la fonte di San Cerbone che ricorda i Longobardi, la fonte del Pozzino dove sembra ancora specchiarsi la scia dell'aereo sulla rotta Rodi-Marsiglia. Infine, nella poesia Febo, tutto il golfo diviene luogo magico dove si rinnova il mito della sera.
La spiaggia è un anfiteatro , gli spettatori in attesa dello spettacolo di ogni sera”
Febo Apollo, il sole che sparisce nel mare mentre l'oscurità avanza. Sembra di stare sospesi come di fronte ad uno spettacolo straordinario, ad un rito quotidiano di cui il poeta è sacerdote.
La prima parte della silloge si chiude con un omaggio a Velia, la donna etrusca libera, stimata, partecipe alla vita pubblica, trasmette lei madre il cognome ai figli. Donne ancora oggi “maestre di vita, di libertà”. 
La seconda parte, in omaggio al titolo “L'ombra della sera” ci porta in un'atmosfera che possiamo definire notturna, oscura nel senso che ci presenta scene dolorose del passato e del presente.
Si apre con una poesia bellissima “L'aruspice”.
Versi brevi, parole scelte ci portano d'un balzo da” spiagge affollate” alla città “dell'antico mistero”, a mediare il passaggio della solenne figura dell'aruspice che guarda il volo del falco per le sue divinazioni, mentre la processione “sale all'altare sulla collina per il sacrificio
Il sangue nutre la vita del mito.
Ci sono poesie su figure che emergono dal passato, affiorano dagli scavi, testimoniano crudeltà, superstizione, infamia, omicidi.
Lo schiavo ancora in catene, la strega fissata con chiodi ricurvi anche in bocca, la prostituta con il sacchetto dei dadi, “proibiti alle donne
C'è il ricordo di naufragi antichi come quello di Palinuro e moderni come quello del Moby Prince.
Nella poesia “La sterpaia” Mosi ci offre uno scenario grandioso e desolato: sulla spiaggia abbandonata dal lavoro, dagli italiani, appare un presepe contemporaneo: Maria e il bambino giunti sui barconi.
Ma pietà anche per chi lì è nato ed ora vive tempi duri “spente le fiamme dell'alto forno
(rimando alla poesia pag. 47)
Non indigniamoci che i corpi mortali si disgreghino: ecco che possono anche le città morire
Sono versi di Rutilio Namaziano che Mosi mette in esergo” alla poesia “Barbari” nella quale accompagna idealmente il viaggio di Rutilio Namaziano che, all'arrivo dei barbari abbandona Roma e risale la costa verso Luni, testimoniando con cuore straziato le distruzioni dei barbari, ma portando sempre nel cuore lo splendore perduto di Roma. Monito ai posteri ai quali è domandato conservare le opere e le conquiste faticosamente raggiunte nell’arco di secoli.
Voglio concludere ricordando una poesia bellissima “Dalla loggia”.
Il poeta ci porta in un notturno incantato, (come non ricordare l'affresco di Piero della Francesca in San Francesco di Arezzo “il sogno di Costantino”?)
Lo sguardo del poeta spazia all'intorno: sulle colline, sul lavoro dell'uomo, sui fantasmi della storia, per richiudersi dolcemente sull'immagine di Anna addormentata.
È una visione serena, rassicurante, si sente l'appagamento dei sensi e degli affetti, nel silenzio affiora il senso di una vita appagata. Devo dire che nella poesia di Mosi, nonostante il suo sguardo si posi talvolta anche sulla miseria e sul dolore, mi è sembrato di cogliere la pacatezza di colui cui il fato ha concesso molti doni: un cammino sereno, la capacità di assaporare la vita e di esaltarla con l'arte, la poesia, la convivialità e, non ultimo, con il mito.
Come non dire con Montale:
Vi guardiamo noi della stirpe di chi rimane a terra”.”

Arrighetta Casini

Firenze, 16 aprile 2019



giovedì 23 maggio 2019

Mariagrazia Carraroli per "Orfeo in Fonte Santa" - " ... al partigiano-eroe ..."




Roberto Mosi
ORFEO IN FONTE SANTA   Giuliano Ladolfi Editore, 2019,  pp. 58 Euro 12

Leggo Orfeo in Fonte Santa ritrovando il poeta di sempre, intento a tracciare la trama della vita che ripete sé stessa con voci diverse, dagli echi lontani eternamente rinnovati.
La storia si dipana ed emerge come acqua di fonte, come specchio riflettente età arcane, più vicine a noi o vicinissime, con la guerra partigiana e il suo eroe mischiato agli dei dell’Olimpo etrusco e ai cantori Antellesi.

Tutto fluisce con la naturalezza della musica del fogliame e l’incanto della natura boschiva, ritratta nelle belle immagini fotografiche dell’autore, e che, soprattutto nella poesia, semina vibrazioni intense, suggestioni liriche e un forte respiro emozionale.

La cultura che trapela dai versi mai soverchia il canto, sempre cristallino e dai bagliori d’immagini accese da eventi e da apparizioni.

Il poemetto dedicato al partigiano-eroe Daviddi, è in realtà melodia che, tra favola, mito, storia e cronaca, “s’intreccia con il vibrare/ delle foglie” celebrando la bellezza della natura e dell’arte in tutte le sue espressioni.

“ I venti profumati di mare/…/ abbracciano le geometrie magiche della Cupola”…
“La sera, nel capanno, i versi/ di Dante e dell’Ariosto/ le storie di Paolo e Francesca, / dell’Orlando Furioso./ Gli animali nei recinti.”

E di questa melodia, anche la lettura subisce tutto il fascino.


C.B. 23 maggio 2019                                                         Mariagrazia Carraroli

lunedì 20 maggio 2019

Michele Brancale: "Il Navicello Etrusco di Mosi approda alla Casa di Dante"



"Firenze, 15 giugno 2018 - Roberto Mosi conduce il 'Navicello etrusco' (Il foglio editore), Premio Giuria 'Casentino' selezionato al Premio letterario Camaiore, lungo 52 tappe, 21 nella sezione 'Lo specchio di Turan', sotto lo sguardo della dea etrusca dell'amore e altrettante nella seconda parte del libro, 'L'ombra della sera'.
Il volume è stato presentato a Firenze, alla'Casa di Dante', a cura del Circolo degli artisti. Mosi predilige il verso breve, definendo così un ritmo per il protagonista di questa sua nuova prova, una persona avanti negli anni che ha la grazia di poter accompagnare vite nascenti, che si sono come “intrufolate” nella sua, lontano dalla fragilità della debolezza fisica decifrata ne 'L'invasione degli storni' (2012). Uscito da quel percorso, da quella valle in cui la figura di una sorella bambina lo accompagnava senza lasciarlo solo, “il mondo sospeso/ ha ritrovato la vita” grazie a una nascita inaspettata. Ora, nel 'Navicello etrusco', il protagonista descrive una stagione estiva a Piombino, descrivendola nella sua solarità e nelle sue vestigia etrusche, per cercare un senso di vita con gli altri anche quando, a Ferragosto, ma non solo, “ci si affanna immemori/ coi cellulari in mano”.
Mosi canta la città nave,la città libro e la città lanterna e al tempo stesso guarda con curiosità al “terzo paesaggio”, identificato da Gilles Clement “come l'insieme dei luoghi abbandonati dall'uomo” dove la vita si rigenera in un'apparente, periferica, confusione. La solarità della prima sezione non sparisce ne 'L'ombra della sera', quanto illumina alcuni scenari, antropologici e sociali, che Mosi ha negli anni studiato e sentito più suoi, avvertendone la decisività. Se gli etruschi lo spingono a indicare la mitologia e i suoi significati “Il sangue nutre la vita del mito”, la visione cristiana ne rivela, con un procedimento caro a Girard, i meccanismi violenti svelati dal Vangelo che puntano sempre a trovare un capro espiatorio su cui scaricare cause e responsabilità delle paure e delle tensioni.
Appaiono allora gli immigrati, nuovi capri espiatori del presente, di cui Mosi ha scritto anche in precedenti raccolte, parte delle quali confluite in 'Poesie 2009-2016' (Ed. Ladolfi): "E' arrivato dai paesi dell'est/ lo stormo di uccelli migratori,/ la notte dormono in stazione./ All'alba raccolgono gli averi,/ nascondono i cenci fra i rami/ in mezzo ai nidi dei piccioni,/ sopra i chioschi delle aranciate./ Uccelli vestiti da spazzino/ al mattino afferrano i sacchi./ La sera si cerca un altro riparo/ più vicino ai nidi delle rondini”. C'è una stella cometa da seguire e per Mosi si ferma su piazza Stazione, a Firenze: “E' forse simile/ a un dio l'uomo/ che dorme in piedi/ alla porta della stazione/ discosto dal muro/ i ginocchi piegati/ la testa in avanti./ Intorno la folla/ del mattino”. Le mani e gli sguardi dei bambini profughi trasformano in nuove Betlemme le città in cui appaiono in cerca di adozione."

Michele Brancale 

                                                       * ° * 
            

                                            video poesia di Virginia Bazzechi




domenica 19 maggio 2019

"La gioia di vivere", il libro d'arte a cura di Anna Pagani, promosso dal Gruppo Scrittori di Firenze





Venerdì 17 maggio alle ore 18 presso il salone Auser, via Pasolini 105 Sesto Fiorentino, si è tenuta la presentazione  da parte di Maila Meini, dell'ultimo lavoro collettivo, il libro d'Arte "LA GIOIA DI VIVERE", a.l.a. Edizioni 2019, pagg.90,  a cura di Anna Pagani. 

"La gioia di vivere" è un libro che apre altri libri, uno dentro l'altro, attraverso i cinque capitoli di Nascita, Natura, Amore, Tempo e Viaggio che, diventati immagini attraverso la pittura e la fotografia di cinque artisti, suggeriscono, ciascuno ad altri cinque autori per ciascun capitolo, di guardare, osservare, riflettere e, alla fine, dedicare parole che completino il destino e il valore dell'opera d'arte.

Le immagini sono di:
Chiara Novelli, "Nascita"
Nicoletta Manetti, "Natura"
Gianni L'Abbate, "Amore"
Roberto Mosi, "Tempo"
Raffaele Masiero, "Viaggio"


La prefazione al libro è stata curata da Giandomenico Semeraro, storico dell'arte - Accademia di Belle Arti di Firenze.


Anna Pagani, davanti ad un folto pubblico ha dichiarato che "questo libro d'arte è nato per l'amore dell'arte intesa come ricerca verso una sintesi armonica fra la diversità di ciascuna artista e l'universalità della cultura. 


Un percorso creativo che ha cercato di valorizzare e accordare i diversi modi di interpretare l'esistenza. Parole e immagini riflesse gli uni negli altri.”


“Un libro inteso come spazio solidale in cui il testo e l'immagine si cercano: l'uno crea l'altra, l'una nell'altro cresce, si modella, si distingue e prende la sua direzione per poi rientrare a far parte di un corpo più grande che si muove nella stessa ricerca di una GIOIA DI VIVERE. È l'atto creativo che trasforma l'esperienza di vivere, positiva o negativa che sia, e le interpreta come visione, poesia, racconto, riflessione, attesa, ricordo, sogno."












Nel corso dell’incontro è stato particolarmente suggestiva la proiezione delle immagini presenti nel libro e la lettura dei testi abbinati, da parte degli autori.Un esempio, infine, all’opera n. 3, Tempo, di Roberto Mosi è collegato il racconto “Il tempo”di Giulietta Casadei, che inizia: Non riesco a camminare a lungo su uno stesso marcipiede, devo spostarmi, attraversare la strada e proseguire il cammino sul lato opposto in una incessante alternanza.“Come un pendolo che oscilla in un modo quasi costante, in una costante ricerca di un cambio di prospettiva, rincorrendo il tempo che in questo modo mi sembra di comprimere  e nell’illusione di accorciare le distanze, mi convinco di trovare una scorciatoia per raggiungere la meta …”.Il libro d’arte LA GIOIA DI VIVERE ha intrapreso in maniera felice il suo percorso, fin dalla prima tappa …





venerdì 10 maggio 2019

"Il profumo dell'iris" giunge alla Libreria Salvemini - La VIDEO - POESIA




LINK VIDEO-POESIA DI VIRGINIA  BAZZECHI




ABSTRACT


Roberto Mosi, Il profumo dell’iris, Gazebo Libri,
Firenze novembre 2018, pag. 90, € 8

Il libro raccoglie poesie dedicate alla città dove l’autore vive, la visione di Firenze – che ha per simbolo l’iris - è scandita secondo la trama delle piazze, le strade, le colline. La raccolta si presenta come “un invito a seguire il poeta nella visita di luoghi ben conosciuti, per cogliere con lui un gamma di sensazioni, condividere immagini che emergono dal profondo, ricordi legati alla vita personale e a quella di una comunità dal carattere particolare” (dalla prefazione).
Roberto Mosi, più volte presente alla Libreria Salvemini per la presentazione dei suoi libri di poesia e di narrativa, si confronta con temi carichi di significato, spostandosi in un itinerario elicoidale, con una visione in progress. “Ed entra anche, quasi spontaneamente la Storia, con la iniziale maiuscola. Si crea un effetto sincronico e armonioso, che il linguaggio nitido riesce a rendere in modo efficace. Una visione tridimensionale, direi: le linee della città e del suo territorio, la storia del quotidiano e dell’io, la Storia con la maiuscola. E in questa costruzione a tre dimensioni vive una forte tensione etica, un’anima da uomo planetario, come lo definiva padre Balducci” (Giuseppe Baldassarre, “Pianeta Poesia”).
Bellezze storia e vita giornaliera s’incontrano, sorrette dalle anafore di Le Murate, Le Cure, La Cupola, D’agosto, Sui marciapiedi, Quartiere popolare, etc., e da una lieve ironia, con il pensiero e l’arte di artisti e poeti che hanno calcato le sue strade, chiudendo con l’anafora Amo le parole, una poesia posta alla fine del volume.
“Si tratta di poesie che raccontano una città, i suoi umori e quelli dell’autore, le sue problematiche, la durezza della realtà non dissimile da altre grandi città, come la poesia dedicata al carcere delle Murate («… E venne il tempo del carcere / delle Murate. Storie / di disperazione trovano / componimento dai quartieri / popolari. Il fiume bussò / alle porte del carcere / il mese di novembre / e volle le sue vittime…, Le Murate, p. 15), la vita quotidiana dei suoi abitanti attraverso le poesie Il mercato dei cenci, La stazione, il Casone dei poveri; la vita per strada dei senza tetto, dei dannati come li chiama Mosi, che non hanno un domani (Sui marciapiedi); gli angoli naturali, le vie, le piazze, il fiume Arno, il famoso Ponte Vecchio, il salotto buono de “Le Giubbe Rosse” dove la poesia e l’arte è di casa, la collina di Fiesole, L’erta dei Catinai (“… Dopo l’erta dei Catinai / si apre la vista su Firenze, / città elegante / preziosa come il profumo / dell’iris …, pag. 48) . Insomma le bellezze di Firenze ma anche le brutture, di una Firenze antica e contemporanea, quasi una mappa “poetica”, una guida della città soprattutto per chi la ama e la sa apprezzare” (Giorgio Moio, poeta e critico).





venerdì 3 maggio 2019

Marcel Proust come guida d'eccezione per la Mostra "Boldini e la Moda"



È aperta a Ferrara la mostra “Boldini e la Moda” che riserva un incontro sorprendente con il pittore dell’alta moda, legato alla Francia della Belle Époque. Proprio a Parigi, baricentro di ogni tendenza dell’eleganza e della modernità, Boldini riscosse un enorme successo dando vita ad una formula ritrattistica scintillante con la quale ha immortalato i protagonisti e le celebrità di un'epoca, da Robert de Montesquiou a Cléo de Mérode, da Lina Cavalieri alla marchesa Casati.


"Boldini sapeva riprodurre la sensazione folgorante che le donne sentivano di suscitare quand’erano viste nei loro momenti migliori", le parole di Cecil Beaton, celebre fotografo di moda: descrivono il talento del pittore ferrarese nel ritrarre l’eleganza delle élites cosmopolite della Belle Époque e la sua sapienza nel celebrare le ambizioni e il raffinato narcisismo dei soggetti ritratti, soggetti che non solo appaiono belli e sofisticati ma lasciano trasparire, attraverso gli sguardi e gli atteggiamenti, un loro mondo interiore, che l’artista coglie come i più abili e sapienti fotografi.






Nell'arte di Boldini, la moda riveste un ruolo essenziale, non riguarda solo gli abiti, gli accessori, ma è anche espressione che trasfigura il corpo in luogo del desiderio, diviene ben presto un attributo essenziale e distintivo della ritrattistica di questo artista.


La mostra di Ferrara – curata da Barbara Guidi con la collaborazione di Virginia Hill; aperta fino al prossimo 2 giugno - indaga dunque il lungo e fecondo rapporto tra Boldini e il sistema dell’alta moda parigina e il riverbero che questa ebbe sulla sua opera di ritrattista e su quella di Degas, Sargent, Whistler, Paul Helleu e altri.
La mostra è ordinata in sezioni tematiche, con riferimento a letterati che hanno cantato la grandezza della moda come forma d’arte, da Baudelaire a Wilde, da Proust a D’Annunzio.




Crediamo, per cogliere in pieno lo spirito della mostra di Ferrara, sia opportuno soffermarsi sull’opera di Proust e cogliere alcuni spunti che offre l’arte dello scrittore francese: d’altra parte, è da rilevare che al centro dell’esposizione, al Palazzo dei Diamanti, in una bacheca è esposta la copia autentica del I volume della Recherche, Du coté de chez Swann, pubblicato nel 1913.

Proust descrive in modo dettagliato e partecipe gli abiti e gli accessori di alcune protagoniste con un sentimento di nostalgia per un mondo che mostra le ultime luci prima di soccombere. Ad esempio Odette trae il massimo vantaggio dagli ultimi dettami della moda e riesce ad adeguare ad essi il proprio viso ed il proprio corpo. Un altro personaggio Oriane, si pone in maniera diversa: da lei emana naturalmente il fascino che è al di là di ogni moda. Per le serate mondane, Oriane sembra prediligere tessuti di satin dai colori violenti, rosso o giallo, con ricami in rilievo di paillettes ed aigrette o piume nei capelli. Pronta per recarsi ad un ricevimento ella indossa un abito rosso ed al collo splendono dei rubini, in un'armonia in rosso che sarà perfetta quando, in seguito ad un'osservazione del marito, la duchessa sostituirà le scarpe nere con un paio di "soulier rouges". Ed è proprio questo colore che scopriamo nello splendore degli abiti nelle sale del Palazzo dei Diamanti, che ci rimandano a passaggi centrali del libro di Proust, come quando il Narratore della Recherche ricorderà ad Oriane la sua toilette di una certa sera e ne descriverà così l’impressione ricevuta: "vous aviez l'air d'une espèce de grande fleur de sang, d'un rubis en flammes".



Nella Ricerca del tempo perduto di Marcel Proust (Parigi, 1871 – 1922) l’abbigliamento è dunque una parte significativa. Per fornire ai suoi lettori un affresco dei differenti personaggi che si avvicendano all’interno del romanzo, con i loro atteggiamenti e i vari ambienti frequentati, lo scrittore analizzò per quindici anni la società che vuole rappresentare, frequentando lui stesso quei luoghi e quegli esponenti.




Attraverso le pagine del romanzo si comprendono dunque i caratteristici comportamenti della mondanità di allora e in certi casi si riconoscono personalità rinomate dell’epoca: ne è un esempio il passo in cui si parla della contessa Oriane de Guermantes che indossa un elegantissimo abito da sera rosso; per questo personaggio Proust si ispirò a una delle donne più in vista di Parigi, la contessa Élisabeth Greffulhe, alla quale appartenevano delle vistose scarpette rosse in capretto e velluto, esposte nella mostra. Queste particolari calzature sono poste in dialogo con uno splendido ritratto realizzato da Boldini, Miss Bell: una giovane donna raffigurata in abito rosso, seduta e assorta nei suoi pensieri.

All’interno di questa sezione dell’esposizione ferrarese dedicata alla mondanità si susseguono affascinanti ritratti di donne bellissime, come la seducente Signora in bianco, il cui abito dipinto è posto a confronto con uno straordinario vestito bianco da sera che presenta simili ornamenti in velo sulle spalle, la principessa Eulalia di Spagna che indossa un raffinato abito ricco di pizzi, e La signora in rosa (Olivia Concha de Fontecilla) che porta uno sfavillante vestito rosa acceso impreziosito da fiori.

La sensazione dunque, aggirandosi per le sale della mostra, è quella di assaporare e di gustare, ancora una volta pagine famose dell’opera di Marcel Proust che ci ha già introdotto con il suo romanzo al culmine dello splendore di un’Epoca, non lontana dal grigiore di un lungo declino.

Grazie, comunque, Marcel!