Roberto Mosi si interessa di poesia e fotografia. Per la poesia ha pubblicato Sinfonia per San Salvi (Il Foglio 2020), Orfeo in Fonte Santa (Ladolfi 2019), Il profumo dell’iris (Gazebo 2018), Navicello Etrusco (Il Foglio 2018), Eratoterapia (Ladolfi 2017), Poesie 2009-2016 (Ladolfi 2016). L’autore ha realizzato mostre di fotografia presso caffè letterari, biblioteche, sale di esposizione. Cura i Blog: www.robertomosi.it e www.poesia3002.blogspot.it .
martedì 27 agosto 2024
Сильвия Буко: главная героиня романа «Три французские принцессы во Флоренции», Р. Мози, Понтекорболи: «Это утро отличается от других. Ночью шторм на море утих, и вскоре солнечные лучи достигли моей комнаты.. .
domenica 11 agosto 2024
„Locurile mitului” - G. Panella: „Fiecare mit are ceva să ne spună, ne provoacă: eternul sfinx ascunde enigme și secrete care ne afectează încercarea de a da sens vieții”
“Il mondo diventa più grande mano
a mano che torniamo indietro”.
I sette pilastri della saggezza, Th E. Lawrence
Alcuni luoghi sono particolarmente legati al racconto dei miti, si crea come una stretta relazione fra i tratti fisici del paesaggio che li denota, i miti che questi luoghi evocano e il mondo delle nostre emozioni. E’ ancora vivo per me, per richiamare un esempio, il ricordo dei viaggi compiuti dal porto di Ancona verso la Grecia il primo giorno delle vacanze, dell’incontro con il profilo dei monti delle isole greche dopo una giornata di navigazione, l’attesa viva di scoprire, in un sogno ad occhi aperti, vicino ad un fuoco che brilla sulla costa, l’ombra di uno degli eroi del racconto di Omero. Forse, proprio la figura di Ulisse!
Il mito dunque accompagna,
anzi, si può dire, fa parte delle nostre esperienze di vita in modi diversi,
può essere il calco d’argilla nel quale si riversano i frutti della nostra
immaginazione, la chiave implicita – od esplicita – del nostro pensiero e del
nostro linguaggio, perfino un motivo di gioco, di divertimento per riprendere i
tratti di un antico racconto mitico, conosciuti da sempre, e presentarli in
vesti nuove, con le forme, le suggestioni, i linguaggi che offre la vita che
viviamo noi uomini, donne del terzo millennio, per mille versi attori confusi,
frastornati su un palcoscenico colmo di segni e di rumori, incerti e,
soprattutto, pieni di paura.
“Ogni mito che ci è stato
tramandato, anche il più oscuro e il più sconcertante, ha qualcosa da dirci.
Contiene domande, ci provoca: ed è ogni volta un invito a prenderlo sul serio,
a interrogarlo, eterna sfinge che nasconde enigmi e segreti in cui ne va del
nostro vivere, anzi del nostro tentativo di dare senso alla vita” (S. Givone, Il mito oggi, in “Mito e
contemporaneità”, Pendragon, Bologna 2007 ).
Il mondo storico e il mondo del mito corrono paralleli. “Mentre la
storia è tutt’uno con il tempo e con il divenire, si può affermare che il mito
ha per contenuto l’eternamente umano” (S. Givone). Un aspetto questo che W. F. Otto, filologo
classico e studioso della mitologia antica, precisa in una maniera particolare.
Egli rivendica al mito una sua funzione essenziale e quindi nega che esso possa
tramontare. Il nostro essere al mondo è tutt’uno con la nostra capacità di
domandarci che cosa ci stiamo a fare sulla terra e di trovare eventuali
risposte attraverso i racconti con cui cerchiamo di mettere ordine al grande
caos che ci minaccia. Naturalmente ciò dà luogo a una specie di narrazione
infinita, il mito ci parla di eventi che
non sono mai accaduti ma che sempre “sono”, non nella realtà della storia, ma nella realtà
delle parole che usiamo per costruire possibili orizzonti di senso.
E’ un percorso del pensiero che
ci porta a non relegare il mito in una dimensione arcaica; al contrario, il
mito è, per così dire, declinato al futuro. “Se ne può appropriare o
riappropriare solo chi disponga di grande consapevolezza critica e di
altrettanto grande fantasia creativa” (S. Givone). L’uomo contemporaneo è come
chiamato ad un’impresa: deve imparare, per dirla con le parole di Nietsche, a
“sognare sapendo di sognare”. In questa ricerca possono essere liberate le
energie che in potenza sono racchiuse nel mito.
Questo percorso di riflessione
fa parte della mia ricerca poetica, avviata da alcuni anni, intorno ai luoghi che ci troviamo ad attraversare (Itinera), a vivere (Parole e paesaggi), ai quali siamo legati per la nostra storia (Florentia) o che ci fagocitano come individui
in mezzo alla folla (Nonluoghi).
Rappresenta il tentativo di catturare con i versi della poesia una molteplicità
di sensazioni, di memorie, personali o condivise con altri, di formare una
trama che converge in un punto: sono elementi attratti, come le pagliuzze di
limatura di ferro, da una linea di forza magnetica che è la ricerca del senso dei luoghi. Il percorso che ora si
compie con la nuova raccolta di poesie (Luoghi
del mito) aggiunge il piacere dell’incontro con il mito, della nostra
capacità, in definitiva, di sognare ad occhi aperti.
Roberto Mosi
„Locurile mitului” - G. Panella: „Fiecare mit are ceva să ne spună, ne provoacă: eternul sfinx ascunde enigme și secrete care ne afectează încercarea de a da sens vieții”
Recensione di Giuseppe Panella
"Accostamento al mito"
di Da: QUEL CHE RESTA DEL VERSO 55.
Dopo aver poeticamente
investigato i non-luoghi del Moderno e della sua apoteosi in postmodernità
velocizzata e implacabile verso i residui della cultura tradizionale
sopravvissuta alla terza Rivoluzione industriale del Novecento, quella
telematica, Roberto Mosi si attesta sul versante di ciò che è il Non-Luogo per
eccellenza e da sempre: il mito classico.
Così come si avvia sui percorsi
del mito greco-arcaico allo stesso modo Mosi ritrova nella poesia antica o in
altre mitologie diverse da quella classica (quella nordica, ad esempio, di
wagneriana ossessione) lo spunto per una riflessione tra il serio e il leggero
(l’ironico è tra i modi di quest’ultimo periodo dello scrittore) che sappia
però parlare al lettore del presente. La rivisitazione del mito di Ulisse
sembra, in effetti, particolarmente riuscita sotto questo profilo:
Anche Orfeo viene riletto in una
dimensione modernizzata che ne esalta i caratteri imperituri e convenienti alla
nostra epoca (così come aveva fatto anche Dino Buzzati nel suo Poema a fumetti):
Eroi
Il sole scende
dal carro e getta
l’armatura,
gli ultimi raggi
incorniciano la nave
all’orizzonte.
Vespero alto
nel cielo
precede le stelle
per ogni dove,
sulle rive dell’isola
abitano ancora
gli eroi di Omero.
Palinuro
Barche
lasciano il porto
festoni
sull’albero della vela
la
prua vola a Capo Palinuro
onde
sollevano le chiglie.
La
sosta e poi in acqua
verso
le grotte, i loro miti.
Grotta
delle Ossa fra gli scogli
sonanti
rauchi
per l’incessante battere dell’onde,*
sui
resti di naufragi
il
nocchiero di Enea
vinto
dal Sonno, i marinai
incantati
dalle Sirene.
Avanzo
a fatica
nella
Grotta delle Ossa
le
onde padrone del corpo.
“Aiuto”,
l’eco rimbomba
dilata
la paura. Intorno
biancheggianti
ossa infisse
nella
malta delle pareti.
Il
sole precipita fra le onde
Vespero
si affaccia sopra di noi.
Sono
l’ultima vedetta ai piedi
della
grotta, in attesa.
* Virgilio, Eneide, C. V, vv.
1228-1229.
Trad. G. Vitali.
Diana *
Sedici
giorni di cammino
sulla
Via Appenninica
per
giungere al sacro luogo.
Striscio
nel bosco come
serpente
in mano il pugnale.
Scorgo
il Santuario, al centro
l’albero
dal Ramo d’oro.
Risuona
il manto secco
di
foglie, il vento intona
un
eterno, lugubre lamento.
Riluce
l’acciaio sulle spalle
ogni
volta che la luna appare
dallo
squarcio di nubi.
“Diana, regina delle selve,
sono giunto al sacro albero
sulle sponde del lago di Nemi
per conquistare il Ramo d’oro.
Mi separa solo il sacerdote
guardiano del bosco.”
Scatto
come il serpente.
Il
pugnale si abbassa
il sangue schizza, risuona
l’acciaio,
mi batto furioso.
Appendo
poi il Ramo
alle
porte della città.
La
sua luce rischiara
l’oscurità
dei nostri tempi.
* Sorgevano il bosco sacro e il santuario di Diana
Nemorensis, la Diana
dei boschi …. Un candidato al
sacerdozio poteva ottenere l’incarico solo
uccidendo il suo predecessore e
occupandone il posto fino a quando non
fosse stato a sua volta ucciso da un altro aspirante più forte o più astuto di lui.
J. G. Frazer, Il ramo d’oro, cap.
I
Giasone
Sono
giunto alle rive del Bosforo.
Le
navi in fila passano lo stretto.
Formiche
colorate. Bandiere al vento.
Le
cicogne in volo disegnano
una
freccia acuminata
contro
la sfera del sole.
Sull’altra
riva le montagne dell’Asia.
Sono
sazio d’Europa, percorsa in tutte
le
vene, conosciuta nei meandri riposti
delle
sue membra, per un’intera vita.
Nelle
mani la mappa di terre nuove.
Inseguirò
l’ombra dei miti, Giasone
alla
conquista del vello d’oro,
le
carovane sulla via della seta,
l’onda
dei cavalli di Gengis Kan,
i
viaggi infiniti di Marco Polo.
Ripiego
la mappa. Ora fra le mani
la
forma di una nave di carta.
Ondeggia
sulle acque del Bosforo
si
allontana al centro dello stretto.
Ulisse
Sul
volo AZ1414
l’alba
sorprende l’eroe
le
armi in pugno
il
computer per scudo
il
telefono in mano,
altri
cento achei
infossati
nei sedili.
Sulla
terra le ombre
cedono
alla luce,
le
strade vomitano
macchine
nervose.
Alla
sera la flotta
attende
il decollo
le
truppe ammassate
nelle
piccole navi.
Infine
il balzo
nella
notte di pece.
Il
porto d’Itaca è chiuso
per
la furia dei venti,
il
riparo oltre i monti.
L’eroe
raggiunge
la
reggia nel sonno.
Penelope
dorme stizzita,
solo
Arturo saluta
il
ritorno, la coda ritta.
L’eroe
guarda la posta,
pone
in ordine le armi
si
distende sul letto.
Il risveglio è vicino.
Ogni
sera Ulisse
torna
ad Itaca.
Ermes
Bit, bit, byte, post, blog:
sventolano
strisce
dai
calzari alati di Hermes,
sono
messaggi d’amore
in
corsa nell’algida rete
alla
ricerca dell’altro.
blog
di trecento giorni
striscia
di cinquanta post
poesie
pensieri info diari
profilo,
foto dell’autore.
Cinquemila
visitatori,
cinquemila
nasi, bocche
diecimila
orecchie, occhi
cinquantamila
dita.
Contatti
brevi, lunghi
meraviglia
negli sguardi.
Saffo
“A
me pare uguale agli dèi
chi
a te vicino così dolce
suono
ascolta mentre tu parli
e
ridi amorosamente”*, a penna
rossa
hanno scritto
ai
margini del manifesto.
Cammino
per la città
vedo fanciulle
in fiore
tenersi
tenere per mano
brillano
gli sguardi nei volti
vicini,
“un fuoco sottile
affiora
rapido alla pelle”*.
“Lasciateci
amare come
vogliamo”
ha scritto
in
vernice spray sul muro
davanti
alla scuola
la
“dolce-ridente Saffo
coronata
di viole”**.
*
Saffo, fr. 2. Trad. S. Quasimodo
**
Alceo, fr. 63. Trad. S. Quasimodo
Febo
La
spiaggia è un anfiteatro, gli spettatori
in
attesa dello spettacolo di ogni sera
l’acqua
pulsa di luci multicolori, scomposte
dagli
ultimi raggi del sole al tramonto
oltre
la punta del promontorio, intorno
le
braccia aperte del golfo, verdi di pinete.
Mi
lascio cullare dalle onde, il fresco
dell’acqua
accarezza il mio andare.
Sotto
di me l’oscurità, le creature del mare
vivono
già il mistero della notte.
L’idea
della bellezza è a portata di mano.
Nuoto
per raggiungere Febo, sorgente di luce.
Sonno
*
E’ forse simile
a un dio l’uomo
che dorme in piedi
alla porta della stazione
discosto dal muro
i ginocchi piegati
la testa in avanti.
Intorno la folla
del mattino.
* “Allora il Sonno dalla marea dei suoi figli
destò Morfeo, un talento
nell’assumere qualsiasi sembianza.”
Ovidio, Le
Metamorfosi, Libro XI
Zeus
Sono nato dai racconti
del padre Zeus,
luce soffusa su storie
ricerca della felicità
riscatto
dalla miseria
conquista della libertà.
Era
La sirena della fabbrica
urla, la voce possente.
Madre Era
attraversa il cortile dei giochi
corro alla sua borsa
gli occhi velati di sudore,
odore di tabacco
sapore dolce di caramelle.
Atena
Il verso della civetta
mi chiama alla finestra
aperta sull’Acropoli.
La processione si muove
dal quartiere del Ceramico
per i marmi della via sacra:
animali per il sacrificio
schiere di musici e cantori
giovani su cavalli scalpitanti.
Aprono il corteo le donne,
sollevano il peplo per Atena
dagli occhi fiammeggianti.
La luce della dea s’irradia
dal Partenone per il mondo
nella notte raggiata di stelle.
Ares
Ares dall’alto della rocca
sopra
la pianura di Troia
lancia
furibondo il grido
di
guerra, pari all’urlo
di
diecimila guerrieri,
si
lancia nella mischia
mugghia
come l’uragano.
Ares
ogni giorno grida.
La
forza dell’urlo
raggiunge
i confini del tempo
le
rive di ogni mare.
Dioniso
Spuma
di mille gocce
nello zampillo del vino
luce
di cento riflessi
in un raggio disteso
vento
di infiniti respiri
in un vortice perenne
suono
di lunghi rumori
in un’eco che si allontana
pensiero
di caldi sogni
in una scintillante risata.
Recensioni
G. Linguaglossa
Roberto Mosi Luoghi del mito Faloppio,
LietoColle, 2010-06-07
Come è noto, nella metafisica heideggeriana il
pensiero oggettivante è quello che coincide con quell'epoca della storia
dell'essere in cui quest'ultimo si dà come «presenza». È questa l'epoca mitica
degli dèi e dei semi dèi: l'epica e l'epoca del mondo pagano. Quest'epoca è
caratterizzata dal fatto che l'essere si dà come forza: con il carattere
della permanenza, della finitezza, dell'evidenza. Con il divenire della
posizione del problema essere-tempo comincia la Verwindung della
metafisica: l'essere si dà ormai, come già annunciato nel nichilismo di
Nietsche, come ciò che svanisce e che perisce; non come ciò che sta (fin da Sein
und Zeit), ma come ciò che nasce e muore.
La situazione attuale, di tramontto dell'arte, è
leggibile filosoficamente come aspetto di questo generale accadimento che è la Verwindung
della metafisica, di questo evento che concerne l'essere stesso. La nozione
heideggeriana della poesia come «messa in opera della verità» concerne la
esposizione (Aufstellung) di un mondo e produzione (Her-stellung)
della terra; nel senso che l'opera d'arte ha una funzione di fondazione, fonda
il limite e il confine di un mondo storico. Un discorso che va configurato nel
senso seguente: come e quando si verifica che la funzione estetica assume il
volto della organizzazione del consenso? Ha senso oggi parlare di «luoghi del
mito»? Sì, sembra dirci Roberto Mosi, i luoghi del mito risplendono soltanto
come frammenti e rovine della physis, della «terra»; in quanto intrisi
di terra e di dynamis, queste composizioni di Mosi vanno nella giusta
direzione, sono indicative di quel generale evento del tramonto che Heidegger
ha definito «ontologia del declino». Mi piace questo vagare nelle stanze dei
miti di Mosi, questo frangersi e infrangersi della parola poetica dinanzi alla
evidenza «cose». Dinanzi alla evidenza delle cose la poesia non può far altro
che ammutolire. Avviene così che quando Mosi si avvicina alla cronaca, la sua
poesia subisce una flessione, manca la parola il suo oggetto.
Giorgio Linguaglossa
_____________
FRANCA ALYMO
Roberto Mosi:
“Luoghi del mito”, casa ed. LietoColle 2010
E’ un’operazione intellettuale molto raffinata quella
tessuta da Roberto Mosi nel suo ultimo libro Luoghi del mito, i cui testi, insieme alla bella nota introduttiva
dello stesso autore, costituiscono una sorta di difesa del mito come tòpos che,
dopo millenni, rischia di naufragare nel flusso onnivoro della superficialità
culturale ormai dominante.
E’ anche oltremodo interessante come
l’autore si ponga l’obiettivo di prolungarne l’efficacia al di là della
cristallizzazione che su esso incombe, sfaccettandone l’applicabilità e
suggestione creativa con l’accogliere altri modi ed atteggiamenti del sentire
popolare: è il caso del “mito” di Vasco Rossi; o, sia pure in chiave negativa,
dei boss della Camorra.
Per lo più il mito classico viene
sottoposto ad un’operazione di contaminazione attraverso l’ambientazione
moderna di situazioni e figure topiche come
emblemi immutabili della storia singola e collettiva. Sono, a mio
parere, i momenti più alti di questa poesia, come in “Orfeo” e“Saffo”, giusto
per fare qualche esempio, in cui il mito, nella prima, di Orfeo ed Euridice,
conduttori di treni nella metropolitana di Firenze ( Cerbero è il treno),
diventa occasione di denuncia dei mali della società contemporanea e simbolo di
una nuova speranza. Nella seconda, invece, dove troviamo citazioni da Saffo,
Alceo, Proust, la figura mitica della poetessa di Lesbo assume le sembianze di
una ragazza d’oggi che scrive in vernice
spray sul muro// davanti alla scuola:
“Lasciateci amare come vogliamo”.
Non mancano neppure le rivisitazioni
ironiche e perfino mordaci di personaggi
e dei come “Ulisse” ed “Ermes”, il primo trasformato in un viaggiatore alle prese con ritardi e
ripetuti approdi serali nella sua dimora dove solo il cane Arturo saluta/
il ritorno, la coda ritta, mentre Penelope già “dorme stizzita”; il secondo nella stessa immensa rete telematica,
che immette “dai calzari alati” una
caterva di messaggi a favore ( o a
danno? ) dei milioni di frequentatori di blog.
Questo libro che compone, con gli
altri che l’hanno preceduto, una sorta di quintetto poetico sul percorso del poeta all’interno dei luoghi (siano essi intesi come spazi
geografici, mentali, interiori, onirici, culturali), sembra, pur nella sua
specificità, contenerli tutti, aggiungendo nuove tappe, nuove occasioni di
conoscenza, nuove mappature culturali e, allo tesso tempo, creando una circolarità
di motivi ed umori, che sono le spie di un progetto consapevole di scrittura.
28 Giugno
2010
Franca Alaimo
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Antonio Spagnuolo
Rivista on-line “Poetry wave-dream. Aggiornamenti intorno alla Poesia Contemporanea”
Indirizzo: http://poetrydream.splinder.com/
sabato, 31 luglio 2010
Roberto Mosi : “Luoghi del mito” –
Ed. Lietocolle 2010 – pagg.54 - € 10,00 –
Il sorriso di un viaggio immaginario, attraverso il racconto di svariati colori
e nello splendere di ricordi classici , mai sopiti, diviene in queste poesie la
sfumatura trasfigurata della carezza di un tempo senza limiti. Il viaggio ha
salde basi storiche ed offre quelle policromatiche figure della mitologia nel
piccolo/grande universo della rappresentazione.
Il mito è presente, anzi fa parte delle nostre esperienze di vita in modi
diversi, così da immaginarsi nel calco levigato di un marmo, nella succosa
scoperta della divinità, nella chiave del nostro subconscio e del nostro
linguaggio, a ricomporre le figure del racconto, per rielaborare nella
sensibilità di un intervento musicale le suggestioni una volta confuse, una
volta evocate, delle incertezze metafisiche o delle possibilità degli schemi.
“Ogni mito che ci è stato tramandato, anche il più oscuro e il più
sconcertante, ha qualcosa da dirci. Contiene domande, ci provoca: ed è ogni
volta un invito a prenderlo sul serio, a interrogarlo, eterna sfinge che
nasconde enigmi e segreti in cui ne va del nostro vivere, anzi del nostro
tentativo di dare senso alla vita” (scrive S, Givone nel suo “Mito e
contemporaneità” ) e un diverso accento poetico , quasi di tenerezza si
appalesa in queste pagine di Roberto Mosi.
“…Diana, regina delle selve,
sono giunto al sacro albero
sulle sponde del lago di Nemi
per conquistare il Ramo d’oro.
Mi separa solo il sacerdote,
sovrano del bosco.
Scatto come il serpente.
Il pugnale si abbassa,
sangue schizza sulla bocca,
risuona l’acciaio, mi batto
furioso per il Ramo d’oro.
Ritorno sui miei passi.
Appendo il Ramo alle porte
della città, la luce rischiara
l’oscurità dei nostri tempi…”
Basta poco per comprendere il registro, una sostanza di cose sperate e
rielaborate che sfocia nell’accadere delle occasioni, con una capacità
stilistica di notevole corposità culturale.
Antonio Spagnuolo
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Giorgina Busca Gernetti
LUOGHI DEL MITO di
ROBERTO MOSI
“Il
mito è soprattutto una forza culturale che si rigenera continuamente […]. Nella
cultura primitiva il mito esplica una funzione indispensabile: è l’espressione,
la valorizzazione, la codificazione di un credo; difende e rinforza la
moralità; garantisce l’efficacia del rito, e contiene pratiche che guidano
l’uomo. Il mito è perciò una componente vitale della civiltà umana; non è un
futile racconto, ma una forza attiva operante; non è una spiegazione razionale
o un’immaginazione artistica, ma un documento pragmatico di fede primitiva, di
saggezza morale.” (B. K. Malinowski, Il
mito e il padre nella psicologia primitiva, Newton Compton, Roma, 1976, p.
47).
Così
l’antropologo polacco, naturalizzato britannico, Bronislaw Malinowski ha espresso
la sua concezione del mito, benché i suoi studi si siano rivolti soprattutto
alle civiltà primitive della Melanesia, non della Grecia antica. Tuttavia, poiché
l’uomo primitivo creatore dei miti, in virtù dell’appartenenza a una
collettività, ne
ha ereditato
inconsciamente un complesso di archetipi, vale a dire di forme primitive che
stanno alle basi delle espressioni mitico-religiose dell’uomo (inconscio collettivo, secondo Gustav
Jung), e poiché, per il carattere universale di questo fenomeno, gli uomini hanno
comportamenti analoghi a qualunque latitudine o longitudine vivano, il pensiero
di B. Malinowski ben si addice a ciò che scrive Roberto Mosi nella bella pagina
introduttiva al libro di poesie Luoghi
del mito, appena pubblicato per i tipi di LietoColle. Egli riporta,
infatti, alcuni passi degli studiosi di mitologia S. Givone e W. F. Otto,
insigne filologo, concordi sull’indispensabilità del mito per gli uomini che cercano
di dare un significato alla loro vita e una risposta ai loro interrogativi più
profondi e tormentosi (l’origine del mondo, l’origine e il destino dell’uomo, l’origine
del proprio popolo); concordi anche sulla sua eternità, nonostante i grandi
mutamenti storici, filosofici, sociologici e comportamentali dell’umanità.
Roberto
Mosi, dunque, ama profondamente il mito perché vuole imparare a “sognare
sapendo di sognare” (F. Nietzsche da lui stesso citato) e scrive poesie sui
miti greco-romani, etruschi, mediorientali o germanici. Inoltre, proprio in
questi anni si dedica a riflessioni, ricerche e scritti poetici sui luoghi,
come dimostrano anche nei titoli i suoi recenti libri Parole e paesaggi, Florentia,
Non-luoghi, Itinera e quest’ultimo Luoghi
del mito.
Luoghi
della memoria, della realtà, della somma arte toscana, dello scempio moderno,
della natura sempre affascinante e infine del mito. Luoghi come scaturigine del
mythos all’alba della civiltà greca o
come impulso a ricordare un determinato mito per associazione di pensiero e
d’immagine di fronte a una statua di marmo, alle rovine di una città, a un fitto bosco
presso un lago, a un promontorio, a un tramonto sul mare, a un fiume.
Con
queste premesse ci si attenderebbe una poesia del tutto rispettosa della
sacralità dei miti classici, cantati da insigni poeti d’ogni epoca in tutto il
mondo occidentale, e di altri miti non meno affascinanti celebrati dalla musica
di Wagner o da poeti nordici. Non si rimane delusi per la maggior parte delle
composizioni che, dopo l’invocazione del poeta a Erato, Musa della poesia lirica,
perché lo aiuti in quest’ardua impresa, tratteggiano uno splendido tramonto sulle
isole greche ove “abitano ancora / gli eroi di Omero” e, di pagina in pagina, evocano
miti che fanno rivivere un mondo eroico o tragico di personaggi dal fascino
eterno.
Per
onestà intellettuale, però, chi scrive non può non palesare il suo dissenso da
alcune troppo ardite ‘modernizzazioni’ di personaggi che la tradizione classica
ha delineato in aderenza alle antiche narrazioni e che grandi poeti pur d’epoca
diversa, come Virgilio, Angelo Poliziano o R.M. Rilke, oppure musicisti come Ch.W.
Gluck hanno cantato in piena fedeltà alla tradizione. Orfeo ed Euridice, nella
poesia Orfeo, posti l’una dopo
l’altro alla guida del treno Cerbero che attraversa la città di Firenze, pur con
l’intento dell’autore di salvare il mito dal naufragio nel fango della nostra
epoca, appaiono come una dissacrazione. La stessa cosa vale per Ulisse (nella
poesia Ulisse) che ogni giorno
viaggia in aereo (volo AZ1414) munito di computer e telefono cellulare, oppure
per Hermes (nella poesia Ermes) il
cui linguaggio di messaggero degli dèi qui è divenuto il linguaggio di
internet: “Bit, bit, byte, post, blog”, con l’indirizzo tradizionale “www…..”.
È
pur vero che attualmente questo è il linguaggio quotidiano e che, tornando al
primo degli esempi, Italo Calvino e Gesualdo Bufalino hanno offerto una lettura
del personaggio di Euridice un poco diversa da quella tradizionale (L’altra Euridice di Calvino, Il ritorno di Euridice di Bufalino), ma
la scelta di Roberto Mosi in questi tre testi pare un po’ troppo ardita. Tutte
le altre poesie, invece, denotano una pregevole abilità del poeta nel passare dall’epoca
mitica al presente, persino dal Re Mida a Vasco Rossi, con pregevoli risultati.
Il
Labirinto nell’Isola di Creta è stilisticamente anafora nella struttura della composizione
e mitologicamente teatro di due celebri imprese: Teseo, dopo aver ucciso il
Minotauro, può uscirne grazie al filo dell’amata Arianna; Icaro, figlio dell’architetto
Dedalo, fugge dal palazzo-carcere compiendo l’audace, sacrilego, letale volo troppo
vicino al Sole.
Alcune
liriche, come Labirinto, recano in
epigrafe versi di Virgilio, altre passi di J.F. Frazer o di Cicerone, un’altra
alcuni versi dall’Oro del Reno di
Wagner. Altre, come la poesia Saffo,
sono un intarsio citazionale della stessa Saffo, d’Alceo, di Proust, come prova
dello spessore culturale di Mosi in un’operazione molto originale, soprattutto
nella contaminazione d’antico e moderno, anzi, contemporaneo, tanto da fare
della raffinata poetessa di Lesbo una ragazza d’oggi che scrive sui muri con la
vernice spray: “Lasciateci amare come / vogliamo”.
Nelle
liriche dallo stile denso e conciso si presentano i personaggi mitologici entro
scorci paesaggistici creati con pochi tratti di grande fascino pittorico. Ecco Palinuro,
lo sventurato “nocchiero di Enea / vinto dal Sonno”, perito nelle onde
ingannevoli di uno splendido mare e ricordato dal nome del promontorio. Compare
presso il lago di Nemi la dea Diana dei boschi, Diana Nemorensis, che pretende il Ramo d’oro dal suo sacerdote di
turno, salito a questo rango uccidendo il suo predecessore. L’aruspice etrusco
di Populonia scruta il volo del falco per interpretare il futuro. Il fanciullo
Tagete, divinità minore della religione etrusca, scaturisce dalla terra, di cui
è figlio, insegna agli uomini l’arte della divinazione e scompare subito “tra
le zolle brune” nei pressi di Populonia, dove improvviso nei campi compare un
trattore Massey Ferguson, manovrato da una contadina velata di nome Fatima (estrema
potenza del moderno trattore e attuale tema dell’immigrazione dal mondo
musulmano che vuole le donne coperte dal velo, anche se svolgono pesanti lavori per
lo più maschili).
Molto
bella Petra, sia l’antica città scavata
nella pietra, capitale dei Nabatei, sia la poesia di Mosi in cui il fascino del
Siq, i cammelli, i cavalli, i ragazzi
di oggi nella seconda parte escono di scena per lasciar rivivere presso il
Tempio e il Santuario una cruenta scena rituale dell’epoca antica: “Petra è
tornata / all’antico mistero”. Di grande fascino Apollo, in cui il poeta nuota in uno splendido mare nell’ora del
tramonto contemplato da tutti i bagnanti: “Nuoto nell’ultimo chiarore della
sera / per raggiungere Febo, sorgente di luce.”
Sarebbe
giusto citare tutti i passi di buona poesia e i luoghi o i personaggi del mito
di grande efficacia anche simbolica, come Erik il Rosso, eroico navigatore dei
Vichinghi, ad esempio, ma non è possibile. Qualche parola, invece, è necessaria
su Vasco Rossi. Perché mai un cantante moderno tra i personaggi del mito? Se
anche Roberto Mosi resta affascinato dalla sua voce e tra la folla del concerto
anche lui si mette a cantare insieme con gli altri convenuti, allora anche
Vasco Rossi è un mito, certamente di oggi, ma tuttavia un mito.
Di
notevole valore etico-sociale la poesia Camorra,
con un esergo tratto dal romanzo Gomorra
di Roberto Saviano che a sua volta cita Hannah Arendt. Si apre con la celebre
epigrafe dantesca posta sulla porta dell’Inferno: “Per me si va nella città
dolente…” e dichiara con coraggio che la metropoli ove il poeta è giunto in
treno è “la città di Gomorra”, “nove cerchi, / l’Inferno napoletano”, così come
lo sono i celebri luoghi regno della camorra come Scampia, Secondigliano,
Forcella, Casal di Principe, Torre Annunziata. La verità va affrontata ad occhi
ben aperti e detta con voce chiara. Peccato che sulla bella Partenope e sui
suoi miti di Sirene incantatrici oggi prevalga il mito della violenza, del
dominio, del sangue.
Giorgina Busca Gernetti
Roberto
Mosi, Luoghi del mito, LietoColle, Faloppio
2010. pp. 54
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articolo
pubblicato sul blog di R. R. Corsi
Apparizioni (talora appropriazioni) del Mito:
Roberto Mosi.
Posted by Roberto R.
Corsi su 9 settembre, 2010
Ho letto la nuovissima raccolta del fiorentino Roberto
Mosi, Luoghi del Mito (LietoColle), con l’interesse che sempre in me
scaturisce non appena fiuto un incrocio “pericoloso” tra poesia e “cultura”. Di
pericolo in effetti si tratta, quantomeno per le fortune del poeta che
dev’essere disposto ad affrontare una schiera di lettori e critici fortemente
avversi a questa commistione. «È strano che si voglia fare lirica
dotta», mi fu un giorno obiettato per lettera; qui invece leggiamo, nella
chiusa della poesia a pag. 32, un eloquente “Si tratta di vera poesia?”,
dove il virgolettato dà conto di un qualche effettivo incontro-scontro nei lidi
informatici.
A nulla vale eccepire l’indeterminatezza degli
aggettivi che ho evidenziato in corsivo, essendo oggi la poesia non definibile
se non secondo canoni personali. A poco vale perfino citare voci altissime
quali (tra le altre) Kavafis, Caproni o, per restare in riva d’Arno, il
possente lavoro mitologico-poetico-teatrale di Liliana Ugolini: sembra quasi
che l’iniezione del Mito (che a questo riguardo è una species del genus
cultura) nell’ovocita poetico realizzi una dissonanza o addirittura
un’atonalità che come brezza di terra spinge sùbito lontano il lettore, il
quale forse mai come in questo periodo ha avuto poca o punta voglia di mettersi
alla prova con strutture ultronee rispetto al suo bagaglio.
Mosi non rinuncia alla sfida, evidenziando in premessa le sue ragioni profonde:
tracciare un altro lato del suo poligono in fieri (parte del quale si
può leggere in forma elettronica sul sito larecherche.it) tra luoghi
e nonluoghi (secondo la nota definizione di Marc Augé).
La lettura di queste poesie, comparata con le
precedenti raccolte, ci testimonia anzitutto una continuità di stile: un verso
volutamente spoglio e descrittivo, “di veduta” (non a caso Mosi è anche
apprezzato fotografo), nel quale l’io del poeta emerge il meno possibile
lasciando campo libero al circostante.
Ben definita è anche la fenomenologia: i “luoghi” trasmutano spesso in “luoghi
del Mito” attraverso apparizioni sovente in cauda, osservazioni in
lontananza circondate da un’aura dorata di mistero. Faraway, so close:
nasce così un catalogo che annovera eroi omerici e vichinghi, aruspici e figlie
del fiume, queste ultime in una bella contaminazione fiorentino-wagneriana
(pag. 39) verosimile frutto (o flutto!) dell’onda emozionale della Tetralogia
andata in scena poco tempo fa al Maggio Musicale.
Proprio l’aspetto della contaminazione
m’interessa nella misura in cui diviene o non diviene appropriazione. Il
magistero di Cesare Pavese, nei suoi Dialoghi con Leucò, ci insegna che
il Mito non è materia fredda. La nota lettera del 1942 a Fernanda Pivano, in
cui lo scrittore afferma che «…Ci vogliono miti, universali fantastici, per
esprimere a fondo e indimenticabilmente quest’esperienza che è il mio posto nel
mondo», si ripercuote, nel suo capolavoro, in una rivisitazione del Mito,
addirittura in una sua manipolazione (si veda soprattutto la vicenda di Orfeo),
comunque in un’immedesimazione funzionale alla nostra esistenza e urgenza
espressiva. Per intenderci mediante una citazione di Sergio Givone (tra l’altro
prefatore dei Dialoghi nella edizione più diffusa), contenute nella
premessa a questo volume, il piano del Mito e quello della Storia (dunque
dell’esistenza) possono forse apparire non intersecantisi, ma il primo richiede
creatività di approccio (dunque considerazione di una qualche sua
duttilità). Plasmare il Mito sulla propria concezione del mondo è il cimento di
Pavese ma anche di Ugolini (per la quale mi permetto di rimandare al mio saggio su Tuttoteatro) e di alcuni
miei esperimenti (Tiresia, quadri dall’Odissea) contenuti ne L’indegnità
a succedere e in misura minore altrove.
È questa la dimensione anche di Mosi? Non in
prevalenza: come abbiamo detto il Mito emerge in lontananza, narrato, abito su
misura, apparentemente intoccabile. C’è però uno sforzo, in un nucleo di
liriche, di adattarlo al quotidiano, alla ricerca di un significato archetipico
(Saffo-teenager inglobata nei propri batticuori a pag. 33) o ancor
meglio lasciando sul terreno elementi di critica sociale o politica.
Chi è Fatima, quali origini e implicazioni nasconde il nome della madre velata
del Siddharta-Tagete (pag. 23)? Attraversiamo inoltre spazi “codificati” del
nostro tempo: i campi ove lavorano braccianti stranieri, ma anche i ghetti di
Castel Volturno a dimostrazione che “Mito” non è solo ciò che è di stretta
pertinenza letteraria ma ciò che percepiamo come consolidato e
aprioristicamente imposto alla nostra esistenza. Per arrivare, al culmine della
rivisitazione mitologica, a una complessa (e un po’ contorta) rivisitazione del
mito di Orfeo in ambientazione d’infrastruttura urbana (pag. 27).
Almeno in un caso mi sembra che gli esiti siano
considerevoli: nella poesia Diana, citata come emblematica anche da Antonio
Spagnuolo, squarci schiarenti d’indeterminatezza si assommano a
un’appropriazione mitologica “in soggettiva”. Chi è quel sacerdote del nostro
tempo, moderno nell’oggettistica, e cosa lo muove verso la conquista violenta
del santuario di Diana? la pace? la propria ambizione (pag. 20)?
Il resto del libro si tiene in equilibrio tra il suaccennato gioco a
scomparire, la descrizione naturalistica dei fenomeni attraverso il mito, e
slanci più marcatamente riflessivi, talora eccessivamente fauve e
sconditi (un link o il titolo di una canzone, ad avviso dello scrivente, non
fanno ex se un verso).
Al termine della lettura si ha comunque la sensazione di un prender la strada,
di un work in progress verso connotazioni sulle quali confido l’Autore
possa ancora più marcatamente e selettivamente soffermarsi in futuro.
..........
Rivista “Poeti e poesie” n. 21 – dicembre 2010, pag. 100
Recensione di Alessia Tavella
Roberto Mosi, Luoghi
del mito, LietoColle, 2010
Il mondo è impregnato di un mito che riecheggia ovunque e
che lascia le sue tracce indelebili e senza tempo. Il mito racconta di un
passato virtuale che si presenta come icona rappresentativa del vivere umano e
che svolge una funzione educativa sempre attuale e attuabile. “Il mito … fa parte delle nostre esperienze
di vita in modi diversi ….” e riproporlo sotto sembianze contemporanee può
generare una linea guida da percorrere, unica certezza nel caos e nel
disorientamento tipici della vita odierna. “ogni
mito che ci è stato tramandato … ha qualcosa da dirci. contiene domande, ci
provoca … eterna sfinge che nasconde enigmi e segreti in cui ne va del nostro
vivere … del nostro tentativo di dare senso alla vita … il mito ha per
contenuto l’eternamente umano”. E’
quindi una risposta alle tante domande esistenziali che ci poniamo
continuamente e che ci disorientano, la possibile cosruzione di un senso che
spesso sembra non esserci. “… il mito è …
declinato al futuro … l’uomo contemporaneo … deve imparare … a sognare sapendo
di sognare”. La riabilitazione del sogno attraverso la letteratura classica
conferisce il vero valore all’intera raccolta che ne onora la capacità
edificante.
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G. Ladolfi
28 aprile
2011
Articolo su ATELIER 26 4 11
Roberto Mosi, Luoghi del mito, Faloppio (Co),
Lietocolle 2010
La raccolta di Roberto Mosi affronta il tema del mito classico secondo
un’impostazione personale di sapore mitomodernista. Nelle figure classiche egli
intravede la possibilità di trovare modelli interpretativi della realtà
presente, come se la modalità di interpretare il mondo, la realtà, le relazioni
umane e l’arte fosse iscritto nella nostra mente e portato alla luce dalle
“favole antiche”. Non si tratta solo della suggestione di Pavese, il quale ha
affrontato la questione in termini di chiara modernità, si tratta di rivisitare
l’universo culturale contemporaneo seguendo una suggestione universale: «Bit,
bit, byte, post, blog: / sventolano strisce di blog / dai calzari alati di
Hermes, / sono messaggi d’amore / in corsa nell’algida rete / alla ricerca
dell’altro. // www.poesia3000.splinder.com». Il messaggero degli dei viene
assunto come “icona” (mi si permetta questo termine informatico) delle
tecnologie informatiche. E così di figura in figura (Erato, Palinuro, Tagete,
Giasone, Saffo, Apollo, Pan, la Sfinge ecc…) Mosi passa in rassegna la contemporaneità.
Il labirinto di Creta diventa l’emblema del pensiero attuale: «Labirinto miraggio
/ il nulla, il tutto, al centro / scomposizione del reale / seduzione
dell’invisibile» (G. Ladolfi)
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