Roberto Mosi, Parole e paesaggi,
Libroitaliano World,
Ragusa 2006.
"Mots et paysages" - Commentaire de Ladolfi et Guidi : "Ainsi le jeu, d'abord léger et insouciant, avec les mots devient peu à peu essentiel et témoigne d'une vocation poétique née d'une longue et fructueuse métabolisation de lectures et d'études menées tout au long de la vie."
"Parole e paesaggi" - Commento di Ladolfi e Guidi: "Quindi il gioco, all’inizio leggero e svagato, con le parole diventa a poco a poco essenziale e testimonia una vocazione poetica nata da una lunga e feconda metabolizzazione da letture e studi condotti nell’intero arco della vita".
Oretta
Guidi, critico
letterario, saggista, docente in lingua e cultura italiana presso l’Università
per Stranieri di Perugia:
“Il desiderio di giocare con le parole,
di interrogarle, di affidare ad esse speranze e illusioni non nasce per
l’autore improvvisamente, anche se soltanto nelle ore di quiete della pensione
diventa un lavoro di scavo e di introspezione. Perché scrivere, perché giocare
con le parole? Attraverso esse misura le sue possibilità, valuta i legami con i
poeti che ha letto ed amato. La parola, ogni parola, come ci ha splendidamente
ricordato D’Annunzio, è magica e insostituibile, rompe la routine e la banalità
dell’esistenza e ci consegna all’eterno. Quindi il gioco, all’inizio leggero e
svagato, con le parole diventa a poco a poco essenziale e testimonia una
vocazione poetica non improvvisata, bensì nata da una lunga e feconda
metabolizzazione da letture e studi condotti nell’intero arco della vita.
La
prima sezione “Parole”
apre per l’appunto con la lirica “Amo le parole”, in cui Mosi corteggia, esalta
le parole che “rotolano per terra”, “che vagano nella mente”, le parole che
sono maschere e realtà. I versi, assecondando la leggerezza e la libertà
interiore del poeta, corrono veloci, pieni di ritmo e di gioia. Nella lirica
“Il rito” ci viene confermata questa disposizione del poeta a mettersi in
sintonia con il mondo segreto dei sogni, tralasciando finalmente le noiose cure
quotidiane. Scrivere è un rito, il foglio bianco attende il miracolo della
parola che spezza il nulla. E nella mente “danzano frammenti di sogni”,
frammenti di memoria, frammenti di emozioni: sì, è vero, la poesia moderna è
consapevole di poter cogliere solo brandelli di realtà, frammenti di vita
rubati al caos che ci circonda; la poesia moderna, come avevano ben capito
Rimbaud e Mallarmè, è pura intuizione, lirica pura senza residui
razionalistici. Folgorazione, illuminazione improvvisa che rompe ad un tratto
il buio. Tutta la lirica “Il rito”, in effetti, dopo la lettura, ci lascia una
piacevole sensazione di luminosità: dalle “coltri di nebbia” escono luci
riflesse, un mosaico di luci riflesse che si compongono e si scompongono.
Intravediamo le due anime del poeta, due diverse e complementari visioni
dell’esistenza: da una parte la solitudine, necessaria ad arricchire il dialogo
interno, compagna fedele di un mondo intimo, incomunicabile, angolo e rifugio,
dall’altra la necessità del rapporto con gli altri, la gioia di semplici serate
passate con gli amici, con un bicchiere e con il suono festoso della chitarra.
Tante voci si rincorrono e rimbalzano nelle liriche di Mosi, un amico ormai
nell’ombra, il teatro con le sue maschere e i personaggi, amati dal poeta,
Tosca, Butterfly, Carmen, “una ragazza dai capelli ricci”, il colloquio con i
morti e finalmente Marta, la nipotina che diventa il tempo, “il nostro tempo”,
alludendo evidentemente alla gioia condivisa da tutta la famiglia.
La
seconda sezione, molto
bella, si intitola “Paesaggi”. Nei
componimenti sono evocati luoghi legati a viaggi, impressioni, stati d’animo
che hanno lasciato nel cuore qualcosa di unico e magico: rivediamo Saint Moritz
con le fresche acque dell’Inn, la presenza delle città e delle colline della
sua Toscana, i vagabondaggi in bicicletta, l’isola d’Elba carica di ricordi
napoleonici, i treni che vagano nella notte e poi paesaggi lontani come Marsa
Alam, suggestivo tema, dove sorge il sole dal mare nelle vesti del dio Ra.
Odori e sogni suoni e nenie d’oriente si confondono con i profumi di San
Gimignano, di Siena, di Monteriggioni, ma su tutto domina Forte dei Marmi. Ed
il poeta evoca la terra che va da “Porto Venere a San Vincenzo”, che lo
abbraccia come una donna calda di lussuria. Accanto ai luoghi della memoria non
mancano luoghi densi di reminiscenza letterarie, come avviene nella lirica “Val
d’Inferno, Dino e Sibilla”: in quelle case sperdute nel verde, Casetta di
Tiara, si fermarono Sibilla Aleramo e il poeta Dino Campana all’inizio di “un
viaggio chiamato amore”. Mosi è un viaggiatore attento, un camminatore
appassionato e noi seguendolo nel suo vagabondare, dividiamo le sue emozioni.
Con
“Esercizi”, l’ultima parte,
Mosi sembra voler ritornare ad una poesia più impalpabile, dominata solo da
acrobatici sforzi per rendere la parola sempre più leggera e ineffabile. La
voce della natura si polverizza in immagini lievi, come, per esempio, nella
lirica “Una bianca risata”: “Spuma/ di mille gocce/in un’onda lunga,/luce/ di
cento riflessi/ in un raggio disteso …”, i versi diventano brevissimi,
allusivi, carichi di misterioso afflato. Significativa e, direi programmatica,
l’ultima poesia “Il ritorno di Ulisse”, in cui si profila, anche nel caotico
mondo moderno, la presenza di un mito eterno, un Ulisse che “ogni sera ritorna
ad Itaca”, ma ormai le sue armi sono un computer e un telefonino sempre in
mano. Ma Mosi, lo possiamo dire, ha trovato la sua Itaca, la sua terra
promessa: la poesia”.
(Presentazione del libro “Parole e
paesaggi”, a cura di Oretta Guidi, presso
Rivista Atelier, n. 52 – dic. 2008 , pag.123
Roberto Mosi, Parole e paesaggi, Caltanisetta, Libroitaliano Word 2006
“Roberto Mosi possiede l’abilità di
tradurre in parole i paesaggi e di essi non coglie soltanto le forme , la
composizione, la struttura, ma ne percepisce i colori, i suoni, le variazioni,
le atmosfere. Il tratto è sempre marcato, ma egli sa usare anche lo sfumato, perché
la raccolta, come una tela impressionista, non va osservata analiticamente, ma
nella struttura globale. Allora sotto l’azione del ritmo e delle assonanze, il
quadro si anima di vita, di movimento e di profondità:
Sfoglio i colori di Firenze,
sull’argine la brina d’argento,
mi segue lo scrocchiare
delle foglie secche d’autunno,
in basso cantano le acque
del Mugnone dimora un tempo
di figure d’antiche novelle,
ora di topi e di pesci errabondi.
“
Recensione a cura di Giuliano Ladolfi, direttore responsabile.
Parole
e paesaggi
Presentazione
Lasciato il mondo del lavoro
dopo un lungo periodo passato nella pubblica amministrazione, ho ripreso vecchi
blocchi d’appunti colorati pieni di note, di tracce di documenti, di schemi di
discorsi scritti nel corso d’incontri e riunioni. Sui fogli appaiono spesso
disegni dai tratti più o meno marcati, secondo l’interesse per la riunione.
Negli ultimi blocchi compaiono anche giochi di parole e alcune tracce di versi.
Mi sono soffermato
recentemente su queste parole e ho cominciato a trascriverle, a saggiare il
loro suono e significato, a continuare il gioco iniziato in altri tempi come
fuga dalla noia d’incontri di lavoro o di riunioni politiche. Allo stesso tempo
ho preso ad approfondire le opere di poeti da sempre amati. E’ stato per me il
momento dell’esercizio, una sorta di
prova d’orchestra per conoscere le possibilità degli strumenti che sono per me
a portata di mano, ora che sono lontano dal linguaggio degli uffici.
Mi piace lavorare intorno alle parole. La parola è il mezzo per partire
alla scoperta del mio mondo e di chi è vicino, per vivere emozioni, sensazioni
e cercare di rivestirle di suoni, per fare festa con gli amici e per salutare
l’arrivo di una splendida nipote, Marta. La parola anche per andare dietro ad
un pensiero che risuona dentro, che ti angoscia e cercare di catturarlo
fissandolo su un foglio.
Questo tipo
d’interesse investe anche le attività che per me sono ora prevalenti, quelle di
conoscere luoghi sempre nuovi, vicini e lontani, e di soffermarmi sul paesaggio che si apre intorno a loro.
Del paesaggio la misura è l’eco, il suono alto delle parole che arriva negli
angoli più lontani e rimbalza verso di noi. Lo sguardo si posa sullo spazio,
attento a scoprire i segni della storia e dell’ambiente insieme alle emozioni
che suscitano. Saggiare le dimensioni di questo spazio con l’uso della parola è
un esercizio affascinante. Ad un
certo punto di quest’impegno può nascere, come nel mio caso, l’esigenza,
superando un qualche pudore, di comunicare
il lavoro realizzato e rimanere in attesa dell’eco arricchita dalle emozioni
degli altri.
Parole
Amo le parole
Amo le parole
che si sollevano da terra
con il respiro lungo della poesia
per provare la leggerezza del suono,
nutrite di sogno e fantasia.
Amo le parole
che rotolano per terra
nel ripetersi del giorno
fra risa o pianti,
vestite di pane e di vino.
Amo le parole
che vagano nella mente
nel silenzio roboante dell’io,
testimoni diuturne
del dialogo con le ombre.
Amo le parole
che oltre le maschere dell’oggi
tornano a cercare
fra i colori dell’arcobaleno,
sulla rosa dei venti,
l’isola di ogni perché.
31
dicembre 2002
Il rito
Dalla serranda raggi obliqui
piovono in frammenti di luce
sul foglio bianco,
pronto per il rito della parola,
disegnano la mia figura
sulla parete bianca
divisi per i colori dell’iride
Frammenti di sogni
danzano leggeri nella mente,
frammenti di memoria
escono dalle coltri di nebbia,
un mosaico di luci riflesse
si scompone e ricompone.
Sul foglio bianco
piovono frammenti di emozioni
rivestiti di parole.
27 marzo 2005
Amici
Le serate di chitarra
di Belleville, la festa
in brache e doppiopetto
per salutare la dolce Francia
con le coppe di champagne
insieme ricordiamo,
i passi della pizzica
la frenesia del Salento
il mare degli ulivi,
le acque di cristallo
e il sorriso
degli dei.
Il vino denso di sapori
versiamo nei bicchieri,
il profumo del maialino intorno,
e segniamo sulla tavola
le strade di bellezze condivise
fra gli accordi di chitarra.
26 dicembre
2004
Frammenti di sogni
Al mattino
distillo
i frammenti dei sogni.
Come gocce
di colore
c
a
d
o
n
o
nella mia mente.
Di giorno
catturo
su un foglio
bianco
le schegge di luce
rivestite
di suoni.
6 ottobre 2004
Malinconia
Raccolgo i colori della
malinconia
nel volgere ultimo dell’estate,
per la solitudine il bianco
per il distacco il rosso
per la fatica di vivere il giallo
per i ricordi lontani il rosa
per gli affetti mancati il blu.
Raccolgo i suoni dell’allegria
per la stagione fredda che verrà
li chiudo sotto vetro, pressati,
scoppieranno fuochi d’artificio
nelle serate rosse di vino
calde del suono di chitarra.
25
agosto 2005
A r g i l l a
Oh divina Erato,
Signora della poesia,
io invoco il tuo aiuto
per comporre in versi
suoni e silenzi,
per la ricerca della parola
nella discarica della memoria
o nel flusso dei pensieri,
in mezzo alla melma
delle ore del giorno,
o in mezzo alla luce
delle ore della notte,
e cercare ancora parole
per formare un ammasso
d’argilla da modellare
a piene mani
cercando la forma
sul filo delle emozioni.
Sulla lunga scogliera
assolata d’Antibes
Picasso e Maria
raccolgono gusci
di granchio lasciati
dal mare infuriato.
Nelle fresche stanze
del Palazzo Grimaldi
Pablo li compone
in forme leggere,
discorrono con il fascino
de La joie de vivre.
A Knokke sul mare
del Nord, Jean-Michel
Folon cerca pezzi
di legno macerati
dalle altalenanti maree,
con tinte pastose
dà corpo a sogni
di sorpreso stupore.
Nella sala di fumo
i suonatori di jazz
giocano con un motivo,
ora lo esasperano
ora lo accarezzano
con toni leggeri.
Leggo e rileggo
i versi, ascolto
la mia voce, cerco
tracce di colori,
riflessi di luce
pieni e vuoti d’ombra,
scompongo e ricompongo
l’ammasso d’argilla.
Nella tavolozza dei colori
inzuppo la fantasia,
nel pennello parole
in libertà, la scala
dei suoni, profondità
della memoria, ricerco
la luce, nella testa
galleggiano impressioni
di figure d’artisti,
ricerco il tratto,
lo sfumato, il senso
lontano dalla realtà,
comunico il tutto,
comunico il niente,
mi piace un punto
d’incontro, lo trovo
nel tuo sorriso disponibile,
nella simpatia per me.
Sono sazio di penetrare
di mani l’argilla,
ora il fuoco del forno
abbraccia la forma;
è pronta poi per essere
affidata all’aria,
alla polvere del giorno,
oggetto inutile
agli occhi degli altri.
Erato,
Signora della poesia,
io ti ringrazio
per il dono di rovistare
nel tuo scrigno di parole
di suoni di silenzi.
30
settembre 2005
Amico che sei nell’ombra
Amico che sei nell’ombra
oggi, insieme, ti
ricordiamo.
Sul tavolo le pizze fumanti
giocano
a scacchi con i boccali di
birra,
e il sapore di nostalgie
lontane
profumate di mare, la pelle
di sale,
nelle lunghe estati
indolenti.
Lievi le parole
s’intrecciano,
i volti colorati di tenera
birra,
le pareti si muovono a
tratti,
gira la stanza con passi
felpati
gira la giostra del quadro
di Nico,
siamo i personaggi gonfi di
luce
sui cavalli dagli occhi
stupiti
inseguiti dal ritornello
veloce,
veloce di un organetto
lontano.
Bolle di sapone soffia il
bambino,
in disparte, si alzano lievi
per le pareti,
vestite di colori, in alto
in alto
a cercarti , come i miei
versi
per te, amico che vivi
nell’ombra.
4 dicembre 2004
Il teatro è
silenzio
Gli applausi volano via,
il teatro è silenzio.
Da lontane sorgenti
si alza la musica di Brahms,
le note salgono per le pareti
sfiorano i rossi velluti,
danzano
leggere
fra la trama tenue
delle luci del soffitto.
La musica si apre
in onde distese,
parlano fra loro
i violini e gli ottoni.
Da lontane sorgenti
emergono ricordi
per ogni angolo del teatro.
Tosca, Butterfly, Carmen
visti dagli occhi grandi
di bambino, le mani calde
strette alla mamma;
la comparsa in costume
vestita da frate e da principe
da soldato e da servo
sulle assi del palcoscenico,
nel fascio di musica e luci;
Don Giovanni, Wozzeck,
Lucia di Lammermour
compagni di serate di miele,
Giovanna vicina.
Maschere si affacciano dall’alto,
personaggi vestiti di musica
danzano sulle cornici
bianche di calce,
scivolano allegri in platea,
in testa Carmen e Ramadés,
salgono nelle luci del palco
e corrono in tondo
tenendosi per mano,
seguono il vortice
delle ultime note.
Il teatro è silenzio,
i ricordi sono lontani.
Nuvole di applausi
volano in festa.
22 febbraio
2005
La mia imperatrice
Fate la nanna
coscine di
pollo
la vostra
mamma
v’ha fatto un
gonnello,
componevo ninne nanne
giochi e canzoni
per Costanza
la mia imperatrice,
nella casa incantata
di tanti anni fa.
Topolino
topolino
cosa fai nel
mio giardino?
Colgo l’erba!
E se
t’acchiappo?
Io scappo!
Misuravo a passi infiniti
la lunga stanza sospesa
sulla notte del cortile
cullandoti lieve.
Il canto di mille spartiti
a portata di mano:
C’era un frate
di Certosa
con la barba
lagrimosa,
Senti un bel
dì vedremo,
E luceano le
stelle,
e Un dì m’era
di gioia
si davano la mano
girando in tondo
in tondo
seguiti
dal suono dell’eco
giù nel cortile.
Incrocio ora il tuo sguardo
fonte di acque azzurre
in un cerchio magico
nel quale porti lieve
la tua bionda bellezza.
Incrocio ora il tuo sguardo
sorridono antichi volti
con dolci sembianze
seduti alla tavola di marmo
nella casa di infiniti anni fa.
Incrocio ora il tuo sguardo
mi ritornano alla mente
piccole ninne nanne
Giro giro
tondo
gira intorno
il mondo
gira con
creanza
intorno alla
mia imperatrice,
Costanza.
18 dicembre
2004
Parole di
follia
Parole lucenti
di
follia
cadono, rimbalzano
nella via:
le nove del mattino
Maria
appare alla
finestra,
gli
incubi
della notte si vestono
di
urla e di parole.
Benedetta sii
Maria
e la tua pazzia,
donna di compassione
e di mistero,
hai per me la faccia
urlante della vecchia
nel cortile,
dell’invasato nel camerone
di San Salvi,
dell’oracolo la voce,
sacra.
Svanisce presto la figura
di Maria
dalla finestra alta sui rumori
della via,
sigillata fino a domani,
le nove del mattino.
13
maggio 2005
Coltivi
amore
Coltivi amore
ragazza dai capelli ricci,
in antichi giorni
pieni di canto e di chitarre
dei riflessi degli sguardi
e di parole non dette
fu stretta la trama verde
della tenerezza.
Coltivi amore
ragazza dai capelli ricci,
in giorni di sole
hai intrecciato
corone di baci e carezze
tessendo la trama rossa
della passione.
Coltivi amore
ragazza dai capelli ricci,
i giorni dell’attesa
passano lievi
con l’immagine
di uno splendido fiore
al centro della trama rosa
della tenerezza.
1 ottobre 2004
L’annuncio
Nella mia casa avvolta
dal grigio dell’autunno
risuonino accordi di chitarra
i canti riempiano le stanze
i piedi lievi sfiorino la terra
si tagli l’arrosto più tenero
si alzino i calici di vino dorato
il colloquio con i nostri morti
diventi dolce e sommesso,
la vita ha generato la vita.
22 novembre
2004
L’arrivo di Marta
Quando sei nata
c’era una falce
di luna calante
sospesa sull’ospedale,
alle porte del Chianti.
Quando sei nata
mille occhi d’emozione
nel corridoio infinito
ad abbracciare il capino biondo
e il sorriso stanco della mamma.
Quando sei nata
il tuo primo viaggio
nella culla divisa
con un fagottino cinese,
gli occhi a mandorla.
Quando sei nata
sono uscito felice
il mondo sospeso
ha ritrovato la vita
i rumori della strada
il loro sordo rumore
i profumi della campagna
il loro profumo di giugno,
nel cielo una stellina
rincorreva la falce di luna.
15 giugno 2005
Marta ha venti giorni
Marta è nel tempo
venti secondi per respirare
venti minuti per urlare
venti ore per guardare
venti giorni per sognare
venti settimane per sorridere
venti mesi per giocare
venti anni per amare
Marta è il
nostro tempo.
1 luglio 2005
Regali sorrisi
Sgambetti nuda
in una giostra veloce,
con le mani sospese
misuri il tuo spazio,
ascolti la tua voce
negli occhi celesti
passa il tuo mondo
il mondo
a momenti si offusca
poi brilla di luce,
lo sguardo si fissa
poi scruta all’intorno.
Impasto parole di miele
accenno ad un canto ripreso
dalla storia di tanti anni fa:
ti sorprende, ti fermi
raggiungo per un momento
il tuo mondo, il tuo
sorriso.
Sorridi, Marta, sorridi.
Le cinque della sera
suona la campana,
l’estate è tersa di un temporale
che si è sciolto lontano.
La stanza è un abbraccio
di luce e di colori,
i quadri della mamma,
le finestre su verdi colline.
Marta, ora regali sorrisi.
11 agosto 2005
Paesaggi
Saint Moritz
Bad
Cantano allegre
le fresche acque
dell’Inn
nell’ora del tramonto,
a
Alle sette di sera
il cane nero guida
l’uomo senza volto,
la giacca gialla
e il bastone bianco
sospeso nell’aria.
Appare l’immagine
lungo la riva deserta
dell’Inn, sullo sfondo
le prime luci accese
del Grand Hotel des
Bains.
Rimango di gelo,
allontano lo sguardo
preso da neri pensieri
in quest’ora magica
nella dolce Engadina.
Cantano allegre
le fresche acque
dell’Inn,
a
31 luglio 2005
Su pensieri leggeri
la luna versa
una bianca luce di latte,
sorta dall’orlo delle colline
al di là dei binari.
Il treno
taglia la notte
al centro di un manto di luce.
30 settembre 2004
Presenze
Leggeri i passi salgono la collina
la città si scioglie in sentieri solitari,
i cancelli muti parlano di storie lontane.
Avvolge l’eco dei nostri passi
la pelle ruvida degli alti muri
segnata da strisce di graffiti,
sporgono le braccia degli ulivi,
le voci dei compagni galleggiano
nell’aria umida prima del temporale.
Appare la casa rossa di Rosai,
Ciajkowsky compone pagine di musica,
le note si spandono per la campagna;
dalla villa del Pian dei Giullari
esce suor Celeste dopo la veglia;
una giovane bionda svelta scende a Firenze:
nonna Giulia, nello sguardo gocce di cielo.
Oltre le acque dell’Ema, piene di voci,
il sentiero s’impenna fra i campi,
fra le chiome dei giovani olivi
e i filari di viti,
più lontano, a chiazze,
le chiome dei pini e i cipressi in fila:
la vista si apre sul cerchio dei colli,
al centro
misura dell’incedere dei nostri passi.
In cima San Gersolè ci accoglie,
le case sgocciolate lungo la strada,
i ragazzi intorno alla maestra;
si distende poi molle la villa de’ Medici
dimora del lussurioso prelato;
scende un barroccio pieno di conche:
nonno Antonio tiene il morso del cavallo.
Si apre infine la grande piazza
rivolta verso i portoni sbarrati della chiesa,
intorno le braccia aperte dei loggiati.
Il paese si è ritirato, ostile, a tavola
alla campana di mezzogiorno.
Il temporale sferza con rabbia le cose:
osservo sereno dal fondo del loggiato,
il vino riscalda, continuo a salire
le scale della vita, leggero.
29 aprile 2005
Il sole incornicia
la nave
bianca all’orizzonte
folate fresche
di vento
passano sulla nostra pelle
la sera avvolge
leggera
le onde del mare
il sole scende
dal carro
e getta l’armatura
Vespero alto
nel cielo
precede le pallide sorelle
le stelle per ogni dove
disegnano
la volta celeste.
Sulle rive delle vicine isole
abitano
ancora gli eroi di Omero.
27 ottobre 2004
Un nastro
d’argento
Un nastro d’argento
di luci e di suoni
avvolge la luna
sospesa sulla città
le piazze e le strade
si danno la mano
in testa le fanfare frizzanti
le piume dei fanti
il vino scorre felice
la luce fascia
dei palazzi lo slancio
scolpito di pietra
Folon libera
stupite colombe
tamburi in corteo
tra la folla che batte
le mani in cadenza
signorine eleganti
sorseggiano rosse
bottiglie di Chianti
fra fumanti candele
ragazze danzano scalze
su rossi tappeti di lana,
in bici seguo i cerchi
del nastro d’argento
gli occhi fissi alla luna,
dalla faccia screziata
appare il
sorriso
di una tenera bimba
e pedalo
pedalo
leggero nell’aria.
27
maggio 2005
La città si scioglie
al sole, evapora
ogni angolo d’ombra
Marta sembra
parlare con gli occhi,
un sogno di tenerezza
i ventilatori ronzano
nel cervello intorno
ad opachi pensieri
passano veloci
treni colorati
ragazzi disegnano
spirali di colore
sulle pareti fresche
del sottopasso,
conditi
di tracce di poesia
un sassofono suona
davanti ad un cappello
di monete,
la tregua
della sera s’avvicina
nel giardino in penombra
poeti porgono
rare emozioni
sulla riva del fiume
chitarre si accordano
con brezze leggere
nella luce della piazza
passi di flamenco
scuotono il palco
fra la folla risate
allegre di ragazze
pesci innamorati
vaghiamo in giro
nell’acquario della città.
27 giugno 2005
L’isola
La finestra è aperta su un velo
di tremule stelle, l’isola
profuma di tutti i profumi,
le onde mormorano alla spiaggia
bianca, la luna invade
il silenzio della camera.
Lontano all’eremo della Madonna
del Monte, il Corso attende Maria
Walenska per l’incontro d’amore,
sopra il colle la musica risuona
guidata dal deejay, i ragazzi
in festa aspettano l’alba:
aprirà le rosee braccia sul mare,
dalle colline di Populonia.
Spero che l’alba rallenti
il cammino, che rimanga ancora
il profumo della notte.
27 agosto
2005
I treni vagano
I treni vagano nella notte
su tracce parallele
aperte da fari di luce.
Sfiorano veloci la casa,
il rumore si annuncia lontano
esplode nel buio della stanza
avvolge il caldo del letto.
Sullo spartito dei suoni
riconosco la forma
e il destino del treno.
Ora tutto è lontano,
un punto di luce
alla ricerca dell’alba.
Rimango immobile
nel silenzio assoluto
in vigile attesa
pronto a salutare
la voce assordante
di un nuovo amico
notturno.
1 novembre 2004
Il treno arriva veloce,
lo stridio dei freni
dopo l’ Appennino
annuncia Firenze,
dai finestrini scorre
Rifredi, il convoglio
taglia i nuovi colori,
sfiora le forme snelle
appena installate.
Cerco come ogni volta
di sorprendere nella stazione
che fugge un segno
di Bruno, trent’anni
di notti e di sole.
Sui cristalli oltre i binari
frammenti di sole
seguono rapidi
le figure in volo
del capovaccaio, il rapace
che segue lento
le greggi ai margini
di lontani deserti
Al binario sedici
sulla panchina aspetto
il treno per Foligno,
sul display acceso,
i
teneri colori.
18 maggio 2005
Segreti d’estate
Bolle di sapone soffiano a gara
i ragazzi nel cortile di periferia,
un’enorme, lucida bolla respira
all’ombra del fico nella corte,
Roberto scivola dentro, si alza leggero,
galleggia fra le case sopra i tetti,
sfiora
torna a balzi verso il Centro:
è felice sopra le strade solitarie, compone
rapidi versi, combina fantastici colori.
Nessuno lo vede, il cielo è lontano,
si parla solo di mari e di viaggi.
Rimane un piccolo segreto da sussurrare
piano, nella città chiusa per ferie.
Bolle di sapone soffiano a gara
i ragazzi nel cortile di periferia.
15 agosto 2005
Marsa Alam, paesaggi d’oriente
Nella terra dove sorge il sole
dal mare nelle vesti del dio Ra
gli alberghi sono avamposti assediati,
si scruta l’orizzonte dal villaggio
nave gonfia di musiche e feste
incagliata fra le acque di corallo
e il deserto
di grigi colori,
solcato dalla strada, retta assoluta
nata dalle viscere dell’Africa.
Passano camion improbabili
iperboliche antenne sfiorano il cielo,
vicino, periodici posti di controllo.
Nella terra dove sorge il sole
dal mare nelle vesti del dio Ra
la mattina il falco pescatore
si alza alto nel vento,
si tuffa nel mare e vola via lento
un pesce giallo
fra gli artigli.
Le sabbie bagnate dei giardini
fioriscono di profumi e colori,
le donne indolenti al sole
portano cellulari all’orecchio;
vicino i camerieri giocano
a calcio con giovani di Berlino.
Nel salone, la sera, la danza
del ventre, la ballerina accarezza
la fronte lucida del commesso
di Harrods, con il karaoke,
segretarie di Bercy cantano
allegre j’entend
siffler le train.
Nella
terra dove sorge il sole
dal mare nelle vesti del dio Ra
grossi topi passeggiano
per le strade di Al Quaesir,
vicino all’impiegato di Dussendorlf
venti minuti per comprare
fra le merci sgargianti del suk.
Ai tavoli del caffè lampeggiano
gli occhi degli uomini, nei vicoli
le donne di nero parlano allegre.
Sulle case immagini dipinte
Parlano del viaggio a
moschee aperte al tramonto
lievitano di preghiere ad Allah.
Nella terra dove sorge il sole
dal mare nelle vesti del dio Ra
carovane di Toyota violentano
veloci il deserto, un cameraman
riprende il terrore dell’impiegato,
sballottato, di Nantes,
sulle rocce scolpite dal vento,
sventolano sacchetti di plastica.
Campi beduini accolgono la sera,
si sciolgono danze ritmate
con spade di legno,
la maestra di Norwich balla
guidata per mano da un bimbo
gli occhi punti di antracite.
Avvolge ogni respiro il profondo
nero del cielo, le stelle sospese.
Nella terra dove sorge il sole
nelle vesti del dio Ra
Tebe è oltre i monti percorsi
da colonne di pulmann,
scortate da occhiuti soldati.
Feluche oblique solcano il Nilo,
le acque scorrono lente
fra il verde dei campi: il tempo
della vita sulla riva a oriente
con re solenni alle porte
dei templi, colonne
immense
dalle forme
dei teneri papiri,
immagini di sacre processioni.
Il tempo della morte sulla riva
dove il sole tramonta: i giganti
di Memnone presidiano
dei re, le tombe
dipinte
dei segni del passaggio dalla vita
alla morte, dalla morte alla vita.
Nell’anfiteatro aspro di rocce,
resta ancora l’eco di morti recenti,
le urla stupite di uomini e donne colpite
dall’alto, dove vegliano attente vedette.
Nella terra dove sorge il sole
Nelle vesti del dio Ra
dai villaggi si scruta il deserto
sospesi nell’attesa.
è oltre questo braccio di mare,
Gerusalemme appare lontana,
lontana; cerco un filo di speranza:
i giovani allegri della partita di calcio
e lo spirito di antiche presenze,
l’affollarsi di genti di mille città
e i doni aspri della natura,
il falco che ogni mattina vola
nel vento sopra le acque di
corallo.
10
aprile 2005
Ho camminato su molli
distese di prato
fra prore disegnate di fiori.
Ho incontrato armenti
sonanti sul cammino
dei pellegrini in un giorno di sole.
Ho respirato il profumo
di nuovi colori
nei boschi vivi di primavera.
Ho sostato sulle soglie
di case in rovina
sui muri ancora ombre di vita.
Ho incontrato la terra
di Siena, rossa
di declivi dal lungo, dolce respiro.
Brilla la senesità
del mio poeta
fra le braccia aperte del paesaggio.
Segue i miei passi
San Gimignano trionfante
di torri sul
lontano colle dorato.
Mi volto a
cercare
ancora la rassicurante immagine,
la ritrovo oltre cespugli di rose,
La scorgo fra i rami
in fiore del pesco,
oltre il giallo maggese dei campi.
Ora scompare alla vista,
Monteriggioni si para
davanti, corona aerea sul colle.
Passo la porta
turrita, nel guscio vuoto
la banalità festosa della domenica.
Riprendo il cammino
pellegrino di sempre,
per meta turrite città su colli dorati.
Forte dei
Marmi
Serate di piena estate
mi spingono sul molo,
le onde lunghe del mare
accarezzano le arcate nere,
si frangono bianche di spume
sul filo lucido delle spiagge.
Sono al centro del mondo
sotto l’occhio rosso del faro,
Forte dei Marmi, incrocio
dell’essere e dell’avere.
Lungo la costa si adagia
la linea dritta dell’avere:
lo sguardo abbraccia la terra
da Porto Venere a San Vincenzo,
al centro la florida Versilia
donna calda di lussuria,
le lunghe braccia aperte
sul profilo alto dei monti,
sopra la cinta delle pinete
e le luci dei viali a mare
gonfi di
gente in festa
e del rombo dei motori.
Dalla cima aguzza del Procinto
scende per le valli, al pontile
la linea dell’essere, percorsa
dai marmi di Michelangelo,
risonante ieri delle urla
di Sant’Anna di Stazzema;
prosegue ancora fra le acque
del mare, sempre più lontana
dallo sfolgorio delle luci,
dove ricompaiono nel cielo
le fiammelle tremule delle stelle
e le onde nere tutto avvolgono
in un respiro di mistero.
9 luglio 2005
L’omino in
bici
Sui Lungarni assolati
l’omino in bici
pedala
il capo inclinato.
Sulla spalletta del fiume
la serpe scivola
viscida
si avvolge, gode
del torrido caldo
solleva la testa,
in controluce
la chiesa del Cestello.
Sul marciapiede
il barbone,
trascina i piedi
bianchi di fasce,
spinge il carrello
coperte e fagotti,
il cane a fianco,
si ferma, si appoggia
riprende il cammino.
Sul Lungarno deserto
passa l’omino,
giacca e cravatta,
poi si volta
il barbone è svanito
la serpe scivola
nella gora dell’Arno,
di fronte la figura
incerta del Cestello
tra i vapori
del fiume.
7 giugno 2005
Val d’Inferno, Dino e Sibilla
Fra le cime dei castagni
sento il respiro lungo del vento
per le sponde del torrente
il ritornello delle acque sui sassi di muschio.
Guardo in alto l’azzurro del cielo
sospeso oltre i ripidi fianchi
la corsa infinita delle nubi
ora compatte ora divise in armenti.
Non lontano da Casetta di Tiara
riparo per i due amanti folli d’amore
ricordo la luce dei versi
seguo il moto di vaghe figure
ora bandiere su infiniti torrioni
ora vele gonfie del respiro del mare.
4 ottobre 2004
Il cortile
Il cortile è un pozzo profondo
cinquanta finestre assiepate
vicine gomito a gomito,
in basso il nero del fondo
in alto uno spicchio di luna.
Le luci si spengono
una lavatrice sferraglia
l’ultimo risciacquo.
Il cortile ha il lungo respiro
della gente che dorme,
dalle finestre evaporano i sogni
s’incontrano sul fondo
in una danza incessante,
sento il pianto dei bimbi,
voci e grida d’amore.
Il cortile centrifuga i giorni
stagioni vicine e lontane,
la memoria dei volti.
Un vortice alle luci dell’alba
disperde sogni e ricordi
nell’aria rossa della città.
I gatti sulle terrazze
si stirano languidi.
4 maggio, 2005
Giallo rosso verde,
il semaforo apre monotono gli occhi.
Scorgo dalla finestra sospesa
il sonno quieto della gente di sempre
staccata ormai dall’azzurro del video
le auto in attesa lungo la strada,
e lontano oltre la fine della via
il fondale della vecchia Firenze,
l’ombra della Torre d’Arnolfo,
l’armonia leggera della Cupola.
“S’affoga tutti !”, grida la voce
al di là della strada e l’eco
risuona lontano: “Tutti ….”
Verde giallo rosso,
fra la massa dei nuovi palazzi
frammenti di colline vegliate
dalla figura distesa del Forte
e campanili su borghi raccolti.
Il bagliore diffuso di mille luci
si alza dalla striscia nera d’asfalto
fino alla volta del cielo.
Le stelle circondano fioche
una falce di luna.
“S’affoga tutti !”, grida la voce
al di là della strada e l’eco
risuona lontano: “Tutti …”
Rosso verde giallo,
l’immenso bus verde si ferma
solo un negro seduto in vetrina,
riparte i
motori rombanti,
l’auto di due innamorati sosta
in attesa dell’ultimo abbraccio,
l’omino nero, la bici per mano,
controlla
lento i negozi serrati,
una musica ritmata si alza
da una macchina in corsa,
sette ragazze camminano
felici fra canti e scoppi di risa.
“S’affoga tutti !”, grida la voce
al di là della strada e l’eco
risuona lontano: “Tutti …”
4
novembre 2004,
38 anni
dall’alluvione di Firenze
Ponte Rosso
Sfoglio i colori di Firenze,
sull’argine la brina d’argento,
mi segue lo scrocchiare
delle foglie secche d’autunno,
in basso cantano le acque
del Mugnone dimora un tempo
di figure d’antiche novelle,
ora di topi e pesci errabondi.
Nell’ombra
sotto il ponte
figure umane fra giacigli
gonfi di coperte, fili di panni
ad asciugare. Dalla penombra
il ragazzo risale l’argine,
le scarpe lucenti, la giacca
di pelle nera, trionfante
s’immerge nella città.
8 novembre
2005
Dal ponte da’ Verrazzano
Sfoglio la notte
di Firenze.
Sul tappeto di vecchi
cartoni l’uomo
in ginocchio celebra
il rito della droga
sul greto, presso
l’arco del ponte
nella luce muta
degli alti fanali.
L’Arno in piena
urla in un rombo
assordante, in corsa
alle rive di pietra
della città raccolta
nel sonno.
L’eco dell’urlo
risuona nei sogni
della mia notte.
28 novembre
2005
Sulla via Francigena
La mattina frizzante si scioglie
nel tepore terso del sole,
mi segue il gruppo d’amici
disteso in un’allegra rete
di lievi parole, per la via
antica dei pellegrini che sale
su leggere colline ondulate
a San Miniato, serpeggiante
di case e di torri sul crinale
di fronte. La strada bianca
è un balcone sospeso
sul cuore antico della Toscana,
nel paesaggio circondato
dall’azzurro lontano dei monti,
è un ponte sospeso
fra passato e futuro, la pieve
appartata di Coiano, delicata
corolla di rossi mattoni,
la finestra aperta della “Notte
di San Lorenzo”, illuminata
dalle stelle cadenti, dove
si rinnova il racconto di genti
in cerca della libertà.
8 dicembre 2005
Esercizi
Una bianca risata
Spuma
di mille gocce
in un’onda lunga,
luce
di cento riflessi
in un raggio disteso
vento
di infiniti respiri
in un vortice perenne
suono
di lunghi rumori
in un’eco che si allontana
pensiero
di antichi sogni
in una bianca risata.
1 febbraio 2001
Movimento
Ritorno a ritrovarmi
nel nocciolo
che rimbalza qua là
non so dove.
Ricerco la ricerca
di un motivo
che risuoni dentro fuori
nel tempo indefinibile.
Sogno di sognare
un respiro
che si espande
in giro in giro.
Rotola la ruota
sull’asse
in perenne moto
consuma il mio io
naufrago.
22 luglio
2001
R i t m o
Gli occhi all’orchestra,
il gioco si avvia,
accordi di chitarra
si distendono agili,
rispondono lampi di luce
si agitano le maracas
fa il suo ingresso la tromba
il sassofono si allarga
la batteria prende il
comando
ritmo ritmo ritmo
siamo in un vortice rosso
rosso bianco e blu .
Balla Giovanna
balla Giovanna.
Nel cerchio magico
disegni i tuoi passi,
le luci ti vestono di strisce
sprizzi stelle d’argento
appese a fili d’amore.
Il movimento è in crescendo
gira intorno la pista,
sei regina al centro del
mondo.
L’orchestra per poco
respira,
riprende poi l’incontro
di ritmo e di luci.
Le
note si fanno più lunghe
gli strumenti si affannano
per il suono più alto.
Balla Giovanna
balla Giovanna,
non smettere mai.
5 dicembre 2005
Il ritorno d’Ulisse
Ogni sera Ulisse
ritorna ad Itaca.
L’alba sorprende
il volo dell’eroe
le armi impugnate
il computer per scudo
il telefono in mano
altri cento achei
infossati nelle verdi poltrone.
Fuori su nubi dorate
sorridono benigni gli dei.
Sulla terra in basso
le lunghe ombre
cedono il passo alla luce
evaporano dal mare
i brividi della notte,
le strade vomitano
macchine nervose.
Alla sera voci allarmate
Parlano di dei adirati,
le saette pronte a colpire
monti e città.
Sulle piste d’asfalto
la flotta achea
attende
per ore il decollo
le truppe ammassate
nelle piccole navi.
Infine il gran balzo
nella notte di pece
le navi inghiottite
da gravide nubi di pioggia.
Il porto d’Itaca è chiuso
per la furia dei venti,
oltre i monti l’aereo
trova riparo.
Colonne di bus riportano
ad Itaca le truppe disfatte
per le fradice strade montane.
L’eroe raggiunge
la reggia nel sonno.
Gli odiati Proci
hanno lasciato
da tempo le stanze
Penelope dorme seccata
Arturo saluta il ritorno
la lunga coda alzata.
L’eroe guarda la posta,
dispone in ordine le armi
si distende sul letto
pronto al
risveglio vicino.
Ogni sera Ulisse
ritorna ad Itaca.
14 novembre 2004
Note
Si riportano alcune
informazioni per quanti fossero interessati a conoscere più da vicino alcuni
dei luoghi citati.
Uno dei riferimenti riguarda
la via Francigena nel tratto da Castelfiorentino a San Miniato (“In cammino sulla via Francigena”), fra
le province di Firenze e di Pisa. I punti di partenza e d’arrivo sono
raggiungibili con i mezzi pubblici e il percorso è segnato da cartelli, in
maniera chiara. Una delle suggestioni che anima la poesia è la storia
raccontata dai fratelli Taviani nel film “La notte di San Lorenzo”.
L’altra parte considerata
della storica via dei pellegrini, è quella fra San Gimignano e Monteriggioni,
in provincia di Siena (San Gimignano). Questo
tratto della via Francigena, come il precedente, è facilmente accessibile. Uno
dei riferimenti nel componimento, riguarda l’amore che Mario Luzi manifesta
nelle poesie per la sua terra d’origine.
Un percorso affascinante è
quello dal centro di Firenze all’Impruneta (Presenze),
da farsi a piedi, in quasi quattro ore - con una cartina dei dintorni alla mano
– seguendo la strada percorsa una volta per trasportare i prodotti di
terracotta in città (la via dei “catinai”). La direzione da seguire è quella
dal Ponte Vecchio verso Porta San Giorgio, Pian dei Giullari, l’Erta dei
Catinai, San Gersolè, per prendere poi la via Imprunetana. Si cammina in un
paesaggio straordinario, unico, “abitato” da personaggi storici.
Per l’isola d’Elba (L’isola) compare un accenno all’esilio
di Napoleone e alla “reggia estiva”, sotto le stelle, vicino al Santuario della
Madonna del Monte, dove l’Imperatore fu raggiunto da Maria Walewska. Il luogo
si raggiunge per un sentiero fra i pini, in un’ora di cammino partendo da
Marciana. Nelle giornate serene si abbraccia un vasto tratto di mare, fino alla
Corsica e alle coste della Toscana e della Liguria.
Il viaggio più lontano
riguarda Marsa Alam, in Egitto, sulle rive del Mar Rosso (Marsa Alam, paesaggi d’oriente). Il componimento si sofferma sugli
abituali momenti della vacanza in questa località, la vita del villaggio
turistico, la visita al paese vicino, Al Quaesir, le escursioni a Tebe e nel
deserto, accompagnati dalla scorta armata.
Un osservatorio speciale è
rappresentato, infine, dalla casa dell’autore, a Firenze, posta fra i viali e
la ferrovia. Riguardo a questa vicinanza alla linea ferroviaria, è da dire che
il rumore del treno accompagna alcuni componimenti (I treni vagano, Spaesamento, Frammento).
L’autore
E’ stato funzionario della Regione Toscana presso il
Consiglio e, nel campo delle politiche culturali, presso
Ha curato pubblicazioni sui
temi dell’educazione e della vita delle città (“Cibernetica e città del futuro”, in “Città e anticittà” a cura di
Giovanni Michelucci, 1971).
E’ fra i redattori della
rivista fiorentina Testimonianze, fondata da Ernesto Balducci, per la quale ha
scritto alcuni articoli: sul tema della poesia “Dino Campana, un viaggio chiamato amore” (2004) e “Mario Luzi, la tensione verso la
semplicità” (2005; sul viaggio, seguendo lo sguardo del poeta, ha
registrato alcune impressioni: “Il
paesaggio fra poesia e memoria” (2002).
Sviluppando l’interesse per
il tema del paesaggio, ha partecipato alla realizzazione della guida: “Sulle tracce di Napoleone. Percorsi e luoghi
nelle terre della costa toscana” (2005).
E’ impegnato in progetti per
la valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale. Ultimamente con il
progetto Terre d’Impruneta ha
partecipato alla realizzazione di percorsi dedicati al tema del “cotto”, del
“sacro” e al “paesaggio dell’olio e del vino”.
Per l’associazione
Auser-Onlus, che opera nel settore del volontariato, ha curato la realizzazione
della Festa La città che apprende,
una manifestazione nazionale, giunta alla terza edizione, di animazione nel
campo della cultura e dell’educazione degli adulti.
E’ socio accompagnatore di
Trekking-Italia e guida escursioni sulle colline di Firenze e in lontani Paesi.
Indice
Presentazione
Parole
1.
Amo le parole
2.
Il rito
3.
Frammenti di sogni
4.
Amici
5.
Malinconia
6.
Argilla
7.
Amico che sei nell’ombra
8.
Il teatro è silenzio
9.
La mia imperatrice
10.
Parole di follia
11.
Coltivi amore
12.
L’annuncio
13.
L’arrivo di Marta
14.
Marta ha venti giorni
15.
Regali sorrisi
Paesaggi
16.
Saint Moritz Bad
17.
Frammento
18.
Presenze
19.
Appunti di viaggio
20.
Un nastro d’argento
21.
Pesci innamorati
22.
L’isola
23.
I treni vagano
24.
Spaesamento
25.
Segreti d’estate
26.
Marsa Alam, paesaggi d’oriente
27.
San Gimignano
28.
Forte dei Marmi
29.
L’omino in bici
30.
Val d’Inferno, Dino e Sibilla
31.
Il cortile
32.
Paesaggio notturno
33.
Ponte Rosso
34.
Dal ponte da’ Verrazzano
35.
Sulla via Francigena
Esercizi
36.
Una bianca risata
37.
Movimento
38.
Ritmo
- Il ritorno di Ulisse
Roberto Mosi "Parole e paesaggi" - Commento di Ladolfi e Guidi: "Quindi il gioco, all’inizio leggero e svagato, con le parole diventa a poco a poco essenziale e testimonia una vocazione poetica non improvvisata, bensì nata da una lunga e feconda metabolizzazione da letture e studi condotti nell’intero arco della vita".
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