Circolo degli Artisti “Casa di Dante”, gruppo “Officina del mito”: la Mostra “I mille volti di Antigone”: 25 marzo- 6 aprile
Il gruppo “Officina
del mito” presenta la Mostra “I mille volti di Antigone” presso le sale del
Circolo degli Artisti “Casa di Dante”, dal 25 marzo al 6 aprile. Il giorno
dell’inaugurazione è sabato 25 marzo alle ore 17. La Galleria è aperta tutti i giorni, escluso il lunedì, dalle 10
alle 12 e dalle 16 alle 19; ingresso
gratuito.
Il gruppo “Officina
del mito” si è formato nell’anno 2016 e ha realizzato fino ad oggi sette
mostre. In questa nuova edizione artistica, fanno parte del gruppo Rosa
Cianciulli, Guido del Fungo, Giusy Frisina, Enrico Guerrini, Nicoletta
Manetti, Giovanni Mazzi, Roberto Mosi,
Margherita Oggiana, Angiolo Pergolini, Andrea Simoncini, Umberto Zanarelli; il
gruppo affronta una sfida inedita abbandonando i confini ormai familiari del
mito, già magistralmente battuti nelle rassegne passate, per rivolgere il
proprio sguardo alle complessità ed alle insanabili dicotomie della tragedia
greca, con l’opera “Antigone” di Sofocle. Ancora una volta il personaggio di Antigone, messo in scena da Sofocle
alle Grandi Dionisie di Atene nel lontano 441 a.C., riprende vita con la
Mostra. Erede di una terribile colpa – l’incesto del padre-fratello Edipo –
Antigone è colei che ama eroicamente e che moltiplica i suoi volti nelle
riscritture del mito, mostrandosi ora donna innamorata e adolescente inquieta,
ora eroina della giustizia, ribelle e martire della ragion di Stato.
Ogni artista del
gruppo assume delinea uno dei possibili volti di Antigone, con il disegno, la
pittura, la fotografia, la musica, la narrazione teatrale: aspetti questi che
daranno anche vita ad una serie di appuntamenti nel periodo della Mostra: 29 marzo, presentazione del libro ”Le dieci
saggezze cinesi” di Ilaria Mundula; 1 aprile, Concerto/conferenza di Umberto
Zanarelli; 5 aprile, “Un pomeriggio con Antigone”, con Roberto Mosi,
Nicoletta Manetti e Giusy Frisina; 6
aprile, finissage.
Fra gli interventi
realizzati nell’ambito della Mostra e dell’incontro del 5 aprile, quello di
Roberto Mosi porta il titolo Antigone
in scena: l’autore
ri-dà vita al personaggio con la messa “in scena” di un monologo teatrale il
cui testo è messo a disposizione dei visitatori della Mostra con il libro sostenibile,
in copia unica, ANTIGONE. Dalla Fonte di Edipo a Tebe , alla Torre della
Fame a Pisa; il testo è accessibile in rete sia nella forma scritta sia
attraverso un video con la lettura da parte dell’autore, mentre scorrono le
immagini di paesaggi della Grecia degli anni ’80.
Le figure dei protagonisti dell’azione teatrale –
Antigone, Creonte, Ismene, Emone, Tiresia, il Coro - sono interpretate
da attori particolari: manichini fotografati nelle vetrine dei negozi di moda
di Firenze, stagione 2004-2005.
La storia narrata nel monologo, si svolge a Pisa, in piazza dei
Cavalieri, dove rivive il personaggio di Antigone con il suo dramma. Un gruppo
di studenti rappresenta appunto nella piazza una sua versione dell’opera di
Sofocle, tracciando così un ponte fra Tebe e Pisa, la città fondata, secondo la
leggenda, da profughi tebani. E non vi è anche una analogia fra la fine di
Antigone e quella del conte Ugolino, morto proprio nella Torre della Fame?
Assume un valore di attualità dirompente la storia di Antigone che lotta contro
il potere per i principi in cui crede, in questo periodo che vede la lotta
delle donne iraniane.
Antigone in scena
A Pisa, in
piazza dei Cavalieri, rivive Antigone con il suo dramma. Un gruppo di studenti
rappresenta appunto nella piazza una sua versione dell’opera di Sofocle,
tracciando così un ponte fra Tebe e Pisa, la città fondata, secondo la
leggenda, da profughi tebani. E non vi è anche una analogia fra la fine di
Antigone e quella del conte Ugolino, morto proprio nella Torre della Fame?
Assume un valore di attualità dirompente la storia di Antigone che lotta contro
il potere per i principi in cui crede, in questo periodo che vede la lotta
delle donne iraniane.
Nella
Mostra “I mille volti di Antigone” presso il Circolo degli Artisti Casa di
Dante, a cura dell’Officina del Mito, le figure dei protagonisti del dramma –
Antigone, Creonte, Ismene, Emone, Tiresia, il Coro - sono interpretate da
attori particolari: manichini fotografati nelle vetrine dei negozi di moda di
Firenze, stagione 2004-2005.
Questa
proposta è una mia interpretazione del mito, è in sintonia con gli interessi
che animano i miei lavori, dalla fotografia, al racconto. Propongo nella
Mostra, insieme alle fotografie, il libro sostenibile, diffuso online:
“ANTIGONE”. Da Tebe, la Fonte di Edipo, a Pisa, la Torre della Fame.
In questo passaggio, alla fine del monologo di Antigone, l’essenza del libro: “Vedete,
fui posta davanti a un problema immutato nel tempo, di dimensione universale:
fino a che punto lo Stato con le sue leggi più o meno arbitrarie può forzare a
compiere atti aberranti, contrari alla voce individuale e alla voce della natura?
È una domanda che vale da Tebe, la mia città, ad Auschwitz. Sempre e comunque
bisogna sottomettersi alle leggi, anche quando queste comportano sacrilegio o
sterminio? E in questo caso, che ne è della scelta e della libertà morale di
ogni singolo individuo?”
ANTIGONE
Non
all'odio
ma
all'amore sono nata
(Antigone,
Sofocle)
Tebe, marzo 2023
Tebe,
l’incontro alla Fonte di Edipo
Ben arrivati a Tebe. Vi accolgo ai piedi
del ponte sul fiume Cefiso, presso la fontana di Edipo. Ề qui che mio padre si lavò
le mani sporche di sangue dopo avere ucciso Laio, il suo genitore, sulla strada
che porta alla città.
Da qui con un solo sguardo si abbraccia
tutta la collina di Tebe fino alla parte alta della città, dove una volta era
l’acropoli. Sono rimaste tracce delle antiche mura, del palazzo di Creonte e della
Rocca Cadmea. In basso, sopra l’argine del fiume, verso occidente, intravedete
la cavità della caverna rocciosa nella quale Creonte mi condannò a morire di
consunzione.
Ề da questa fonte che voglio iniziare a
raccontarvi la mia storia, e quella della mia famiglia, da Cadmo, fondatore di
Tebe, fino alla mia condanna.
Sono felice di potervi incontrare
finalmente di persona, dopo che tante volte ci siamo collegati in videoconferenza
e per discutere il progetto che vi ha portato dalla vostra città di Pisa in
Toscana, fino a qui, a Tebe, nella Beozia, in questo periodo di pandemia che sta
colpendo tutti i paesi della terra.
Anche all’epoca dei miei genitori, Edipo e
Giocasta, una terribile pestilenza colpì Tebe. Tiresia, il profeta cieco che da
Atena aveva ricevuto il dono di comprendere il linguaggio degli uccelli, sostenne
che la colpa fosse dell’empia contaminazione che aveva offeso la città e gli
dei. Responsabile mio padre, Edipo, macchiatosi
della “relazione più turpe con i suoi congiunti”.
Una tremenda consapevolezza è la mia: il
sangue, anziché scorrere dal gruppo familiare verso l’esterno unendosi a un
sangue nuovo nel procedere delle generazioni, nella mia famiglia si è bloccato
e confuso, perché Giocasta, che avrebbe dovuto precedermi di due generazioni,
mi è nonna e madre ed Edipo mi è padre e fratello.
Nella mia famiglia non c’è ordine, non c’è
successione: padre e figlio entrano nel grembo della stessa donna, che è il ventre
da cui io nacqui e nacquero Polinice, Eteocle e Ismene. Ma prima di loro Edipo.
Questa storia ci pone problemi universali,
di respiro perenne: la legge, la famiglia, l’amore, la morte. È il paradigma di
una breve vita, la mia, votata ad affermare l’amore verso una famiglia di
morti.
Sono commossa del vostro proposito di dare
vita alla tragedia di Sofocle, Antigone,
la mia storia, nella vostra Pisa. Così getteremo fondamenta ancora più solide,
rafforzando il ponte che la storia ha creato fra noi.
So che Pelope, figlio di Tantalo, re di
Tebe, fondò nel Peloponneso la città greca di Pisa e si racconta che alcuni
profughi originari di questa città, di ritorno dalla guerra di Troia, fondarono
l’attuale Pisa in Toscana, proprio sotto la guida di Pelope.
Prima di spostarci nella zona
dell’Acropoli, al Palazzo di Creonte, voglio dirvi qualche parola su di me,
anche se la memoria riaccende un grande dolore.
Io
sono la ragazza che si ribellò al tiranno e affrontò la morte in nome della
giustizia e della pietà, sono colei che gridò in faccia a Creonte: «Io non
pensavo che i tuoi decreti avessero il potere di consentire a un uomo di
sovvertire le leggi inviolabili, non scritte, degli dei, che vivono non da oggi
né da ieri e nessuno sa quando apparvero».
La sera prima i miei fratelli, Eteocle e
Polinice, si erano scontrati ed erano ambedue morti, combattendo alla settima
porta della città di Tebe: Eteocle da regnante e Polinice da esule, da principe
a principe, da fratello a fratello, da nemico a nemico. Ricordate? La battaglia era infuriata tutto intorno alla grande
cinta muraria di Tebe, che era stata eretta dai figli di Zeus, Anfione e Zeto.
I migliori dei Tebani da una parte, guidati da Eteocle, e i soldati argivi del
re Adrasto dall’altra, al fianco di Polinice, “fragori di scudi”, “strepito di
carri”, “nitriti di cavalli”. La caduta di Eteocle e Polinice segnò la fine
dello scontro.
Creonte, mio zio, vietò la sepoltura di mio
fratello Polinice, perché aveva tradito. Ne fui sconvolta, non potevo accettarlo,
lo avrei seppellito, pur sapendo di violare l’editto e di andare incontro alla morte.
Davanti
al Palazzo di Creonte
Spostiamoci ora davanti ai resti del
Palazzo di Creonte, presso la porta dove, il mattino successivo alla battaglia,
incontrai mia sorella Ismene. Ero uscita presto dal palazzo, avvolta nella mia
sciarpa rossa di lino, seguita da mia sorella. Eravamo le ultime superstiti della
famiglia, gli altri membri non c’erano più. Non c’era dolore, sventura o vergogna che noi non avessimo già patito, ma
un nuovo fatto era sopraggiunto: il decreto emanato da Creonte, subentrato a
Eteocle nel governo della città, con il quale vietava la sepoltura di Polinice.
Per questo, quella mattina avevo chiamato Ismene fuori dal palazzo per metterla
al corrente, a quattr’occhi, dell’idea di onorare ugualmente il corpo di nostro
fratello. Ismene però, decisa, mi disse che non intendeva seguire la mia idea,
non voleva violare l’ordine del nuovo re: la morte dei fratelli riguardava il
passato, non era altro che l’ultimo anello della lunga catena di fatti che
aveva travolto la nostra famiglia.
Lei rimase ferma nella volontà di staccarsi
dal tempo che apparteneva ai morti, il suo pensiero si rivolgeva al futuro che
l’aspettava. Il nostro scambio di idee divenne un duro scontro. Ismene si
attenne alla regola stabilita da Creonte, mi gridò: «Non puoi combattere contro
gli uomini. Tu ami l’impossibile!»
Come potevo, da parte mia, limitarmi al
semplice vivere quotidiano? Dovevo agire! Raggiunsi la salma di Polinice nel
cuore della notte e la cosparsi di polvere, per ricoprirla. Le guardie che Creonte
aveva messo vicino al corpo, si resero conto del misfatto e, impauriti delle
conseguenze, cominciarono a cercare delle tracce, ma inutilmente.
Una seconda volta tornai, nel mezzo di una
tempesta di sabbia, presso il corpo di mio fratello, ma al cessare della tempesta
le guardie mi scoprirono a onorare la sua memoria, nel pianto, fra alti
lamenti. Fui portata al cospetto di Creonte.
La
sala del Palazzo di Creonte
Entriamo ora nel palazzo, fra i resti della
sala, nella reggia.
Una
guardia riferì al sovrano quello che avevo fatto. Creonte si appellò alle
leggi, al decreto da lui promulgato: Polinice aveva voluto muovere guerra
contro la sua stessa patria e al sovrano spettava il compito di fermare le
azioni sovversive, per assicurare l’ordine sociale. Io sostenni, con tutta la mia
forza, che mi attenevo alle “leggi” non scritte, ma previste dai codici della
religione: non vi è alcuna distinzione tra chi è colpevole e chi è innocente, i
parenti onorino comunque i loro morti.
Gridai in faccia a Creonte: «Ade richiede
che queste leggi siano uguali per tutti!»
Creonte tornò a sostenere con fermezza: «Bisogna
obbedire a colui che la città ha designato al governo, nelle piccole e nelle
grandi cose, in quelle giuste e nel loro contrario!»
Ci dobbiamo chiedere: al sovrano si deve
assoluta obbedienza, anche quando il suo operato non coincide con ciò che è
giusto? Gli risposi con parole ferme, come incise nel marmo: «Io non sono nata
per condividere l’odio, ma per l’amore.»
Per tutta risposta ordinò che venissi condotta
nella grotta, e che lì venissi sepolta ancora viva.
Dopo che fui allontanata giunse nella sala
del trono Tiresia, guidato da un fanciullo. Arrivava dal luogo in cui era
solito fermarsi, là dove approdava ogni specie di uccelli e dal loro
comportamento e dalle loro grida aveva compreso la gravità dell’atto commesso
da Creonte.
Tiresia ingiunse al sovrano: «La città è
malata a causa del tuo volere. Cedi al defunto, non infierire contro un
cadavere. Che atto di valore è uccidere un morto?»
Potete capire che l’empietà di Creonte non
cedette neppure alle parole di Tiresia, a cui rispose con parole blasfeme: «Nella
tomba quello non nasconderete, neanche se volessero aquile del Cielo per pasto
portarlo, preso, in paradiso. Cadono, vecchio Tiresia, fra i mortali, anche i
più agguerriti, vergognosamente, se discorsi turpi incipriano per soldi».
Fu a questo punto, però, che Tiresia pronunciò
tremende parole profetiche, di morte, per il tiranno: «E tu sappi allora che il
sole non compirà molte volte il suo corso prima che tu debba restituire, in
cambio di un morto, un morto nato dalle tue viscere. Tu hai chiuso sottoterra
una persona di quassù, ponendo indegnamente nella tomba un essere vivente e
trattieni qui un morto che appartiene invece agli dei inferi, insepolto e senza
i dovuti onori».
Silenzio!
Silenzio, rimaniamo in silenzio, fra questi
antichi resti della sala del palazzo di Creonte. Possiamo ancora percepire
l’eco di queste tremende parole, renderci conto fino in fondo del passaggio
fatale della storia, dell’incedere verso la catastrofe finale.
La realtà è ormai sconvolta, la decisione
del tiranno ha provocato un’empia inversione tra la sfera dei vivi e quella dei
morti e da lì a poco Creonte dovrà pagare tutto questo al prezzo del suo stesso
sangue.
Io, Antigone, giovane donna, sono
consapevole di questa empietà fin dalle origini e strenua combattente contro
l’ingiustizia del potere, l’intera città testimone della mia inflessibile decisione.
La
caverna
Passiamo ora alla caverna rocciosa di cui
vi ho parlato, sopra l’argine del fiume, nella parte occidentale di Tebe. All’epoca
degli avvenimenti appena fuori dalla città: in questa zona fetida giaceva il
corpo in disfacimento di Polinice. Mi incamminai lentamente, la mia sciarpa
rossa, di lino, al collo, fra le guardie, sulla strada deserta verso la
caverna. Il destino che mi era riservato era di morire d’inedia, nascosta ad
ogni vista, per sepolcro la grotta. Nessuno avrebbe fatto il gesto di
uccidermi, mi sarebbe stato lasciato del cibo, una porzione piccola, ma
sufficiente ad assolvere il mio carnefice da ogni colpa.
Creonte aveva detto, con sprezzante
sarcasmo, riferendosi al mio destino di sepolta viva: “Laggiù, invocando Ade,
il solo che lei onori fra gli dei, farà in modo di non morire. Basta, portatela
via, chiudetela nella grotta e lasciatela sola; che muoia o viva celebrando i
suoi riti. Le nostre mani non si macchino del sangue di questa donna, ma non
farà più parte del mondo della luce”.
Dentro a questa caverna, davanti alla quale
ora noi siamo, si compì la mia storia.
La mia sciarpa rossa fu il mezzo pietoso per
incontrare subito Ade, senza alcun indugio.
Ricordiamo le parole del messaggero nel riportare
i fatti ad Euridice, la moglie di Creonte, e alla città di Tebe: “Antigone è là
in fondo alla tomba, sospesa per il collo ad un cappio di lino: Emone, curvo,
abbracciato al suo corpo, piangeva la sposa, il delitto del padre, le nozze”.
Il messaggero riferì del tentativo di Emone,
il mio promesso sposo, di uccidere il padre sopraggiunto e che, dopo aver
fallito il colpo, aveva rivolto la spada contro sé stesso.
La scena finale: “Ancora in sé, con le
braccia ormai spente, si stringe ad Antigone nel respiro ansimante, sulla
guancia pallida di lei scende un fiotto veloce di sangue. Testimone della
follia umana, Emone giace là nella caverna accanto alla morta e celebra il suo
rito nuziale nella casa del buio”.
Da
Tebe ad Auschwitz
Ribadisco ancora una volta, da una parte
sta la legge della città, dall’altra quella della natura che gli dei hanno dato
agli uomini. Nell’incontro che ebbi al mattino fuori del palazzo, mia sorella
Ismene mi aveva detto: «Noi siamo donne, con gli uomini non possiamo lottare.»
Non posso concepire la sottomissione della
donna mentre si calpestano principi sacri. Presi così posizione, da ragazza
indifesa, contro lo Stato.
Il coraggio non mi mancava. In tempi
passati sono stata l’unica per anni a fianco del vecchio padre, Edipo, cieco e
infelice, fino alla morte; una ragazza capace di sacrificare tutta la vita per un
altro. Lo ripeto ancora, avevo gridato in faccia a Creonte: “Io sono nata per
amare, non per odiare!” Forse si ode ancora l’eco della mia voce.
Vedete, fui posta davanti
a un problema immutato nel tempo, di dimensione universale: fino a che punto lo
Stato con le sue leggi più o meno arbitrarie può forzare a compiere atti
aberranti, contrari alla voce individuale e alla voce della natura? È una
domanda che vale da Tebe, la mia città, ad Auschwitz. Sempre e comunque bisogna sottomettersi alle leggi, anche
quando queste comportano sacrilegio o sterminio? E in questo caso, che ne è
della scelta e della libertà morale di ogni singolo individuo?
Ah l’amore! Sì, i volti dell’amore: per me
l’amore sta nel sangue. Lo sostenni e lo sostengo ancora:
Se
muore un marito, ne potrai sempre prendere un altro, ma se muore un fratello
nessuno lo potrà sostituire.
Amare per me è prima di tutto una questione
di sangue, nell’incontro al mattino con Ismene, fuori del palazzo, lo gridai
con forza: “Io giacerò laggiù tra i morti, amata, assieme a un uomo amato, dopo
aver compiuto un atto santo: infatti dovrò piacere a quelli laggiù molto più tempo
che a quelli di qui”.
E quando mi avviai verso la morte,
sussurrai: “Giunta là, confido di arrivare cara al padre e cara anche a te,
madre, e cara anche a te, fratello mio”.
Dante.
Tebe e Pisa
Lasciatemi ora ricordare Dante Alighieri e
la Divina Commedia: il sommo poeta propone storie legate a Tebe, come
quella dell' assedio e distruzione ad opera dei Sette Re, tra cui Capaneo, o quella della costruzione delle
mura di Tebe, innalzate da Anfione col suono della lira, traendo i massi dalle
falde del monte Citerone.
Dante parla più volte, poi, della crudeltà
dei tebani e la paragona a quella dei pisani: Creonte mi condannò a morire di
consunzione nella grotta che vi ho appena mostrato, così come i pisani
imprigionarono nella Torre della Fame, nella piazza dei Cavalieri, nella vostra
cità, il Conte Ugolino e i suoi familiari condannandoli a morire di fame.
La
tragedia in scena a Pisa, piazza dei Cavalieri
Voi siete qui, però, per guardare al futuro,
e nel vostro futuro è mettere in scena il prossimo anno lo spettacolo di Antigone a Pisa. Conosco le vostre proposte,
brillano di intelligenza, passione, curiosità; lasceranno scie luminose.
Antigone,
come sapete, andò in scena la prima volta ad Atene alle grandi Dionisie del 442
a. C. e l’opera è giunta fino a noi interpretata, tradotta, riscritta,
adattata, approfondita in ambito filosofico, letterario e giuridico. Oggi non
si parla più di Antigone ma di “Antigoni”, si torna continuamente a
chiedersi che cosa rappresenti l’ ”eterna Antigone”.
Anche voi, giovani amiche e amici di Pisa,
siete impegnati, con il vostro lavoro, a porvi questa domanda e a cercare la
risposta. Da Hegel a Kierkegaard, da Goethe a Freud, a Cocteau, in molti si
sono interrogati sull’atto della mia insubordinazione.
Il conflitto irriducibile tra le ragioni
del privato, del legame di sangue, della coscienza del singolo, davanti alle
ragioni dell’autorità pubblica, è stato declinato innumerevoli volte, come
conflitto tra ragioni del divino e dell’umano, tra ragioni del maschile e del
femminile. Nei nostri incontri online ho
visto che avete approfondito questi
aspetti e state dando una risposta alle domande che vi siete posti all’inizio,
una risposta che troverà nello spettacolo la forma e i contenuti che più vi
convincono.
Posso dire ad Anna, la regista, di dare
ritmo e colore allo spettacolo, cercare di sorprendere, stupire gli spettatori;
a Marta, l’attrice, spetterà di misurarsi con passione nella parte della
protagonista, stessa cosa ad Eugenio nelle vesti di Creonte. E a tutti di credere
fino in fondo al successo di questa impresa.
Trovo straordinaria la scelta del luogo
dello spettacolo, la piazza dei Cavalieri, uno spazio di forte impatto
scenografico fin dal tempo dei Medici. Il pubblico sarà sulle gradinate,
appositamente costruite, davanti al Palazzo dei Cavalieri: sarà il palazzo di
Creonte, del potere pubblico. Si accederà per l’alta scalinata esterna a doppia
rampa. Sulla scala si disporrà il coro, passeranno i corifei per accedere al
palazzo e in cima alla gradinata prenderanno vita le scene.
Davanti al palazzo, l’alta statua di Cosimo
I, simbolo della costante e occhiuta presenza del potere; la fontana ai piedi
della statua richiamerà quella in cui Edipo si lavò le mani sporche di sangue.
A destra delle gradinate, il cuore antico
della città e la Chiesa di Santo Stefano dei Cavalieri, luogo della memoria e anima
della città, da cui muoverà il coro che porta le voci, i pensieri dei
cittadini; il coro è fondamentale, prende posizione, a volte concorda, altre
dissente. Alla fine diventa lui il protagonista, nella solitudine della storia.
Pisa,
la Torre della Fame
A sinistra, all’angolo della piazza, la
Torre della Muda, detta “Torre della Fame” proprio perché vi fu rinchiuso il
conte Ugolino, il capitano del Popolo accusato di tradimento, a morire di inedia
insieme ai figli e ai nipoti.
Nell’ultima parte dello spettacolo, e per
la scena finale, Antigone sarà
condotta presso la Torre.
Sono certa che voi, amiche ed amici,
saprete rendere con efficacia e passione anche questa scena: l’attenzione del
pubblico sarà rivolta alla terrazza sopra la scalinata, la sala della reggia. I
riflettori saranno puntati sulla protagonista, interpretata da Marta, nelle
ultime luci rosse del tramonto sulla città di Pisa. Dopo la sentenza finale,
lei scenderà, scortata dalle guardie, la scalinata dalla parte verso la Torre
della Fame, illuminata a giorno. A passi lenti raggiungerà la porta della
Torre, che si richiuderà alle sue spalle.
Dopo pochi istanti il Messaggero andrà in
mezzo al pubblico, per riferire della tragedia che si è appena consumata,
mentre una sciabolata di un riflettore illuminerà un lembo della sciarpa rossa
di Antigone che penderà dalla finestra più alta della Torre.
Il
congedo alla stazione di Tebe
La
vostra visita a Tebe è terminata. Vi saluto qui, alla Stazione Ktel degli autobus. Presto il vostro
mezzo partirà per Delfi, l’antica città dell’Oracolo. Aspetto da voi notizie
felici.
Questo vostro viaggio in Grecia è un pellegrinaggio
alle radici della nostra storia e della cultura. Dare nuovamente vita nello
spettacolo a me, all’eroica ragazza di Tebe, non è qualcosa di meccanico, una
semplice trasposizione di un testo in scena, è piuttosto il comprendere,
misurarsi con scelte di vita. Una prova che lascia il segno, che richiederà ad
ognuno di voi di prendere partito, di non rimanere indifferenti riguardo alla
storia di questa ragazza che nel dipanarsi delle generazioni, torna a
ribellarsi al tiranno in nome della pietà e di una giustizia superiore. Sono
certa che la vostra Antigone, sarà diversa da tutte le Antigoni del passato,
sarà un successo, vi darà soddisfazione, la sentirete profondamente vostra.
L’augurio
che vi faccio è di non risparmiarvi nel vostro impegno, siate “sconfinati”,
andate oltre i confini!
Immaginate nel progettare e vivere lo
spettacolo, il futuro che volete conquistare, con tutta la passione e la
disubbidienza di cui siete capaci.
Siate
pari nel coraggio alle ragazze che nelle piazze di Teheran danno fuoco al velo
e affrontano la furia della polizia di Creonte.
Cenni
bibliografici
-
Sofocle, Antigone, a cura di Giovanni Greco, Feltrinelli, Milano 2013
-
Sofocle, Antigone, a cura di A. Sestili, Società Editrice Dante
Alighieri, Roma 2012
-
Albin Lesky, Storia della letteratura greca, Il Saggiatore, Milano 1962
-
Antigone. La ragione di Stato, a cura di Sonia Macrì,
Introduzione di Giulio Guidorizzi, Grandi Miti Greci , Mondadori, Milano 2019
-
Il Mito di Antigone, a cura di Marco Vezzani, Centro Internazionale
di Drammaturgia, Firenze 1990
-
Alberta Bigagli, La mia amica Antigone, Polistampa, Firenze 2019
- Nicoletta Manetti (a cura), LE SCONFINATE. Da Antigone ad Amy Winehouse. Antologia di quattordici autrici e autori, Carmignani Editrice 2022, pp. 7-18, R. Mosi, Antigone (prima edizione)
La storia dell’ “Antigone” di Sofocle
da “Storia del teatro greco” a cura di Massimo Di
Marco, Carocci
Polinice, figlio di Edipo, con
un esercito di Argivi ha cercato di scalzare il fratello Eteocle dal trono di
Tebe, accusandolo di non rispettare il patto di alternanza precedentemente
concordato. La spedizione tuttavia non ha avuto successo: i due fratelli sono
morti l’uno per mano dell’altro, e Creonte, che ora governa su Tebe, ha
interdetto la sepoltura di Polinice, reo di essersi mosso in armi contro la sua
stessa patria.
Decisa a opporsi al decreto,
invano Antigone cerca di convincere la sorella Ismene a collaborare con lei per
dare la giusta sepoltura al loro comune fratello: Ismene, infatti, non vuole
trasgredire la legge e, anzi, obietta che si tratta di un piano folle, che condurrà
Antigone alla morte. Ma l’eroina, delusa e irata per la viltà della sorella,
rimane ferma nel suo proposito.
Appare Creonte, che ribadisce
al coro dei vecchi Tebani le ragioni politiche del proprio decreto. Giunge,
trafelata, una sentinella che era di guardia presso il corpo di Polinice, e
informa che qualcuno, non visto, ha sparso simbolicamente della polvere sul
cadavere e ha compiuto i riti funebri. Creonte, furioso, ordina di catturare il
colpevole. Dopo l’intermezzo di un canto corale, la sentinella ricompare,
trascinando con sé Antigone, tornata a portare a termine i sacri riti presso il
cadavere e colta sul fatto.
Creonte e Antigone si
scontrano in un agone in cui alle ragioni della polis, sostenute
dal sovrano, l’eroina contrappone le ragioni della philìa e le
leggi “non scritte degli dèi”. Antigone viene condannata a morire rinchiusa in
una grotta, nonostante prima Ismene e poi Emone, figlio di Creonte e fidanzato
della fanciulla, tentino di intercedere in suo favore.
Antigone si avvia, dolente,
verso la grotta-prigione. Solo il sopravvenire di funesti presagi e
l’intervento chiarificatore dell’indovino Tiresia, che rivela al re che gli dèi
non approvano il suo decreto e si apprestano a riversare la propria ira sulla
sua stessa famiglia, inducono Creonte a tornare sui propri passi. Il re
acconsente ora a concedere gli onori funebri a Polinice e a liberare Antigone,
ma è troppo tardi.
Come racconta un messaggero,
Antigone si è suicidata, ed Emone, scopertone il corpo, si è parimenti ucciso.
Euridice, moglie di Creonte, appresa la nefanda notizia, entra ammutolita nella
reggia e si impicca. Creonte disperato, comprende di essersi reso responsabile
della morte della propria famiglia e rientra, prostrato, nella reggia.
Il conte Ugolino e la Torre della Fame
Dante. Inferno, Canto XXXIII
Breve pertugio dentro da la Muda,
la qual per me ha ’l titol de la fame,
e che conviene ancor ch’altrui si chiuda,24
m’avea mostrato per lo suo forame
più lune già, quand’io feci ’l mal sonno
che del futuro mi squarciò ’l velame.27
( …)
Già eran desti, e l’ora s’appressava
che ’l cibo ne solëa essere addotto,
e per suo sogno ciascun dubitava;45
e io senti’ chiavar l’uscio di sotto
a l’orribile torre; ond’io guardai
nel viso a’ mie’ figliuoi sanza far motto.48
Io non piangëa, sì dentro impetrai:
piangevan elli; e Anselmuccio mio
disse: "Tu guardi sì, padre! che hai?".51
Perciò non lagrimai né rispuos’io
tutto quel giorno né la notte appresso,
infin che l’altro sol nel mondo uscìo.54
Come un poco di raggio si fu messo
nel doloroso carcere, e io scorsi
per quattro visi il mio aspetto stesso,57
ambo le man per lo dolor mi morsi;
ed ei, pensando ch’io ’l fessi per voglia
di manicar, di sùbito levorsi60
e disser: "Padre, assai ci fia men doglia
se tu mangi di noi: tu ne vestisti
queste misere carni, e tu le spoglia".63
Queta’ mi allor per non farli più tristi;
lo dì e l’altro stemmo tutti muti;
ahi dura terra, perché non t’apristi?66
Poscia che fummo al quarto dì venuti,
Gaddo mi si gittò disteso a’ piedi,
dicendo: "Padre mio, ché non m’aiuti?".69
Quivi morì; e come tu mi vedi,
vid’io cascar li tre ad uno ad uno
tra ’l quinto dì e ’l sesto; ond’io mi diedi,72
già cieco, a brancolar sovra ciascuno,
e due dì li chiamai, poi che fur morti.
Poscia, più che 'l dolor,
poté 'l digiuno".75
Quand’ebbe detto ciò, con li occhi torti
riprese ’l teschio misero co’ denti,
che furo a l’osso, come d’un can, forti.78
Ahi Pisa, vituperio de le
genti
del bel paese là dove 'l sì suona,
poi che i vicini a te punir son lenti,81
muovasi la Capraia e la Gorgona,
e faccian siepe ad Arno in su la foce,
sì ch’elli annieghi in te ogne persona!84
Che se ’l conte Ugolino aveva voce
d’aver tradita te de le castella,
non dovei tu i figliuoi porre a tal croce.87
Innocenti facea l’età novella,
novella Tebe, Uguiccione e ’l Brigata
e li altri due che ’l canto suso appella.
Il video “Antigone, figlia di Edipo re
di Tebe”
Il video è ispirato al racconto-monologo pubblicato nell’antologia
“Le Sconfinate”, Carmignani, e riportato nelle presente pubblicazione: si trova
su YouTube (https://www.youtube.com/watch?v=krOSIhEPsYA).
Il
racconto è letto dall’autore, Roberto Mosi, ed è illustrato con le immagini
di un viaggio dello stesso autore in Grecia, nel 1984.
La trama del racconto.
Un gruppo di studenti del Liceo Classico “Galileo Galilei” di Pisa sta per
mettere in scena questa tragedia nella loro città, in piazza dei Cavalieri,
davanti al palazzo della Carovana, o dei Cavalieri, dove ha sede la Scuola
Normale Superiore. Sulla bianca scalinata di marmo a doppio rampa del palazzo,
saranno rappresentate le scene della tragedia animate dal coro e da Antigone
con gli altri protagonisti; la scena finale, però, dopo la condanna di
Antigone, da parte del re Creonte, a morire di fame nella grotta fuori della
città di Tebe, sempre nella piazza dei Cavalieri, ai piedi della torre Gualandi
– o della Muta, dal fatto che in passato venivano rinchiuse le aquile allevate
dal comune di Pisa durante il periodo della muta delle penne – dove furono
imprigionati e lasciati morire di fame il conte Ugolino della Gherardesca e i
suoi figli e nipoti, episodio di cui parla Dante Alighieri nel XXXIII canto
dell’Inferno: La bocca sollevò dal fiero pasto/ quel peccator ... Nel
racconto-monologo si immagina che i giovani pisani compiono un viaggio di
studio in Greca, a Tebe, per incontrare Antigone e prendere ispirazione per il
loro spettacolo che andrà in scena nella piazza della loro città, fra il
palazzo della Carovana e la torre della Muta.
L’autore
Roberto
Mosi, vive a Firenze, è stato dirigente per la cultura alla Regione Toscana. Si
interessa di letteratura e fotografia.
Per la poesia, fra le varie pubblicazioni, Itinera (Masso
delle Fate 2007), Poesie 2009-2016 (Ladolfi 2016), Eratoterapia (Ladolfi
2017), Navicello Etrusco (Il Foglio 2018), Orfeo in Fonte Santa (Ladolfi
2019), Sinfonia per San Salvi (Il Foglio 2020), Promethéus. Il dono
del fuoco (Ladolfi 2021), Il nostro giardino globale (2023). Queste
opere hanno ricevuto vari riconoscimenti; l’ultimo per Il profumo dell’iris (Gazebo
2018): Premio speciale in Memoria di Duccia Camiciotti, Città di Montevarchi
(2022).
Ha
pubblicato i romanzi Non oltrepassare la linea gialla (Europa Edizioni
2014) ed Esercizi di volo (Europa Edizioni 2016 premiato al concorso
letterario Casentino 2017). Ha dedicato particolare attenzione al romanzo
storico: Elisa Baciocchi e il fratello Napoleone (Il Foglio, 2013), Ogni
sera Dante ritorna a casa. Sette passeggiate con il poeta (Il Foglio 2021),
Ogni anno Napoleone ritorna all’Elba (Il Foglio 2021; illustrazione di
Enrico Guerrini. E-book), Barbari. Dalle Steppe a Florentia alla porta
Contra Aquilonem (Masso delle Fate, 2022).
L’autore
ha realizzato mostre di fotografia presso biblioteche, caffè letterari e sale di
esposizione, in particolare al Circolo degli Artisti “Casa di Dante”. È
presidente dell’Associazione Testimonianze che cura la pubblicazione
dell’omonima rivista fondata da Ernesto Balducci. Fa parte della redazione
della rivista diretta da Mariella Bettarini L’area di Broca.
Cura i blog:
wwww.robertomosi.it
Indice
Premessa Antigone in scena
Antigone
Tebe, l’incontro alla Fonte di Edipo
Davanti al Palazzo di Creonte
La sala del Palazzo di Creonte
Silenzio!
La caverna
Da Tebe ad Auschwitz
Dante. Tebe e Pisa
La tragedia di Sofocle in scena a Pisa
Pisa, la Torre della Fame
Il congedo alla stazione di Tebe
Cenni
bibliografici
La
storia dell’Antigone di Sofocle
Dante
Alighieri. Il conte Ugolino e la Torre della Fame
Il
video “Antigone, figlia di Edipo re di Tebe”
L’autore
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