venerdì 30 novembre 2018

"Pietà" per i migranti annegati nei nostri mari: "Stabat Mater"




“Stabat Mater”

La Raccolta di poesia “Navicello Etrusco” di Roberto Mosi (Ed. Il Foglio, 2018) è stata in questi giorni al centro di due incontri. 




Il primo ha riguardato, domenica 25 novembre, il riconoscimento attribuito alla Raccolta in occasione del  Premio “Leandro Polverini”, ad Anzio: il terzo posto bell’ambito della “poesia Onirica”. L’autore, ricordando la ricorrenza della giornata contro la violenza sulle donne, nella bella Sala delle Conferenze dell’Hotel Lido Garda di Anzio, ha presentato dal libro, la poesia “Velia” dedicata alla donna etrusca, secondo la tradizione, donna libera, non sottomessa all’uomo, presente nella vita pubblica.


Vivono nella luce le donne etrusche
libere nella vita della casa, delle città,
senza arrossire allo sguardo dell’uomo.

Veila, Velia, Velka
Ati, Culni, Larthia, nomi
incisi sugli specchi di bronzo.

Vino, musica, canti per la donna
distesa sul triclinio, accanto
al compagno, sotto lo stesso mantello.

Vesti preziose, fibbie d’oro, pettini
d’avorio giunti da terre lontane.
Per virtù, energia, ambizione.

Vi aspettiamo, sorelle etrusche,
nel nostro secolo, libere da ostacoli,
da violenze, maestre di vita, di libertà.


Il secondo incontro dedicato al “Navicello Etrusco”, ha avuto luogo a Firenze la sera del 25 novembre presso “Cirkoloco”, nell’edificio dell’ex-Fila, animato da frequenti eventi culturali e di intrattenimento. La serata ha avuto un carattere particolare, partecipato: dopo il video introduttivo ai luoghi della Raccolta ( si veda: https://www.youtube.com/watch?v=-dn2XMqax0E ) , alcuni soci del circolo hanno letto, le poesie che segnano la rotta del “Navicello” nello spazio - il mare etrusco di Populonia – e nel tempo, fino ai nostri giorni: Velia, Tagete, Turan dea dell’amore, Barbari, La strega di Baratti, Diciassette dadi, La Sterpaia ( e l’altoforno di Piombino), Tular Dardanium, Lampedusa. 





Queste due ultime poesie sono dedicate, da un lato, all’eroe etrusco Dardano che secondo la leggenda attraversò con i compagni il Mediterraneo, in spirito di pace, per andare a fondare la città di Troia; dall’altro lato, alla pietà per la tragedia dei naufragi in mare, nei nostri giorni, dei migranti, unita alla evocazione del famoso lamento di Jacopone da Todi Stabat Mater. 

La prima poesia Tular Dardanium:

Dardano partì dall’Etruria,
per fondare la città di Troia,
superò ogni confine
sulle rotte del Mediterraneo.
Piantò germogli di vita
fra popoli diversi sul mare,
scenario oggi di morte
dei migranti in fuga
dalla guerra, dalla fame.
L’eroe Dardano guida
ancora oltre i confini
il suo popolo
alla conquista della dignità, 
sul mare in tempesta dell’utopia.

L’ultima poesia dedicata al recente naufragio nelle acque di Lampedusa:

Parte a mezzanotte il traghetto
da Trapani a Lampedusa
il mare dei 366 figli annegati


Stabat Mater dolorósa
iuxta crucem lacrimósa,
dum pendébat Fílius

Sono sul camion, giorni
da Tamara a Misurata
tempeste di sabbia, violenza


Eia, mater, fons amóris,
me sentíre vim dolóris
fac, ut tecum lúgeam

Sono sul barcone carico
da Misurata a  Lampedusa
nafta paura fame


Fac me vere tecum flere,
Crucifíxo condolére
donec ego víxero

Sono nell’urlo dei disperati
sprofondo nell’acqua
conquisto il silenzio, la pace



Iuxta crucem tecum stare,
te libenter sociáre
in planctu desídero.

            Il pittore Enrico Guerrini ha lavorato nel corso della serata, nello spirito evocato dalla poesia, al tema della pietà, partendo dalla ricerca sull’opera di Michelangiolo. 
           
Dopo uno scambio di suggestioni ed emozioni con i soci riguardo ai temi introdotti nel corso dell’incontro, Mosi e Guerrini hanno annunziato che una nuova, prossima pubblicazione raccoglierà le immagini condivise con il pubblico, nel corso di questa serata e di precedenti incontri dedicati al viaggio “poetico” del Navicello Etrusco.













lunedì 26 novembre 2018

Martedì 27 novembre ore 21, a Cirkoloco - exFila - "Navicello Etrusco", Edizione Il Foglio: Mosi & Guerrini - Video


Link Video Navicello Etrusco

 

La strega del golfo di Populonia

 

La strega del golfo di

Populonia

 

Roberto Mosi

 

Firenze,  Experimentum  dicembre 2017

Fotografie dell’autore

  

Lo specchio di Turan


                              Il  vulcano

 

Il vulcano sprigiona fuoco,

fumo solenne sulla spiaggia.

Il gioco di questa mattina.

Le onde lo circondano,

a tratti, lo lasciano libero.

                    Alimentiamo il fuoco

con i legni raccolti in pineta.

 

Si rinnova l’arte degli Etruschi:

i forni fusori per fondere la pirite

dell’Elba e sulla sabbia ai nostri

piedi brillano al sole la polvere

di ferro, i pezzi di argilla rossa,

i frammenti della storia.

 

Un’onda travolge il vulcano,

il gioco di questa mattina.


 

 

Turan, dea dell’amore

 

 

La primavera sta per aprire

il suo mantello di fiori,

Marta e Anna sono

padrone della spiaggia.

 

Marta compone un tappeto

di ciottoli, pezzi di rossi

mattoni, di neri rosticci

dai forni di fusione.

 

Anna con una canna

scrive  sulla sabbia

bagnata le ultime

parole che ha imparato.

 

Lancio, felice, nell’acqua

sassi piatti, levigati

dal mare, alla ricerca

di un tiro da cinque rimbalzi.

 

Nell’aria la presenza

di Turan, la dea etrusca

dell’amore, della rinascita.

 

 

 


 

 

Ferragosto

 

 

E’ arrivato al mattino

il serpente di macchine.

Una striscia ininterrotta

di lamiere scintillanti.

Si è disteso ai margini

delle pinete, nei prati.

Nuvole di gas di scarico

si sono alzate fino al cielo,

hanno danzato con i venti.

 

La spiaggia si è riempita

di variopinti ombrelloni

di colorati asciugamani

di giochi di bambini.

Le onde gremite di gente:

si annaspa, si schizza

acqua, si lancia la palla,

ci si affanna immemori

coi cellulari in mano.

 

A metà giornata, tovaglie

dispiegate sulla sabbia

e  in pineta, il cibo più ghiotto

liberato dalle borse.

Più tardi tutto si è messo

in movimento, a singhiozzo,

verso strade e autostrade.

Il silenzio e il rumore 

del mare, padroni del mondo.

 

Il gabbiano scende con ampi

giri sulla spiaggia fra i resti

della festa: Ferragosto

il giorno più bello dell’anno.



 

Le vacanze di Tommy

 

 

Tommy al cellulare,

sta fissando le vacanze.

 

Basta con le spiagge popolari,

quest’anno al bagno “Baubau”.

Nessun limite alla libertà?

 

Fissa lettino e ombrellone

i servizi per la toilette.

Quali eventi in programma?

 

Si iscrive ai giochi di società

al corso di salvamento a mare.

Alla sera, il drink a sei zampe?

 

Che cuore grande Tommy,

pensa sempre anche a noi.


 

 

Acquari

 

 

Nell’acquario casa

si è accesa la vita del giorno,

i bambini si rincorrono allegri.

 

S’illumina il tele acquario

bocche parlano, urlano

scene di facce insanguinate.

 

Una mano getta del cibo nel mio

acquario, un’altra posa un sottomarino

una zampa s’infila nell’acqua.

 

Brividi sulle pinne, giro intorno

alle rocce, prendo fiato

nascosto tra le erbe del fondo.

 

L’acquario casa ora si svuota

cessa il rumore del sottomarino

il gatto esce dalla finestra.

 

Mi addormento. Sogno, sogno.



 

Il cavaliere della centrale elettrica

 

 

Cavaliere solitario, fiero

sul ronzino, nella mano

la lancia, la sciarpa

tricolore  degli Appiani

per scudo la bisaccia

colma di storie degli eroi.

 

Sta di vedetta sulla torre

della Centrale Elettrica

seicento yard da terra,

pronto a vendicare

ogni ingiustizia, ogni

offesa alla cavalleria.

 

Per primo vede l’arrivo

dei pirati, dei banditi,

dà l’allarme alla città,

accendendo le caldaie,

nuvole di fumo tricolori

si alzano dalla ciminiera.

 

Percorre  a cavallo

il Sentiero dei Cavalleggeri

da Torre Mozza alla Fortezza.

Mette a tacere le donne

petulanti, recupera

aquiloni fuggiti di mano.

 

Ogni sera ritorna alla Centrale

Elettrica, lega il cavallo

al portone, sale sulla torre.

Nuovo Don Chisciotte

gode nel silenzio

delle storie degli eroi etruschi.


                

 

                   La città nave

 

Si spezza la risacca

sulla prua del faro,

le ciminiere liberano a poppa

i fumi dell’altoforno,

al centro il lungo ponte

il corso costellato di torri.

 

Dalla terrazza dell’albergo

respiro l’aria del mare

scorgo la linea rosa

dei monti. I gabbiani

saettano striduli

padroni del cielo.

 

Marta passerà nel corso

sul passeggino, da principessa.

Saluteremo gli errabondi

gabbiani in un girotondo

di risa felici per liberare

gli ormeggi della città nave.


 

 

La città libro

 

 

Lascia il porto la nave

sfiora il promontorio. Piombino

dal mare è un libro aperto,

dai contrafforti della Fortezza

all’altura della Cittadella

e alla casa di Elisa Baciocchi.

 

La piazza, al centro, oggi

è in festa, vestita

delle tende bianche 

arruffate dal maestrale.

Sui banchi uno stormo di libri

con le ali di ogni colore.

 

Si levano in volo

leggeri come pensieri

la musica delle storie

il suono della poesia

il fragore delle utopie.

Tracciano nel cielo

le speranze della città libro.


 

 

 

La città lanterna

 

 

Sera di fine estate,

l’occhio rosso del faro,

le onde lunghe sugli scogli

bianche di spume. Il vento

ha mangiato ogni nube

sotto il cielo stellato.

 

Si alzano dalla piazza

lanterne di carta

gonfie d’aria e di pensieri

per la stagione che verrà.

Navicelle che portano

in volo sogni e desideri.

 

Si allontanano in fila

al vento, incrociano

le ombre che lievitano dalla terra

le luci dei paesi sul mare

le navi di passaggio

le luci delle stelle.


 

 

L’ arrivo dei Francesi

 

 

Elisa Baciocchi entra

dalla porta del Rivellino,

raggiante nel riflesso 

del diadema di brillanti.

La carrozza a sei cavalli

scortata dai cavalieri

della guardia imperiale.

 

Si ferma sotto l’arco.

Sparano i cannoni

alla fortezza, ai porti,

tremano le case,  

si sciolgono le campane.

Il frastuono è rimasto

ancora nell’aria.


 

 

 

Quattro donne

 

 

L’ultimo giorno di febbraio

quattro donne innamorate

s’incontrano a Piazza

Bovio, davanti al mare.

 

Maria, fedele amante,

indica la nave che esce

da Porto Ferraio

nell’oscurità della notte.

 

Paolina alla luce del faro

muove passi di danza,

innamorata dell’amore,

porge bicchieri di cristallo.

 

Letizia grida “Mio figlio

è libero, lontano dagli Inglesi.

La Francia l’attende,

ancora il bacio della Vittoria.”

 

Elisa versa champagne,

alza il calice in alto

innamorata del potere.

Sarò di nuovo Principessa”.

 

Brindano a nuovi

tempi felici, gettano

i calici sugli scogli,

ebbre d’amore.


 

 

Elba

 

 

La finestra è aperta

su un velo di stelle, l’isola

profuma di tutti i profumi.

Le onde mormorano alla spiaggia

bianca, la luna invade

il silenzio della camera.

 

All’eremo della Madonna

del Monte, il Corso

attende Maria Walenska

per il loro incontro.

 

Sopra il colle la musica risuona.

I ragazzi in festa aspettano l’alba:

aprirà le braccia sul mare

dalle colline di Populonia.

Che l’alba rallenti il cammino,

che rimanga il profumo della notte.

 


 

 

 

Solstizio d’estate

 

 

Io. Principe dell’estate,

entro dalla porta del Rivellino

alla festa del solstizio.

In mano la carta

del percorso gastronomico,

sul petto il calice in affitto

per l’assaggio dei vini.

 

Mi accoglie la folla

nella calca del corso,

si fa strada la banda

dixieland: ogni piede

si muove, le braccia

in alto, fra le mani piatti

dai sapori del mare.

 

Nella piazza i fuochi

incendiano la folla.


 

 

 

Cautha, divinità solare

 

 

La spiaggia è un anfiteatro, gli spettatori

in attesa dello spettacolo di ogni sera,

 

l’acqua pulsa di luci multicolori, scomposte

dagli ultimi raggi del sole al tramonto

 

oltre la punta del promontorio, intorno

le braccia aperte del golfo, verdi di pinete.

 

Mi lascio andare alle onde, il fresco

dell’acqua accarezza il mio nuoto leggero.

 

Sotto di me l’oscurità, le creature del mare

vivono già il mistero della notte.

 

Davanti la luce, il trionfo di Cautha, l’idea

della bellezza a portata di mano.

 

Nuoto nell’ultimo chiarore della sera

per raggiungere Cautha, sorgente di luce.


 

 

 

Buca delle Fate

 

Un canto si alza dalle acque,

volti sorridenti appaiono

fra le onde e scompaiono.

Il girotondo dei cavallucci

di mare, il corteo saltellante

del gioco dei delfini, 

 

Immobile il mare, solo

l’eco delle leggende.

Vortici improvvisi

travolgono i pescatori,

li trascinano in antri

rischiarati da meduse

 

 

fosforescenti: giardini

fantastici di alghe, coralli

e conchiglie dove giocano

le sirene. Un incanto

che fa prigionieri. Stiamo

lontano dalla Buca delle Fate!

 


 

                 

 

La fonte di San Cerbone

 

               Chi non beve alla fonte di  San Cerbone

                        è un ladro o un birbone!

                                Detto popolare della Maremma 

 

La fonte fluisce perenne

invade le bocche dei forni,

i fuochi sempre accesi

di un popolo nero di fumo.

        

La condanna di Totila.

“L’orso assale Cerbonio.

Si ferma, cade ai suoi piedi,

agnello mansueto.”

 

“Sgorga l’acqua. La fonte

 copre il corpo di Cerbonio,

dopo il trasporto

dei compagni dall’Elba.”

 

Barbari sulla spiaggia

biondi capelli sciolti.

La campana avverte

la furia degli invasori.

 

Bambini, castelli

di ciottoli neri,

racconti dei padri

arrivati dal nord.

 

 

La fonte del Pozzino

Sulla rotta  Rodi Marsiglia

 

 

L’acqua cade sulla pietra.

Un rivolo per la spiaggia,

nera di sassi, raggiunge

il mormorio del mare.

 

Tra il fasciame del relitto

coppe di vetro, di rame,

fiale, anfore, resina e vino.

Rotta Rodi Marsiglia.

 

Sulla rotta sud nord

evapora in cielo la scia

dell’aereo. Si specchia

                         nell’acqua della fonte.


 

Transumanza

 

            Tutti mi dicon Maremma, Maremma,

                   ma a me mi pare una Maremma amara.

                  L'uccello che ci va perde la penna …

                                 Canto popolare della Maremma

 

Il campanaccio rompe

la voce della fonte, va

la processione di pastori,

pecore, cani e cavalli.

 

Un incessante belare,

la fonte punto d’arrivo:

dieci giorni di marcia tra

crinali, valli e pianori.

 

Il villaggio di capanne

riparo per nove mesi,

recinti di animali,

fuochi per il formaggio.

 

Ogni pastore quaranta

pecore per il pascolo,

fredda solitudine

in attesa del maggio.

 

La clessidra si rovescia,

svanisce la solitudine.

A settembre il ritorno

alla fonte del Pozzino.


 

 

L’anfora di Antiochia

 

             

Davanti alla spiaggia

il pescatore di Livorno

trovò l’Anfora d’argento

di Antiochia”,

il mormorio della fonte.

 

Cibele, Mitra e gli dei

dell’Olimpo, a sbalzo,

invitano all’incontro

con il divino, ai segni

dell’immortalità.

 

Sull’Anfora le stagioni,

le parti del mondo:

Dioniso danza

tra Satiro, Arianna,

gli amici di pelli ferine.

 

Musica, coppe di vino,

conquista dell’estasi:

uomini, donne

iniziati ai misteri

al sapore dell’immortalità.

 

Il tempo avvolge

la sfera del rito,

ruota l’Anfora, mostra

Amore e Psiche riflessi

nell’acqua della fonte.

 

 

 


 

 

Il navicello etrusco

  

Al Porticciolo di Marina la sorgente è conosciuta come la Fonte  delle Serpi in Amore. Sul marmo che sovrasta la fonte sono scolpite due bisce aggrovigliate.

                                                                    Guida Turistica  di Piombino           

 

Acqua fangosa. Immagino

fantastiche figure in fuga

dai racconti del mito,

dalle pagine della poesia.

 

Luce calda, riflessi

del mosaico etrusco,

mille tessere di suoni

intrecciati in una melodia.

 

Guizzano naselli e calamari

mormore e gattucci.

Sul marmo due serpi in amore.

Gorgoglia la sorgente.

 

Il naufragio al centro. L’onda

travolge il navicello,

intorno la foresta di alghe

i resti di antichi relitti.

 

Il ribollire della risorgiva

scioglie neri ricordi,

scioglie bolle di versi

per le serpi in amore.


 

 

   

Tagete

 

Mentre si lavorava la terra, un certo Tagete balzò su all'improvviso e rivolse la parola all'aratore….Tagete aveva l'aspetto di un bambino, ma la sapienza di un vecchio. Poiché il contadino levò un alto grido di meraviglia, ci fu un accorrere in massa; e, in breve tempo, tutta l'Etruria convenne in quel luogo.                       

                M. T. Cicerone, Della Divinazione , L. II, P. 23

 

 “Ho sentito un gemito dal trattore.

Dal solco appena scavato,

si sono alzate zolle di terra,

è comparsa una testa ricciuta”,

le parole di Fatima.

 

Occhi di meraviglia intorno,

scattano i flash degli obiettivi,

ronzio di telecamere.

Il bambino ora alza la testa,

sorride e parla, parla!

 

Sono Tagete, figlio di Genio

e di Terra. Sono venuto fra voi

per mostrare i segni del Cielo.”

Racconta. Si allontana poi

fra i solchi, verso Populonia.

 

Nella valle scende il silenzio,

la folla si disperde, pensosa.

Fatima è sola. Si aggiusta

il velo, avvia il  trattore,

Massey Ferguson.

 

 


 

 

 

  I fulmini degli dei

 

 

Il sacerdote, salmodiando

preghiere, guida

la processione al tempio.

 

Nelle mani l’antico Libro,

cerca nella volta celeste

quale dio scagli la saetta,

osserva la traiettoria,

il colore del fulmine.

Vuole spaventare o portare

morte e distruzione?

 

Nella violenza della tempesta

legge il volere divino,

interpella gli dei

sulle angosce dell’oggi.

 

Il sacerdote, incerto

sul messaggio, annuncia:

alla prossima tempesta

comprenderemo, forse,

la volontà degli dei.

 

 

 

 

L’Ombra della Sera

 


 

 

 

L’aruspice

 

 

Ascolto il silenzio

dalla Rocca, lontano

da spiagge affollate.

L’aruspice etrusco

segue il volo del falco,

coglie i segni del cielo

La violenza del giorno

è lontana, la città

torna all’antico mistero.

La processione sale

all’altare sulla collina

per il sacrificio. Il sangue

nutre la vita del mito.


 

 

 

 Lo schiavo

 

 

Bufere d’acqua, di vento.

La follia sconvolge il golfo.

Ferite profonde

alberi abbattuti

radici contorte nell’aria.

Il temporale scioglie

la notte, la melma

dei ruscelli uccide

le creature del mare.

Le frane hanno dissepolto

la città dei vivi.

Sepolture scoperte.

Lo schiavo, ancora

la catena al piede.

 


 

 

La strega

 

 

Dormiva nel suo sepolcro

catalogato S64 nel corso

degli scavi in riva al mare,

alla Chiesa di San Cerbone.

Dormiva dal milletrecento.

Alta di statura, di media età,

la testa adagiata sulla pietra,

di mestiere, filatrice.

Cinque chiodi, tre ricurvi,

le avevano messo in bocca,

un rito magico, quando

era ancora fra i vivi.

Nove chiodi, inchiodavano

il corpo al terreno. Al cuore,

alle gambe, ai piedi.

Né il corpo né lo spirito

devono tornare fra i vivi.


 

 

Le luci delle navi

 

 

S’incrociano le luci

delle navi, s’inseguono

fra Montecristo e il Giglio.

Quale la meta, quali

destini portano con sé?

Dalla panchina sul lungomare

fra la Cittadella e l’Ospedale,

lo sguardo si posa lontano.

Dal basso le onde lente

portano ricordi.

Per questo mare passò

la nave da guerra di Vasco,

giovane marinaio di leva,

diretta verso l’esito finale.

Quando passerà la mia

nave, a luci spente?


 

 

 

Parole

 

 

Piovono parole

dal canto, parole

sempre nuove.

Spuntano nel giorno

coriandoli di colore.

Bolle di sapone

si gonfiano, si gonfiano.

Scoppiano nell’aria.

                  Cadono parole

sempre nuove,

volano via i nomi.

Se il nome riemerge

è festa, l’incontro

con l’amico ritrovato.

Al centro della mente

s’innalza la dimora dell’Io.

La porta aperta

per l’ultimo volo.


 

 

Dalla loggia

 

 

Dalla loggia sul giardino

assaporo lo stupore

della notte che avvolge

la casa. La linea delle colline

disegna i confini

dell’Acropoli di Populonia

La campagna sonora di grilli

si immerge nella Necropoli

tra le tombe abitate

dalle ombre degli Etruschi.                

Lontano si è spenta

la fiamma dell’alto forno.

Nella casa volano via

le favole, le domande

i  perché. Le labbra

assaporano il sapore

dei sogni. Si raccoglie

sul fianco un gomitolo

piccino, una soffice piuma.

Poi il silenzio, il respiro

leggero di Anna.

Anna si è intrufolata

nella nostra vita.

 


 

 

Capo Palinuro

 

          O nimium caelo et pelago confise sereno,

             nudus in ignota, Palinure, iacebis harena.

                        Virgilio, Eneide, C. V,  vv. 870-871

 

Vele lasciano il porto

festoni sugli alberi,

la prua vola a Capo Palinuro,

onde sollevano le chiglie.

La sosta e poi in acqua

verso le grotte e i loro miti.

Grotta delle Ossa fra gli scogli

sonanti, rauchi per l’incessante

battere dell’onde,* sui resti

di naufragi, il nocchiero di Enea

vinto dal sonno, i marinai

incantati dalle sirene.

Nella Grotta delle Ossa

le onde padrone del corpo.

 “Aiuto”,  l’eco rimbomba

dilata la paura. Intorno

biancheggiano ossa infisse

nella malta delle pareti.

Il sole precipita. Vespero

si affaccia sopra di noi.

Sono l’ultima vedetta

ai piedi della grotta,

in attesa.

          

         * Virgilio, Eneide, C. V, vv. 1228-1229.

            Trad.  G. Vitali.


 

 

Moby  Prince

 

 

Ogni sera

sulla Terrazza Mascagni

di fronte al mare

i gabbiani guidano

le navi colorate

all’entrata del porto.

Si alzano alti,

si scambiano

striduli messaggi.

Si accende l’occhio

rosso alla Meloria

sul tremolio delle acque.

Alla bocca del porto

si affaccia la Moby Prince

diretta al suo destino di fuoco.

 


 

 

Il temporale

 

 

Una mantella rossa

attraversa Piombino

nel diluvio di pioggia

seguita dall'ululato

degli allarmi colpiti

dalle saette.

Il ciclista pedala

come un forsennato,

le ruote sollevano

profonde scie d'acqua. 

Il diavolo scappa

dall'inferno?

                    


 

                  La  spiaggia della Sterpaia

 

La capanna, tronchi e rami

d’albero portati dal mare

tegole, embrici di un naufragio

sulla spiaggia della Sterpaia,

bagno del Nano Verde.

Il falò illumina il bambino 

                     la mamma, Maria, giunti dalla Palestina

                    su un barcone di migranti.

Intorno il villaggio di sabbia

il disegno di strade e capanne

di animali in cammino

nel profumo di alghe e conchiglie

di pini e macchie sempre verdi.

Lontano le luci affacciate

sul golfo, stelle comete il volo

degli aerei in arrivo da oriente.

Spente le fiamme dell’alto forno.

Davanti a noi un ammasso

nero, scheletri e antenne

rugginose. Siamo il popolo

del non lavoro, portiamo

in dono al bambino

la rabbia per le sconfitte

per la vita ai margini del villaggio.

Dal largo del mare le orate

guardano stranite, costrette

nelle vasche d’allevamento

sospese sul gelo delle acque.

Il Nano Verde, la giacca

sonante di sonagli

batte le mani e sorride

dalla cima dei pini.


 

 

Al margine della città

 

“Frammento indeciso del giardino planetario, il Terzo paesaggio è costituito dall’insieme dei luoghi abbandonati dall’uomo. Questi margini raccolgono una diversità biologica che non è a tutt’oggi  rubricata come ricchezza.”

             Gilles Clément, “Manifesto del Terzo paesaggio”,  pag.11

 

Al margine della città

i cigli erbosi della strada

i bordi dei campi dove nasce

un’erba strana, senza nome

l’aiuola dismessa, indecisa

sulla sua natura,

indefinita sul suo destino.

Zone libere

zone che sfuggono al nostro controllo,

meritano rispetto per la loro verginità

per la loro disposizione naturale all’indecisione.

La diversità

trova rifugio su il ciglio della strada

l’orlo dei campi, un acquitrinio

o un piccolo orto non più coltivato

un piazzale invaso da erbacce

o il margine di un’area industriale

laddove non ci sia l’intervento dell’uomo.

Residui dove nascono cose nuove,

idee nuove, forze nuove. No.

Potrebbero nascere

                              ma non è detto che nascano.


 

 

L’arrivo dei barbari

 

      Restano solo tracce fra crolli e rovine di muri,

       giacciono tetti sepolti in vasti ruderi.

       Non indigniamoci che i corpi mortali si disgreghino:

       ecco che possono anche le città morire.”

                      Rutilio Namaziano “Il Ritorno”, vv. 411- 414

 

Dalla nave sotto Populonia

Rutilio scorge ruderi, rovine,

il crollo delle mura intorno

alle colline, forni spenti

montagne nere di residui.

Il viaggio da Roma lungo

la costa vicino a terre

devastate, senza strade,

ponti, stazioni di posta,

solo immobili acquitrini.

Il sorriso degli dei,

la gloria del passato

                    lo guida. Ora il presente

                    devastato dai barbari,

giunti alle porte di Roma.

Le isole vicine, Capraia

la Gorgona, abitate

da quelli che fuggono

la luce, monaci devoti

al Dio dei cristiani.

Avanti ora verso il futuro,

marinai alla voga. Vada

Pisa, Luni, le terre

delle origini, da ri - costruire

nel nome di Roma,

bellissima regina del mondo. *

 

                   * Rutilio Namaziano, “Il Ritorno”, verso 47.


 

 

Il castello di Populonia

 

 

Due euro e cinquanta

per salire al castello con Anna..

                    Un cartello sugli spalti:

la rocca centro d’avvistamento

per l’arrivo dei bombardieri nemici.

Populonia sulla rotta verso

Firenze: all’erta in quei

giorni sugli spalti, giovani

ciechi, l’orecchio teso,

le mani pronte sul trasmettitore.

Stringo le mani di Anna.

Brividi freddi. Come sarà

stato il mare il 25 settembre

nel terzo anno di guerra e

le bombe su Firenze ?

“ Conosco l’ululare delle sirene

il rumore degli aerei, lo scoppio

delle bombe alla Porta del Prato,

alla stazione del Campo di Marte:

                    le mani strette al panierino, la corsa

                    al rifugio fra le macerie bianche

delle case abbattute.”

“Anna, inutilmente giovani

ciechi avevano avvertito la città

dell’arrivo della morte.”


 

Il mestiere dell’archeologo

 

 

Spesso Riccardo batte

alla porta di casa,

non lontano da Baratti,

mi aspetta nel giardino

vestito di velluto verde

la pipa di radica in bocca.

S’incammina per la strada

di San Silvestro, parla

a scatti, la voce roboante.

Passiamo dalla miniera,

partono i vagoni gialli

sferragliando nella galleria.

Racconta a ogni passo

la storia degli scavi, sfoglia

le pagine dei progetti

per questa terra che ha smesso

le vesti proletarie per i vestiti

a scacchi della cultura.

Al ritorno attraversiamo

il sentiero delle cave,

i detriti dello scoppio

delle mine, la ferita

mortale al Monte,

al Parco archeologico.

Riccardo urla di rabbia,

tornerà a battere ogni sera

alle porte delle case

addormentate.        

 

                        In memoria dell’archeologo Riccardo Francovich.

                      (Firenze, 1946 – Fiesole 2007)

 

 


 

 

 

Punta Falcone

 

 

A Punta Falcone

la  batteria navale

del tempo della guerra

a guardia del Canale

di Piombino: bunker,

fissaggi per gli affusti

di cannone, la polveriera.

Nella sala della punteria,

l’osservatorio, oggi,

per guardare le stelle,

conoscere altri mondi,

immaginare, forse,

 un futuro diverso.


 

 

 

Tular Dardanium

Il confine dei Dardani

 

Dardano partì dall’Etruria,

per fondare la città di Troia,

superò ogni confine

sulle rotte del Mediterraneo.

Piantò germogli di vita

fra popoli diversi sul mare,

scenario oggi di morte

dei migranti in fuga

dalla guerra, dalla fame.

L’eroe Dardano guida

ancora oltre i confini

il suo popolo,  pari

nel genere, di uomini

e di donne, alla conquista

della dignità,  sul mare

in tempesta dell’utopia.

 

 

  

Mani

 

 

Mani piccole mani nere

mani bianche mani ferite

battono ai vetri della macchina.

Sguardi grandi assediano

incombenti il mio mondo.

Mani fioriscono nella città,

mostrano i dolori del mondo.


 

 

 

 

Uccelli migratori

 

 

È arrivato dai paesi dell’est

lo stormo di uccelli migratori,

la notte dormono in stazione.

All’alba  nascondono le coperte

tra i nidi dei piccioni,

sopra i chioschi delle aranciate.

Uccelli rapaci afferrano i sacchi

al mattino. La sera altri ripari,

ai nidi delle rondini più vicino.


 

 

La stella cometa

 

 

Mario insegna a guardar le stelle

dalla radura sopra Lagonegro.

Al tramonto risalgono il monte

s’immergono nel silenzio.

In cerchio sfogliano i perché,

per lavagna la volta celeste.

Ognuno immagina l’incontro

con altri cieli, con altri mondi.

I pensieri, il colore dell’attesa

alla ricerca della stella cometa.


                     35.5 Latitudine Nord -12.6 Longitudine Est

  

 

Parte a mezzanotte il traghetto

da Trapani a Lampedusa

il mare dei 366 figli annegati

 

Stabat Mater dolorósa

iuxta crucem lacrimósa,

dum pendébat Fílius

 

Sono sul camion, giorni

da Tamara a Misurata

tempeste di sabbia, violenza

 

Eia, mater, fons amóris,

me sentíre vim dolóris

fac, ut tecum lúgeam

 

Sono sul barcone carico

da Misurata a  Lampedusa

nafta paura fame

 

Fac me vere tecum flere,

Crucifíxo condolére

donec ego víxero

 

Sono nell’urlo dei disperati

sprofondo nell’acqua

conquisto il silenzio, la pace

 

Iuxta crucem tecum stare,

te libenter sociáre

in planctu desídero


 

 

L’autore

 

 

Vive a Firenze ed è stato dirigente per la Cultura alla Regione Toscana. Ha lavorato al Consiglio Regionale, presso la presidenza e le commissioni consiliari.

Si interessa di letteratura, saggistica, fotografia.

 

Per la poesia ha pubblicato Eratoterapia (Ladolfi Editore 2017) e l’Antologia “Poesie 2009-2016”  (Ladolfi Editore 2016), che comprende pagine dalle raccolte La vita fa rumore, Concerto, L’invasione degli storni, Luoghi del mito, Nonluoghi, Florentia; composizioni dedicate all’opera di  Marcel Proust). L’Antologia è stata premiata (III class.) al Concorso Alda Merini 2017, al Premio Firenze 2017 (III class.) e ha ottenuto il riconoscimento speciale al Premio Casentino 2017. Nella collana Libri Liberi, www.laRecherche.it sono pubblicati gli e-book di poesia dell’autore. Recensioni sulle opere, sono riportate nel sito www.literary.it.

 

Per la prosa ha pubblicato, nel 2016, il romanzo Esercizi di volo, Europa Edizioni (riconoscimento speciale al Premio Casentino 2017). In precedenza ha pubblicato il romanzo Non oltrepassare la linea gialla (Europa Edizioni, 2014) e la guida Elisa Baciocchi e il fratello Napoleone. Storie francesi da Piombino a Parigi” (Foglio Edizioni, 2013).

 

Ha realizzato mostre fotografiche  presso il Circolo degli Artisti “Casa di Dante”, caffè letterari, biblioteche, dedicate, in particolare, al rapporto fra testo, immagine fotografica e pittura. Nel lavoro di ricerca, collabora in più occasioni, con il pittore Enrico Guerrini.

 

Roberto Mosi è nella redazione delle riviste “Testimonianze” e  “L’area di Broca”; nel consiglio direttivo della Scuola di Scrittura della rivista “Semicerchio”. Collabora con “Il Foglio Letterario” di Piombino.

Cura i blog www.robertomosi.it e www.poesia3002.blogspot.it.

                

 

                                        Indice

 

 

Lo Specchio di Turan

 

        Il vulcano

        Turan, dea dell’amore

        Ferragosto

        Le vacanze di Tommy

        Acquari

        Il cavaliere della centrale elettrica

        La città nave

        La città libro

        La città lanterna

        L’arrivo dei Francesi

        Quattro donne

        Elba

        Solstizio d’estate

        Cautha, divinità solare

        Buca delle Fate

        La fonte di San Cerbone

        La fonte del Pozzino

        Transumanza

        Il navicello etrusco

        Tagete

        I fulmini degli dei

 

 

L’Ombra della Sera

 

        L’aruspice

        Lo schiavo

        La strega

        Le luci delle navi

        Parole

        Dalla loggia

        Capo Palinuro

        Moby Prince

        Il temporale

        La spiaggia della Sterpaia

        Al margine della città

        L’arrivo dei barbari

        Il castello di Populonia

        Il mestiere dell’archeologo

        Punta Falcone

        Tular Dardanium

        Mani

        Uccelli migratori

        La stella cometa

        35.5 Latitudine Nord – 12.6 Longitudine  Est