mercoledì 30 agosto 2023

R. Mosi, ITINERA, Masso delle Fate - Ricordo di Piero Mencarelli , Flauto - E-book La Recherche

 



Società delle Belle Arti – Circolo degli Artisti

“Casa di Dante”, via S. Margherita 1 Firenze

 

Martedì 29 novembre, ore 17

In viaggio

Intrecci: poesia, immagini, musica

 

Viaggio in 6 tappe: Partire, Mare, Ground Zero, Deserti, Nord, Terre del Sud

Presenta Silvia Ranzi

Musica: Piero Mencarelli, flauto

Immagini di Andrea Mugnaini ed Enrico Guerrini

Letture: Giulia Capone Braga, Roberto Mosi

 

Percorsi dal libro di poesie “Itinera” di R.Mosi, Masso delle Fate 2007;

dall’ eBook:“Itinera, www.laRecherche.it (Libri Liberi,n.48, free, 2010)

______

 

1°quadro: Partire

JohannChristian Bach, Sonata in sol maggiore. Allegro moderato.

Poesie: La corte, La città luna, Movimento

2°quadro: Mare

MauriceRavel, Habanera

Poesie: Le isole di Omero, Capo Palinuro, Cento riflessi

3°quadro: GroundZero

LucianoBerio, Sequenza

Poesie: Ground Zero, Ode Marittima (Barbara Pumhoesel)

4°quadro: Deserti

G. Bizet – F. Borne, Carmen Fantasie. Habanera

Poesie: La città dispensa, Petra, Aqaba, Cinque coppe di cristallo

5°quadro: Nord

ClaudeBolling, Sentimentale

Poesie: Capo Nord, Canto del Nord, Copenhagen

6°quadro:Terre del Sud

Poesie: Esili ponti, Cordoba

G. Bizet –F. Borne, Carmen Fantasie. Chanson de Bohème.



         Prefazione

 

I viaggi di ogni tempo iniziano

dalla corte della mia infanzia

 

    Il titolo “Itinera” rivela l’intima struttura di una parabola lirica che abbraccia la dimensione del “sogno”, ’antidoto invocato dall’incontaminata età dell’infanzia per mantenere viva quella speranza che permette al poeta di credere nel cambiamento e disinquinare una società complessa e caotica dai profili consumistici fagocitanti, dalle profonde solitudini individuali, dallo spettro di guerre incombenti all’orizzonte.

    Messa da parte la pratica del linguaggio referenziale, dopo una lunga attività di Funzionario nell’Amministrazione Pubblica, Roberto Mosi riscopre “l’esercizio” della scrittura quale esperienza “iniziatica” per dare libero sfogo alla facoltà creativa, affidandosi alle parole per rivestire le emozioni sul piano fonico e semantico nel gioco allusivo di segrete analogie.

    Nell’avvicendarsi di passato-presente-futuro si dipana la preziosa dinamica dei componimenti poetici in una poliedrica varietà di “occasioni esistenziali”, da cui emerge il profilo di una personalità che intende superare i limiti del reale verso una completezza della propria identità, nella dimensione incoercibile del “Viaggio”:  

                                            Ho fatto parte di un popolo                      

migrante sui treni

sopravvissuto alla guerra

alla scoperta di città rinate

 

    “Peregrinare”, come dimensione dell’esistenza “in fieri”, non per mania di evasione, né per dimenticare, ma per conoscersi nel confronto con l’ambiente circostante vicino o lontano, passato o presente, purchè viva nel ricordo, assaporandolo come parte di noi.

    Incondizionata è l’affezione per la propria terra, la Toscana, nei suoi felici segmenti di vita campestre; con predilezione per Firenze, le piazze cittadine, le antiche vestigia di un passato glorioso, “Città cupola”, vertice armonico e prospettico nella verdeggiante valle coronata da dolci colline. Irrinunciabili i soggiorni estivi nella tersa solarità del litorale Versiliese, cullati dal mare al cospetto delle solenni Alpi Apuane.

    Cadenzato è il delinearsi di un filone lirico trasversale, di ascendenza “Calviniana”, in cui si configura l’estro icastico di conferire “denominazioni metaforiche” alla fisionomia di città nel loro tessuto territoriale, ambientale, commerciale: insediamenti dell’abitare, luoghi di incontro, di scambio morale e culturale, cari per soggiorni abituali o visionati attraverso soste turistiche: “La città piazza”, “La città nave”, “La città porto”, “La città luna”, “La città dispensa”.

    Preziosa per connotazioni visive è la sezione dedicata ad affascinanti viaggi nel Vicino-Oriente, in cui si alternano trasalimenti estatici a momenti di richiamo alla cruda realtà: dalla Tunisia meridionale, nella regione sahariana al confine con

l’Algeria, fino al porto d’Aquaba sul Mar Rosso, crocevia di popoli confinanti e nemici:

L’acqua è torbida nel mare

di Aqaba, attraversata

da grigie navi da guerra

 

    A contatto con queste civiltà esotiche, diverse per etnia, di fronte ad economie di sussistenza, esplorando entroterra montuosi con villaggi alveari dal fascino arcano, il poeta alimenta la sua esperienza umana e riscopre un salutare respiro d’infinito dinnanzi alla vastità della zona desertica con le sue spettacolari volte stellate:

Nella notte di stelle disteso

sulla stuoia, mi sento felice

vicino al cuore della terra

 

    Una parentesi di italianità mediterranea il soggiorno in Basilicata, l’antica Lucania, visitando paesi situati sulle pendici del Monte Sirino nella valle del fiume Noce, foriero di nuovi incontri nella cornice di un’anedottica del peregrinare, avvicinando usi, costumi e problemi di integrazione sociale.

A chiusura della Raccolta, si spalancano i vertiginosi scenari di Capo Nord, in Lapponia, ai confini del mondo dove il sole tramonta a mezzanotte, in cui il poeta avverte la sproporzione tra la consapevolezza della precarietà dell’esistenza umana e l’esigenza di eternità insondabile: /una fredda paura m’invade/….

    Lo smarrimento si attenua a contatto con il popolo “Sami” che conserva le ascendenze dell’antica spiritualità sciamanica, il cui fascino ridimensiona la sofferenza individuale in partecipazione cosmica:

 

Nel viaggio raccolgo

i dolori del mondo…

nel viaggio raccolgo

 le speranze del mondo

 

... per non rinunciare ad inseguire  /sogni iridati di pace/.

    Stupore, malinconia, fertilità di immagini, sentimento individuale e corale connotano il linguaggio poetico di Roberto Mosi in un ritmo lirico limpido, lineare e simbolico, aderente e travalicante il vero: disamina incisiva dei moti interiori, rituale nella rimembranza, ironico e riflessivo quando entrano in gioco tematiche sociali dell’etica quotidiana nelle contraddizioni dell’oggi, ma costantemente aperto alla possibilità di rendere “ideale” l’utopia attraverso “il sogno”.

                                                             

                                                                           Silvia Ranzi

  

ITINERA


                    La partenza

 

La corte

 

I viaggi di ogni tempo iniziano

dalla corte della mia infanzia

magico quadrato di terra tra case

cadenti, chiuso da un cancello

di ferro aperto sul mondo.

 

Nel magico quadrato si scioglie

il racconto dei viaggi: affiorano

per primi i ricordi dei padri

di ritorno dalle guerre sofferte

in ogni parte  del mondo.

 

Il racconto infinito si confonde

con i miti, le scoperte di Ulisse,

le spedizioni nel Bengala, all’isola

di Mompracem. Nella scatola

da scarpe, cartoline e foto sgualcite. 

 

Con la scatola dei sogni in mano

ho superato il cancello di ferro.


 

martedì 29 agosto 2023

Giuseppe Panella "La rivolta degli uccelli migratori" - La prefazione al libro di R. M. "L'invasione degli storni", Gazebo Edizione

 


Giuseppe Panella

La rivolta degli uccelli migratori

«Nell’aria viola del tramonto egli guarda affiorare da una parte del cielo un pulviscolo minutissimo, una nuvola d’ali che volano. S’accorge che sono migliaia e migliaia: la cupola del cielo ne è invasa. Quella che fin qui gli era sembrata un’immensità tranquilla e vuota si rivela tutta percorsa da presenze rapidissime e leggere. Rassicurante visione, il passaggio degli uccelli migratori, associato nella nostra memoria ancestrale all’armonico succedersi delle stagioni; invece il signor Palomar sente come un senso di apprensione. Sarà perché questo affollarsi del cielo ci ricorda che l’equilibrio della natura è perduto? O perché il nostro senso d’insicurezza proietta dovunque minacce di catastrofe?»

E’ da questo spunto narrativo di Italo Calvino contenuto in Palomar del 1983[1] che Mosi fa partire il suo nuovo libro di poesie che segue le raccolte Luoghi del Mito (che è del 2010) e Nonluoghi (che è, invece, del 2009). Alla ricostruzione di aspetti particolari del mondo animale si associa il ritorno alla dimensione “modernizzata” del mondo mitico che contraddistingueva il precedente scritto di Mosi e l’indagine sulla “de-localizzazione” della poesia che, invece, era presente nei Nonluoghi ancora prima. In sostanza, con L’invasione degli storni si va precisando una sorta di deliberata trilogia poetica. In essa, alla descrizione di un mondo contemporaneo ormai degradato e senza centro, spesso incapace o inadeguato a prendere in considerazione la necessità di un cambiamento che lo conduca verso una dimensione più armonica della condizione umana (i Nonluoghi), si giustappone il ricordo del passato mitico dell’archetipo, l’uomo di sempre, quello che ha ancora in sé la possibilità di ritrovarsi e di impedire la distruzione del suo equilibrio interno in relazione alla natura (i Luoghi del mito). Nel nuovo libro, infine, è la Natura in scena con tutte le sue voci e con tutte le sue espressioni spesso mute ma non per questo meno espressive e capaci di mostrare il loro vero volto. E’ quello che accade della parte iniziale dell’Invasione degli storni dove allaValle dell’Inferno, luogo poetico e soprattutto campaniano per eccellenza, si aggiungono la Via del Purgatorio e il Nuovo Cinema Paradiso. Tre momenti in cui tra uomo e natura si crea un conflitto, si approfondisce e poi, forse utopisticamente e un po’ idillicamente, si risolve in una nuova alleanza. Nell’Inferno della radura del Mugello gli animali dimostrano tutta la loro perplessità circa il destino dell’uomo così come Gabriella, musa ispiratrice e novella Beatrice, indica la via:

«La cornacchia sfoglia / le pagine, scuote la testa / mi spinge fuori dalla valle. / La cascata sbarra il sentiero / l’acqua scende fragorosa. / Salto tra le onde, sui massi / in cerca della via d’uscita. / Scopro la grotta oltre il salto / dell’acqua, Gabriella mi porge / la mano: “Dopo la valle / scoprirai il tempo dell’Attesa”»[2].

Nella Valle dell’Inferno il solo soccorso di Dino Campana non basta: la Follia è già dentro l’uomo e lo rinserra nella sua morsa. Nel luogo in cui la Natura dovrebbe trionfare e decomporre la Storia ormai decotta dalle sue stesse contraddizioni di sempre, emergono i frammenti e gli spezzoni dell’ uomo contemporaneo a contaminarla. Al posto dell’armonia del passato e della ricomposizione delle contraddizioni del presente, predominano le scaglie e i frantumi della civilizzazione presente che distrugge e inquina, invece che purificare separando ciò che dura da ciò che deve essere distrutto, ciò che è fatto per servire da quello che è puro prodotto del profitto. L’Inferno è dunque questo, l’Indistinto, il luogo nel quale tutto è mescolato e il puro è tratto nel gorgo dell’impuro:

«Congestione di rifiuti urbani / nelle discariche a cielo aperto, / i topi si tengono per la coda / fanno festa gabbiani in volo / gatti impigriti dal grasso. / Ogni rifiuto giunge alla meta / differenziato per contenitore, / la Coscienza divide i rifiuti. / Umido organico: scarti / di cucina, erbe del prato. / Carta e cartone: giornali, / libri, fumetti, quaderni. / Plastica: bottiglie d’acqua, / involucri, piatti, sacchetti / Vetro: vasetti, brocche, / specchi, lampade, bicchieri. / Mondo virtuale: baci, amore, / passione, sentimento, emozione»[3].

Il tema della discarica come non luogo della postmodernità ricompare anche per attrazione nell’ultima parte del libro (nella sezione Periferie che già apparteneva ai Nonluoghi precedenti[4]) ed è un tema ormai topico nella disincantata metamorfosi del contemporaneo che allinea ironia e pathos nella scrittura matura di Mosi. Ma qui ha funzione eminentemente simbolica: i rifiuti sono ciò che appesantisce l’uomo e gli impedisce di essere ciò che vuole essere davvero, legato, com’è, alla “virtualità” dell’esistenza affettiva ed emozionale. L’Inferno è dunque il non luogo del consumo e della minaccia, della disarmonia tra la realtà sognata e il progetto globale che la nega in nome di una smodata e forsennata corsa al profitto: dunque, la negazione di una vita armoniosa. autentica.

Il Purgatorio è una Sala d’Attesa dove si scontano i peccati sotto forma di malattia. Il luogo della sofferenza, della ricerca di una guarigione che si fa aspettare infliggendo sofferenza e disagio a chi ne è la vittima spesso incolpevole, spesso inconsapevole, sempre timorosa e schiacciata dal male:

«Nella Sala d’Attesa l’odore / dell’alcol, il battito del tamburo / la pelle secca della lingua. / Folla nella Sala d’Attesa / la porta aperta sul Reparto, / il gioco degli scacchi, / per pedine la vita e la morte. / Passi sulla sabbia tra miraggi / evanescenti, il Tumore / tesse il tempo dell’Attesa. / Il maglio colpisce la facciata / abbatte la parete di rosso / un boato invade l’ospedale. / Tra le gru e le escavatrici / sopravvive solo il Reparto»[5].

Ed è nel Reparto che si consuma l’Attesa fatta di squallore, sofferenza, assenza; tra le sue mura fatte di gesso e di lacrime si cerca se stessi e ci si accinge a rinnovare la propria dimensione più profonda per essere di nuovo capaci di vivere e di giungere a quel Paradiso fatto di illusioni e di felicità che è la Fabbrica dei Sogni. Nel Reparto incombe il Ragno che tesse la tela del destino, che scandisce il passare del tempo, che annota e trattiene i passi di chi vorrebbe fuggirne ma non può. Chi ci riesce, infine, si slancia alla ricerca di qualcosa che prima, nel Reparto, gli era stato negato e che solo ora prende consistenza – ed è “la materia di cui sono fatti i sogni”:

”Suona la mia canzone, / Sam. Come a quel tempo”. / Implora dallo schermo, / lo sguardo di Ingrid, vago il suo sorriso. / “Canta: As Time Goes By”. / Ripeto le sue parole, / seguo Gabriella nel film. / Sono alle spalle di Bogart / sulla pista dell’aeroporto, / sento le parole dell’addio. // La mia mano non stringe / Gabriella, la poltrona è vuota»[6].

La vita è fatta di illusioni e di sogni proiettati su un telone che si illumina della gioia immensa dell’immedesimazione con l’altra faccia della Luna. Il Paradiso è perdersi in essa e ritrovarsi dall’altra parte. Mosi prova a raccontarci come è andato il suo viaggio dall’Inferno al Paradiso, dal mare dell’immondizia allo schermo translucido della coscienza: la sua poesia è tutta qui, resa immobile e, pur tuttavia, agitata dalla forza del desiderio di volare. Quando ci riesce, allora, si “illumina d’immenso”.

Note

[1] I. CALVINO, Palomar, con una presentazione dell’autore, Milano, Mondadori, 19942, p. 64.

[2] R. MOSI, L’invasione degli storni, p. 1.

[3] R. MOSI, L’invasione degli storni, p. 9.

[4] “Discariche di squallore / sotto i ponti dell’autostrada / vicini alla città, fulgore d’immagini, / di colori spruzzati sui piloni. // Attraversoo correndo la sera, / verso la campagna. / Graffiti mi accolgono in galleria, / parlano ogni volta / del fantastico creatore. // Ieri da una collina in rosa / mi ha salutato la pecora Dolly, / di fronte il gregge assorto / delle pecore normali, / al centro l’albero della vita / per frutti televisori / missili e computer“ (R. MOSI, L’invasione degli storni, pp. 55-56).

[5] R. MOSI, L’invasione degli storni, p. 13.

[6] R. MOSI, L’invasione degli storni, p. 20.

Materiale

giovedì 24 agosto 2023

"Concerto per Flora", Roberto Mosi, in "Concerto" , Gazebo

 



CONCERTO PER FLORA, Roberto Mosi


 

 

 

I. “La Primavera

(Sandro Botticelli)

 

Flora

 

 

Flora esce sorridendo dal bosco

sparge rose raccolte nel grembo,

nel volto il sorriso di Fiorenza.

 

Zefiro, le gote gonfie, afferra Clori,

il vento s’ingorga nei pepli

li increspa, un turbinio di stoffe.

 

Sul prato un tappeto di fiori,

Venere muove passi di danza

saluta l’arrivo della primavera.

 

Mercurio nel bosco d’aranci,

in vesti da guerra, alza il caduceo,

due feroci serpenti avvinghiati.

 

Trafigge la nube della discordia,

mostra la pace. La tempesta

vola via dalle terre di Fiorenza.


 

 

 

 Fiorire  

 

 

“Ben arrivato”,  Flora mi saluta

porgendo una rosa. “Sandro mi ha fatto

il trucco per ricevere i visitatori.”

 

 “La notte usciamo dai quadri

con Venere e Mercurio. Arriva a noi

il profumo del fiume, dei forni”

 

Non riposate durante la notte? 

Oggi c’è bisogno di bellezza,

di simboli sereni del bello.

 

 

Quando il mattino suona dalla Torre

arrivano i nostri padri, i pennelli

ricompongono le vesti, i volti.”

 

Che i padri restino tra noi,

l’arte fecondi i nostri tempi,

rinascano i gigli del Rinascimento.

 

“Le ombre tra le ombre! L’arte

segua la cadenza dei tempi

sulle esili tracce dell’utopia”.


 

 

 

 

 

Fiorenza

 

 

Attraverso le piazze cammino

per le vie, cerco pagine di storia.

Per segnalibro la bellezza.

 

Cupola, rossa corolla al centro,

slancio degli embrici, dei costoni.

S’innalza, segno dell’armonia.

 

 

 

 

Colori, l’argento della pietra forte,

l’oro della pietra serena, il bianco

della calce, il rosso dei tetti.

 

Poesia, Shelley alla Fonte del Narciso

i Futuristi alle Giubbe Rosse e Montale

e Campana. Dante per ogni dove.


 

 

II.  Tredici tempere su tela

 ( Vinicio Berti)

Tosca

Tosca, cerco i fiori del bello

in periferia al calore delle utopie,

fiori rossi degli anni pari e dispari.

 

“Alla Società di Mutuo Soccorso,

dopo l’arrivo dell’ultimo volo

quando cessa ogni rumore.”

 

Nei quadri alle pareti  Vinicio

racconta  la storia di Peretola,

sui tavoli lattine di Coca Cola.

 

Longarine, tavole da cantiere

si spingono in alto: lo slancio

della Cupola, della nuova società. 

 

Macchie di colore, rosso, nero

giallo, azzurro, la tavolozza

di Botticelli. Lievitano storie.

 

Marcia  il Quarto Stato, Tosca

in prima fila, il bambino in braccio.

Facce sul fondo, formano un popolo.


 

 

 Trame

 

 

Escono dai quadri dietro le torce

dei vigilanti, nei supermercati,

tra le ombre delle fabbriche.

 

“Lo sciopero delle trecciaiole.

Mi distesi sulle rotaie.” Tosca ricorda:

“La cavalleria attaccò nella piazza.”

 

Remo al villino presso la  stazione:

“Chiusi il cancello, partii per la guerra.

Lo riaprii, con me la tubercolosi.”

 

 

Cesare porta gli amici alla barca

da renaiolo sull’Arno: “Dall’alba

al tramonto per un pezzo di pane.”

 

All’alba i primi voli, le sirene.

Alla Casa del Popolo Tosca e gli altri

prendono posto nei quadri di Vinicio.


 

 

 

Tracce 

 

 

 

“Il primo tra i vini quello di Brozzi,

il miglior che un cristiano ingozzi”

dice Bacco: “Sa di botte e marcorella.”

 

Il primo a volare Zoroastro da Peretola:

le ali di Leonardo, si lanciò nel vuoto

la gamba rotta, la gloria eterna.

 

Il primo navigatore Amerigo Vespucci.

mise le navi nel Fosso Macinante,

poi il nome al nuovo continente.

 

Il primo a Benevento il Gobbo di Peretola,

tornò con due gobbe, una davanti

e una di dietro. Lo sfregio delle streghe.


 

 III. “Nascita di Venere”

(Sandro Botticelli)

 

 Venere

 

 

Venere solca le onde del mare

verso la terraferma. Rinnoverà

alla terra di Toscana i doni dell’amore.

 

Il volto reclinato, copre con la destra

un seno, con l’altra preme sul pube

la ciocca  lunga dei capelli biondi.

 

Sulla riva frastagliata di spiagge,

un tappeto erboso:  Carite dispiega

 un mantello di pianticelle fiorite.

 

Fiorenza attende Venere. Sarà

annunziata dalle onde del fiume

che scherzano ai piedi del ponte.

 

 


 

 

 

Vedute 

 

 

 

 

“Mi affaccio dalle finestre affrescate.”

Le immagini di Venere sul telone

del palazzo in costruzione.

 

“Corro in Boboli tra gli ippocastani.”

Maglietta bianca, la cuffia  dell’i-pod,

l’immagine nella vasca del Nettuno.

 

“Ondeggio nella sfilata del Piazzale.”

Il vestito rosso di Armani, lampi

di flash tra due nubi di applausi.

 

“Con gli amici a Santo Spirito”.

Birra, un pitbull al guinzaglio,

sul braccio il tatuaggio LOVE LOVE.

 

“Lancio baci ai viandanti della notte”

 al finestrino della vettura del tram.

Attraversa la città addormentata.

 


 

 

 

Visione

 

 

Venere spinta dai venti giunge alla riva

ai piedi della Galleria degli Uffizi, dove

un tempo sorgeva il porto romano.

 

Tosca in disparte dal Ponte Vecchio

osserva l’arrivo di una nuova stagione,

assapora il profumo della primavera.

 

Flora accoglie la dea, la coperta

di gigli fra le braccia. Mano

nella mano salgono agli Uffizi.

 

L’Alba si annuncia, c’è il tempo

per una danza, per invitare Mercurio

al rito per un nuovo Rinascimento.

 

 

ROBERTO MOSI

“CONCERTO” per  FLORA

Silvia Ranzi

Roberto Mosi, poeta e fotografo, affascinato dall’ interdipendenza fra le Arti, ha di recente pubblicato la Raccolta poetica “Concerto”  in cui il materiale poetico viene orchestrato secondo una pluralità di partiture: i frammenti lirici del vissuto interpretano una sonorità semantica e fonosimbolica che si avvale di suites linguistiche ora vivaci, ora andanti, ora riflessive in adagi. Il testo risulta composito per la struttura polifonica  del verseggiare che si avvale di tempi stagionali metaforici nell’alternanza di ritmi interni tra vita attiva e contemplativa. Le strofe vengono accorpate per temi nel pentagramma del vivere con accenti introspettivi ed istanze etico-sociali. Tra attività diurna e notturna / nella polvere del giorno/ si affaccia, a sanare le contraddizioni, il riscatto del Mito nel rinvigorirsi della consapevolezza di un passato da riscoprire, un presente da sostenere verso un futuro da ricostruire nel miraggio dell’utopia solidale.L’andamento ora allegro, ora meditativo della ferialità si impenna nella riproposizione della bellezza come ideale che si incarna nelle Arti figurative di un glorioso passato da ammirare: la Firenze Medicea in cui il Neoplatonismo, filtrato da Marsilio Ficino, trovava il suo corrispettivo allegorico nell’Arte del Botticelli. Nella sezione a preludio “Sinfonia per Populonia”- sito archeologico prominente il Golfo di Baratti - il poeta riesuma le antiche origini etrusche della Toscana, evocando la fase aurorale del Mito nella fase italica, cui consegue la celebrazione del Mito umanistico del fecondo Rinascimento nella dialettica della memoria storica con le dinamiche inquiete del presente: l’arte fecondi / la sterilità dei tempi… inseguendo / le esili tracce dell’utopia.  --   Oggi c’è bisogno/ di bellezza, di simboli / sereni del bello.

Il  CONCERTO PER FLORA, nel cuore  pulsante della Silloge,  è dedicato alla  figura mitica della Ninfa Flora che richiama l’antico appellativo della città di Firenze, “Florentia”, cantata attraverso una serie di liriche coreograficamente concepite che ruotano attorno ai noti capolavori “la Primavera” e “ La nascita Di Venere”, rifacendosi alle tesi di Cristina Acidini Luchinat - “Botticelli. Allegorie mitologiche”, Electa, 2001 - che mette in campo una chiave di lettura storica sul piano iconologico.

Le iconografie, ispirate alla poesia di Agnolo Poliziano “Stanze per la Giostra di Giuliano”, incarnano la celebrazione della rinnovata fioritura di Firenze “nell’eterna primavera ristabilita dai Medici” grazie alla pace riconquistata dall’abile politica diplomatica del Magnifico che riuscì a porre fine ai due anni di guerra con Ferdinando d’Aragona e di interdetto papale dopo la congiura dei Pazzi, personificata da Mercurio, raffigurato con i calzari alati mentre caccia le nubi con il bastone o“caducéo”( due serpenti avvinghiati: simbolo, nella tradizione del Dio Eusculapio, di concordia, unione e pace).

Le  figure allungate e flessuose - Venere dea dell’Amore casto e generatore vicino ad un cespuglio di mirto a lei sacro; Cupido che scocca una freccia verso le tre Grazie ( le facoltà spirituali dell’humanitas); Zefiro, il vento che introduce la primavera, rapisce la ninfa Clori dalla cui bocca fuoriescono tralci di fiori; Flora, personificazione di Firenze, divinità giovane e feconda protettrice dei lavori agricoli e della fertilità femminile, prende fiori dal lembo della veste sul suo grembo - si muovono al passo di una danza che si staglia in un hortus conclusus: spazio ideale, dove tutto è armonia di forme e sentimenti.

La stessa“ Nascita di Venere “ su una conchiglia dalla spuma del mare è simbolo dell’Amore divino riservato agli spiriti eletti, simbolo della purezza e dello splendore dell’anima per cui  i due Zefiri ( figure intrecciate nella coppa Farnese) la sospingono verso terra dove l’attende Flora, Firenze, per coprirla con un ricco manto….                     

  Rinnoverà alla felice/ terra di Toscana/ i doni dell’amore

Dall’itinerario rinascimentale i frammenti lirici si ricollegano a tempi più recenti per ritrovare e tessere / il filo della memoria/ nelle parole rimembranti del poeta: Il suono della poesia. / Shelley alla Fonte del Narciso,/ i Futuristi alle Giubbe Rosse, Montale all’antico Istituto,/ Campana a S.Salvi. Dante per ogni dove./

Lo stesso omaggio alle “Tredici tempere su tela” di Vinicio Berti, (artista esponente dell’ Astrattismo classico fiorentino anni Sessanta ), donate alla storica Società di Mutuo Soccorso di Peretola ed esposte nella Casa del Popolo a Firenze - II° tempo del Concerto per Flora, denominato “Tesori”- si inarca nel Mito odierno del travaglio storico del dopoguerra. La gestualità astraente tra Cubismo e Futurismo genera trame segniche dalle verticalità ascensionali costruttive ed energiche (Manifesto della “Morfologia costruttiva” 1972) che ricostruiscono la fisionomia storica dell’antico borgo e ne interpretano il sostrato mitico popolare: dagli episodi della Resistenza antifascista di Liberazione-Ricostruzione alla rivisitazione di racconti e leggende legate al territorio nella definizione dell’identità di un popolo in cammino, cui fanno  da controcanto i versi che liberano l’idea di spazialità e progettualità dell’architettura brunelleschiana: Longarine e ganasce, /tavole di cantiere/ si spingono in alto. Lo slancio della cupola,/ delle idee in fermento/ per la nuova società. … nel segno di una auspicata Primavera di ideali.