domenica 30 dicembre 2018

La rivista "Erba d'Arno" e gli "altiforni spenti"


Rivista “Erba d’Arno” n. 154 del 2018, pag 136

Recensione Aldemaro Toni

ROBERTO MOSI, Navicello etrusco. Per il mare di Piombino.Prefazione di Fabio Strinati, Edizioni Il Foglio poesia, Piombino 2018, euro 10.00

Il Navicello percorre, sospinto dai venti della costa, il tratto di mare dal golfo di Baratti al promontorio dell’attuale città di Piombino, alle spiagge del golfo di Follonica, sempre al cospetto dell’isola d’Elba. Attraversa poi sotto il nostro sguardo curioso le acque, per lo più tempestose, della storia


che separano il mondo degli etruschi dai nostri giorni pieni di ansie e di sconfitte, dall’alto dei quali ci rivolgiamo indietro per porre domande al mondo delle nostre origini … 





E’ lo stesso Mosi a darci le coordinate del viaggio, l’itinerario delle sue evocative, naturali, e nello stesso tempo, colte poesie. Con un senso dell’alternarsi di stagioni, della decadenza dopo lo splendore, ma della vita anche e della storia che vanno aventi. Il mondo etrusco, quello romano, i barbari, Napoleone all’Elba 

e la torre di guardia di Populonia: in cui giovani ciechi stavano attenti ai rumori degli aerei che andavano a bombardare Firenze (Aerei su Populonia):

Un cartello sugli spalti:
la rocca centro d’avvistamento
per l’arrivo dei bombardieri nemici.
Populonia sulla rotta verso
Firenze: all’erta in quei
giorni sugli spalti, giovani
ciechi, l’orecchio teso,
le mani pronte sul trasmettitore.
Stringo le mani di Anna.
Brividi freddi. Come sarà
stato il mare il 25 settembre
nel terzo anno di guerra,
il giorno delle bombe su Firenze?
Conosco l’ululare delle sirene
il rumore degli aerei, lo scoppio
delle bombe alla Porta del Prato,
alla stazione del Campo di Marte:
le mani strette al panierino, la corsa
al rifugio fra le macerie bianche
delle case abbattute.
Invano giovani ciechi avevano
avvertito la città dell’arrivo della morte.

















Fino agli altiforni spenti di Piombino e la Sterpaia limitrofa a cui – contraddizione – giova la tregua e aiuta ai margini dei canali la biodiversità … e il “Nano verde” e gli ombrelloni e le onde di un mare che nei secoli ha visto e vede, e vitale è di attese e bellezza (La Sterpaia)

Il falò illumina il bambino 
la mamma, Maria, giunti dalla Palestina
su un barcone di migranti.
Intorno il villaggio di sabbia
il disegno di strade e capanne
di animali in cammino
nel profumo di alghe e conchiglie
di pini e macchie sempre verdi.
Lontano le luci affacciate
sul golfo, stelle comete il volo
degli aerei in arrivo da oriente.
Spente le fiamme dell’alto forno…
Dal largo del mare le orate
guardano stranite, costrette
nelle vasche d’allevamento
sospese sul gelo delle acque.
Il Nano Verde, la giacca
sonante di sonagli
batte le mani e sorride
dalla cima dei pini.









sabato 29 dicembre 2018

"Una follia splendida": Annalisa Macchia commenta "Esercizi di volo", Europa Ed. - R. Mosi


“Erba d’Arno”, Rivista Trimestrale Autunno 2018, n 154, pagg. 126-127, 
Recensione di Annalisa Macchia
Una follia splendida:“Esercizi di volo”




ROBERTO MOSI, Esercizi di volo, Roma, Europa Edizioni, 2016, p. 96, euro 13.90, Libreria Salvemini, Firenze

"Chi conosce Roberto Mosi, la sua vasta cultura orientata in vari settori dell’arte e il suo grande impegno speso per diffonderla, segni inequivocabili di una mente rigorosa e aperta, stenterà a ritrovare nello strampalato e tormentato personaggio principale di quest’opera, un suo riconosciuto alter ego.
Ricorrendo a una terapeutica scrittura, suggerita da un’analista per vincere le sue ossessioni, questo personaggio dà il via a uno stravagante e interessante mondo interiore, gradualmente formando la vera storia di questo libro, tutta incentrata sulla celebrazione della “Follia”, il cuore centrale e pulsante del racconto.

Fin dall’inizio ci troviamo così coinvolti in un vortice tumultuoso, depositati a ogni capitolo in territori abitati da luoghi e personaggi oltre le righe, come ogni Follia che si rispetti comanda, ma dotati di incredibile fascino, di una sostanza liberatoria e talmente deliziosa che anche i crimini che visi compiono a suo nome non spaventano, anzi attraggono e intrigano. Una sarabanda di fantastiche e pittoresche figure dà vita a questa scrittura, che sarebbe limitato confinare nella definizione “racconto”, poiché si sviluppa su una molteplicità di piani narrativi e, in misura non indifferente, anche quelli della fiaba e della favola. Parole, queste ultime, erroneamente e troppo di frequente scambiate per sinonimi, in realtà differenti per modalità, luoghi e personaggi. Se la fiaba mette in scena storie senza tempo né luogo in cui i personaggi sono solitamente rappresentati da uomini e donne, la favola, di genere più giocoso, ha spesso per protagonisti gli animali, alle prese talvolta con situazioni paradossali. In forma scherzosa e ironica vuole trasmettere insegnamenti e ammonimenti utili alla società.
Questo lungo racconto Esercizi di volo, o comunque lo si voglia definire, mette efficacemente in risalto una follia splendida e desiderabile, seppure costretta a misurarsi con una più problematica e difficile realtà. Roberto Mosi gioca proprio su questa alternanza, sul continuo confronto, sul ricorrente anelare al perfetto e gioioso stato della follia fino al raggiungimento dei miti estremi della stessa, poiché sembra assicurare ogni felicità a che lo abbraccia.
La storia si svolge fra le montagne di Bolzano. Gli abitanti sono in procinto di celebrare la grande festa della Follia, con riferimento alle reali feste che intorno a Ferragosto, si svolgono in questa zona, tra il Castello e la Stazione di Salorno. Oltre al luogo geografico, descritto con gli occhi appassionati di chi bene conosce e ama la montagna e, forse, questi luoghi in particolare, di attinente al reale c’è però ben poco di altro nel libro.

Tra i personaggi che si alternano e si accavallano, spiccano figure ispirate a uomini e donne famosi, alcune ben conosciute dall’autore, come la sorella di Napoleone, Elisa Baciocchi. Si fa allusione a grandi pensatori, a cominciare da Erasmo da Rotterdam e al suo Elogio della Follia, saggio dedicato all’amico Tommaso Moro, nato con intenzioni di divertissement ma lucido nel colpire i costumi dell’epoca. Immancabile l’accenno a poeti come Dino Campana, a letterati illustri come Rabelais, Cervantes, Ariosto, autori di creature e opere indimenticabili, più vere della realtà stessa nel loro fantastico, folle territorio e, naturalmente, non mancano musicisti e artisti. Tutti quanti legati in qualche modo al filo di una follia che potremmo definire “creativa”, capace di ispirare e produrre grandi capolavori.
Altri personaggi, invece, prendono inaspettatamente vita dal mondo animale e da quello inanimato, ma, proprio come accade nelle migliori fiabe e favole, interagiscono con grande naturalezza con quelli umani. Turri quanti tesi e uniti nell’unico obiettivo di celebrare al meglio la prevista Festa della Follia.
Il fragile e ossessionato alter ego dell’autore, assegnato o, meglio, rassegnato alle cure di un essere ancora più fragile di lui, si trova inaspettatamente avviato alla meravigliosa scoperta della scrittura, fantastico volo della mente, e salutare alternativa al suo più pericoloso impulso di volare gettandosi nel vuoto. Sarà utile per la guarigione il suggerimento dell’analista? 
Lascio il nostro Icaro alle prese con il terribile sole della sua (e nostra) società, intorpidita da un’inflazione di paure, soffocate da farmaci e ansiolitici, dispersa in un proliferare di falsi profeti (argutamente si sottolinea nel testo anche il recente moltiplicarsi delle scuole di scrittura …), facilmente arresa a impotenza e indifferenza, dove diventa arduo riconoscere le voci autentiche e riuscire ad accettare gli altri e se stessi, follie incluse. 

Il tocco fiabesco, visionario e la leggerezza di cui ogni pagina si nutre, disegnano non soltanto un libro ricreativo e divertente, ma suggeriscono riflessioni profonde, invitando al ripensamento di tanti, comuni, superficiali atteggiamenti e suscitando nel lettore domande positivamente inquietanti. Esercizi di volo preziosi per il lettore attento."
Annalisa    Macchia  





venerdì 28 dicembre 2018

"Quasi quasi lo rileggo" il Romanzo sulla Follia



Recensione di Annamaria Volpini, pubblicata sul Blog www.robertomosi.it

Quasi quasi lo rileggo


ROBERTO MOSI, Esercizi di volo, Roma, Europa Edizioni, 2016, p. 96, euro 13.90

“Ho letto con piacere “Esercizi di volo” del mio carissimo amico Roberto Mosi.
Mitico, favoloso come nessun altro, ama il mare, (in particolare il golfo di Baratti), Piombino, i miti, la fotografia, i non luoghi, ama organizzare mostre e presentazioni, ma soprattutto ama la scrittura quella che salva la vita, perchè  scrivendo e riscrivendo riesce a tenere lontano le sue ossessioni!
Questo libro è diviso in due parti ben riconoscibili che si alternano equamente: quella dove l’autore illustra un percorso autobiografico con la sua analista Alessandra, e che è scritto in prima persona, e l’altra dove un narratore onnisciente, scrivendo in terza persona, parla dell’organizzazione di una festa per esaltare “La Follia” che si dovrebbe svolgere nel mese di agosto nel magnifico castello di Salorno che si arrocca sopra uno spuntone di roccia in Trentino Alto Adige, provincia di Bolzano.
Non si poteva scegliere un paesaggio diverso da questa valle meravigliosa, che l’autore ben conosce, per ambientare tutta la storia, un paesaggio molto amato che gode dell’ammirazione di ogni persona che ha la fortuna di capitare là per un soggiorno più o meno lungo.

La Follia, che “Rallegra con la sua divina potenza gli dei e gli uomini”, è la protagonista assoluta, ma lo sono anche tutti i personaggi che girando come in una giostra vorticosa danno vita ad eventi straordinari difficili da descrivere, da collocare, da analizzare.
Una delle più straordinarie invenzioni è quella di far avvenire gli eventi in una stazione ferroviaria, non luogo per antonomasia, dove ci sono i lunghi rettilinei di due binari, senza alcuno scambio, due semafori, un edificio con la sala di attesa, l’ex casa del capostazione, un magazzino, un parcheggio, un giardino.
In questa stazione avverranno fatti sensazionali, delitti quasi irrisolti, indagini della polizia che non si concludono, ricerche di una tigre ferita curata e riportata a Monaco, luogo di fughe, via di salvezza.
La stazione sarà la testimone diretta di tutte le riunioni e di tutte le decisioni che verranno prese per organizzare la festa, degli arrivi e delle partenze dei più strani e fantasiosi personaggi. Incombente sopra ogni cosa, la voce dell’altoparlante che, con stancante monotonia, ripete l’invito di “Allontanarsi dalla linea Gialla”. Il giallo non è un colore felice, il giallo non dona, è premonitore di disgrazie.
I personaggi protagonisti sono originalissimi e vengono evidenziati con un nome proprio ma anche con un aggettivo coniato apposta, un creativo neologismo, che li fa apparire subito agli occhi del lettore come se balzassero fuori da una favola perché qui il favoloso è la componente più evidente.

Abbiamo così “Cristoforo il vuotacantine, amante delle buone bottiglie di vino; Gioia, la cercatricedistorie che registra e poi trascrive i fatti su un rosso quaderno; il maestro Bussotti, direttoreartistico della festa; Einstein, lo scienziatodeisognirelativi responsabile degli aspetti scientifici e tecnici; Michelangelo da Peretola l’architettoasimmetrico, discendente dell’illustre artista fiorentino; Greta la ferroviariannaffiarose che insieme alla sua gatta Alice cura il giardino della stazione, scacciandone gli afidi.
Altri personaggi, pur non essendo umani, non sono da meno perchè Martino il semforodelbinariouno e Salvatore il semaforodelbinariodue parlano e interagiscono tra di loro, con uomini e animali, con altri macchinari ed altri oggetti perché qui l’immaginazione supera tutti i confini: il linguaggio, la possibilità di dialogare e comunicare non è riservata agli esseri umani ma ad animali e oggetti inanimati e tutti trovano questa facoltà per niente inusuale.
Una trovata geniale che mi ha fatto tanta tenerezza, che mi ha commosso, come sentirci uniti in un comune destino!
Ed ecco la protagonista assoluta ”La follia” che con un salto temporale dal sedicesimo secolo arriva fino ai nostri giorni per mettere alla berlina le meschinità e le bassezze degli esseri umani: ma lo fa con ironia, lo fa per suscitare il riso, essendo proprio lei il fondamento della nostra felicità.
Così Erasmo e la sua compagna Norma, moderni saltimbanchi, si spostano di paese in paese con il loro carrozzone e allestiscono sempre lo stesso  spettacolo: fra rullare di tamburi, declamazioni, colpi di scena riescono ad affascinare il pubblico che alla fine entusiasta applaude perché ha capito il messaggio “per godersi la vita un pizzico di follia non deve mancare.” 
In questo panorama Erasmo da Rotterdam viene affiancato da altri personaggi famosi e Illustri per i loro folli comportamenti: Orlando Furioso e il Cavalier Astolfo, don Chisciotte e Sancho Panza, ma anche Francois Rabelais che scrive delle avventure del gigante Gargantua e di suo padre Pantagruel, fino ad arrivare al poeta Dino Campana con i suoi Canti Orfici e il suo viaggio chiamato amore.
Proseguendo nella storia troviamo Maria Elisa. Ricca imprenditrice lucchese, presidente della scuola della Creatività, avendo sentito della festa di Salorno decide di partecipare a quell’evento. Per lei è importante accumulare ricchezza e per questo sa far bene pubblicità a quello che si può vendere e commercializzare dal momento che la follia travolge ogni resistenza dell’uomo consumatore. Emblema di questo atteggiamento e della follia del futuro è l’uomo Windows, dal  cui corpo gigantesco si aprono decine di finestre. Riusciremo a non essere travolti da tale malefica follia? Come sarà il nostro futuro? Saremo sempre più alienati, depressi, violenti? Ritroveremo l’amore per noi stessi e per gli altri?
Sono domande senza risposta: Roberto ci suggerisce di riflettere perché il domani ce lo prepariamo vivendo bene l’oggi.
Maria Elisa purtroppo ha dei nemici e durante una riunione all’improvviso si spengono le luci e tra grida mostruose viene barbaramente uccisa: un delitto difficile da risolvere, una vittima della follia dell’odio. Gli assassini per il momento sono fuggiti ma il commissario Renon riuscirà a scoprirli. La giustizia dovrà trionfare e l’ordine sociale essere ristabilito.
I giorni trascorrono in fretta, il mese di agosto si avvicina, i preparativi sono studiati nei minimi particolari. Questo grande fermento non sfugge all’analista Alessandra che consiglia al suo paziente di iscriversi ad una scuola di scrittura perché metta sulla pagina le sue esperienze di vita.
Infatti ogni volta che si incontrano, analista e paziente, esaminano fogli e fogli pieni di meravigliosi racconti che pian piano prendono forma di romanzo.
Siamo arrivati in fondo alla storia: la festa sta per iniziare. Giungono gli amici da Francoforte, giungono anche quelli da Firenze: il traffico si ferma, il pubblico si avvicina e alle prime ombre della sera inizia lo spettacolo.
Musiche, proiezioni, effetti speciali: le immagini dei personaggi sfilano davanti agli spettatori e la valle diventa una enorme Cappella Sistina piena di luci e di colori, ma..
C’è sempre un ma alla fine di ogni storia.
Uno strano sibilo, un fruscio, una scintilla, un corto circuito e l’incendio divampa. Lingue di fuoco sempre più violente distruggendo ogni cosa  riducono in cenere il castello.
In un fuggi fuggi generale le persone con l’aiuto dei pompieri a stento si mettono in salvo.
All’alba da un rudere annerito si alza ancora un filo di fumo: la follia si ribella e brucia chi si avvicina al suo mondo.
L’analista e il paziente si salutano: lui adesso è guarito e può camminare con le sue gambe.
Io personalmente non sono sicura: che la follia alberghi ancora nella mente del mio carissimo amico Roberto?
Nel finale si racconta che un giovane dai ruderi del castello incenerito ha lanciato un pacco di fogli: poi legandosi alle braccia due ali di tela si è gettato dagli spalti come se volesse volare.
Ahhhh: ho capito: è proprio Roberto che non vuole smetterla di fare i suoi esercizi di volo!
Comunque a questo finale non credo: ogni cosa è andata a buon fine, il romanzo è qui aperto sulle mie mani e l’ho piacevolmente letto tutto d’un fiato.
Quasi quasi lo rileggo!”

Anna Maria Volpini



mercoledì 26 dicembre 2018

Il fascino della canzone in ottava rima













Leggendo “Il profumo dell’iris” - Renato SIMONI

(Canzone in ottava rima)


Il profumo dell’iris vo leggendo,
ultima nata silloge del Mosi,
emblema di Firenze, fior stupendo
che colora in aprile i cigli erbosi.
Leggo e nella mente mi sorprendo
come sciorini i suoi versi estrosi.
Coetaneo sono e concittadino!
Forse lui è guelfo ed io son ghibellino?

Racconta la città con sguardo fino,
per mano ti conduce e fa da guida.
Osserva…ed al cuor sente vicino
ciò che per strade e vicoli s’annida.
Quello che vede lungo il suo cammino
trasforma in oro, novello re Mida.
Ma come fa a scovare la poesia
nei nonluoghi, il mercato e la tramvia?
                                                                 
Quel che immagine dà di distopia
trasmuta nel suo sguardo di poeta,
la luce accende in cuor dell’utopia
con un’esposizione da profeta.
Il suo fare, la sua fisionomia
hanno assunto l’aspetto dell’asceta,
ad occhi chiusi a ritrovarlo riesco
dipinto alla Brancacci in un affresco.

Il sogno solidale di Francesco
sboccia nei versi: pace e fratellanza.
Nelle piazze, tra storico e fiabesco,
preme il diritto di cittadinanza;
vibra il legame con lo sguardo fresco
di Marta, con Giovanna e con Costanza.
Silloge, delicata e non febbrile,
è tutta declinata al femminile.

Tale è Fiorenza, nobile e civile,
lo sono piazze, strade e le colline,
l’iris col suo profumo in pieno aprile
e d’Agata Smeralda le madrine;
Flora e Tosca , che narra con stile
la Storia…e le storie fiorentine.
Pacate e riflessive son le note,
ma tosto avviene che Vasco lo scuote.
   

Voal massimo verso l’alte quote,
del mondo osserva le contraddizioni:
città ogni dì schiacciata dalle ruote
degli internazionali torpedoni,
nuova Babele ma con una dote,
punto d’incontro di popolazioni.
Resto stordito, ...e pieno di stupore,
dal fatto che la vita fa rumore.

     Renato Simoni -                                                                       dicembre  2018
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Roberto Mosi, Il profumo dell'iris, Edizioni Gazebo, Firenze, pagg. 88, euro 8

- Libreria Salvemini, piazza Salvemini 18, Firenze
- Profumeria Bottega Bedeschi, via delle Belle Donne 11r, Firenze

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giovedì 20 dicembre 2018

Lo splendore dei gigli di mare - La nuova Antologia di poesia in onore di Aldo Zelli







Venerdì 14 dicembre nella Sala Consiliare del Municipio, per iniziativa del Comune di Piombino, dell’Associazione “Assaggialibri” e delle Edizioni Il Foglio Poesia, è stata presentata l’Antologia:






“Gigli di Mare”, Piombino in movimento - La Memoria di Aldo Zelli, curata da Roberto Mosi e Fabio Strinati, pagg. 190.










                         
                          
L’incontro ha avuto luogo in una giornata
gelida, con la città deserta, spazzata dal vento di mare, con il corso e i monumenti vestiti dalle luci stranulate
delle feste di Natale.





















Ha portato il saluto dell’istituzione l’assessore alla cultura Paola Pellegrini. Gordiano Lupi, editore e scrittore, ha parlato, per i cento anni dalla nascita, della figura di Aldo Zelli, maestro amato di Piombino e illustre scrittore per l’infanzia. Michele Paoletti ha dato voce a molte delle poesie presenti nell’Antologia. 


Roberto Mosi ha approfondito i caratteri del libro “Gigli di mare” con il quale si è inteso rendere un rinnovato omaggio a Aldo Zelli, a questa figura di scrittore e di uomo di scuola, autore di poesie, ballate, filastrocche per bambini, che ha trascorso l’ultima parte della sua vita nella città di Piombino, dopo molte storie e avventure che hanno reso particolarmente ricca la sua vita.
L’Antologia si compone di una raccolta di 130 testi poetici presentati da 26 poeti, come una corona di fiori dai diversi colori e profumi, fra i quali prevale la luce solare del giglio di mare. Gli autori provengono da varie parti del nostro Paese, da paesaggi diversi che si uniscono attraverso il collante della poesia. 
L’Antologia rappresenta, in definitiva, uno spazio comune di incontro e di scambio come la città di Eufemia nelle Città invisibili di Italo Calvino, dove i mercanti provenienti dai più diversi mondi, si incontrano e la notte, davanti ai fuochi, si scambiano, condividono le loro storie, le loro avventure.
I curatori, Fabio Strinati e Roberto Mosi, hanno immaginato – come è detto nell’Introduzione - un incontro di Festa per Aldo Zelli di questi poeti, nella celebre piazza Bovio, presso la Rosa dei Venti scolpita nel marmo, per cantare davanti al mare i temi e i motivi che vivono nei loro versi: il viaggio, l’avventura, l’amore, l’incanto del mare, le angosce per i mostri della nostra epoca, i passi alla ricerca della pace.
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Al termine dell’incontro, il vento freddo di mare era ancora padrone delle strade di Piombino, accompagnato però dall’eco della poesia che nella Sala Consiliare si è alzata dalle pagine dell’Antologia. 
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Gli  Autori dell’Antologia di Poesia: Fabio Strinati e Roberto Mosi (curatori), Aldo Zelli, Anna Maria Volpini, Nicoletta Manetti, Zelda S. Zanobini, Miriam Cividalli Canarutto, Anna Elvira Balestracci, Alessandro Nocchi, Stefano Gidari, Alberto Befani, Maria Vettori, Elisabetta Santini, Caterina Bigazzi, Michela Zanarella, Laura Margherita Volante, Alessandro Zetti, Alessia Gallello, Gianna Spiaggia, Gordiano Lupi, Michele Paoletti, Giulia Turbini, Massimo Acciai Baggiani, Antonio Messina, Davide Cortese, Francesca Ghiribelli, Enrico Guerrini (copertina).

La poesia di Aldo Zelli
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Frammenti
(dal n. 4 - Gennaio 2000)

Umile andava il fraticello pio,
lungo il sentiero che portava al monte
ov’era il monastero.
Semivuota la sacca sulla spalla,
povero era il contado e povero il raccolto.
Volgeva il giorno al tramonto
e lentamente il fraticello andava
e aveva il sole in fronte.

Ieri cadde la pioggia su tutta la collina.
L’aria si è rinfrescata e stamattina
brume leggere fasciano il fogliame
smeraldino degli alberi frondosi...

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Lontano...lontano
(dal n. 4 - Gennaio 2000)

Lontano... Lontano...
Scritta dal vento - sulla sabbia bionda -
di un’oasi solitaria - nel deserto africano
leggo un’antica storia d’amore
Lontano... Lontano...
C’era un giovane bruno - re del deserto
re della savana, innamorato tanto
innamorato,
della pallida maga
che avea nome Morgana.
Pallida maga, dal viso lunare,
dolce fanciulla che non poteva amare,
poiché il suo canto magico era sovrumano
e incantava colui che l’ascoltava
e in roccia lo mutava.
Ora nell’oasi solitaria - c’è una roccia bruna
e intorno a lei la bionda sabbia varia
di forma e di colore.
E ancor canta Morgana, un canto di dolore.
Scritta dal vento sulla sabbia bionda
d’un’oasi solitaria nel deserto
africano,
leggo un’antica storia d’amore,
odo un dolce canto sovrumano.
Lontano... Lontano... Lontano...

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Vorrei, Venezia...
dal n.7 - Luglio 2000

Mai ti vidi, Venezia,
se non con gli occhi della mente
o in sogno.
Eppur di te conosco
l’antica storia, le gesta marinare,
la tua gloria,
i nomi dei tuoi dogi.

Di te conosco
ogni remota calle ed ogni rio,
ogni trinato palazzo,
che si specchia sull’acque pigre
della tua laguna.

Vorrei vederti a notte
baciata dalla luna.
Vorrei vederti all’alba
quando le prime luci dell’aurora
ti fanno rosa e d’oro.
Vorrei vedere in limpido meriggio
incupire i campielli.
Vorrei vedere a sera
accendersi le luci ad una ad una
e una gondola bruna
sparire misteriosa sotto i ponti
per una liquida via silenziosa.
Vorrei sentir le voci della gente,
percepire gli odori,
udire tutti i sommessi
rumori della pioggia autunnale,
i richiami,
il batter d’ali
dei colombi a San Marco.
Vorrei esser tuo figlio, o Venezia,
e chiamarti così madre e regina.
E con te ricordare
gli antichi tempi andati
i fasti medievali;
e, scolorite figure sempre vive:
i Dandolo, i Faliero, i Morosini.

Sognare, forse sperare.
Questo mi resta, Venezia, madre e regina.
E ammirare Rialto e il Canal Grande
in una cartolina...

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L'oasi incantata

Nelle mie lunghe notti solitarie
ricordi che parevano sepolti,
visioni si susseguono, e la mente
stanca per anni e per vicende amare
si rinnovella e poi torna bambina.

Ed io ricordo l’oasi incantata
che spazia fra Bu-Isa sino al mare
con le palme svettanti contro il cielo,
rosso al tramonto, come nere mani
che vogliono la luce trattenere.

Ed io ricordo il minareto bianco
sovrastare la candida moschea
e la voce del muaddhen proclamare
la grandezza di Allah e del Profeta,
e la fede degli uomini in preghiera.

Ed io ricordo i fertili giardini
fiammeggianti di fior di melograni,
le casette in argilla, le capanne,
i sentieri, le siepi, le radure,
le magre mucche, i rospi gracidare.

Ed io ricordo i giochi dell’infanzia
con l’amico arabetto Nuri, e Fahmi
piccolo negro lustro e sorridente.
Eravamo gli Emiri delle Homra
e lottavamo contro i predatori.

Giorni lontani, quando camminavo
a piedi nudi sulla sabbia gialla
calda di sole o fresca di rugiada,
e l’oasi incantata era il mio mondo
e il mio tempo pareva senza fine.

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L’ombra della sera

Assopirsi nell’ora del tramonto
d’un giorno estivo
tra gli etruschi sepolcri di Popluna.
Travalicar la siepe dell’inconscio
fra teoremi di luce e incantamenti
fatti d’umbratili figure:
donne arcane
che cantano le nenie del passato
per stregare il presente
e divinare.
Trovarsi oltre il confine dell’inconscio
fra danzatrici aeree mollemente
moventi al suono di liuti.
E sognare con Larthi,
addormentata fra antiche pietre,
eterni sogni di bellezza e amore.
.