sabato 11 marzo 2023

"ANTIGONE. Da Tebe, la Fonte di Edipo, a Pisa, la Torre della Fame", R.Mosi - Libro sostenibile per la Mostra: "I mille volti di Antigone" - Circolo degli Artisti "Casa di Dante"

 


Libro sostenibile online: collegamento

* * * 



Video: lettura dell'autore, foto viaggio in grecia. Link

* * *



 

In copertina: “Antigone”. Fotografia dell’autore.

Manichino da una vetrina del centro di Firenze.

Fotografia digitale, 2005.

 

 

Roberto Mosi

 

Antigone

Da Tebe, la Fonte di Edipo

a Pisa, la Torre della Fame

 

 

Mostra “I mille volti di Antigone”

Circolo degli Artisti “Casa di Dante, 26.3 - 6.5  2023

Libro sostenibile, diffuso online


* * *  

 

Antigone in scena

 

     A Pisa, in piazza dei Cavalieri, rivive Antigone con il suo dramma. Un gruppo di studenti rappresenta appunto nella piazza una sua versione dell’opera di Sofocle, tracciando così un ponte fra Tebe e Pisa, la città fondata, secondo la leggenda, da profughi tebani. E non vi è anche una analogia fra la fine di Antigone e quella del conte Ugolino, morto proprio nella Torre della Fame? Assume un valore di attualità dirompente la storia di Antigone che lotta contro il potere per i principi in cui crede, in questo periodo che vede la lotta delle donne iraniane.

     Nella Mostra “I mille volti di Antigone” presso il Circolo degli Artisti Casa di Dante, a cura dell’Officina del Mito, le figure dei protagonisti del dramma – Antigone, Creonte, Ismene, Emone, Tiresia, il Coro - sono interpretate da attori particolari: manichini fotografati nelle vetrine dei negozi di moda di Firenze, stagione 2004-2005.

     Questa proposta è una mia interpretazione del mito, è in sintonia con gli interessi che animano i miei lavori, dalla fotografia, al racconto. Propongo nella Mostra, insieme alle fotografie, il libro sostenibile, diffuso online: “ANTIGONE”. Da Tebe, la Fonte di Edipo, a Pisa, la Torre della Fame.

     In questo passaggio, alla fine del  monologo di Antigone, l’essenza del libro: “Vedete, fui posta davanti a un problema immutato nel tempo, di dimensione universale: fino a che punto lo Stato con le sue leggi più o meno arbitrarie può forzare a compiere atti aberranti, contrari alla voce individuale e alla voce della natura? È una domanda che vale da Tebe, la mia città, ad Auschwitz. Sempre e comunque bisogna sottomettersi alle leggi, anche quando queste comportano sacrilegio o sterminio? E in questo caso, che ne è della scelta e della libertà morale di ogni singolo individuo?”

* * *  

 

 

ANTIGONE

 

 

Non all'odio

ma all'amore sono nata

(Antigone, Sofocle)


 

 

     Tebe, marzo 2023

 

Tebe, l’incontro alla Fonte di Edipo

 

     Ben arrivati a Tebe. Vi accolgo ai piedi del ponte sul fiume Cefiso, presso la fontana di Edipo. Ề qui che mio padre si lavò le mani sporche di sangue dopo avere ucciso Laio, il suo genitore, sulla strada che porta alla città.

     Da qui con un solo sguardo si abbraccia tutta la collina di Tebe fino alla parte alta della città, dove una volta era l’acropoli. Sono rimaste tracce delle antiche mura, del palazzo di Creonte e della Rocca Cadmea. In basso, sopra l’argine del fiume, verso occidente, intravedete la cavità della caverna rocciosa nella quale Creonte mi condannò a morire di consunzione.

     Ề da questa fonte che voglio iniziare a raccontarvi la mia storia, e quella della mia famiglia, da Cadmo, fondatore di Tebe, fino alla mia condanna.

     Sono felice di potervi incontrare finalmente di persona, dopo che tante volte ci siamo collegati in videoconferenza e per discutere il progetto che vi ha portato dalla vostra città di Pisa in Toscana, fino a qui, a Tebe, nella Beozia, in questo periodo di pandemia che sta colpendo tutti i paesi della terra.

     Anche all’epoca dei miei genitori, Edipo e Giocasta, una terribile pestilenza colpì Tebe. Tiresia, il profeta cieco che da Atena aveva ricevuto il dono di comprendere il linguaggio degli uccelli, sostenne che la colpa fosse dell’empia contaminazione che aveva offeso la città e gli dei. Responsabile mio padre, Edipo, macchiatosi  della “relazione più turpe con i suoi congiunti”.

     Una tremenda consapevolezza è la mia: il sangue, anziché scorrere dal gruppo familiare verso l’esterno unendosi a un sangue nuovo nel procedere delle generazioni, nella mia famiglia si è bloccato e confuso, perché Giocasta, che avrebbe dovuto precedermi di due generazioni, mi è nonna e madre ed Edipo mi è padre e fratello.

     Nella mia famiglia non c’è ordine, non c’è successione: padre e figlio entrano nel grembo della stessa donna, che è il ventre da cui io nacqui e nacquero Polinice, Eteocle e Ismene. Ma prima di loro Edipo.

     Questa storia ci pone problemi universali, di respiro perenne: la legge, la famiglia, l’amore, la morte. È il paradigma di una breve vita, la mia, votata ad affermare l’amore verso una famiglia di morti.

     Sono commossa del vostro proposito di dare vita alla tragedia di Sofocle, Antigone, la mia storia, nella vostra Pisa. Così getteremo fondamenta ancora più solide, rafforzando il ponte che la storia ha creato fra noi.

     So che Pelope, figlio di Tantalo, re di Tebe, fondò nel Peloponneso la città greca di Pisa e si racconta che alcuni profughi originari di questa città, di ritorno dalla guerra di Troia, fondarono l’attuale Pisa in Toscana, proprio sotto la guida di Pelope.

     Prima di spostarci nella zona dell’Acropoli, al Palazzo di Creonte, voglio dirvi qualche parola su di me, anche se la memoria riaccende un grande dolore.

Io sono la ragazza che si ribellò al tiranno e affrontò la morte in nome della giustizia e della pietà, sono colei che gridò in faccia a Creonte: «Io non pensavo che i tuoi decreti avessero il potere di consentire a un uomo di sovvertire le leggi inviolabili, non scritte, degli dei, che vivono non da oggi né da ieri e nessuno sa quando apparvero».

     La sera prima i miei fratelli, Eteocle e Polinice, si erano scontrati ed erano ambedue morti, combattendo alla settima porta della città di Tebe: Eteocle da regnante e Polinice da esule, da principe a principe, da fratello a fratello, da nemico a nemico.       Ricordate? La battaglia era infuriata tutto intorno alla grande cinta muraria di Tebe, che era stata eretta dai figli di Zeus, Anfione e Zeto. I migliori dei Tebani da una parte, guidati da Eteocle, e i soldati argivi del re Adrasto dall’altra, al fianco di Polinice, “fragori di scudi”, “strepito di carri”, “nitriti di cavalli”. La caduta di Eteocle e Polinice segnò la fine dello scontro. 

     Creonte, mio zio, vietò la sepoltura di mio fratello Polinice, perché aveva tradito. Ne fui sconvolta, non potevo accettarlo, lo avrei seppellito, pur sapendo di violare l’editto e di andare incontro alla morte.


 

Davanti al Palazzo di Creonte

 

     Spostiamoci ora davanti ai resti del Palazzo di Creonte, presso la porta dove, il mattino successivo alla battaglia, incontrai mia sorella Ismene. Ero uscita presto dal palazzo, avvolta nella mia sciarpa rossa di lino, seguita da mia sorella. Eravamo le ultime superstiti della famiglia, gli altri membri non c’erano più. Non c’era dolore, sventura o  vergogna che noi non avessimo già patito, ma un nuovo fatto era sopraggiunto: il decreto emanato da Creonte, subentrato a Eteocle nel governo della città, con il quale vietava la sepoltura di Polinice. Per questo, quella mattina avevo chiamato Ismene fuori dal palazzo per metterla al corrente, a quattr’occhi, dell’idea di onorare ugualmente il corpo di nostro fratello. Ismene però, decisa, mi disse che non intendeva seguire la mia idea, non voleva violare l’ordine del nuovo re: la morte dei fratelli riguardava il passato, non era altro che l’ultimo anello della lunga catena di fatti che aveva travolto la nostra famiglia.

     Lei rimase ferma nella volontà di staccarsi dal tempo che apparteneva ai morti, il suo pensiero si rivolgeva al futuro che l’aspettava. Il nostro scambio di idee divenne un duro scontro. Ismene si attenne alla regola stabilita da Creonte, mi gridò: «Non puoi combattere contro gli uomini. Tu ami l’impossibile!»

     Come potevo, da parte mia, limitarmi al semplice vivere quotidiano? Dovevo agire! Raggiunsi la salma di Polinice nel cuore della notte e la cosparsi di polvere, per ricoprirla. Le guardie che Creonte aveva messo vicino al corpo, si resero conto del misfatto e, impauriti delle conseguenze, cominciarono a cercare delle tracce, ma inutilmente.

     Una seconda volta tornai, nel mezzo di una tempesta di sabbia, presso il corpo di mio fratello, ma al cessare della tempesta le guardie mi scoprirono a onorare la sua memoria, nel pianto, fra alti lamenti. Fui portata al cospetto di Creonte.


 

La sala del Palazzo di Creonte

 

     Entriamo ora nel palazzo, fra i resti della sala, nella reggia.

Una guardia riferì al sovrano quello che avevo fatto. Creonte si appellò alle leggi, al decreto da lui promulgato: Polinice aveva voluto muovere guerra contro la sua stessa patria e al sovrano spettava il compito di fermare le azioni sovversive, per assicurare l’ordine sociale. Io sostenni, con tutta la mia forza, che mi attenevo alle “leggi” non scritte, ma previste dai codici della religione: non vi è alcuna distinzione tra chi è colpevole e chi è innocente, i parenti onorino comunque i loro morti.

     Gridai in faccia a Creonte: «Ade richiede che queste leggi siano uguali per tutti!»  

     Creonte tornò a sostenere con fermezza: «Bisogna obbedire a colui che la città ha designato al governo, nelle piccole e nelle grandi cose, in quelle giuste e nel loro contrario!»

     Ci dobbiamo chiedere: al sovrano si deve assoluta obbedienza, anche quando il suo operato non coincide con ciò che è giusto? Gli risposi con parole ferme, come incise nel marmo: «Io non sono nata per condividere l’odio, ma per l’amore.»

     Per tutta risposta ordinò che venissi condotta nella grotta, e che lì venissi sepolta ancora viva.

     Dopo che fui allontanata giunse nella sala del trono Tiresia, guidato da un fanciullo. Arrivava dal luogo in cui era solito fermarsi, là dove approdava ogni specie di uccelli e dal loro comportamento e dalle loro grida aveva compreso la gravità dell’atto commesso da Creonte.

     Tiresia ingiunse al sovrano: «La città è malata a causa del tuo volere. Cedi al defunto, non infierire contro un cadavere. Che atto di valore è uccidere un morto?»

     Potete capire che l’empietà di Creonte non cedette neppure alle parole di Tiresia,  a cui rispose con parole blasfeme: «Nella tomba quello non nasconderete, neanche se volessero aquile del Cielo per pasto portarlo, preso, in paradiso. Cadono, vecchio Tiresia, fra i mortali, anche i più agguerriti, vergognosamente, se discorsi turpi incipriano per soldi».

     Fu a questo punto, però, che Tiresia pronunciò tremende parole profetiche, di morte, per il tiranno: «E tu sappi allora che il sole non compirà molte volte il suo corso prima che tu debba restituire, in cambio di un morto, un morto nato dalle tue viscere. Tu hai chiuso sottoterra una persona di quassù, ponendo indegnamente nella tomba un essere vivente e trattieni qui un morto che appartiene invece agli dei inferi, insepolto e senza i dovuti onori».


 

 

Silenzio!

    

     Silenzio, rimaniamo in silenzio, fra questi antichi resti della sala del palazzo di Creonte. Possiamo ancora percepire l’eco di queste tremende parole, renderci conto fino in fondo del passaggio fatale della storia, dell’incedere verso la catastrofe finale.

     La realtà è ormai sconvolta, la decisione del tiranno ha provocato un’empia inversione tra la sfera dei vivi e quella dei morti e da lì a poco Creonte dovrà pagare tutto questo al prezzo del suo stesso sangue.

     Io, Antigone, giovane donna, sono consapevole di questa empietà fin dalle origini e strenua combattente contro l’ingiustizia del potere, l’intera città testimone della mia inflessibile decisione.


 

 

La caverna

 

     Passiamo ora alla caverna rocciosa di cui vi ho parlato, sopra l’argine del fiume, nella parte occidentale di Tebe. All’epoca degli avvenimenti appena fuori dalla città: in questa zona fetida giaceva il corpo in disfacimento di Polinice. Mi incamminai lentamente, la mia sciarpa rossa, di lino, al collo, fra le guardie, sulla strada deserta verso la caverna. Il destino che mi era riservato era di morire d’inedia, nascosta ad ogni vista, per sepolcro la grotta. Nessuno avrebbe fatto il gesto di uccidermi, mi sarebbe stato lasciato del cibo, una porzione piccola, ma sufficiente ad assolvere il mio carnefice da ogni colpa.

     Creonte aveva detto, con sprezzante sarcasmo, riferendosi al mio destino di sepolta viva: “Laggiù, invocando Ade, il solo che lei onori fra gli dei, farà in modo di non morire. Basta, portatela via, chiudetela nella grotta e lasciatela sola; che muoia o viva celebrando i suoi riti. Le nostre mani non si macchino del sangue di questa donna, ma non farà più parte del mondo della luce”.

     Dentro a questa caverna, davanti alla quale ora noi siamo, si compì la mia storia.

     La mia sciarpa rossa fu il mezzo pietoso per incontrare subito Ade, senza alcun indugio.

     Ricordiamo le parole del messaggero nel riportare i fatti ad Euridice, la moglie di Creonte, e alla città di Tebe: “Antigone è là in fondo alla tomba, sospesa per il collo ad un cappio di lino: Emone, curvo, abbracciato al suo corpo, piangeva la sposa, il delitto del padre, le nozze”.

     Il messaggero riferì del tentativo di Emone, il mio promesso sposo, di uccidere il padre sopraggiunto e che, dopo aver fallito il colpo, aveva rivolto la spada contro sé stesso.

     La scena finale: “Ancora in sé, con le braccia ormai spente, si stringe ad Antigone nel respiro ansimante, sulla guancia pallida di lei scende un fiotto veloce di sangue. Testimone della follia umana, Emone giace là nella caverna accanto alla morta e celebra il suo rito nuziale nella casa del buio”.


 

Da Tebe ad Auschwitz

 

     Ribadisco ancora una volta, da una parte sta la legge della città, dall’altra quella della natura che gli dei hanno dato agli uomini. Nell’incontro che ebbi al mattino fuori del palazzo, mia sorella Ismene mi aveva detto: «Noi siamo donne, con gli uomini non possiamo lottare.»

     Non posso concepire la sottomissione della donna mentre si calpestano principi sacri. Presi così posizione, da ragazza indifesa, contro lo Stato.

     Il coraggio non mi mancava. In tempi passati sono stata l’unica per anni a fianco del vecchio padre, Edipo, cieco e infelice, fino alla morte; una ragazza capace di sacrificare tutta la vita per un altro. Lo ripeto ancora, avevo gridato in faccia a Creonte: “Io sono nata per amare, non per odiare!” Forse si ode ancora l’eco della mia voce.

     Vedete, fui posta davanti a un problema immutato nel tempo, di dimensione universale: fino a che punto lo Stato con le sue leggi più o meno arbitrarie può forzare a compiere atti aberranti, contrari alla voce individuale e alla voce della natura? È una domanda che vale da Tebe, la mia città, ad Auschwitz. Sempre e comunque bisogna sottomettersi alle leggi, anche quando queste comportano sacrilegio o sterminio? E in questo caso, che ne è della scelta e della libertà morale di ogni singolo individuo?

     Ah l’amore! Sì, i volti dell’amore: per me l’amore sta nel sangue. Lo sostenni e lo sostengo ancora:

     Se muore un marito, ne potrai sempre prendere un altro, ma se muore un fratello nessuno lo potrà sostituire.

     Amare per me è prima di tutto una questione di sangue, nell’incontro al mattino con Ismene, fuori del palazzo, lo gridai con forza: “Io giacerò laggiù tra i morti, amata, assieme a un uomo amato, dopo aver compiuto un atto santo: infatti dovrò piacere a quelli laggiù molto più tempo che a quelli di qui”.

     E quando mi avviai verso la morte, sussurrai: “Giunta là, confido di arrivare cara al padre e cara anche a te, madre, e cara anche a te, fratello mio”.


 

Dante. Tebe e Pisa

 

     Lasciatemi ora ricordare Dante Alighieri e la Divina Commedia: il sommo poeta propone storie legate a Tebe, come quella dell' assedio e distruzione ad opera dei Sette Re, tra  cui Capaneo, o quella della costruzione delle mura di Tebe, innalzate da Anfione col suono della lira, traendo i massi dalle falde del monte Citerone.

     Dante parla più volte, poi, della crudeltà dei tebani e la paragona a quella dei pisani: Creonte mi condannò a morire di consunzione nella grotta che vi ho appena mostrato, così come i pisani imprigionarono nella Torre della Fame, nella piazza dei Cavalieri, nella vostra cità, il Conte Ugolino e i suoi familiari condannandoli a morire di fame.

 


    

 

La tragedia in scena a Pisa, piazza dei Cavalieri

 

     Voi siete qui, però, per guardare al futuro, e nel vostro futuro è mettere in scena il prossimo anno lo spettacolo di Antigone a Pisa. Conosco le vostre proposte, brillano di intelligenza, passione, curiosità; lasceranno scie luminose.

     Antigone, come sapete, andò in scena la prima volta ad Atene alle grandi Dionisie del 442 a. C. e l’opera è giunta fino a noi interpretata, tradotta, riscritta, adattata, approfondita in ambito filosofico, letterario e giuridico. Oggi non si parla più di Antigone ma di “Antigoni”, si torna continuamente a chiedersi che cosa rappresenti l’ ”eterna Antigone”.

     Anche voi, giovani amiche e amici di Pisa, siete impegnati, con il vostro lavoro, a porvi questa domanda e a cercare la risposta. Da Hegel a Kierkegaard, da Goethe a Freud, a Cocteau, in molti si sono interrogati sull’atto della mia insubordinazione.

     Il conflitto irriducibile tra le ragioni del privato, del legame di sangue, della coscienza del singolo, davanti alle ragioni dell’autorità pubblica, è stato declinato innumerevoli volte, come conflitto tra ragioni del divino e dell’umano, tra ragioni del maschile e del femminile. Nei nostri incontri online ho visto che avete approfondito questi aspetti e state dando una risposta alle domande che vi siete posti all’inizio, una risposta che troverà nello spettacolo la forma e i contenuti che più vi convincono.

     Posso dire ad Anna, la regista, di dare ritmo e colore allo spettacolo, cercare di sorprendere, stupire gli spettatori; a Marta, l’attrice, spetterà di misurarsi con passione nella parte della protagonista, stessa cosa ad Eugenio nelle vesti di Creonte. E a tutti di credere fino in fondo al successo di questa impresa.

     Trovo straordinaria la scelta del luogo dello spettacolo, la piazza dei Cavalieri, uno spazio di forte impatto scenografico fin dal tempo dei Medici. Il pubblico sarà sulle gradinate, appositamente costruite, davanti al Palazzo dei Cavalieri: sarà il palazzo di Creonte, del potere pubblico. Si accederà per l’alta scalinata esterna a doppia rampa. Sulla scala si disporrà il coro, passeranno i corifei per accedere al palazzo e in cima alla gradinata prenderanno vita le scene.

     Davanti al palazzo, l’alta statua di Cosimo I, simbolo della costante e occhiuta presenza del potere; la fontana ai piedi della statua richiamerà quella in cui Edipo si lavò le mani sporche di sangue.

     A destra delle gradinate, il cuore antico della città e la Chiesa di Santo Stefano dei Cavalieri, luogo della memoria e anima della città, da cui muoverà il coro che porta le voci, i pensieri dei cittadini; il coro è fondamentale, prende posizione, a volte concorda, altre dissente. Alla fine diventa lui il protagonista, nella solitudine della storia.


 

Pisa, la Torre della Fame

 

     A sinistra, all’angolo della piazza, la Torre della Muda, detta “Torre della Fame” proprio perché vi fu rinchiuso il conte Ugolino, il capitano del Popolo accusato di tradimento, a morire di inedia insieme ai figli e ai nipoti.

     Nell’ultima parte dello spettacolo, e per la scena finale, Antigone sarà condotta presso la Torre.

     Sono certa che voi, amiche ed amici, saprete rendere con efficacia e passione anche questa scena: l’attenzione del pubblico sarà rivolta alla terrazza sopra la scalinata, la sala della reggia. I riflettori saranno puntati sulla protagonista, interpretata da Marta, nelle ultime luci rosse del tramonto sulla città di Pisa. Dopo la sentenza finale, lei scenderà, scortata dalle guardie, la scalinata dalla parte verso la Torre della Fame, illuminata a giorno. A passi lenti raggiungerà la porta della Torre, che si richiuderà alle sue spalle.

     Dopo pochi istanti il Messaggero andrà in mezzo al pubblico, per riferire della tragedia che si è appena consumata, mentre una sciabolata di un riflettore illuminerà un lembo della sciarpa rossa di Antigone che penderà dalla finestra più alta della Torre.


 

 

Il congedo alla stazione di Tebe

 

La vostra visita a Tebe è terminata. Vi saluto qui, alla Stazione Ktel degli autobus. Presto il vostro mezzo partirà per Delfi, l’antica città dell’Oracolo. Aspetto da voi notizie felici.

     Questo vostro viaggio in Grecia è un pellegrinaggio alle radici della nostra storia e della cultura. Dare nuovamente vita nello spettacolo a me, all’eroica ragazza di Tebe, non è qualcosa di meccanico, una semplice trasposizione di un testo in scena, è piuttosto il comprendere, misurarsi con scelte di vita. Una prova che lascia il segno, che richiederà ad ognuno di voi di prendere partito, di non rimanere indifferenti riguardo alla storia di questa ragazza che nel dipanarsi delle generazioni, torna a ribellarsi al tiranno in nome della pietà e di una giustizia superiore. Sono certa che la vostra Antigone, sarà diversa da tutte le Antigoni del passato, sarà un successo, vi darà soddisfazione, la sentirete profondamente vostra.

L’augurio che vi faccio è di non risparmiarvi nel vostro impegno, siate “sconfinati”, andate oltre i confini!

     Immaginate nel progettare e vivere lo spettacolo, il futuro che volete conquistare, con tutta la passione e la disubbidienza di cui siete capaci.

Siate pari nel coraggio alle ragazze che nelle piazze di Teheran danno fuoco al velo e affrontano la furia della polizia di Creonte.



* * * 


 

 

Cenni bibliografici

 

- Sofocle, Antigone, a cura di Giovanni Greco, Feltrinelli, Milano 2013

- Sofocle, Antigone, a cura di A. Sestili, Società Editrice Dante Alighieri, Roma 2012 

- Albin Lesky, Storia della letteratura greca, Il Saggiatore, Milano 1962

- Antigone. La ragione di Stato, a cura di Sonia Macrì, Introduzione di Giulio Guidorizzi, Grandi Miti Greci , Mondadori, Milano 2019

- Il Mito di Antigone, a cura di Marco Vezzani, Centro Internazionale di Drammaturgia, Firenze 1990

- Alberta Bigagli, La mia amica Antigone, Polistampa, Firenze 2019         

- Nicoletta Manetti (a cura), LE SCONFINATE. Da Antigone ad Amy Winehouse. Antologia di quattordici autrici e autori, Carmignani Editrice 2022, pp. 7-18, R. Mosi, Antigone (prima edizione)   

 * * *

 


  

La storia dell’ “Antigone” di Sofocle

da “Storia del teatro greco a cura di Massimo Di Marco, Carocci

 

 

        Polinice, figlio di Edipo, con un esercito di Argivi ha cercato di scalzare il fratello Eteocle dal trono di Tebe, accusandolo di non rispettare il patto di alternanza precedentemente concordato. La spedizione tuttavia non ha avuto successo: i due fratelli sono morti l’uno per mano dell’altro, e Creonte, che ora governa su Tebe, ha interdetto la sepoltura di Polinice, reo di essersi mosso in armi contro la sua stessa patria.

        Decisa a opporsi al decreto, invano Antigone cerca di convincere la sorella Ismene a collaborare con lei per dare la giusta sepoltura al loro comune fratello: Ismene, infatti, non vuole trasgredire la legge e, anzi, obietta che si tratta di un piano folle, che condurrà Antigone alla morte. Ma l’eroina, delusa e irata per la viltà della sorella, rimane ferma nel suo proposito.

        Appare Creonte, che ribadisce al coro dei vecchi Tebani le ragioni politiche del proprio decreto. Giunge, trafelata, una sentinella che era di guardia presso il corpo di Polinice, e informa che qualcuno, non visto, ha sparso simbolicamente della polvere sul cadavere e ha compiuto i riti funebri. Creonte, furioso, ordina di catturare il colpevole. Dopo l’intermezzo di un canto corale, la sentinella ricompare, trascinando con sé Antigone, tornata a portare a termine i sacri riti presso il cadavere e colta sul fatto.

        Creonte e Antigone si scontrano in un agone in cui alle ragioni della polis, sostenute dal sovrano, l’eroina contrappone le ragioni della philìa e le leggi “non scritte degli dèi”. Antigone viene condannata a morire rinchiusa in una grotta, nonostante prima Ismene e poi Emone, figlio di Creonte e fidanzato della fanciulla, tentino di intercedere in suo favore.

        Antigone si avvia, dolente, verso la grotta-prigione. Solo il sopravvenire di funesti presagi e l’intervento chiarificatore dell’indovino Tiresia, che rivela al re che gli dèi non approvano il suo decreto e si apprestano a riversare la propria ira sulla sua stessa famiglia, inducono Creonte a tornare sui propri passi. Il re acconsente ora a concedere gli onori funebri a Polinice e a liberare Antigone, ma è troppo tardi.

        Come racconta un messaggero, Antigone si è suicidata, ed Emone, scopertone il corpo, si è parimenti ucciso. Euridice, moglie di Creonte, appresa la nefanda notizia, entra ammutolita nella reggia e si impicca. Creonte disperato, comprende di essersi reso responsabile della morte della propria famiglia e rientra, prostrato, nella reggia.


* * *

 

 


Il conte Ugolino e la Torre della Fame

 

               Dante. Inferno, Canto XXXIII

 

 

Breve pertugio dentro da la Muda,
la qual per me ha ’l titol de la fame,
e che conviene ancor ch’altrui si chiuda,
24

m’avea mostrato per lo suo forame
più lune già, quand’io feci ’l mal sonno
che del futuro mi squarciò ’l velame.27

( …)

Già eran desti, e l’ora s’appressava
che ’l cibo ne solëa essere addotto,
e per suo sogno ciascun dubitava;
45

e io senti’ chiavar l’uscio di sotto
a l’orribile torre; ond’io guardai
nel viso a’ mie’ figliuoi sanza far motto.
48

Io non piangëa, sì dentro impetrai:
piangevan elli; e Anselmuccio mio
disse: "Tu guardi sì, padre! che hai?".
51

Perciò non lagrimai né rispuos’io
tutto quel giorno né la notte appresso,
infin che l’altro sol nel mondo uscìo.
54

Come un poco di raggio si fu messo
nel doloroso carcere, e io scorsi
per quattro visi il mio aspetto stesso,
57

ambo le man per lo dolor mi morsi;
ed ei, pensando ch’io ’l fessi per voglia
di manicar, di sùbito levorsi
60

e disser: "Padre, assai ci fia men doglia
se tu mangi di noi: tu ne vestisti
queste misere carni, e tu le spoglia".
63

Queta’ mi allor per non farli più tristi;
lo dì e l’altro stemmo tutti muti;
ahi dura terra, perché non t’apristi?
66

Poscia che fummo al quarto dì venuti,
Gaddo mi si gittò disteso a’ piedi,
dicendo: "Padre mio, ché non m’aiuti?".
69

Quivi morì; e come tu mi vedi,
vid’io cascar li tre ad uno ad uno
tra ’l quinto dì e ’l sesto; ond’io mi diedi,
72

già cieco, a brancolar sovra ciascuno,
e due dì li chiamai, poi che fur morti.
Poscia, più che 'l dolor, poté 'l digiuno".
75

Quand’ebbe detto ciò, con li occhi torti
riprese ’l teschio misero co’ denti,
che furo a l’osso, come d’un can, forti.
78

Ahi Pisa, vituperio de le genti
del bel paese là dove 'l sì suona,
poi che i vicini a te punir son lenti,
81

muovasi la Capraia e la Gorgona,
e faccian siepe ad Arno in su la foce,
sì ch’elli annieghi in te ogne persona!
84

Che se ’l conte Ugolino aveva voce
d’aver tradita te de le castella,
non dovei tu i figliuoi porre a tal croce.
87

Innocenti facea l’età novella,
novella Tebe, Uguiccione e ’l Brigata
e li altri due che ’l canto suso appella.

 

 

 * * * 

 

 

 

Il video “Antigone, figlia di Edipo re di Tebe”

 

          Il video è ispirato al racconto-monologo pubblicato nell’antologia “Le Sconfinate”, Carmignani, e riportato nelle presente pubblicazione: si trova su YouTube (https://www.youtube.com/watch?v=krOSIhEPsYA).

          Il racconto è letto dall’autore, Roberto Mosi, ed è illustrato con le immagini di un viaggio dello stesso autore in Grecia, nel 1984.

          La trama del racconto. Un gruppo di studenti del Liceo Classico “Galileo Galilei” di Pisa sta per mettere in scena questa tragedia nella loro città, in piazza dei Cavalieri, davanti al palazzo della Carovana, o dei Cavalieri, dove ha sede la Scuola Normale Superiore. Sulla bianca scalinata di marmo a doppio rampa del palazzo, saranno rappresentate le scene della tragedia animate dal coro e da Antigone con gli altri protagonisti; la scena finale, però, dopo la condanna di Antigone, da parte del re Creonte, a morire di fame nella grotta fuori della città di Tebe, sempre nella piazza dei Cavalieri, ai piedi della torre Gualandi – o della Muta, dal fatto che in passato venivano rinchiuse le aquile allevate dal comune di Pisa durante il periodo della muta delle penne – dove furono imprigionati e lasciati morire di fame il conte Ugolino della Gherardesca e i suoi figli e nipoti, episodio di cui parla Dante Alighieri nel XXXIII canto dell’Inferno: La bocca sollevò dal fiero pasto/ quel peccator ... Nel racconto-monologo si immagina che i giovani pisani compiono un viaggio di studio in Greca, a Tebe, per incontrare Antigone e prendere ispirazione per il loro spettacolo che andrà in scena nella piazza della loro città, fra il palazzo della Carovana e la torre della Muta.


 * * * 

 

L’autore

 

        Roberto Mosi, vive a Firenze, è stato dirigente per la cultura alla Regione Toscana. Si interessa di letteratura e fotografia.

Per la poesia, fra le varie pubblicazioni, Itinera (Masso delle Fate 2007), Poesie 2009-2016 (Ladolfi 2016), Eratoterapia (Ladolfi 2017), Navicello Etrusco (Il Foglio 2018), Orfeo in Fonte Santa (Ladolfi 2019), Sinfonia per San Salvi (Il Foglio 2020), Promethéus. Il dono del fuoco (Ladolfi 2021), Il nostro giardino globale (2023). Queste opere hanno ricevuto vari riconoscimenti; l’ultimo per Il profumo dell’iris (Gazebo 2018): Premio speciale in Memoria di Duccia Camiciotti, Città di Montevarchi (2022).

        Ha pubblicato i romanzi Non oltrepassare la linea gialla (Europa Edizioni 2014) ed Esercizi di volo (Europa Edizioni 2016 premiato al concorso letterario Casentino 2017). Ha dedicato particolare attenzione al romanzo storico: Elisa Baciocchi e il fratello Napoleone (Il Foglio, 2013), Ogni sera Dante ritorna a casa. Sette passeggiate con il poeta (Il Foglio 2021), Ogni anno Napoleone ritorna all’Elba (Il Foglio 2021; illustrazione di Enrico Guerrini. E-book), Barbari. Dalle Steppe a Florentia alla porta Contra Aquilonem (Masso delle Fate, 2022).

        L’autore ha realizzato mostre di fotografia presso biblioteche, caffè letterari e sale di esposizione, in particolare al Circolo degli Artisti “Casa di Dante”. È presidente dell’Associazione Testimonianze che cura la pubblicazione dell’omonima rivista fondata da Ernesto Balducci. Fa parte della redazione della rivista diretta da Mariella Bettarini L’area di Broca.

        Cura i blog:

        wwww.robertomosi.it

     www.poesia3002.blogspot.it

 

 * * *  

 

Indice

 

Premessa  Antigone in scena

 

Antigone

     Tebe, l’incontro alla Fonte di Edipo

     Davanti al Palazzo di Creonte

     La sala del Palazzo di Creonte

     Silenzio!

     La caverna

     Da Tebe ad Auschwitz

     Dante. Tebe e Pisa

     La tragedia di Sofocle in scena a Pisa

     Pisa, la Torre della Fame

     Il congedo alla stazione di Tebe

 

Cenni bibliografici

La storia dell’Antigone di Sofocle

Dante Alighieri. Il conte Ugolino e la Torre della Fame

Il video “Antigone, figlia di Edipo re di Tebe”

L’autore




 

    

    

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




1 commento:

  1. ndice



    Premessa Antigone in scena



    Antigone

    Tebe, l’incontro alla Fonte di Edipo

    Davanti al Palazzo di Creonte

    La sala del Palazzo di Creonte

    Silenzio!

    La caverna

    Da Tebe ad Auschwitz

    Dante. Tebe e Pisa

    La tragedia di Sofocle in scena a Pisa

    Pisa, la Torre della Fame

    Il congedo alla stazione di Tebe



    Cenni bibliografici

    La storia dell’Antigone di Sofocle

    Dante Alighieri. Il conte Ugolino e la Torre della Fame

    Il video “Antigone, figlia di Edipo re di Tebe”

    RispondiElimina