mercoledì 31 luglio 2019

La notte della Follia

                                                               
                                                              Link Notte della Follia  LUCCA
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Roberto Mosi, "Esercizi di volo", Europa Edizioni, o della Festa dellaFollia LINK


Con “Esercizi di volo” si  riprende il percorso intrapreso con Non oltrepassare la linea gialla. Il rapporto del protagonista – impegnato in “Esercizi di volo” – con la sua terapeuta, mette in scena l'espediente dell potere curativo della scrittura. In una fascinosa ambientazione sulle sponde dell'Adige, si sviluppano i preparativi per “La festa della follia”; in questo contesto, non mancano i riferimenti a classici del pensiero (Erasmo da Rotterdam), della letteratura (Ariosto, Cervantes, Rabelais) e della poesia (Dino Campana). Un piccolo libro per dimensioni, ma che fa esplodere un immaginario potente ed evocativo.

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Roberto Mosi, “Esercizi di volo” , Europa Edizioni
“Una follia splendida”
Recensione di Annalisa Macchia


Chi conosce Roberto Mosi, la sua vasta cultura orientata in vari settori dell’arte e il suo grande impegno speso per diffonderla, segni inequivocabili di una mente rigorosa e aperta, stenterà a ritrovare nello strampalato e tormentato personaggio principale di quest’opera, un suo riconosciuto alter ego.

Ricorrendo a una terapeutica scrittura, suggerita da un’analista per vincere le sue ossessioni, questo personaggio dà il via a uno stravagante e interessante mondo interiore, gradualmente formando la vera storia di questo libro, tutta incentrata sulla celebrazione della “Follia”, il cuore centrale e pulsante del racconto.

Fin dall’inizio ci troviamo così coinvolti in un vortice tumultuoso, depositati a ogni capitolo in territori abitati da luoghi e personaggi oltre le righe, come ogni Follia che si rispetti comanda, ma dotati di incredibile fascino, di una sostanza liberatoria e talmente deliziosa che anche i crimini che visi compiono a suo nome non spaventano, anzi attraggono e intrigano. Una sarabanda di fantastiche e pittoresche figure dà vita a questa scrittura, che sarebbe limitato confinare nella definizione “racconto”, poiché si sviluppa su una molteplicità di piani narrativi e, in misura non indifferente, anche quelli della fiaba e della favola. Parole, queste ultime, erroneamente e troppo di frequente scambiate per sinonimi, in realtà differenti per modalità, luoghi e personaggi. Se la fiaba mette in scena storie senza tempo né luogo in cui i personaggi sono solitamente rappresentati da uomini e donne, la favola, di genere più giocoso, ha spesso per protagonisti gli animali, alle prese talvolta con situazioni paradossali. In forma scherzosa e ironica vuole trasmettere insegnamenti e ammonimenti utili alla società.

Questo lungo racconto Esercizi di volo, o comunque lo si voglia definire, mette efficacemente in risalto una follia splendida e desiderabile, seppure costretta a misurarsi con una più problematica e difficile realtà. Roberto Mosi gioca proprio su questa alternanza, sul continuo confronto, sul ricorrente anelare al perfetto e gioioso stato della follia fino al raggiungimento dei miti estremi della stessa, poiché sembra assicurare ogni felicità a che lo abbraccia.
La storia si svolge fra le montagne di Bolzano. Gli abitanti sono in procinto di celebrare la grande festa della Follia, con riferimento alle reali feste che intorno a Ferragosto, si svolgono in questa zona, tra il Castello e la Stazione di Salorno. Oltre al luogo geografico, descritto con gli occhi appassionati di chi bene conosce e ama la montagna e, forse, questi luoghi in particolare, di attinente al reale c’è però ben poco di altro nel libro.

Tra i personaggi che si alternano e si accavallano, spiccano figure ispirate a uomini e donne famosi, alcune ben conosciute dall’autore, come la sorella di Napoleone, Elisa Baciocchi. Si fa allusione a grandi pensatori, a cominciare da Erasmo da Rotterdam e al suo Elogio della Follia, saggio dedicato all’amico Tommaso Moro, nato con intenzioni di divertissement ma lucido nel colpire i costumi dell’epoca. Immancabile l’accenno a poeti come Dino Campana, a letterati illustri come Rabelais, Cervantes, Ariosto, autori di creature e opere indimenticabili, più vere della realtà stessa nel loro fantastico, folle territorio e, naturalmente, non mancano musicisti e artisti. Tutti quanti legati in qualche modo al filo di una follia che potremmo definire “creativa”, capace di ispirare e produrre grandi capolavori.

Altri personaggi, invece, prendono inaspettatamente vita dal mondo animale e da quello inanimato, ma, proprio come accade nelle migliori fiabe e favole, interagiscono con grande naturalezza con quelli umani. Turri quanti tesi e uniti nell’unico obiettivo di celebrare al meglio la prevista Festa della Follia.

Il fragile e ossessionato alter ego dell’autore, assegnato o, meglio, rassegnato alle cure di un essere ancora più fragile di lui, si trova inaspettatamente avviato alla meravigliosa scoperta della scrittura, fantastico volo della mente, e salutare alternativa al suo più pericoloso impulso di volare gettandosi nel vuoto. Sarà utile per la guarigione il suggerimento dell’analista?

Lascio il nostro Icaro alle prese con il terribile sole della sua (e nostra) società, intorpidita da un’inflazione di paure, soffocate da farmaci e ansiolitici, dispersa in un proliferare di falsi profeti (argutamente si sottolinea nel testo anche il recente moltiplicarsi delle scuole di scrittura …), facilmente arresa a impotenza e indifferenza, dove diventa arduo riconoscere le voci autentiche e riuscire ad accettare gli altri e se stessi, follie incluse.

Il tocco fiabesco, visionario e la leggerezza di cui ogni pagina si nutre, disegnano non soltanto un libro ricreativo e divertente, ma suggeriscono riflessioni profonde, invitando al ripensamento di tanti, comuni, superficiali atteggiamenti e suscitando nel lettore domande positivamente inquietanti. Esercizi di volo preziosi per il lettore attento.

sabato 20 luglio 2019

Navigando per il mare di Populonia - "Il viaggio del Navicello Etrusco"



Il viaggio del Navicello Etrusco è tratto dalla Raccolta: Roberto Mosi, Navicello Etrusco – Per il mare di Piombino,  Edizioni Il Foglio    , Piombino 2018
Il Navicello Etrusco è il simbolo della raccolta, composta da due parti, la prima Lo specchio di Turan” in onore della dea etrusca dell’amore, della rinascita, raffigurata spesso nell’atto di ammirarsi allo specchio. La seconda, “L’Ombra della sera”, richiama la statuetta votiva, conservata nel museo di Volterra. Fu proprio Gabriele D’Annunzio a darle questo nome perché nel guardarla, con la sua forma allungata, venivano in mente al poeta le lunghe ombre del tramonto. Le due parti della Raccolta riguardano momenti diversi, la prima legata al motivo della luce del giorno in sintonia con lo specchio di Turan; la seconda all’oscurità della sera, della notte.
          Il Navicello Etrusco naviga per il mare di Populonia che fu un antico insediamento etrusco, di nome Fufluna (da Fufluns, dio etrusco del vino e dell'ebbrezza) o Pupluna, l'unica città etrusca sorta lungo la costa. Era una delle dodici città della Dodecapoli etrusca, le città-stato che facevano parte dell'Etruria, governate da un lucumone
                     Il Navicello percorre, sospinto dai venti della costa, il tratto di mare dal golfo di Baratti al promontorio dell’attuale città di Piombino, alle spiagge del golfo di Follonica, sempre al cospetto dell’isola d’Elba. Attraversa, poi, sotto il nostro sguardo curioso, le acque, per lo più tempestose, della storia che separano il mondo degli etruschi dai nostri giorni, giorni pieni di ansie e di sconfitte, dall’alto dei quali ci rivolgiamo sovente all’indietro per porre domande al mondo delle nostre origini. Nella nostra costante ricerca, troviamo di continuo tracce, materiali e immateriali.
          Populonia deve il suo splendore, oltre che allo sfruttamento delle risorse minerarie della vicina isola d'Elba, che la resero uno dei centri più fiorenti della metallurgia antica del bronzo e del ferro, anche alla sua felice posizione geografica. Fin dall'Età del Bronzo Populonia diventa un importante crocevia dei traffici medio tirrenici, vero porto di mare e luogo d'incontro privilegiato di influssi provenienti dal resto del Mediterraneo. La vicinanza con l'Arcipelago toscano, che si connota presto come un vero ponte di isole e sul quale la città inizia presto a esercitare una forma di controllo, la rende un interlocutore  di rilievo nei rapporti con la vicina Corsica e la Sardegna. Nel VI secolo a.C. visse il suo periodo di massimo splendore, arrivando ad ospitare molte migliaia di abitanti, con un'acropoli, una necropoli, diversi quartieri portuali ed industriali (presso la marina, sul golfo di Baratti), munita di un'imponente cinta muraria. L'acropoli e l'abitato erano difesi da una prima cinta, mentre una seconda cinta era a protezione dei quartieri industriali situati presso il porto; questi si erano estesi al di sopra delle necropoli più antiche, lasciando una notevole quantità di scorie di ferro residuate dall'attività metallurgica.
Sono appunto queste ultime tracce materiali che noi oggi rinveniamo di continuo sulle in-cantevoli spiagge dei nostri soggiorni al mare, residui impalpabili che luccicano come lamine d’oro, come brillanti al sole e appaiono fra i componimenti poetici della presente raccolta (Il vulcano, Fonte di San Cerbone).  Presenze costanti sono, poi, i ritrovamenti archeologici e il fascino dei luoghi in cui sono avvenuti, che in-cantano come la voce delle sirene (L’anfora di Antiochia, La fonte del Pozzino, Lo schiavo, L’archeologo).  
          Al centro della scoperta del mondo etrusco, vi è naturalmente l’olimpo delle sue divinità e dei miti (Tagete, Turan dea dell’amore, Tular Dardanium, Il navicello), l’arte e la sapienza dei sacerdoti (I fulmini degli dei, L’aruspice). In questo paesaggio storico e mitico, risalta la figura della donna etrusca (Velia), presente nella vita pubblica e privata, al pari dell’uomo, disprezzata, come è noto, da autori greci e latini, per i quali era inconcepibile la sua libertà, fuori luogo il suo comportamento
          Il navicello fa vela, a ritroso, come si è detto, verso i tempi della contemporaneità.  Un passaggio importante è rappresentato dalle invasioni barbariche e dal passare del tempo (Barbari), dal rovinare dell’imponente città etrusca – e poi romana -  di Populonia .  Rutilio Namaziano, nel viaggio per mare che lo porterà da Roma a Narbona, dalla nave ancorata nel golfo di Baratti (anno 415) scorge le rovine della città, ne rimane colpito e ne dà conto nel poema De reditu (vv. 413-414):
Non indignamoci che i corpi mortali si disgreghino:
ecco che possono anche le città morire.
          Seguiranno i tempi delle invasioni dei Goti e dei Longobardi e l’emergere della figura di San Cerbone, vescovo di questa terra (La fonte di San Cerbone). Recenti ricerche archeologiche per individuare i resti della tomba del santo e della cattedrale sulle rive del golfo di Baratti, hanno fatto emergere,  presso l’attuale chiesetta di San Cerbone, un cimitero medievale con oltre trecento sepolcri: fra questi, due con i resti di due donne: l’una “segnata” da un sacchetto di diciassette dadi, gioco del diavolo, da osteria, infamante per una donna, forse messo nella tomba per indicare il mestiere di meretrice; l’altra, forse una strega, segnata da una serie di chiodi ricurvi nella bocca e da altri chiodi che la trafiggevano, per fissare corpo e spirito al terreno (La strega, Diciassette dadi). Una scoperta dunque che ci riporta a un’epoca denotata da riti magici e da una marginalizzazione della donna.
          Il Navicello continua a navigare verso la contemporaneità ed è significativo l’incontro con la figura di Napoleone, relegato dalle maggiori potenze europee, dopo la sua avventura da imperatore, all’isola d’Elba, come re di un minuscolo regno. Una composizione poetica della Raccolta (Elba) evoca questa epoca e, in particolare, l’incontro con Maria Walewska nella “reggia sotto le stelle”, nell’accampamento alzato presso la Madonna del Monte, sopra il paese di Marciana.
In questo percorso s’insinuano ricordi più recenti legati all’ultima guerra, al promontorio di Punta di Falcone, dove era piazzata una batteria navale a guardia del Canale di Piombino (Punta Falcone), e al Castello di Populonia, sopra il quale passava la rotta aerea per bombardare l’Italia Centrale – e Firenze, in particolare. I bombardieri alleati, provenienti dagli aeroporti della Tunisia e della Corsica, sfioravano la torre del Castello, prendevano quota e si gettavano con il loro carico di bombe, sulle città (Aerei su Populonia).
          Il porto di arrivo del viaggio poetico per il mare di Populonia e di Piombino, è rappresentato dal “luogo del nonlavoro”, la grande acciaieria con i forni spenti, un ammasso inutile di ferraglia sul quale non svettano più le fiamme dell’altoforno. I personaggi della poesia (La Sterpaia, Cigli erbosi), lavoratori disoccupati, animano il nuovo paesaggio industriale, visto dalla lunga striscia di spiaggia che si distende all’inizio del golfo di Follonica. Un breve componimento (Temporale) rappresenta la figura del diavolo che scappa sotto il temporale, con una mantella rossa: forse, per metafora, la figura di un operaio che fugge dall’inferno dell’altoforno.
          Al porto d’arrivo del Navicello possono essere ritrovate anche ragioni di speranza, uno stare bene, in definitiva, un essere felici, in un luogo incantevole, ricco di storia, di bellezze naturali e artistiche, qualità che possono marcare il futuro cammino culturale e economico di questa terra (Turan dea dell’amore, Città nave, Città libro, Città lanterna, Solstizio d’estate, Buca delle Fate, Parole, Dalla loggia).
          Il Navicello, infine, è pronto a salpare di nuovo per tornare ai tempi delle origini, per le vie del mito. Nello scritto poetico Tular Dardanium – Migrare, si riprende la figura mitica di Dardano che partì dall’Etruria per andare a fondare la città di Troia, attraversando il Mediterraneo. Questo mare vede i migranti del nostro tempo che, al pari degli Etruschi di una volta, superano, al prezzo di infiniti sacrifici e tragedie, i confini, alla ricerca di una nuova terra che li possa accogliere.  La Raccolta si chiude con il pensiero rivolto ai sacrifici dei migranti (Mani, Uccelli migratori, La stella cometa, 35.5 Latitudine Nord – 12,6 Longitudine Est) nell’auspicio che si aprano nuove rotte sulla via della solidarietà e della pace, che popoli diversi s’incontrino per far germogliare nuove vitalità culturali.                                                                                  
          R. M.



"NAVICELLO ETRUSCO". Per il mare di Piombino, Il Foglio, Roberto Mosi ed Enrico Guerrini - Video, disegni, testi: recensione Arrighetta Casini


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Navicello Etrusco. Per il mare di Piombino

Recensione di Arrighetta Casini


“Avevo incontrato la poesia di Mosi in occasione della presentazione della silloge: “L'invasione degli stormi” alcuni anni fa. Presentazione speciale in quanto anche spettacolo, immagine.
L'opera si concludeva con un dialogo fra l'Autore e la Cornacchia della valle dell'Inferno, titolo anche della prima poesia.
“Devi tornare a trovarmi con un sacco di racconti, di storie, di film, di versi. Il tuo è un viaggio alla ricerca della speranza e la speranza è contagiosa”
Penso che Mosi abbia fatto tutto questo, soprattutto il viaggio. Il viaggio, quello reale, quello simbolico è tema universale anche per la poesia.
Leggendo i versi di Mosi nella raccolta Poesie 2009-2016 e poi in “Navicello etrusco”, mi è sembrato che il viaggio sia un tema molto caro al poeta. Viaggio in tanti luoghi, ma anche nei non-luoghi. Mosi è un viaggiatore speciale perché porta con sé tante “cose”: la curiosità dell'uomo con in più la sensibilità del poeta, una grande cultura assimilata a tal punto da fare tutt'uno con il suo modo di viaggiare, (se non di essere) certamente del poetare.
Inseguirò l'ombra dei miti” scriveva nella poesia Giasone.
Infine Mosi è anche un fotografo.
Amo molto la fotografia, ci sono fotografie che hanno fatto la storia più di mille reportage: chi non ricorda Vietnam 1972, la bimba nuda, ustionata e piangente su di una strada desolata? O il generale vietnamita che spara alla testa di un vietcong su una strada fiancheggiata da macerie?
L'uso magistrale del bianco e nero che gioca con la luce e con le ombre fa pensare a Caravaggio, anche un solo scatto suscita emozioni, rimanda a ricordi, a storie e alla storia.
Questo è ancora più vero per la poesia che usa le parole, ma che parole! Forse uniche con la forza di uno scatto fotografico.
Così, mi sembra, per la poesia di Mosi: i suoi versi leggeri, (ma della leggerezza di cui parlava Calvino), misurati, immediatamente godibili, ci regalano immagini nitide talvolta crude come quando il suo sguardo si posa sulle tragedie di ieri e di oggi. Interviene allora nel componimento poetico l'elemento culturale o mitico e lo eleva dal quotidiano e lo porta in una dimensione più alta quasi a ricordarci l'eternità del mito di fronte alle vicende umane.
Tutte queste componenti della poesia di Mosi si esaltano nel “Navicello etrusco” (“Per il mare di Piombino” è il sottotitolo); si esaltano perché interviene e si aggiunge un forte sentimento, Mosi canta una terra non solo conosciuta, ma così amata come si può amare qualcosa che è parte della tua vita, dei tuoi affetti familiari.
Il navicello percorre, sospinto dai venti della costa, il tratto di mare dal golfo di Baratti al promontorio di Piombino, alle spiagge del golfo di Follonica, “sempre al cospetto dell'isola d'Elba”:
È un omaggio ad una terra amata.
Siamo nel sud della Toscana che vide fiorire la civiltà etrusca, centro della lavorazione del ferro importato dall'isola d’Elba, (Lana del Garbo e ferraccio dell'Elba, così anche nella Repubblica fiorentina.), ma anche patria di Dardano che fondò Troia secondo la leggenda.
Una terra che serba ancora brillii di pirite e schegge di rosticcio.
La silloge poetica è divisa in due parti: “Lo specchio di Turan” e “L'ombra della sera
Entrambi i titoli fanno riferimento agli Etruschi: Turan “signora “dell’amore e della fertilità” nella mitologia etrusca, “L'ombra della sera” si riferisce alla statuetta conservata nel Museo di Volterra.
È lo stesso Mosi che, in una sorta di post-fazione, fa un breve excursus sulla storia del luogo e sui riferimenti mitologici senz'altro utile al lettore.
Questo angolo di Toscana offre a Mosi tutto ciò che, secondo me, caratterizza la sua poetica: il paesaggio, il mare, la visione delle isole a occidente, le alture che si perdono a est, ma, soprattutto, offre ricchezza di miti, di leggende, di storia antica e più recente. Con tutto questo Mosi sembra tessere un dialogo intimo che si manifesta all'improvviso con passaggi rapidi.
Un nome, un'immagine, un gioco da spiaggia: il vulcano, e subito si avverte una continuità come se il dialogo con il passato non si fosse mai interrotto, (rimando alla poesia “Il vulcano” pag.11).
Eppure, in molte poesie di questa silloge, c'è qualcosa in più ed è una nota intima e dolcissima, quella degli affetti familiari.
Marta e Anna padrone della spiaggia, Anna che con una canna scrive le prime parole sulla sabbia bagnata, Marta che passerà lungo il corso sul passeggino da principessa. Sono loro con il loro respiro leggero le dee dell'amore e della bellezza, piccole discendenti della dea Turan
Allora, nella città-nave, fra lo stridore dei gabbiani come non navigare felici!
Città-nave”, “città-libro”, “città-lanterna”, sono queste le città ideali di Mosi nelle quali con bellissime immagini trasfigura luoghi a lui cari.
Spesso nelle poesie si crea un'atmosfera sospesa fra la realtà del presente e immagini del passato dove il tempo sembra annullato e non stupisce il cavaliere solitario fiero sul suo ronzino con le insegne degli Appiani, antichi signori di Piombino, di vedetta sulla Torre della centrale elettrica o Elisa Baciocchi che “entra dalla porta di Rivellino raggiante nel riflesso del diadema di brillanti”.
Così sembra apparire all'eremo della Madonna del Monte, Napoleone in attesa di Maria Walewska, suo ultimo amore.
Anche i luoghi parlano di miti e leggende: la fonte di San Cerbone che ricorda i Longobardi, la fonte del Pozzino dove sembra ancora specchiarsi la scia dell'aereo sulla rotta Rodi-Marsiglia. Infine, nella poesia Febo, tutto il golfo diviene luogo magico dove si rinnova il mito della sera.
La spiaggia è un anfiteatro , gli spettatori in attesa dello spettacolo di ogni sera”
Febo Apollo, il sole che sparisce nel mare mentre l'oscurità avanza. Sembra di stare sospesi come di fronte ad uno spettacolo straordinario, ad un rito quotidiano di cui il poeta è sacerdote.
La prima parte della silloge si chiude con un omaggio a Velia, la donna etrusca libera, stimata, partecipe alla vita pubblica, trasmette lei madre il cognome ai figli. Donne ancora oggi “maestre di vita, di libertà”
La seconda parte, in omaggio al titolo “L'ombra della sera” ci porta in un'atmosfera che possiamo definire notturna, oscura nel senso che ci presenta scene dolorose del passato e del presente.
Si apre con una poesia bellissima “L'aruspice”.
Versi brevi, parole scelte ci portano d'un balzo da” spiagge affollate” alla città “dell'antico mistero”, a mediare il passaggio della solenne figura dell'aruspice che guarda il volo del falco per le sue divinazioni, mentre la processione “sale all'altare sulla collina per il sacrificio
Il sangue nutre la vita del mito.
Ci sono poesie su figure che emergono dal passato, affiorano dagli scavi, testimoniano crudeltà, superstizione, infamia, omicidi.
Lo schiavo ancora in catene, la strega fissata con chiodi ricurvi anche in bocca, la prostituta con il sacchetto dei dadi, “proibiti alle donne
C'è il ricordo di naufragi antichi come quello di Palinuro e moderni come quello del Moby Prince.
Nella poesia “La sterpaia” Mosi ci offre uno scenario grandioso e desolato: sulla spiaggia abbandonata dal lavoro, dagli italiani, appare un presepe contemporaneo: Maria e il bambino giunti sui barconi.
Ma pietà anche per chi lì è nato ed ora vive tempi duri “spente le fiamme dell'alto forno” (rimando alla poesia pag. 47)
Non indigniamoci che i corpi mortali si disgreghino: ecco che possono anche le città morire
Sono versi di Rutilio Namaziano che Mosi mette in esergo” alla poesia “Barbari” nella quale accompagna idealmente il viaggio di Rutilio Namaziano che, all'arrivo dei barbari abbandona Roma e risale la costa verso Luni, testimoniando con cuore straziato le distruzioni dei barbari, ma portando sempre nel cuore lo splendore perduto di Roma. Monito ai posteri ai quali è domandato conservare le opere e le conquiste faticosamente raggiunte nell’arco di secoli.
Voglio concludere ricordando una poesia bellissima “Dalla loggia”.
Il poeta ci porta in un notturno incantato, (come non ricordare l'affresco di Piero della Francesca in San Francesco di Arezzo “il sogno di Costantino”?)
Lo sguardo del poeta spazia all'intorno: sulle colline, sul lavoro dell'uomo, sui fantasmi della storia, per richiudersi dolcemente sull'immagine di Anna addormentata.
È una visione serena, rassicurante, si sente l'appagamento dei sensi e degli affetti, nel silenzio affiora il senso di una vita appagata. Devo dire che nella poesia di Mosi, nonostante il suo sguardo si posi talvolta anche sulla miseria e sul dolore, mi è sembrato di cogliere la pacatezza di colui cui il fato ha concesso molti doni: un cammino sereno, la capacità di assaporare la vita e di esaltarla con l'arte, la poesia, la convivialità e, non ultimo, con il mito.
Come non dire con Montale:
Vi guardiamo noi della stirpe di chi rimane a terra”.


                                                                  Arrighetta  Casini

Da "Literary", nr. 5 -2019

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Dal libro: Roberto Mosi, Navicello etrusco. Per il mare di Piombino, Edizioni Il Foglio, Piombino, gennaio  2018



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Enrico Guerrini vive a Firenze. Dopo un primo periodo rivolto al fumetto e all’illustrazione, ha sviluppato un forte interesse per la musica e il teatro che l’ha portato a scegliere scenografia all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Espone già nel 2003 quadri e disegni sul tema dantesco, illustra poi il Faust di Goethe e si avvicina all’opera e alla musica di Ferruccio Busoni, “Doktor Faust”.  Si cimenta di nuovo nel 2008 con il testo dantesco: il collezionista d’arte Giancarlo Marini organizza per lui una mostra in cui sono affrontate tutte e tre le cantiche della Divina Commedia. Con il poeta Roberto Mosi un libro di poesie illustrato sul tema dei “nonluoghi” oltre a collaborare con lui in performance di disegno dal vivo durante le letture di poesie, in diversi locali e istituzioni culturali fiorentine. Riferimenti: enricoguerrini@aliceposta.it


Roberto Mosi, già dirigente della cultura alla Regione Toscana, vive a Firenze, è impegnato nel campo della letteratura e della fotografia. Per la poesia ha pubblicato “Orfeo in Fonte Santa” (Ladolfi 2019), “Il profumo dell’iris” (Gazebo 2018), “Navicello Etrusco” (Il Foglio 2018), “Eratoterapia” (Ladolfi 2017) e l’Antologia “Poesie 2009-2016” (Ladolfi 2016). Per la narrativa: il romanzo “Esercizi di volo “(Europa Edizioni 2017); “Non oltrepassare la linea gialla” (Europa Edizioni, 2014) e la guida “Elisa Baciocchi e il fratello Napoleone” (Il Foglio, 2013). Collabora con le riviste “Testimonianze” e “L’Area di Broca”.
Nella Playlist “Felicità” su YouTube sono riportati sessanta video sulla ricerca dell’autore per la fotografia, per la poesia e del rapporto fra pittura e poesia (in collaborazione con Enrico Guerrini). Di rilievo la mostra personale al Circolo Degli Artisti “Casa di Dante”: “Firenze, foto grafie”, 2016 (illustrata su YouTube e dall’omonimo e-Book, su www.larecherche.it).  Ha partecipato alle tre edizioni dell’Officina del Mito presso il Circolo: nel 2018 con l’opera “Orfeo in Fonte Santa”. Cura i Blog: www.poesia3002.blogspot.com; www.robertomosi.it. Email: mosi.firenze@gmail.com.