lunedì 28 ottobre 2019

Per il mare etrusco - Silvia Ranzi commenta "Navicello Etrusco"- "Toscana" maggio 2018


Video Trailer "Navicello Etrusco"

                    Video Trailer "Il viaggio del Navicello Etrusco"


Poesia e lavoro : Giuseppe Panella commenta la raccolta "La vita fa rumore" di Roberto Mosi, ed. Il Minotauro



GIUSEPPE PANELLA

"IL RUMORE DELLA VITA " - ROBERTO MOSI


Prefazione

Poesia e lavoro

«Ancora vita il tuo dolce rumore
dopo giorni bui e muti riprende.
Porta il vento di maggio l’odore
del fieno, il cielo immobile splende.
Gli occhi stanchi colpisce di lontano
il rosso papavero in mezzo al tenero grano
»
           (Attilio Bertolucci, Convalescente)

1. Il rumore del lavoro e la forza del ricordo

«La cultura viaggia nell’aria
suono di voci, note,
musica, fruscio di idee,
non porta degrado,
confonde facce di pietra
teste devote agli schermi»

Il punto di partenza di quest’ultimo progetto poetico di Roberto Mosi è legato a un fatto di cronaca che assume nei suoi versi una notevole importanza: la manifestazione avvenuta nel luglio del 2013 a Firenze in seguito a un’ordinanza che imponeva la chiusura alle ore ventidue dei locali della popolare Libreria Café de la Cité dove, invece, eventi culturali e attività musicali a essi connesse duravano fino a tarda ora, tra la rabbia e lo sconcerto degli abitanti del quartiere.
Il corteo che richiedeva il ripristino degli orari precedenti si era snodato, pur nell’afa estiva, pacifico ma molto colorito e vivacemente scandito dagli slogan gridati con forza e determinazione dai partecipanti alla lotta:

«Oggi si spalanca la porta:
si va in corteo, si parla
dell’essere alla città dell’avere.
Rabbia, lavoro che muore
sepolto il progetto di anni
oltre il senso comune.

Sul sagrato del Carmine
s’inchiodano cartelli
nell’afa di luglio:
“No alla città vetrina”
“La noia è normalità”
“Adotta un libraio»




Il rumore prodotto dalla vita è esibito quale conferma del suo non conformismo e della sua progettualità, l’idea di un ritorno alla normalità dopo la dimostrazione che qualcosa di nuovo e di originale poteva essere perseguito scatena la rabbia di chi pensava che almeno qualche spazio di libertà sarebbe stato lasciato aperto per l’invenzione e la gioia di vivere da parte di chi vuole ridurre tutto a noia e a normalità, a consumo e ad esibizione di un’esistenza fasulla e legata esclusivamente all’avere. Ma non è una pura questione di rumore quella sollevata da Roberto Mosi: la posta in gioco è più alta ed è legata al problema del lavoro, della sua potenza, della sua mancanza.
In molti dei componimenti che seguono, infatti, il tono rievocativo si tinge di un pathos molto intenso. Il ricordo delle lotte del passato tinge di rimpianto e lo sciopero delle trecciaiole (nella poesia omonima) ne diventa il simbolo perduto.

«Tosca, cerco i fiori del bello
in periferia al calore delle utopie,
fiori rossi degli anni pari e dispari».

Il calore dell’utopia legata alla forza trasformatrice del lavoro e delle lotte organizzate per renderlo più umano e più equamente rimunerato riverbera in queste parole e si trasforma in un ritratto di donna (Tosca che avanza, il suo bambino in braccio, simbolo di un Quarto Stato ancora a venire ma sempre indomabile e impossibile da ricondurre nell’ambito della pura normalità produttiva).
La descrizione dei luoghi del lavoro si lega a quella delle lotte attuali di chi chiede “pane e lavoro” (lo slogan caro a Lenin e ai bolscevichi fin dal 1905 e sempre replicato con la stessa forza e insistenza nelle manifestazioni operaie).
Qui lo scenario è diverso da quello della San Pietroburgo o della Mosca d’inizio secolo ma l’obiettivo è pur sempre quello e le forze addette alla sua repressione appaiono le stesse, ferreamente scagliate a proteggere i privilegi dei troppi pochi in grado di assicurare livelli decenti di vita ai molti che non possono averne la possibilità:

«Le tute blu arrivano da Rifredi
la polizia è schierata, sbuca
dai portici la camionetta,
picchiano forte i manganelli,
si grida in coro pane e lavoro.

Le Giubbe Rosse sono sbarrate,
i poeti scomparsi.

La musica è delle sirene,
i versi le urla degli operai»



La dimensione culturale non può che essere accantonata e tacere in un contesto simile.
Nel fuoco e nel furore della lotta, la poesia non è in grado di far sentire la propria voce: i versi sono ingoiati dalle urla di rabbia degli operai in cassa integrazione o licenziati, la musica è rappresentata dalle sirene delle auto della polizia. Eppure anche in un contesto di questo tipo c’è spazio per la scrittura e per il suo potere di ricordo e d’incitamento a prendere la parola, di non cedere, di ritrovare una verità di là dalle menzogne e dell’oblio. In un testo successivo, una delle protagoniste di una manifestazione per la Festa delle Donne dell’8 marzo invita chi scrive a farsi voce e memoria del passato e del presente delle lotte:

«Federiga, le compagne
tornano a difendere
il silenzio della fabbrica.
Fosca mi accompagna
sull’argine del fosso:
“Parla delle nostre idee,
tessi il filo della memoria”».



La dimensione operaia e popolare predomina in questa prima parte della raccolta: le voci e le testimonianze dei protagonisti diretti, la nostalgia per un’epoca ormai definitivamente tramontata, la necessità di mantenerne viva la memoria, la forza dell’evocazione e il rimpianto per non essere più protagonisti in una stagione rinnovata di presa di coscienza e di emergenza delle lotte, tutto questo contraddistingue la scrittura poetica di questa sezione del poemetto (nonostante la suddivisione in liriche apparentemente singole e collocate isolatamente, infatti, non vedo una netta separazione narrativa nell’ispirazione fluida che caratterizza questi testi nella loro continuità e tenderei a considerarli, piuttosto, come un unico flusso po’ematico, un poemetto suddiviso in altrettanti stasimi):

«Sento il pianto dei bimbi,
voci, grida d’amore.

Il cortile centrifuga giorni
stagioni vicine e lontane,
la memoria dei volti.
Un vortice all’alba
disperde sogni e ricordi
nell’aria rossa della città.
I gatti sulle terrazze
si stirano languidi»




Anche i luoghi della condizione operaia (per dirla con Simone Weil) non sfuggono alla descrittività ricca di pathos di Mosi e i cortili delle case operaie sono rappresentati come il luogo privilegiato della loro soggettività dopo il momento dell’alienazione nel lavoro. Il cortile in cui risuonano i pianti dei bambini, le urla delle coppie che litigano o i gemiti di quelle che fanno l’amore ne è la rappresentazione più esatta e, nello stesso tempo, simbolicamente esaltata dal contesto.
In esso tutto ciò che è accaduto nel tempo, i bisogni e i ricordi, le passioni, i desideri e il dolore di vivere si confondono in un’atmosfera irreale come di sogno astratto ma la caduta in una drammaticità estranea al tono stilistico generale dell’opera è impedita, quasi bloccata, dall’ironica presenza dei gatti ieratici e pigri che “si stirano languidi” sulle terrazze, una sorta di contrappunto animale e appagato rispetto all’insoddisfatta rabbia e nostalgia che caratterizza le vicende degli umani. Il guizzo rappresentato dai felini appollaiati sui tetti impedisce la caduta in un pathos eccessiva e mostra le due facce della scrittura di Mosi: la lirica coinvolgente e sostenuta da un’autentica passione e la bonaria capacità di smontarla e di decostruirla in nome di un appello a sentimenti meno esasperati e più legati alla quotidianità.
Così i migranti, i lavavetri, i raccoglitori di pomodori nella Maremma e quelli di arance a Rosarno sono riscattati nel loro dolore e nella loro rabbia da uno sguardo che li coglie nella loro umanità e non ne fa solo simboli di una condizione umana tenuta sotto il giogo ferreo della necessità di sopravvivere ma li coglie nella loro dimensione di persone che sanno reagire all’abbattimento in cui si trovano e rivendicano la loro personalità di esseri viventi.
Alle mani bianche degli operai del primo (come pure del secondo) Novecento sono sostituite quelle nere del nuovo Millennio: mani atte a lavorare anch’esse e anch’esse sfruttate senza pietà, spremute ai limiti del possibile da un feroce meccanismo che da esse ricava ciò che può e che vuole e che poi le emargina e le accantona ai bordi dell’esistenza comune degli altri componenti della compagine sociale che subiscono certamente lo stesso sfruttamento ma spesso in maniera meno diretta e devastante, lasciando così loro l’illusione che il trattamento ad essi riservato sarà del tutto diverso e che con le “mani nere” essi non avranno mai niente a che fare.

2. Il lavoro e le sue facce molteplici

Il lavoro, dunque, si è visto, è al centro di quest’accorata raccolta di versi di Mosi.
Il poeta fiorentino non si concentra solo sullo sfruttamento e sull’angoscia che esso produce nelle sue vittime predestinate. Il lavoro è guardato  talvolta con la lente deformata del grottesco e della satira sociale. E’ il caso di Federigo, impiegato presso una ditta di pompe funebri, che accorre in mano il catalogo delle bare ogni volta che apprende dell’esistenza di un moribondo che sia un potenziale cliente. Il lavoro dell’infermiera dell’ospedale psichiatrico (quello ormai chiuso da qualche tempo di San Salvi) e quello dell’addetta alle pulizie in un vagone delle Ferrovie dello Stato (la donna telefona al suo fidanzato di aspettarla all’arrivo del treno, direttamente al binario dieci della stazione, in modo da avere più tempo per l’amore) sono visti con rispetto e, nel secondo caso, con un tocco di tenerezza e di sentimentale affezione.
Il lavoro è – anche secondo Mosi – la difficile conquista del Novecento che rischia di andare perduta nel nuovo Millennio e tornare a essere difficilmente raggiungibile (ed equamente remunerato) com’è accaduto nell’Ottocento dell’egemonia capitalistica e del trionfo della grande industria. Non avere lavoro o perderlo è ormai la grande paura di tutti i salariati e dei lavoratori dipendenti ed è giusto, quindi, che la poesia si faccia carico della natura profonda di questo problema così bruciante, così attuale.
Ma è lavoro anche l’attività artistica e, di conseguenza, il teatro. Mosi rinnova il suo interesse per l’opera lirica, ad esempio, e aggiunge alla raccolta un suo personale omaggio a Giuseppe Verdi:

«Emerge l’immagine:
comparsa in costume
vestito da frate, da principe
da soldato e da servo
sulle assi del palcoscenico.

Don Giovanni, Carmen
Lucia di Lammermour.
Maschere si affacciano,
personaggi vestiti di musica
danzano sulle cornici
bianche di calce,
scivolano in platea,
Carmen e Radames,
salgono nelle luci del palco
corrono tenendosi per mano
nel vortice delle note»


che suona anche come un omaggio dovuto alla fatica diuturna degli artisti e alla loro capacità di rendere la vita altrui talvolta più leggera e meno schiacciata dal dolore quotidiano di vivere.
Anche il mito classico partecipa di quest’atmosfera di cauta leggerezza, di deliberata sospensione del giudizio, di assonnata partecipazione a metà. Anche gli ieri di ieri sono fatti della stessa materia di cui sono costituiti quelli di oggi. Anche Ulisse e il suo nostos a Itaca:

«L’eroe raggiunge
la reggia nel sonno.
Penelope dorme stizzita
Arturo saluta, la coda ritta.
L’eroe guarda la posta,
dispone in ordine le armi
si distende sul letto,
il risveglio è vicino.

Ogni sera Ulisse
torna ad Itaca»

La poesia di Mosi, dunque, si distende tra i due poli (a lui consueti) del pathos duro e veemente della partecipazione e dell’ironica verifica degli stilemi di un passato divenuto eterno nell’immaginario collettivo. Tra mito e modernità, allora, si apre per lui lo spazio della poesia: uno spazio da riempire con la forza delle idee e delle soluzioni verbali.






domenica 27 ottobre 2019

La Strega di Baratti: poesia e cinema - "Navicello Etrusco" a San Cerbone


                                   La ricerca archeologica

Recenti ricerche archeologiche per individuare i resti della tomba di San Cerbone e della cattedrale sulle rive del golfo di Baratti, hanno fatto emergere,  presso l’attuale chiesetta di San Cerbone, un cimitero medievale con oltre trecento sepolcri: fra questi, due con i resti di due donne: l’una “segnata” da un sacchetto di diciassette dadi, gioco del diavolo, da osteria, infamante per una donna, forse messo nella tomba per indicare il mestiere di meretrice; l’altra, forse una strega, segnata da una serie di chiodi ricurvi nella bocca e da altri chiodi che la trafiggevano, per fissare corpo e spirito al terreno (La strega, Diciassette dadi). Una scoperta dunque che ci riporta a un’epoca denotata da riti magici e da una marginalizzazione della donna.
I disegni sono di Enrico Guerrini. Le poesie dalla raccolta "Navicello Etrusco.Peril maredi Piombino.







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La storia della strega di Baratti rivive e diventa un film
“Il Tirreno” 24 ottobre 2019
Le prime scene saranno girate nella rocca di Populonia nel weekend di Ognissanti. Si ricostruirà il caso della strana sepoltura della donna vissuta nel XIII secolo
24 OTTOBRE 2019
PIOMBINO. Rivive, a quindici anni dal ritrovamento nel cimitero medievale posto accanto alla fonte di San Cerbone nel Golfo di Baratti, la leggenda della presunta strega, sepolta in maniera molto singolare, accanto a un’altra donna misteriosa ritrovata con una manciata di dadi nella sua tomba.. Proprio a Baratti e nella rocca di Populonia saranno infatti girate, nel weekend di Ognissanti, le prime scene del film “La strega di Baratti” prodotto dall’associazione Spazio Tesla di Piacenza e diretto da Gianpaolo Saccomano, regista indipendente. Il film racconta, in parallelo temporale, la storia di due donne (una del medioevo e una dei nostri giorni) che si sentono in “risonanza” - connesse, come se esistesse un fil rouge che va al di là del tempo e dello spazio - e ricostruisce la possibile causa della strana sepoltura di questo personaggio femminile, vissuto forse nel XIII secolo e così temuto dalla popolazione da essere addirittura inchiodato e sepolto con una manciata di chiodi nella bocca, a pochi metri da quella che viene chiamata la “donna dei dadi”.

La troupe cinematografica girerà alcune suggestive scene in costume d’epoca, coadiuvata da attori e figuranti della compagnia del Teatro dell’Aglio di Piombino organizzati da Maurizio Canovaro all’interno di Populonia, sulla spiaggia e nel parco etrusco.

Le figure femminili ritrovate a San Cerbone, di cui si cercherà di ricostruire un possibile passato, costituiscono un enigma archeologico piuttosto raro e singolare per il territorio italiano e, probabilmente, furono vittime di superstizione e persecuzione da parte dell’Inquisizione, che le additò come “strega” e “prostituta”.

Attraverso questa storia per la quale si sono fatte alcune ipotesi, il film elabora alcune teorie sia sul concetto del tempo sia sul concetto dell’anima; argomenti sempre più attuali anche per la nuova valenza che la fisica moderna gli attribuisce, sia per il risvolto che la visione dell’anima sta dando anche al concetto di Medicina, Cura e Guarigione, punto centrale su cui l’associazione Spazio Tesla opera da anni. Nel film ci sono infatti due donne protagoniste, Lucilla nel passato (quella che è stata chiamata Strega di Baratti) e una moderna, una donna del Terzo Millennio che in qualche modo è legata alla donna del passato.

Quella medievale è una donna che per il tempo e le credenze popolari di allora poteva essere identificata appunto come “strega”, ma che viene interpretata dall’attrice Laura Groppi come guaritrice, esperta in medicamenti erboristici e cure alternative.

La donna dei nostri tempi è invece un medico affermato e come tale, fa ricerca anche sui nuovi concetti della medicina e della cura, ed è interpretata da Ornella Righi, un vero medico. Le riprese cinematografiche di questo progetto, che ha ricevuto il patrocinio del Comune di Piombino, hanno anche lo scopo non trascurabile di valorizzare un periodo piuttosto buio e poco conosciuto della storia locale, che è proprio quello medievale. —





mercoledì 23 ottobre 2019

Officina Proust - Marcel Proust e la cucina di Françoise - Wunderkammer

10 luglio 2011

140 anni  dalla nascita di Marcel Proust

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Roberto Mosi, pag 26

Wunderkammer 

Cucina avamposto
della casa dei Proust,
dalla tavola di marmo
decollano i piatti guarniti
serviti al ricevimento
in una nuvola di commenti,
l’eco delle voci
raggiunge la porta.

Cucina porto di sbarco,
la borsa della spesa
arriva da Les Halles
alla tavola di marmo,
freschezza del rombo
primizie della stagione,
scelte da Michelangelo
tra i marmi di Carrara.

Cucina impero
di Françoise, ordini alle forze
della natura arrivate in aiuto,
dirige l’orchestra
dei servitori,
accoglie solenne
i complimenti dell’Ambasciatore
per l’arrosto di bue
deposto su cristalli di gelatina.





Cucina miraggio
per la memoria della gola,
il sapore della lettura
mischiata al gusto dei sapori,
i lamponi del Signor Swann
la torta alle mandorle
la crema al cioccolato
l’impasto per la petite madeleine.



Cucina caleidoscopio
abitata dalla curiosità di Marcel
per l’arte di Françoise
per il manzo alla moda,
per il sapore inebriante del sugo
dopo tre ore di cottura,
ricco di bocconcini di carne:
le storie dei suoi personaggi.





Cucina crocevia
per i ricordi della mia cucina,
ventre della vita intorno
alla tavola di marmo,
abitata da storie e novelle,
da ospiti, piatti, tinozze per il bagno,
dalla mano del nonno
che protegge dagli spigoli.



Cucina museo,
al centro della fotografia
la trama lucida del marmo,
ai lati la dispensa
l’occhio spento dei fornelli
l’acquaio muto per sempre,
alle pareti lo scaldaletto
scaldavivande di rame
ombre della vita passata.






Cucina attesa
per la veglia di Céleste,
seduta alla tavola di marmo
in compagnia dei personaggi,
degli incontri di Marcel.
Il campanello dalla camera:
“Adesso glielo dico: stanotte
ho messo la parola fine”.
Grazie, Céleste Albaret.







giovedì 10 ottobre 2019

Marcel Proust e l'Antologia 2019 de LaRecherche.it


Presentata a Roma l’Antologia 2019 per Marcel Proust


È stata presentata domenica 22 settembre a Roma nel caratteristico locale “Pentatronic” del viale Sinigaglia, non lontano dall’Eur,

l’antologia “Una notte magica” de LaRecherche.it. Il volume è in forma cartacea, superando la tradizione decennale di affidare le antologie, che escono ogni anno sui temi proustiani nell’anniversario della nascita del grande scrittore (10 luglio), alla forma dell’e-book, nella collana Libri liberi. L’antologia proustiana 2019 – 250 pagine, divise per le ore della notte - contiene i contributi “magici” di 67 autori; la copertina è disegnata da Alessandra Magoga.



All’appuntamento romano, Anna Maria Curci ha conversato con i curatori della pubblicazione, Giuliano Brenna e Roberto Maggiani e con gli autori dell’antologia presenti all’incontro.
I due curatori hanno posto in risalto che “tra tutti i ricordi mondani, veri o fittizi, che videro Proust protagonista, di cui si continuò a chiacchierare a lungo anche dopo la sua scomparsa, ce n’è uno di cui solo pochissime persone sono a conoscenza. Proust invitò un gruppetto eterogeneo di amici e conoscenti ad un misterioso incontro in un padiglione nel fitto della vegetazione del Bois de Boulogne, a mezzanotte”. Quale fosse l’intento di tale invito non è dato sapere e quello che successe quella notte è andato ormai perduto, ma ognuno dei 67 autori presenti con i loro contributi nell’antologia, ha provato a immaginare gli stati d’animo dei partecipanti al misterioso convegno, in poesia, prosa e immagini.
Fra gli autori, oltre agli interventi dei due curatori, Agostino Spagnuolo, Franco Buffoni, Gabriella Maleti, Mariella Bettarini, Piero Stefanoni, Leopoldo Attolico, Maria Musik.

Personalmente, partecipo da dieci anni con i miei contributi poetici alle antologie proustiane, come riportano puntualmente i resoconti che “Literary” ha ripreso nella rubrica “Occhio all’autore”.


sono raccolti i miei contributi: anno 2011, La cucina di Proust; 2012, I campanili di Martinville; 2013, Il silenzio dipinto delle pagine; 2014, Il profumo del biancospino; 2015, La rosa d’argento. Cena all’Hotel Ritz; 2016, L’ansimare della locomotiva; 2017, L’erta dei Catinai. Iris per la Madonna dei Ricci; 2018, Opus Magistri Jocti. Più volte questi temi sono ripresi dai video presenti nella “Playlist Youtube Felicità”: in particolare, il video “Omaggio a Marcel Proustal Circolo La Casa di Dante” (Indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=tC2QhDG2NFY&list=PLKs0dokJPvpjRmTI67DjY7a_uDzyC9NEF&index=7&t=10s ).


 Nell’ultima antologia del 2019 sono presente con l’intervento “Sul fiume di notte”, del quale ho dato lettura nella sala del locale romano “Pentatronic”. Si tratta di un’ “avventura” su una  barca dei renaioli che solca le acque dell’Arno, illustrata da un testo poetico e da una serie di fotografie. Il motivo ispiratore: il viaggio immaginato dal protagonista della Recherche, a Firenze, l’incontro con l’arte di Giotto, con la suggestione del Ponte Vecchio, “le rive cosparse di giacinti e d’anemoni”.


Sul fiume di notte

La barca scivola al centro
del fiume foderato di notte,
la pertica affonda nell’acqua
spinta nel fondo dal barcaiolo.

Le braccia del Ponte Vecchio
si aprono illuminate di finestre,
la voce della guida s’infrange
nella volta di pietre dell’arcata.



Si compie l’incontro sognato
con la città di Giotto, per dono
il viaggio nella notte con gli amici
che intendono il respiro dell’Arte.

La barca taglia lo sfavillio
dei colori accesi dai fanali,
sfiora il cartiglio di marmo, la testa
di caprone, al Ponte a Santa Trinita.



Giacinti e anemoni sulle sponde,
si riflettono i palazzi nell’acqua,
s’immergono con gli occhi sgranati
verso di noi, fianco a fianco.

Nell’ombra scintillano d’emozione
gli sguardi degli amici, le sciarpe
di seta, i fiori della “Primavera”,
i tratti della “Madonna del Magnificat”.

Silenzio, la città è lontana,
sprofondata nel sonno, regala
la visione delle forme più nascoste
come un’amante addormentata.

Un colpo di pertica più deciso,
la barca si gira rapida, sulla via
del ritorno, l’“Estate” dal ponte
sembra sporgersi nel fiume

sullo sfondo la “Giustizia”
in piedi sulla colonna, vola
verso di noi, poi ritorna al suo
posto, la bilancia che oscilla.

Stringiamo le mani commossi
dal dono di queste visioni,
unisce il filo della memoria,
lo studio di Eltsir, le passeggiate.



Davanti all’arco sul Piazzale
degli Uffizi, la barca dirige
verso la riva, Palazzo Vecchio,
altissimo, ci viene incontro

la torre, corolla fiorita di luci.
Il barcaiolo solleva la pertica.
Guardiamo con sguardi nuovi
il fiume foderato di notte. 


Le fotografie – pubblicate nell’e-book "Una notte magica" , p. 108-109 (  https://www.larecherche.it/public/librolibero/Una_notte_magica_di_AaVv.pdf) riportano le immagini riprese dalla barca che scivola sulle acque dell’Arno “fasciate di notte”, fra le luci della città che si specchiano nel fiume.
Dopo “La notte magica”, quale sarà il motivo proustiano per l’antologia del prossimo anno? Basta attendere pochi mesi per il nuovo annuncio della Redazione de LaRecherche.it, per immergersi ancora una volta nel mare meraviglioso delle suggestioni del grande Romanzo francese.