domenica 11 agosto 2024

„Locurile mitului” - G. Panella: „Fiecare mit are ceva să ne spună, ne provoacă: eternul sfinx ascunde enigme și secrete care ne afectează încercarea de a da sens vieții”

                  

Roberto Mosi, Luoghi del mito, Edizioni Lieto Colle,

         
                                       “Il mondo diventa più grande mano

a mano che torniamo indietro”.

 I sette pilastri della saggezza, Th  E. Lawrence


   Prefazione di Roberto Mosi

      Alcuni luoghi sono particolarmente legati al racconto dei miti, si crea come una stretta relazione fra i tratti fisici del paesaggio che li denota, i miti che questi luoghi evocano e il mondo delle nostre emozioni. E’ ancora vivo per me, per richiamare un esempio, il ricordo dei viaggi compiuti dal porto di Ancona verso la Grecia il primo giorno delle vacanze, dell’incontro con il profilo dei monti delle isole greche dopo una giornata di navigazione, l’attesa viva di scoprire, in un sogno ad occhi aperti, vicino ad un fuoco che brilla sulla costa, l’ombra di uno degli eroi del racconto di Omero. Forse, proprio la figura di Ulisse!

     Il mito dunque accompagna, anzi, si può dire, fa parte delle nostre esperienze di vita in modi diversi, può essere il calco d’argilla nel quale si riversano i frutti della nostra immaginazione, la chiave implicita – od esplicita – del nostro pensiero e del nostro linguaggio, perfino un motivo di gioco, di divertimento per riprendere i tratti di un antico racconto mitico, conosciuti da sempre, e presentarli in vesti nuove, con le forme, le suggestioni, i linguaggi che offre la vita che viviamo noi uomini, donne del terzo millennio, per mille versi attori confusi, frastornati su un palcoscenico colmo di segni e di rumori, incerti e, soprattutto, pieni di paura.

     “Ogni mito che ci è stato tramandato, anche il più oscuro e il più sconcertante, ha qualcosa da dirci. Contiene domande, ci provoca: ed è ogni volta un invito a prenderlo sul serio, a interrogarlo, eterna sfinge che nasconde enigmi e segreti in cui ne va del nostro vivere, anzi del nostro tentativo di dare senso alla vita” (S. Givone, Il mito oggi, in “Mito e contemporaneità”, Pendragon, Bologna 2007 ).  Il mondo storico e il mondo del mito corrono paralleli. “Mentre la storia è tutt’uno con il tempo e con il divenire, si può affermare che il mito ha per contenuto l’eternamente umano” (S. Givone).  Un aspetto questo che W. F. Otto, filologo classico e studioso della mitologia antica, precisa in una maniera particolare. Egli rivendica al mito una sua funzione essenziale e quindi nega che esso possa tramontare. Il nostro essere al mondo è tutt’uno con la nostra capacità di domandarci che cosa ci stiamo a fare sulla terra e di trovare eventuali risposte attraverso i racconti con cui cerchiamo di mettere ordine al grande caos che ci minaccia. Naturalmente ciò dà luogo a una specie di narrazione infinita,  il mito ci parla di eventi che non sono mai accaduti ma che sempre “sono”,  non nella realtà della storia, ma nella realtà delle parole che usiamo per costruire possibili orizzonti di senso.

     E’ un percorso del pensiero che ci porta a non relegare il mito in una dimensione arcaica; al contrario, il mito è, per così dire, declinato al futuro. “Se ne può appropriare o riappropriare solo chi disponga di grande consapevolezza critica e di altrettanto grande fantasia creativa” (S. Givone). L’uomo contemporaneo è come chiamato ad un’impresa: deve imparare, per dirla con le parole di Nietsche, a “sognare sapendo di sognare”. In questa ricerca possono essere liberate le energie che in potenza sono racchiuse nel mito.

     Questo percorso di riflessione fa parte della mia ricerca poetica, avviata da alcuni anni, intorno ai luoghi che ci troviamo ad attraversare (Itinera), a vivere (Parole e paesaggi), ai quali siamo legati per la nostra storia (Florentia) o che ci fagocitano come individui in mezzo alla folla (Nonluoghi). Rappresenta il tentativo di catturare con i versi della poesia una molteplicità di sensazioni, di memorie, personali o condivise con altri, di formare una trama che converge in un punto: sono elementi attratti, come le pagliuzze di limatura di ferro, da una linea di forza magnetica che è la ricerca del senso dei luoghi. Il percorso che ora si compie con la nuova raccolta di poesie (Luoghi del mito) aggiunge il piacere dell’incontro con il mito, della nostra capacità, in definitiva, di sognare ad occhi aperti.

                                                               Roberto Mosi

  * * * *


„Locurile mitului” - G. Panella: „Fiecare mit are ceva să ne spună, ne provoacă: eternul sfinx ascunde enigme și secrete care ne afectează încercarea de a da sens vieții”

Recensione di Giuseppe Panella 

"Accostamento al mito" 

 di Da:  QUEL CHE RESTA DEL VERSO 55.


Dopo aver poeticamente investigato i non-luoghi del Moderno e della sua apoteosi in postmodernità velocizzata e implacabile verso i residui della cultura tradizionale sopravvissuta alla terza Rivoluzione industriale del Novecento, quella telematica, Roberto Mosi si attesta sul versante di ciò che è il Non-Luogo per eccellenza e da sempre: il mito classico.

 «[…] il mito ci parla di eventi che non sono mai accaduti ma che sempre “sono”, non nella realtà della storia, ma nella realtà delle parole che usiamo per costruire possibili orizzonti di senso. E’ un percorso del pensiero che ci porta a non relegare il mito in una dimensione arcaica; al contrario, il mito è, per così dire, declinato al futuro. “Se ne può appropriare o riappropriare solo chi disponga di grande consapevolezza critica e di altrettanto grande fantasia creativa” (Sergio Givone). L’uomo contemporaneo è come chiamato ad un’impresa: deve imparare, per dirla con le parole di Nietzsche, a “sognare sapendo di sognare”. In questa ricerca possono essere liberate le energie che in potenza sono racchiuse nel mito» (p. 10)

 scrive Mosi nella sua breve Premessa al volume. Giustamente l’autore rileva la perennità del mito rispetto allo scorrere continuo e implacabile della storia e del suo corso transitorio e legato alla realtà dell’attimo vissuto. Anche la poesia, per questo motivo – la sua ricerca di eternità – invoca il privilegio di non passare invano, di permanere, di conservarsi nel suo statuto di possibile non-mortalità ad opera dei suoi valori formali e dei suoi contenuti condivisi. Riprendendo anche alcuni testi già apparsi  in altre sue raccolte qui ben integrati con la sua produzione nuova, la ricerca poetica di Mosi vuole andare nella direzione di una riutilizzazione dei materiali mitologici per verificarne la possibilità ermeneutica e la qualità espressiva dal punto di vista della scrittura. In questa sua aspirazione, allora, è chiara la volontà di utilizzare l’a-temporalità classica del mito in chiave dinamica per assecondarne l’adattabilità alle situazioni e alle proposte culturali di oggi. Ne è espressione simbolica la divaricata cibernetizzazione del mito del dio Ermes:

 «Ermes. Bit, bit, byte, post, blog: / sventolano strisce di blog / dai calzari alati di Hermes, / sono messaggi d’amore / in corsa nell’algida rete / alla ricerca dell’altro. // www.poesia3000.splinder. com /  blog di trecento giorni / striscia di cinquanta post / poesie pensieri info diari / profilo, foto dell’autore. / Cinquemila visitatori, / cinquemila nasi, bocche / diecimila orecchie, occhi / cinquantamila dita. / Contatti brevi, lunghi, / meraviglia negli sguardi / bocche storte, in tralice: / “Si tratta di vera poesia?”» (p. 32).

 In questa sua provocazione fortemente accentuata sul piano espressivo, il poeta fiorentino sembra sposare una delle tesi forti che già furono del compianto Furio Jesi:

 «Si potrà obiettare che il tempo del mito è immobile, e dunque che nella sfera del mito un istante vale l’eternità. Ma anche se il tempo del mito è effettivamente immobile, esiste nella percezione di esso una costante che definiamo “lunghezza” anziché “durata” : lunghezza tutta simultaneamente percepita, così come è percepita ogni sua frazione, e tale quindi da far coincidere con l’ istante di chi percepisce sia l’intera realtà del tempo mitico sia le parcelle di esso. La realtà essenziale di quella durata è intrinseca non solo alla struttura di un mitologhema quale vicenda narrata, ma anche al più intimo valore di rivelazione assunto da esso. Si dovrebbe anzi dire che quella lunghezza diviene reale quanto più un mitologhema acquista in un determinato contesto religioso valore di rivelazione e di redenzione. In questo senso, nell’ambito del mito, l’ “una volta tanto” porta l’uomo più vicino al dio, mentre il “da oggi per sempre” avvicina il dio all’uomo» (Furio Jesi, Materiali mitologici. Mito e antropologia nella cultura mitteleuropea, Torino, Einaudi, 1979, p. 122).

 In questo tentativo – trasformare in realtà di oggi l’istante eternizzato del mito – risiede il merito principale della ritrascrizione dei “luoghi del mito” da parte di Mosi. Si tratta, in sostanza,  di trasformare ciò che è acquisito come mitologhema (per dirla con il linguaggio più tecnico di Jesi) – il culto di diana, la vicenda di Orfeo ed Euridice o il mito della Sfinge, a esempio – in dato comprensibile con la percezione di oggi e usarlo non tanto come simbolo di un “passato che non passa” quanto come metafora del presente.

Così come si avvia sui percorsi del mito greco-arcaico allo stesso modo Mosi ritrova nella poesia antica o in altre mitologie diverse da quella classica (quella nordica, ad esempio, di wagneriana ossessione) lo spunto per una riflessione tra il serio e il leggero (l’ironico è tra i modi di quest’ultimo periodo dello scrittore) che sappia però parlare al lettore del presente. La rivisitazione del mito di Ulisse sembra, in effetti, particolarmente riuscita sotto questo profilo:

 «Ulisse. L’alba sorprende / l’eroe volo AZ1414 / le armi in pugno / il computer per scudo / il telefono in mano, / altri cento achei / infossati nei sedili. / Sulla terra le ombre / cedono alla luce, / le strade vomitano / macchine nervose. // Alla sera la flotta / attende il decollo / le truppe ammassate / nelle piccole navi. / Infine il balzo / nella notte di pece. / Il porto d’Itaca è chiuso 7 per la furia dei venti, / il riparo oltre i monti. // L’eroe raggiunge / la reggia del sonno. / Penelope dorme stizzita, / solo Arturo saluta / il ritorno, la coda ritta. / L’eroe guarda la posta, / pone in ordine le armi / si distende sul letto. / Il risveglio è vicino. // Ogni sera Ulisse / torna a Itaca» (pp. 30-31).

 Anche nell’età postmoderna delle comunicazioni di massa e dei trasporti ultraveloci, Ulisse è sempre lo stesso. Tornare a casa è il suo mestiere e lo fa allo stesso modo che nel poema di Omero, solo che qui usa strumenti diversi dall’eroe antico ma con desideri e ambizioni antiche.

Anche Orfeo viene riletto in una dimensione modernizzata che ne esalta i caratteri imperituri e convenienti alla nostra epoca (così come aveva fatto anche Dino Buzzati nel suo Poema a fumetti):

 «Orfeo. Se Orfeo poté col suono della canore / corde della sua cétera treicia / evocar l’ombra della sua consorte (Virgilio, Eneide, c. VI, vv. 173-175, trad. it. di G. Vitali) Cerbero il gigante dalle teste / rotanti ha trafitto Firenze, /  nove chilometri di galleria. / Il treno è in arrivo in mezzo alla folla. / “Orfeo è alla guida del treno” / sospira una voce innamorata. / “Euridice è vestita di bianco”. // Nella città divisa dall’odio / la vita si è accesa. / Orfeo ha convinto tutti / a scendere all’inferno / a gettare i simboli dell’odio / nelle voragini profonde / oltre il suono dell’eco. // “Il canto ci ha conquistati, / siamo scesi in fila indiana / seguendo il suono della voce”. / Davanti ceste di retorica / simboli della Chiesa trionfante / insegne della massoneria / bandiere d’ogni ideologia / paraventi per tramare nell’ombra. // Euridice è alla guida di Cerbero / nella melma degli ultimi strati, / la tuta bianca, l’elmetto sopra / i capelli biondi. Orfeo / s’innamorò al primo sguardo. / Implorò Ade di lasciarla salire. / “Uscirà alla fine dello scavo / quando passerà il primo treno”. // “Orfeo ha distrutto, Orfeo / ha creato”. Il suo canto / ha scolpito Firenze: / musica, libertà, uguaglianza. / Il centro è diventato periferia / la periferia centro. In ogni / quartiere un luogo per l’incontro / con i popoli del mondo. // Un boato scuote la terra, / un vortice acre di fumo. / Sul silenzio di gelo le parole / di Orfeo alla radio: “I binari / hanno ceduto. Scendiamo / sotto la terra per gettare altre / scorie. Euridice è già al lavoro / i motori di Cerbero accesi” » (pp. 27-28).

 Orfeo è un uomo moderno, un politico abile e capace che cerca di mediare attraverso lo scontro delle più disparate ideologie e produrre un’unità reale tra gli uomini. Ma di fronte a Euridice il suo cuore vacilla. Innamorato, cerca di salvarla dal possibile sacrificio richiesto dal progresso umano ma nulla può contro il destino. C’è una speranza, però: alla fine degli scavi e del lavoro rotante di Cerbero forse ritornerà alla superficie. Versione ironica e attualizzata del mito, questo testo poetico conferma la limpidezza usata da Mosi nella costruzione del verso e nel ritmo dello stile poetico (semplicità che non scade, tuttavia, mai nel semplicismo e nell’autoevidenza eccessiva). Essa  cerca conferma in una scrittura senza forzature né sovratoni ma in un progetto di rilettura della temporalità del presente che si riannoda al suo sostrato più profondo e alla sua valenza non eludibile di richiamo al passato remoto.

  


Eroi

 

Il sole scende

dal carro e getta

l’armatura,

gli ultimi raggi

incorniciano la nave

all’orizzonte.

 

Vespero alto

nel cielo

precede le stelle

per ogni dove,

sulle rive dell’isola

abitano ancora

gli eroi di Omero.

 

                                

 

Palinuro

 

Barche lasciano il porto

festoni sull’albero della vela

la prua vola a Capo Palinuro

onde sollevano le chiglie.

La sosta e poi in acqua

verso le grotte, i loro miti.

 

Grotta delle Ossa fra gli scogli

sonanti  rauchi

per l’incessante battere dell’onde,*

sui resti di naufragi

il nocchiero di Enea

vinto dal Sonno, i marinai

incantati dalle Sirene.

 

Avanzo a fatica

nella Grotta delle Ossa

le onde padrone del corpo.

 “Aiuto”,  l’eco rimbomba

dilata la paura. Intorno

biancheggianti ossa infisse

nella malta delle pareti.

 

Il sole precipita fra le onde

Vespero si affaccia sopra di noi.

Sono l’ultima vedetta ai piedi

della grotta, in attesa.

          

         * Virgilio, Eneide, C. V, vv. 1228-1229.

            Trad.  G. Vitali.

 

Diana *

 

Sedici giorni di cammino

sulla Via Appenninica

per giungere al sacro luogo.

Striscio nel bosco come

serpente in mano il pugnale.

Scorgo il Santuario, al centro

l’albero dal Ramo d’oro.

 

Risuona il manto secco

di foglie, il vento intona

un eterno, lugubre lamento.

Riluce l’acciaio sulle spalle

ogni volta che la luna appare

dallo squarcio di nubi.

 

“Diana, regina delle selve,

sono giunto al sacro albero

sulle sponde del lago di Nemi

per conquistare il Ramo d’oro.

Mi separa solo il sacerdote 

guardiano del bosco.”

 

Scatto come il serpente.

Il pugnale si abbassa

 il sangue schizza, risuona

l’acciaio, mi batto furioso.

 

Appendo poi il Ramo

alle porte della città.

La sua luce rischiara

l’oscurità dei nostri tempi.

 

  * Sorgevano il bosco sacro e il santuario di Diana Nemorensis, la Diana

      dei boschi ….      Un candidato al sacerdozio poteva ottenere l’incarico solo

      uccidendo il suo predecessore  e occupandone il posto fino a quando non

      fosse stato a sua volta ucciso da un altro  aspirante più forte o più astuto di lui.                                                                    

                                                                   J. G. Frazer, Il ramo d’oro, cap. I

 

 

Giasone

 

Sono giunto alle rive del Bosforo.

Le navi in fila passano lo stretto.

Formiche colorate. Bandiere al vento.

Le cicogne in volo disegnano

una freccia acuminata

contro la sfera del sole.

Sull’altra riva le montagne dell’Asia.

 

Sono sazio d’Europa, percorsa in tutte

le vene, conosciuta nei meandri riposti

delle sue membra, per un’intera vita.

Nelle mani la mappa di terre nuove.

 

Inseguirò l’ombra dei miti, Giasone

alla conquista del vello d’oro,

le carovane sulla via della seta,

l’onda dei cavalli di Gengis Kan,

i viaggi infiniti di Marco Polo.

 

Ripiego la mappa. Ora fra le mani

la forma di una nave di carta.

Ondeggia sulle acque del Bosforo

si allontana al centro dello stretto.

 

 

 

Ulisse

 

Sul volo AZ1414

l’alba sorprende l’eroe

le armi in pugno

il computer per scudo

il telefono in mano,

altri cento achei

infossati nei sedili.

Sulla terra le ombre

cedono alla luce,

le strade vomitano

macchine nervose.

 

Alla sera la flotta  

attende il decollo

le truppe ammassate

nelle piccole navi.

Infine il balzo

nella notte di pece.

Il porto d’Itaca è chiuso

per la furia dei venti,

il riparo oltre i monti.

 

L’eroe raggiunge

la reggia nel sonno.

Penelope dorme stizzita,

solo Arturo saluta

il ritorno, la coda ritta.

L’eroe guarda la posta,

pone in ordine le armi

si distende sul letto.

Il  risveglio è vicino.

 

Ogni sera Ulisse

torna ad Itaca.

 

 

 Ermes

 

Bit, bit, byte, post, blog:

sventolano strisce

dai calzari alati di Hermes,

sono messaggi d’amore

in corsa nell’algida rete

alla ricerca dell’altro.

 

www.poesia3000.com

blog di trecento giorni

striscia di cinquanta post

poesie pensieri info diari

profilo, foto dell’autore.

Cinquemila visitatori,

cinquemila nasi, bocche

diecimila orecchie, occhi

cinquantamila dita.

Contatti brevi, lunghi

meraviglia negli sguardi.

 

 

 

Saffo

 

“A me pare uguale agli dèi

chi a te vicino così dolce

suono ascolta mentre tu parli

 

e ridi amorosamente”*,  a penna

rossa hanno scritto

ai margini del manifesto.

 

Cammino per la città

vedo  fanciulle in fiore

tenersi tenere per mano

 

brillano gli sguardi nei volti

vicini, “un fuoco sottile

affiora rapido alla pelle”*.

 

“Lasciateci amare come

vogliamo” ha scritto

in vernice spray sul muro

 

davanti alla scuola

la “dolce-ridente Saffo

coronata di viole”**.

 

* Saffo, fr. 2. Trad. S. Quasimodo

** Alceo, fr. 63. Trad. S. Quasimodo

 

 

 

Febo

 

 

La spiaggia è un anfiteatro, gli spettatori

in attesa dello spettacolo di ogni sera

 

l’acqua pulsa di luci multicolori, scomposte

dagli ultimi raggi del sole al tramonto

 

oltre la punta del promontorio, intorno

le braccia aperte del golfo, verdi di pinete.

 

Mi lascio cullare dalle onde, il fresco

dell’acqua accarezza il mio andare.

 

Sotto di me l’oscurità, le creature del mare

vivono già il mistero della notte.

 

L’idea della bellezza è a portata di mano.

Nuoto per raggiungere Febo, sorgente di luce.

 

 

 

Sonno *

 

E’ forse simile

a un dio l’uomo

che dorme in piedi

alla porta della stazione

discosto dal muro

i ginocchi piegati

la testa in avanti.

Intorno la folla

del mattino.

 

      * “Allora il Sonno dalla marea dei suoi figli

          destò Morfeo, un talento nell’assumere qualsiasi sembianza.”

                          Ovidio, Le Metamorfosi, Libro XI

 

 

 

Zeus

 

Sono nato dai racconti

del padre Zeus,

luce soffusa su storie

ricerca della felicità

 riscatto dalla miseria

conquista della libertà.

 

 

 

Era

 

La sirena della fabbrica

urla, la voce possente.

Madre Era

attraversa il cortile dei giochi

corro alla sua borsa

gli occhi velati di sudore,

odore di tabacco

sapore dolce di caramelle.

 

 

 

Atena

 

Il verso della civetta
mi chiama alla finestra
aperta sull’Acropoli.

 

La processione si muove
dal quartiere del Ceramico
per i marmi della via sacra:

 

animali per il sacrificio
schiere di musici e cantori
giovani su cavalli scalpitanti.

 

Aprono il corteo le donne,
sollevano il peplo per Atena
dagli occhi fiammeggianti.

 

La luce della dea s’irradia

dal Partenone per il mondo
nella notte raggiata di stelle.

 

 

 

         Ares

 

         Ares dall’alto della rocca

         sopra la pianura di Troia

         lancia furibondo il grido

         di guerra, pari all’urlo

         di diecimila guerrieri,

         si lancia nella mischia

         mugghia come l’uragano.

                       

         Ares ogni giorno grida.

         La forza dell’urlo

         raggiunge i confini del tempo

         le rive di ogni mare.

 

 

 

Dioniso

 

Spuma

di mille gocce

nello zampillo del vino

 

luce

di cento riflessi

in un raggio disteso

 

vento

di infiniti respiri

in un vortice perenne

 

suono

di lunghi rumori

in un’eco che si allontana

 

pensiero

di caldi sogni

in una scintillante risata.



 

Recensioni

G. Linguaglossa

 

Roberto Mosi Luoghi del mito Faloppio, LietoColle, 2010-06-07

 

Come è noto, nella metafisica heideggeriana il pensiero oggettivante è quello che coincide con quell'epoca della storia dell'essere in cui quest'ultimo si dà come «presenza». È questa l'epoca mitica degli dèi e dei semi dèi: l'epica e l'epoca del mondo pagano. Quest'epoca è caratterizzata dal fatto che l'essere si dà come forza: con il carattere della permanenza, della finitezza, dell'evidenza. Con il divenire della posizione del problema essere-tempo comincia la Verwindung della metafisica: l'essere si dà ormai, come già annunciato nel nichilismo di Nietsche, come ciò che svanisce e che perisce; non come ciò che sta (fin da Sein und Zeit), ma come ciò che nasce e muore.

La situazione attuale, di tramontto dell'arte, è leggibile filosoficamente come aspetto di questo generale accadimento che è la Verwindung della metafisica, di questo evento che concerne l'essere stesso. La nozione heideggeriana della poesia come «messa in opera della verità» concerne la esposizione (Aufstellung) di un mondo e produzione (Her-stellung) della terra; nel senso che l'opera d'arte ha una funzione di fondazione, fonda il limite e il confine di un mondo storico. Un discorso che va configurato nel senso seguente: come e quando si verifica che la funzione estetica assume il volto della organizzazione del consenso? Ha senso oggi parlare di «luoghi del mito»? Sì, sembra dirci Roberto Mosi, i luoghi del mito risplendono soltanto come frammenti e rovine della physis, della «terra»; in quanto intrisi di terra e di dynamis, queste composizioni di Mosi vanno nella giusta direzione, sono indicative di quel generale evento del tramonto che Heidegger ha definito «ontologia del declino». Mi piace questo vagare nelle stanze dei miti di Mosi, questo frangersi e infrangersi della parola poetica dinanzi alla evidenza «cose». Dinanzi alla evidenza delle cose la poesia non può far altro che ammutolire. Avviene così che quando Mosi si avvicina alla cronaca, la sua poesia subisce una flessione, manca la parola il suo oggetto.

 

            Giorgio Linguaglossa

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FRANCA ALYMO

Roberto Mosi:  “Luoghi del mito”, casa ed. LietoColle 2010

 

 

            E’ un’operazione intellettuale molto raffinata  quella  tessuta da Roberto Mosi nel suo ultimo libro Luoghi del mito, i cui testi, insieme alla bella nota introduttiva dello stesso autore, costituiscono una sorta di difesa del mito come tòpos che, dopo millenni, rischia di naufragare nel flusso onnivoro della superficialità culturale ormai dominante.

          E’ anche oltremodo interessante come l’autore si ponga l’obiettivo di prolungarne l’efficacia al di là della cristallizzazione che su esso incombe, sfaccettandone l’applicabilità e suggestione creativa con l’accogliere altri modi ed atteggiamenti del sentire popolare: è il caso del “mito” di Vasco Rossi; o, sia pure in chiave negativa, dei boss della Camorra.

          Per lo più il mito classico viene sottoposto ad un’operazione di contaminazione attraverso l’ambientazione moderna di situazioni e figure topiche come  emblemi immutabili della storia singola e collettiva. Sono, a mio parere, i momenti più alti di questa poesia, come in “Orfeo” e“Saffo”, giusto per fare qualche esempio, in cui il mito, nella prima, di Orfeo ed Euridice, conduttori di treni nella metropolitana di Firenze ( Cerbero è il treno), diventa occasione di denuncia dei mali della società contemporanea e simbolo di una nuova speranza. Nella seconda, invece, dove troviamo citazioni da Saffo, Alceo, Proust, la figura mitica della poetessa di Lesbo assume le sembianze di una ragazza d’oggi che scrive in vernice spray sul muro//  davanti alla scuola: “Lasciateci amare come vogliamo”.

          Non mancano neppure le rivisitazioni ironiche  e perfino mordaci di personaggi e dei come “Ulisse” ed “Ermes”, il primo trasformato  in un viaggiatore alle prese con ritardi e ripetuti approdi serali nella sua dimora dove solo il cane Arturo saluta/  il ritorno, la coda ritta, mentre Penelope già “dorme stizzita”; il secondo nella stessa immensa rete telematica, che immette “dai calzari alati” una caterva di messaggi a favore  ( o a danno? ) dei milioni di frequentatori di blog.

          Questo libro che compone, con gli altri che l’hanno preceduto, una sorta di quintetto poetico  sul percorso del poeta  all’interno dei  luoghi (siano essi intesi come spazi geografici, mentali, interiori, onirici, culturali), sembra, pur nella sua specificità, contenerli tutti, aggiungendo nuove tappe, nuove occasioni di conoscenza, nuove mappature culturali e, allo tesso tempo, creando una circolarità di motivi ed umori, che sono le spie di un progetto consapevole di scrittura.

 

28 Giugno 2010

 

Franca Alaimo


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Antonio Spagnuolo

Rivista on-line “Poetry wave-dream. Aggiornamenti intorno alla Poesia Contemporanea”

Indirizzo: http://poetrydream.splinder.com/

 

sabato, 31 luglio 2010

RECENSIONE N° 142

Roberto Mosi : “Luoghi del mito” – Ed. Lietocolle 2010 – pagg.54 - € 10,00 –
Il sorriso di un viaggio immaginario, attraverso il racconto di svariati colori e nello splendere di ricordi classici , mai sopiti, diviene in queste poesie la sfumatura trasfigurata della carezza di un tempo senza limiti. Il viaggio ha salde basi storiche ed offre quelle policromatiche figure della mitologia nel piccolo/grande  universo della rappresentazione.
Il mito è presente, anzi fa parte delle nostre esperienze di vita in modi diversi, così da immaginarsi nel calco levigato di un marmo, nella succosa scoperta della divinità, nella chiave del nostro subconscio e del nostro linguaggio, a ricomporre le figure del racconto, per rielaborare nella sensibilità di un intervento musicale le suggestioni una volta confuse, una volta evocate, delle incertezze metafisiche o delle possibilità degli schemi. “Ogni mito che ci è stato tramandato, anche il più oscuro e il più sconcertante, ha qualcosa da dirci. Contiene domande, ci provoca: ed è ogni volta un invito a prenderlo sul serio, a interrogarlo, eterna sfinge che nasconde enigmi e segreti in cui ne va del nostro vivere, anzi del nostro tentativo di dare senso alla vita” (scrive S, Givone nel suo “Mito e contemporaneità” ) e un diverso accento poetico , quasi di tenerezza si appalesa  in queste pagine di Roberto Mosi.
“…Diana, regina delle selve,
sono giunto al sacro albero
sulle sponde del lago di Nemi
per conquistare il Ramo d’oro.
Mi separa solo il sacerdote,
sovrano del bosco.
Scatto come il serpente.
Il pugnale si abbassa,
sangue schizza sulla bocca,
risuona l’acciaio, mi batto
furioso per il Ramo d’oro.
Ritorno sui miei passi.
Appendo il Ramo alle porte
della città, la luce rischiara
l’oscurità dei nostri tempi…”
Basta poco per comprendere il registro, una sostanza di cose sperate e rielaborate che sfocia nell’accadere delle occasioni, con una capacità stilistica di notevole corposità culturale.
Antonio Spagnuolo

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                                                 Giorgina Busca Gernetti

  

LUOGHI DEL MITO di ROBERTO MOSI

 

“Il mito è soprattutto una forza culturale che si rigenera continuamente […]. Nella cultura primitiva il mito esplica una funzione indispensabile: è l’espressione, la valorizzazione, la codificazione di un credo; difende e rinforza la moralità; garantisce l’efficacia del rito, e contiene pratiche che guidano l’uomo. Il mito è perciò una componente vitale della civiltà umana; non è un futile racconto, ma una forza attiva operante; non è una spiegazione razionale o un’immaginazione artistica, ma un documento pragmatico di fede primitiva, di saggezza morale.” (B. K. Malinowski, Il mito e il padre nella psicologia primitiva, Newton Compton, Roma, 1976, p. 47).

Così l’antropologo polacco, naturalizzato britannico, Bronislaw Malinowski ha espresso la sua concezione del mito, benché i suoi studi si siano rivolti soprattutto alle civiltà primitive della Melanesia, non della Grecia antica. Tuttavia, poiché l’uomo primitivo creatore dei miti, in virtù dell’appartenenza a una collettività, ne ha ereditato inconsciamente un complesso di archetipi, vale a dire di forme primitive che stanno alle basi delle espressioni mitico-religiose dell’uomo (inconscio collettivo, secondo Gustav Jung), e poiché, per il carattere universale di questo fenomeno, gli uomini hanno comportamenti analoghi a qualunque latitudine o longitudine vivano, il pensiero di B. Malinowski ben si addice a ciò che scrive Roberto Mosi nella bella pagina introduttiva al libro di poesie Luoghi del mito, appena pubblicato per i tipi di LietoColle. Egli riporta, infatti, alcuni passi degli studiosi di mitologia S. Givone e W. F. Otto, insigne filologo, concordi sull’indispensabilità del mito per gli uomini che cercano di dare un significato alla loro vita e una risposta ai loro interrogativi più profondi e tormentosi (l’origine del mondo, l’origine e il destino dell’uomo, l’origine del proprio popolo); concordi anche sulla sua eternità, nonostante i grandi mutamenti storici, filosofici, sociologici e comportamentali dell’umanità.

Roberto Mosi, dunque, ama profondamente il mito perché vuole imparare a “sognare sapendo di sognare” (F. Nietzsche da lui stesso citato) e scrive poesie sui miti greco-romani, etruschi, mediorientali o germanici. Inoltre, proprio in questi anni si dedica a riflessioni, ricerche e scritti poetici sui luoghi, come dimostrano anche nei titoli i suoi recenti libri Parole e paesaggi, Florentia, Non-luoghi, Itinera e quest’ultimo Luoghi del mito.

Luoghi della memoria, della realtà, della somma arte toscana, dello scempio moderno, della natura sempre affascinante e infine del mito. Luoghi come scaturigine del mythos all’alba della civiltà greca o come impulso a ricordare un determinato mito per associazione di pensiero e d’immagine di fronte a una statua di marmo, alle rovine di una città, a un fitto bosco presso un lago, a un promontorio, a un tramonto sul mare, a un fiume.

Con queste premesse ci si attenderebbe una poesia del tutto rispettosa della sacralità dei miti classici, cantati da insigni poeti d’ogni epoca in tutto il mondo occidentale, e di altri miti non meno affascinanti celebrati dalla musica di Wagner o da poeti nordici. Non si rimane delusi per la maggior parte delle composizioni che, dopo l’invocazione del poeta a Erato, Musa della poesia lirica, perché lo aiuti in quest’ardua impresa, tratteggiano uno splendido tramonto sulle isole greche ove “abitano ancora / gli eroi di Omero” e, di pagina in pagina, evocano miti che fanno rivivere un mondo eroico o tragico di personaggi dal fascino eterno.

Per onestà intellettuale, però, chi scrive non può non palesare il suo dissenso da alcune troppo ardite ‘modernizzazioni’ di personaggi che la tradizione classica ha delineato in aderenza alle antiche narrazioni e che grandi poeti pur d’epoca diversa, come Virgilio, Angelo Poliziano o R.M. Rilke, oppure musicisti come Ch.W. Gluck hanno cantato in piena fedeltà alla tradizione. Orfeo ed Euridice, nella poesia Orfeo, posti l’una dopo l’altro alla guida del treno Cerbero che attraversa la città di Firenze, pur con l’intento dell’autore di salvare il mito dal naufragio nel fango della nostra epoca, appaiono come una dissacrazione. La stessa cosa vale per Ulisse (nella poesia Ulisse) che ogni giorno viaggia in aereo (volo AZ1414) munito di computer e telefono cellulare, oppure per Hermes (nella poesia Ermes) il cui linguaggio di messaggero degli dèi qui è divenuto il linguaggio di internet: “Bit, bit, byte, post, blog”, con l’indirizzo tradizionale “www…..”.

È pur vero che attualmente questo è il linguaggio quotidiano e che, tornando al primo degli esempi, Italo Calvino e Gesualdo Bufalino hanno offerto una lettura del personaggio di Euridice un poco diversa da quella tradizionale (L’altra Euridice di Calvino, Il ritorno di Euridice di Bufalino), ma la scelta di Roberto Mosi in questi tre testi pare un po’ troppo ardita. Tutte le altre poesie, invece, denotano una pregevole abilità del poeta nel passare dall’epoca mitica al presente, persino dal Re Mida a Vasco Rossi, con pregevoli risultati.

Il Labirinto nell’Isola di Creta è stilisticamente anafora nella struttura della composizione e mitologicamente teatro di due celebri imprese: Teseo, dopo aver ucciso il Minotauro, può uscirne grazie al filo dell’amata Arianna; Icaro, figlio dell’architetto Dedalo, fugge dal palazzo-carcere compiendo l’audace, sacrilego, letale volo troppo vicino al Sole.

Alcune liriche, come Labirinto, recano in epigrafe versi di Virgilio, altre passi di J.F. Frazer o di Cicerone, un’altra alcuni versi dall’Oro del Reno di Wagner. Altre, come la poesia Saffo, sono un intarsio citazionale della stessa Saffo, d’Alceo, di Proust, come prova dello spessore culturale di Mosi in un’operazione molto originale, soprattutto nella contaminazione d’antico e moderno, anzi, contemporaneo, tanto da fare della raffinata poetessa di Lesbo una ragazza d’oggi che scrive sui muri con la vernice spray: “Lasciateci amare come / vogliamo”.

Nelle liriche dallo stile denso e conciso si presentano i personaggi mitologici entro scorci paesaggistici creati con pochi tratti di grande fascino pittorico. Ecco Palinuro, lo sventurato “nocchiero di Enea / vinto dal Sonno”, perito nelle onde ingannevoli di uno splendido mare e ricordato dal nome del promontorio. Compare presso il lago di Nemi la dea Diana dei boschi, Diana Nemorensis, che pretende il Ramo d’oro dal suo sacerdote di turno, salito a questo rango uccidendo il suo predecessore. L’aruspice etrusco di Populonia scruta il volo del falco per interpretare il futuro. Il fanciullo Tagete, divinità minore della religione etrusca, scaturisce dalla terra, di cui è figlio, insegna agli uomini l’arte della divinazione e scompare subito “tra le zolle brune” nei pressi di Populonia, dove improvviso nei campi compare un trattore Massey Ferguson, manovrato da una contadina velata di nome Fatima (estrema potenza del moderno trattore e attuale tema dell’immigrazione dal mondo musulmano che vuole le donne coperte dal velo, anche se svolgono pesanti lavori per lo più maschili).

Molto bella Petra, sia l’antica città scavata nella pietra, capitale dei Nabatei, sia la poesia di Mosi in cui il fascino del Siq, i cammelli, i cavalli, i ragazzi di oggi nella seconda parte escono di scena per lasciar rivivere presso il Tempio e il Santuario una cruenta scena rituale dell’epoca antica: “Petra è tornata / all’antico mistero”. Di grande fascino Apollo, in cui il poeta nuota in uno splendido mare nell’ora del tramonto contemplato da tutti i bagnanti: “Nuoto nell’ultimo chiarore della sera / per raggiungere Febo, sorgente di luce.”

Sarebbe giusto citare tutti i passi di buona poesia e i luoghi o i personaggi del mito di grande efficacia anche simbolica, come Erik il Rosso, eroico navigatore dei Vichinghi, ad esempio, ma non è possibile. Qualche parola, invece, è necessaria su Vasco Rossi. Perché mai un cantante moderno tra i personaggi del mito? Se anche Roberto Mosi resta affascinato dalla sua voce e tra la folla del concerto anche lui si mette a cantare insieme con gli altri convenuti, allora anche Vasco Rossi è un mito, certamente di oggi, ma tuttavia un mito.

Di notevole valore etico-sociale la poesia Camorra, con un esergo tratto dal romanzo Gomorra di Roberto Saviano che a sua volta cita Hannah Arendt. Si apre con la celebre epigrafe dantesca posta sulla porta dell’Inferno: “Per me si va nella città dolente…” e dichiara con coraggio che la metropoli ove il poeta è giunto in treno è “la città di Gomorra”, “nove cerchi, / l’Inferno napoletano”, così come lo sono i celebri luoghi regno della camorra come Scampia, Secondigliano, Forcella, Casal di Principe, Torre Annunziata. La verità va affrontata ad occhi ben aperti e detta con voce chiara. Peccato che sulla bella Partenope e sui suoi miti di Sirene incantatrici oggi prevalga il mito della violenza, del dominio, del sangue.

 

                                                 Giorgina Busca Gernetti

 

Roberto Mosi, Luoghi del mito, LietoColle, Faloppio 2010. pp. 54

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articolo pubblicato sul blog di R. R. Corsi

Apparizioni (talora appropriazioni) del Mito: Roberto Mosi.

Posted by Roberto R. Corsi su 9 settembre, 2010

Ho letto la nuovissima raccolta del fiorentino Roberto Mosi, Luoghi del Mito (LietoColle), con l’interesse che sempre in me scaturisce non appena fiuto un incrocio “pericoloso” tra poesia e “cultura”. Di pericolo in effetti si tratta, quantomeno per le fortune del poeta che dev’essere disposto ad affrontare una schiera di lettori e critici fortemente avversi a questa commistione. «È strano che si voglia fare lirica dotta», mi fu un giorno obiettato per lettera; qui invece leggiamo, nella chiusa della poesia a pag. 32, un eloquente “Si tratta di vera poesia?”, dove il virgolettato dà conto di un qualche effettivo incontro-scontro nei lidi informatici.

A nulla vale eccepire l’indeterminatezza degli aggettivi che ho evidenziato in corsivo, essendo oggi la poesia non definibile se non secondo canoni personali. A poco vale perfino citare voci altissime quali (tra le altre) Kavafis, Caproni o, per restare in riva d’Arno, il possente lavoro mitologico-poetico-teatrale di Liliana Ugolini: sembra quasi che l’iniezione del Mito (che a questo riguardo è una species del genus cultura) nell’ovocita poetico realizzi una dissonanza o addirittura un’atonalità che come brezza di terra spinge sùbito lontano il lettore, il quale forse mai come in questo periodo ha avuto poca o punta voglia di mettersi alla prova con strutture ultronee rispetto al suo bagaglio.
Mosi non rinuncia alla sfida, evidenziando in premessa le sue ragioni profonde: tracciare un altro lato del suo poligono in fieri (parte del quale si può leggere in forma elettronica sul sito larecherche.it) tra luoghi e nonluoghi (secondo la nota definizione di Marc Augé).

La lettura di queste poesie, comparata con le precedenti raccolte, ci testimonia anzitutto una continuità di stile: un verso volutamente spoglio e descrittivo, “di veduta” (non a caso Mosi è anche apprezzato fotografo), nel quale l’io del poeta emerge il meno possibile lasciando campo libero al circostante.
Ben definita è anche la fenomenologia: i “luoghi” trasmutano spesso in “luoghi del Mito” attraverso apparizioni sovente in cauda, osservazioni in lontananza circondate da un’aura dorata di mistero. Faraway, so close: nasce così un catalogo che annovera eroi omerici e vichinghi, aruspici e figlie del fiume, queste ultime in una bella contaminazione fiorentino-wagneriana (pag. 39) verosimile frutto (o flutto!) dell’onda emozionale della Tetralogia andata in scena poco tempo fa al Maggio Musicale.

Proprio l’aspetto della contaminazione m’interessa nella misura in cui diviene o non diviene appropriazione. Il magistero di Cesare Pavese, nei suoi Dialoghi con Leucò, ci insegna che il Mito non è materia fredda. La nota lettera del 1942 a Fernanda Pivano, in cui lo scrittore afferma che «…Ci vogliono miti, universali fantastici, per esprimere a fondo e indimenticabilmente quest’esperienza che è il mio posto nel mondo», si ripercuote, nel suo capolavoro, in una rivisitazione del Mito, addirittura in una sua manipolazione (si veda soprattutto la vicenda di Orfeo), comunque in un’immedesimazione funzionale alla nostra esistenza e urgenza espressiva. Per intenderci mediante una citazione di Sergio Givone (tra l’altro prefatore dei Dialoghi nella edizione più diffusa), contenute nella premessa a questo volume, il piano del Mito e quello della Storia (dunque dell’esistenza) possono forse apparire non intersecantisi, ma il primo richiede creatività di approccio (dunque considerazione di una qualche sua duttilità). Plasmare il Mito sulla propria concezione del mondo è il cimento di Pavese ma anche di Ugolini (per la quale mi permetto di rimandare al mio saggio su Tuttoteatro) e di alcuni miei esperimenti (Tiresia, quadri dall’Odissea) contenuti ne L’indegnità a succedere e in misura minore altrove.

È questa la dimensione anche di Mosi? Non in prevalenza: come abbiamo detto il Mito emerge in lontananza, narrato, abito su misura, apparentemente intoccabile. C’è però uno sforzo, in un nucleo di liriche, di adattarlo al quotidiano, alla ricerca di un significato archetipico (Saffo-teenager inglobata nei propri batticuori a pag. 33) o ancor meglio lasciando sul terreno elementi di critica sociale o politica.
Chi è Fatima, quali origini e implicazioni nasconde il nome della madre velata del Siddharta-Tagete (pag. 23)? Attraversiamo inoltre spazi “codificati” del nostro tempo: i campi ove lavorano braccianti stranieri, ma anche i ghetti di Castel Volturno a dimostrazione che “Mito” non è solo ciò che è di stretta pertinenza letteraria ma ciò che percepiamo come consolidato e aprioristicamente imposto alla nostra esistenza. Per arrivare, al culmine della rivisitazione mitologica, a una complessa (e un po’ contorta) rivisitazione del mito di Orfeo in ambientazione d’infrastruttura urbana (pag. 27).

Almeno in un caso mi sembra che gli esiti siano considerevoli: nella poesia Diana, citata come emblematica anche da Antonio Spagnuolo, squarci schiarenti d’indeterminatezza si assommano a un’appropriazione mitologica “in soggettiva”. Chi è quel sacerdote del nostro tempo, moderno nell’oggettistica, e cosa lo muove verso la conquista violenta del santuario di Diana? la pace? la propria ambizione (pag. 20)?
Il resto del libro si tiene in equilibrio tra il suaccennato gioco a scomparire, la descrizione naturalistica dei fenomeni attraverso il mito, e slanci più marcatamente riflessivi, talora eccessivamente fauve e sconditi (un link o il titolo di una canzone, ad avviso dello scrivente, non fanno ex se un verso).
Al termine della lettura si ha comunque la sensazione di un prender la strada, di un work in progress verso connotazioni sulle quali confido l’Autore possa ancora più marcatamente e selettivamente soffermarsi in futuro. 

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Rivista “Poeti e poesie” n. 21 – dicembre 2010, pag. 100

Recensione di Alessia Tavella

Roberto Mosi, Luoghi del mito, LietoColle, 2010

Il mondo è impregnato di un mito che riecheggia ovunque e che lascia le sue tracce indelebili e senza tempo. Il mito racconta di un passato virtuale che si presenta come icona rappresentativa del vivere umano e che svolge una funzione educativa sempre attuale e attuabile. “Il mito … fa parte delle nostre esperienze di vita in modi diversi ….” e riproporlo sotto sembianze contemporanee può generare una linea guida da percorrere, unica certezza nel caos e nel disorientamento tipici della vita odierna. “ogni mito che ci è stato tramandato … ha qualcosa da dirci. contiene domande, ci provoca … eterna sfinge che nasconde enigmi e segreti in cui ne va del nostro vivere … del nostro tentativo di dare senso alla vita … il mito ha per contenuto l’eternamente umano”.  E’ quindi una risposta alle tante domande esistenziali che ci poniamo continuamente e che ci disorientano, la possibile cosruzione di un senso che spesso sembra non esserci. “… il mito è … declinato al futuro … l’uomo contemporaneo … deve imparare … a sognare sapendo di sognare”. La riabilitazione del sogno attraverso la letteratura classica conferisce il vero valore all’intera raccolta che ne onora la capacità edificante.

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G. Ladolfi

28 aprile 2011

Articolo su ATELIER 26 4 11

Roberto Mosi, Luoghi del mito, Faloppio (Co), Lietocolle 2010
La raccolta di Roberto Mosi affronta il tema del mito classico secondo un’impostazione personale di sapore mitomodernista. Nelle figure classiche egli intravede la possibilità di trovare modelli interpretativi della realtà presente, come se la modalità di interpretare il mondo, la realtà, le relazioni umane e l’arte fosse iscritto nella nostra mente e portato alla luce dalle “favole antiche”. Non si tratta solo della suggestione di Pavese, il quale ha affrontato la questione in termini di chiara modernità, si tratta di rivisitare l’universo culturale contemporaneo seguendo una suggestione universale: «Bit, bit, byte, post, blog: / sventolano strisce di blog / dai calzari alati di Hermes, / sono messaggi d’amore / in corsa nell’algida rete / alla ricerca dell’altro. //
www.poesia3000.splinder.com». Il messaggero degli dei viene assunto come “icona” (mi si permetta questo termine informatico) delle tecnologie informatiche. E così di figura in figura (Erato, Palinuro, Tagete, Giasone, Saffo, Apollo, Pan, la Sfinge ecc…) Mosi passa in rassegna la contemporaneità. Il labirinto di Creta diventa l’emblema del pensiero attuale: «Labirinto miraggio / il nulla, il tutto, al centro / scomposizione del reale / seduzione dell’invisibile» (G. Ladolfi)

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PENSIERI - L’eBook è stato illustrato dal pittore e fumettista Enrico Guerrini, appassionato dei temi del mito, con immagini ispirate alle figure dei vasi greci; proprio la pubblicazione online ha permesso la realizzazione di questo lavoro che sarebbe stata molto costosa su pagine di carta e ha valorizzato la vivacità dei colori delle immagini.
La pubblicazione riunisce, suddivisa in tre parti, le leggende e le storie del mare di Populonia (Concerto per Baratti), i miti legati ai quadri di Botticelli, “La Primavera” e “La nascita di Venere” (Concerto per Flora), l’incontro con le figure mitiche del mondo greco (Eroi e Dei). Per quest’ultimo versante, il testo poetico riprende le suggestioni offerte dall’Antologia curata per i Meridiani da Giulio Guidorizzi: Il Mito Greco, A. Mondadori Editore 2012, un libro di fondamentale importanza per la conoscenza dei miti che ricostruisce in maniera mirabile un mondo lontano e vicino: “ Sono trascorsi più di tremila anni dalla mitologia del periodo miceneo; eppure tutto vive, muove, palpita, si agita, si esibisce, si contraddice (Pietro Citati, Corriere della Sera)”. Nell’introduzione all’Antologia Guidorizzi ricorda che “Per i Greci “mito” è un racconto fatto di parole, non di segni scritti, e a trasmetterlo sono non i sacerdoti o i sapienti, ma i padroni della parola, i poeti, che ne fanno il soggetto fondamentale delle loro esibizioni. Essi non inventano le loro storie, le recuperano dalla memoria collettiva, trasmessa attraverso le generazioni. Mnemosine, Memoria, è infatti la madre delle Muse, le dee che secondo il loro capriccio ispirano i cantori”.
Nel percorso di ricerca che ho svolto, ho cercato di cogliere la perennità del mito rispetto allo scorrere continuo, implacabile della storia e, allo stesso tempo, del suo corso transitorio e legato alla realtà dell’attimo vissuto. “Anche la poesia - la sua ricerca di eternità - invoca il privilegio di non passare invano, di permanere, di conservarsi nel suo statuto di possibile non-mortalità ad opera dei suoi valori formali e dei suoi contenuti condivisi (Giuseppe Panella, Introduzione a “Luoghi del mito”, R. Mosi ) ”. La ricerca poetica va nella direzione di un’utilizzazione dei materiali mitologici per verificarne la possibilità ermeneutica e la qualità espressiva dal punto di vista della scrittura. In questa aspirazione, allora, vi è la volontà di utilizzare l’a-temporalità classica del mito in chiave dinamica per assecondarne l’adattabilità alle situazioni e alle proposte culturali di oggi.
In questo tentativo - trasformare in realtà di oggi l’istante eternizzato del mito - risiede il piacere di un lavoro volto alla “trascrizione” del mito. Si tratta, in sostanza, di trasformare ciò che è acquisito dai racconti del mito - il culto di Diana, la vicenda di Orfeo ed Euripide o il mito del viaggio di Ulisse, ad esempio - in dato comprensibile con la percezione di oggi e usarlo non tanto come simbolo di un “passato che non passa” quanto come metafora del presente, di un racconto che sappia parlare al lettore del presente.
Un grazie infine riconoscente alle Edizioni www.laRecherche.it per aver permesso un affascinante percorso di ricerca, con la poesia e con le immagini.

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 “Ogni mito che ci è stato tramandato, anche il più oscuro e il più sconcertante, ha qualcosa da dirci. Contiene domande, ci provoca: ed è ogni volta un invito a prenderlo sul serio, a interrogarlo, eterna sfinge che nasconde enigmi e segreti in cui ne va del nostro vivere, anzi del nostro tentativo di dare senso alla vita” (S. Givone, Il mito oggi)




1 commento:

  1. Così come si avvia sui percorsi del mito greco-arcaico allo stesso modo Mosi ritrova nella poesia antica o in altre mitologie diverse da quella classica (quella nordica, ad esempio, di wagneriana ossessione) lo spunto per una riflessione tra il serio e il leggero (l’ironico è tra i modi di quest’ultimo periodo dello scrittore) che sappia però parlare al lettore del presente. La rivisitazione del mito di Ulisse sembra, in effetti, particolarmente riuscita sotto questo profilo:

    «Ulisse. L’alba sorprende / l’eroe volo AZ1414 / le armi in pugno / il computer per scudo / il telefono in mano, / altri cento achei / infossati nei sedili. / Sulla terra le ombre / cedono alla luce, / le strade vomitano / macchine nervose. // Alla sera la flotta / attende il decollo / le truppe ammassate / nelle piccole navi. / Infine il balzo / nella notte di pece. / Il porto d’Itaca è chiuso 7 per la furia dei venti, / il riparo oltre i monti. // L’eroe raggiunge / la reggia del sonno. / Penelope dorme stizzita, / solo Arturo saluta / il ritorno, la coda ritta. / L’eroe guarda la posta, / pone in ordine le armi / si distende sul letto. / Il risveglio è vicino. // Ogni sera Ulisse / torna a Itaca» (pp. 30-31).

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