martedì 18 marzo 2025

"Barbari", Masso delle Fate - PREMIO ALBEROANDRONICO ROMA - MOTIVAZIONE






Roberto Mosi, BARBARI. Masso delle Fate

Dalle steppe a Florentia, alla porta ad Aquilonem.

 

  Il romanzo storico è dedicato all’invasione dei barbari guidati dal re ostrogoto Radagaiso in Italia negli anni 405-406 e alla vittoria presso Fiesole che riportò su di essi il generale romano Stilicone. L’autore, nelle vesti di un romano, già ufficiale dell’esercito, che risiede in una villa della campagna fiesolana, partecipa alle vicende di quegli anni, con uno sguardo attento allo scorrere degli eventi dell’epoca.

  Nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, Vasari intese rappresentare le glorie politiche e militari dei Medici, illustrando anche pagine epiche dell'antica storia della Toscana. Fra queste mi ha sempre colpito “La vittoria sul re barbaro Radagaiso” (406 d.C.), uno dei quadri che compongono il ciclo pittorico vasariano. Le figure del re barbaro arrivato fino alle mura di Firenze dalle lontane terre presso il Danubio e del generale Stilicone, comandante dell’esercito romano, che lo sconfisse, hanno avuto una forte risonanza nella storia di Roma, nei racconti e nelle leggende. La sanguinosa battaglia che si combatté nella valle del Mugnone, presso Fiesole, fu l’ultima vittoria dell’impero romano contro i barbari, prima della disfatta definitiva.

  Un giorno camminando nei pressi di Fiesole, mi sono imbattuto nel cartello che indicava il “Sentiero di Stilicone”. È come se avessi trovato un riscontro concreto all'opera del Vasari e ho cominciato ad approfondire quegli avvenimenti e alcuni aspetti di quel periodo che sono rimasti come in disparte perché l’attenzione degli storici si è rivolta, soprattutto, alla città medievale di Dante Alighieri e all’epoca rinascimentale.

Oltre alla raccolta di documenti e pubblicazioni sul tema, mi piace visitare i luoghi che hanno visto quegli avvenimenti e percorrere a piedi, in compagnia della mia canina Gilda, i sentieri che li attraversano, sul crinale delle colline oltre Fiesole e nella valle del Mugnone, dove posero le tende i barbari arrivati a migliaia e migliaia e dove si scontrarono con i soldati romani; una piccola valle dove scorre in basso il fiume, mi siedo sulle sue rive, chiudo gli occhi e sento ancora l’eco di quella furiosa battaglia, le urla dei guerrieri, il cozzo feroce delle armi, il lamento dei feriti.

  Questi interessi sono diffusi, condivisi da cittadini e da associazioni; il segno più evidente è rappresentato dalla realizzazione nel comune di Fiesole del percorso escursionistico “Il sentiero di Stilicone”.

  L’interesse per queste vicende dell’inizio del V secolo è coltivato da varie pubblicazioni e dai social media, che presentano racconti e leggende, sviluppate intorno a quegli eventi, con svariate immagini dei luoghi e dei personaggi; immagini riprese dalla iconografia classica o contemporanee, nella forma dei fumetti.

Nella mia opera collego episodi locali e personaggi storici e di fantasia ad un contesto storico generale come se mi ponessi in alto, sulla cima delle colline e osservassi lo svolgersi degli avvenimenti, gli scontri fra le fazioni civili e religiose, in un paesaggio rimasto sostanzialmente invariato e l'irrompere in questo mondo dei barbari arrivati dalle steppe cinte dall’oceano dei ghiacci.

  Una posizione in alto, dunque, che è anche oggi da mantenere, per osservare, e comprendere, eventi, situazioni, legati a popoli che lasciano le loro terre, che emigrano e, al loro arrivo, trovano nuovi barbari.

 








I PREMIO per "Amo le parole" : MOTIVAZIONE - Premio Albero Andronico Roma XVII Edizione





Motivazione 1 premio Libro Poesia 



sabato 15 marzo 2025

NOVARADIO 19.3, ore 12: INTERVISTA: la poesia, il romanzo, la fotografia, il progetto culturale e la città, l'apprendimento permanente






Roberto Mosi, “Amo le parole. Poesie 2017-2023”, Ladolfi Editore, Borgomanero. Prefazione Carmelo Consoli. Postfazione Giuliano Ladolfi

 

Commento di Giuliano Ladolfi dalla Posfazione al libro

«La poesia prende il posto / dei sogni»

 

Penso che la concezione poetica di Roberto Mosi sia chiarita dal seguente passo compreso in questa antologia: «Credo che sia possibile curarsi con la

poesia, per vincere le paure, stati di sofferenza, per stringere sogni che passano in volo, per divertirsi. La voce della poesia arriva dal dentro, potente nelle ore della notte, debole e distratta il giorno. Porta sollievo,

se non guarigione, dolcezza di ricordi, sapori tenui di malinconia»... eratoterapia, senza dubbio. Bastano queste righe per depositare nel bidone dei rifiuti tutte le concezioni avanguardistiche e neoavanguardistiche.

Il poeta, infatti, assegna la scrittura in versi alla dimensione umana e non a quella puramente intellettuale o linguistica.

Il titolo di questa pubblicazione, che raccoglie testi editi da 2017 al 2023, costituisce un’ulteriore conferma: Amo le parole. E non si può amare senza collocare questo sentimento nell’intimità dell’essere umano. Si ama quando tra l’individuo e l’altro-da sé scocca una scintilla destinata a incendiare il

mondo. E ciò può avvenire con ogni tipo di realtà, che in questo caso si identifica con l’esistente, l’esistente che entra in empatia con il poeta.

Le parole poetiche per lui non sono flatus vocis, ma dichiarazioni d’amore che trasformano chi le pronuncia e chi le legge. Non si gioca sui significati

quando il sentimento ha il sopravvento. E questo sentimento è contagioso perché non permette al lettore di essere indifferente di fronte alla bellezza di Firenze, alla sua storia, alla sua arte, ai suoi colori, alle sue vie, ai suoi palazzi. Anche chi la conosce trova in questi versi nuovi occhi per contemplarla non con lo sguardo dello studioso o del turista, ma con l’entusiasmo di chi la ama come si ama una madre amorevole e affettuosa.

E poi il sentimento si espande al mondo intero, anche a situazioni dolorose, come la guerra o come la devastazione climatica. Se «la poesia prende il posto / dei sogni», è fondamentale che a tutti sia concesso di sognare tramite

quest’arte, a tutti sia concesso di ritrovare in essa l’impulso ad approfondire quel senso dell’esistere che Roberto Mosi propone come un’avventura meravigliosa e inesauribile.


“Tre principesse francesi a Firenze”

Postfazione 

Perché si scrive?

 

        Perché si scrive? Questa domanda si fa per me urgente ora che sto per pubblicare il mio ultimo romanzo sul mondo dell’imperatore Napoleone, dopo che sono passati dieci anni dal mio primo lavoro.

        Mi dedico alla scrittura per recuperare una cosa che mi viene a mancare, per riempire un vuoto che si è creato vicino a me, oppure, per scongiurare un pericolo, per sconfiggere la paura.

        Il primo romanzo Elisa Baciocchi e il fratello Napoleone. Storie francesi da Piombino a Parigi (Il Foglio, 2013) era un invito ad andare alla scoperta della costa toscana del mare Tirreno, a guardare le città, il territorio con lo sguardo dei vincitori francesi, con l’orgoglio della loro forza, della efficacia e della modernità dei loro interventi. Quando cominciai a pensare al libro avevo appena lasciato il lavoro, avevo raggiunto il traguardo della pensione, davanti a me un tempo indefinito, grigio, senza contorni, un vuoto da riempire giorno per giorno. L’idea di scrivere un racconto, un romanzo dette un ritmo alle mie giornate, mi portò ad immergermi in un mondo illimitato di conoscenze, in una rete di libri, di notizie, piena di incroci, di nodi, tutti da studiare e da scoprire; fu un impegno serrato ma affascinante, che compensò il recente abbandono del mondo del lavoro senza trascurare quelli che erano stati gli interessi della mia professione. Ero stato infatti un dirigente per la cultura della Regione Toscana,

        Il romanzo successivo Non oltrepassare la linea gialla (Europa Edizioni, 2014) rappresenta una vera e propria elaborazione di un lutto, la perdita della mia macchina, la Lancia Musa, uscita di strada e schiantatasi contro un cartellone pubblicitario, incidente dal quale uscii praticamente incolume ma con un’enorme paura. Nel romanzo le macchine incidentate si ritrovano in un deposito di relitti ferrosi di ogni genere, si consolano fra di loro aspettando la sorte finale, di essere trasformate in mirabolanti creature grazie al fuoco rigeneratore dell’altoforno.

        Nel romanzo Esercizi di volo (Europa Edizioni, 2015) mi sono misurato con la follia; mi ha sempre affascinato il binomio arte/follia, ho seguito con interesse i progetti degli anni ’70 per la riforma dei manicomi, e rimasi sconvolto da una visita fatta all’Ospedale Psichiatrico San Salvi nella veste di segretario della Commissione Sanità del Consiglio regionale.

L’incipit del libro è quanto mai perentorio: “Un giorno imparerò a volare!”, il protagonista vuole acquistare leggerezza, la capacità di volare, per stare in alto, sopra le diverse pazzie del mondo e frequenta un celebre personaggio, Erasmo da Rotterdam, che gli fa scoprire il lato divertente della follia.

        Nel 2021la pandemia, la diffusione del Covid, ha sconvolto le nostre vite, ha limitato la nostra libertà, lasciandoci nella paura e nell’incertezza.

Ho trovato conforto e aiuto nella poesia, proprio in quella di Dante che inizia il suo viaggio ultraterreno dai tormenti dell’Inferno. Ho immaginato che la sua poesia sia rimasta con noi, nelle strade di Firenze dove è nato, si è affermato come uomo e come poeta laureato e quindi con un gruppo di amici siamo andati per le strade alla ricerca dei luoghi più suggestivi per recitare insieme ad alta voce, con energia i suoi versi, aspettando il suo ritorno perché, come recita il titolo del libro Ogni sera Dante ritorna a casa. Sette passeggiate con il poeta (Il Foglio, 2021). Mi sembra che il libro interpreti bene lo sgomento di quel periodo, per ogni giorno di escursione riporto, i dati dei cittadini toscani colpiti dal Covid, i ricoverati in ospedale, i deceduti, come un bollettino di guerra.       

        Le vicende dei migranti in fuga dalle guerre, dalle carestie, da luoghi di feroce miseria, le tragiche morti nel Mediterraneo, mi lasciano un grande vuoto, pesano sulla mia coscienza di cittadino di un Paese dell’Occidente. Ho trovato in questi avvenimenti una sorta di parallelismo con la storia delle grandi emigrazioni di popoli all’epoca dell’impero romano, sulla “ragionevole” integrazione fra le diverse genti; l’insieme di queste riflessioni è alla base del recente libro Barbari. Dalle Steppe a Florentia, alla Porta Contra Aquilonem, (Masso delle Fate, 2022).

        Sono passati dunque dieci anni da quando ho scritto il mio primo romanzo; ho pubblicato anche diverse raccolte di poesia, riunite in due antologie: Poesie 2009-2016 (Ladolfi, 2016) e Amo le parole. Poesie 2017-2023 (Ladolfi, 2023). Nella poesia seguo la voce dell’ispirazione, il demone che mi parla dentro, mi porta a comporre versi su registri diversi, con lo sguardo rivolto a paesaggi umani e a sfere personali differenti (Nonluoghi), (Eratoterapia), (Itinera), (Concerto), dove si accende la luce delle immagini (Firenze, foto grafie), soffia il vento dei miti (Navicello Etrusco), (Orfeo in Fonte Santa), (Prometheus, il dono del fuoco), balzano in evidenza le mie origini (Florentia), l’amore per la mia città, Firenze, la sua storia e la sua bellezza (Il profumo dell’iris), il desiderio di un costante impegno sociale, nel dialogo, nell’incontro con l’altro, con gli altri (L’invasione degli storni), (La vita fa rumore), (Il nostro giardino globale).

        Con quest’ultimo romanzo, Tre principesse francesi a Firenze. Sylvia Boucot d’Hautmesnil al servizio delle sorelle di Napoleone, ricompare  la figura di Napoleone, questa volta in compagnia delle tre sorelle, le  principesse Elisa, Paolina e Carolina, che grazie alla fortuna e alle capacità di uomo d’arme e di governo del fratello, si trovarono, dalle umili origini in una terra isolata, povera, come la Corsica, a conquistare onori e ricchezze sullo scenario europeo; la sorte fatale poi del generale corso, il crollo dell’impero, determinò il rovesciamento della loro fortuna, la decadenza. Nelle pagine di questo lavoro sono fissati i caratteri diversi delle tre sorelle e, allo stesso tempo, il loro coraggio di donne libere, la loro determinazione; ci si sofferma, per altro verso, sulle facce che mostra il potere, nei diversi frangenti, il modo differente di reagire delle persone, l’affermarsi della nuova classe borghese. In questo contesto, Firenze fa da scenario all’agire dei diversi protagonisti, è all’incrocio di dinamiche particolari, incisive per il suo futuro.

        È naturale dunque cercare di cogliere analogie con il tempo presente, specie riguardo ai miti che in quei tempi sono stati coltivati, come il mito della nazione e il mito del comandante supremo, del leader, che oggi ricompaiono con forti tratti, sugli scenari incerti del nostro presente: la scrittura, il lavoro di scavo, di analisi ad essa collegato, dei fenomeni in corso, aiuta nella ricerca di un terreno più solido sul quale fondare le nostre speranze.






 

 

 








 

domenica 2 marzo 2025

"I Bonaparte a Firenze", Caterina Perrone, Roberto Mosi , in "Elzeviro" n. 2, 2025


 

I Bonaparte a Firenze

 

          Napoleone Bonaparte nelle Mémoires raccolte dal dottor Antonmarchi nell’esilio di Sant’Elena (1819-1821) afferma che i Bonaparte (originariamente Buonaparte) sarebbero originari di Firenze, dove si schierarono dalla parte ghibellina. Con la vittoria del partito dei Guelfi, nel Duecento, dovettero lasciare la città e andarono in esilio prima a San Miniato e poi a Sarzana, che era sotto il dominio della Repubblica di Genova.  La dinastia divenne famosa, come sappiamo, con Napoleone che fu imperatore dei francesi e re d’Italia. Merita citare un episodio. Il giovane generale Bonaparte, comandante delle forza francesi in Italia, arrivò a Firenze, come ci informa il giornale fiorentino La gazzetta Universale, il 30 giugno 1796 accompagnato da un drappello di guardie, per far visita al granduca Ferdinando III: la sera dell’arrivo si tenne una grande festa a Palazzo Pitti, l’incontro memorabile di due giovani di ventisette anni, l’uno il generale venuto dal nulla e l’altro, il figlio dell’imperatore d’Austria, che tanta parte avranno nella storia dell’Europa.

          Firenze ebbe uno stretto legame con la famiglia di Napoleone, sia nel momento del successo dell’imperatore sia negli anni della sconfitta e dell’esilio; particolare fu il rapporto con la città delle tre sorelle del generale, Elisa Baciocchi, Paolina Borghese, Carolina Murat. Elisa divenne Granduchessa di Toscana (1809-1914), elesse Palazzo Pitti a propria dimora, si circondò di celebri artisti, fra i quali Niccolò Paganini, Antonio Canova, e promosse grandi progetti per rendere la città più moderna, di livello europeo; Napoleone ebbe ad affermare che Elisa era il migliore dei suoi ministri.

          Paolina, resa celebre dall’opera di Canova Venere Vincitrice, persona di grande generosità, fu la più amata dal fratello; soggiornò in più occasioni a Firenze e frequentò i luoghi più conosciuti, dalla passeggiata delle Cascine al Teatro della Pergola. Morì, per un tumore, a villa Fabbricotti, sulla collina di Montughi, il 9 giugno 1825. Carolina, la più piccola delle tre sorelle, moglie del maresciallo Murat, fu, ammirata, regina di Napoli (1808-1815) e dopo un lungo periodo di esilio, le fu concesso di raggiungere Firenze, dove fu ben accolta dalla città e visse nel palazzo Bonaparte, in piazza Ognissanti, che ospita oggi l’albergo Excelsior. Morì il 18 maggio 1839 e fu sepolta in un modesto spazio nella chiesa d’Ognissanti.

          Nella Basilica di Santa Croce si trova la Cappella Bonaparte acquistata da Giuseppe Bonaparte, re di Napoli e, successivamente, di Spagna, per seppellirvi la figlia Charlotte. Qui riposano anche la moglie Giulia e la nipote Maria-Albertine. A Firenze vissero anche – mentre era granduca Leopoldo II, celebre per lo spirito di tolleranza – altri fratelli di Napoleone: Luciano, principe di Canino, Luigi, il cui figlio Carlo Luigi diventerà Napoleone III; Giuseppe, che morì nel Palazzo Serristori in Oltrarno, nel 1844.

          Un commento finale sulle donne Bonaparte: è una vera scoperta avvicinarsi ai loro caratteri madre, sorelle, nipoti, bis nipoti. Capaci di coniugare grazia, eleganza, spregiudicatezza con il piglio di famiglia. Dove poteva d’altra parte aver trovato le sue radici un temperamento come quello di Napoleone, un misto di audacia, spregiudicatezza, ambizione, sete di potere, capacità strategica, comando e fascinazione? E nello stesso tempo una visione epica, senza ragionevolezza, finché non si dovrà confrontare con un destino tragico. Troviamo alcuni di questi segni anche nelle donne, che si rivela; d’altra parte è in famiglia che si costruiscono i caratteri, le visioni, gli obiettivi, a volte anche solo per contrasto. È stato così per le sorelle coinvolte, durante il periodo di gloria del fratello, in matrimoni prestigiosi che le hanno introdotte nella sfera del potere, dove hanno espresso un piglio degno della tradizione familiare.

          Troviamo gli echi di questo destino anche nella bisnipote Marie Laetitia che ha conosciuto il nonno Luciano ancora bambina e chissà quante ne ha sentite raccontare di storie, lì dove si forma l’immaginario e il senso di appartenenza. Di tutto ciò è consapevole già nel periodo di formazione quando giovanissima trascorre il tempo nei salotti parigini, quando viaggia per l’Europa accompagnata dalla madre, un’altra donna che sorprende per la sua disinvoltura non passata ai posteri come le altre. Quel che va raccontato di queste donne è il comune passaggio a Firenze. Le tre sorelle di Napoleone vivranno alcuni anni della loro complessa vita in questa città, trattate come straniere, perché a Firenze funziona così, anche quando si occupano posizioni di prestigio e di potere, soprattutto quando emerge e si vuole far rilevare una sorta di superiorità.

 Così è successo anche a Marie Laetitia, approdata a Firenze Capitale nel 1865, moglie di un ministro, Umberto Rattazzi, che sarà presto Primo ministro del Regno. Consapevole del suo passato e delle sue doti di scrittrice, donna di mondo, bella, elegante, colta, troppo consapevole per piacere ai fiorentini e alle fiorentine che mal digeriscono la sua supponenza e non le riconoscono neanche uno dei suoi evidenti pregi. Maria “litigherà” con Firenze, scriverà un pamphlet con denunce impietose di provincialismo e volgarità che non potranno essere ignorati. Otterrà una risposta imprevista e irripetibile: i fiorentini tutti d’accordo, tutti contro di lei.

          Un’ultima nota sulla storia dei Bonaparte a Firenze. Recentemente, nel 2016, i discendenti dalla regina Carolina Bonaparte Murat, un gruppo di quarantadue persone, provenienti da ogni parte del mondo, alcuni nobili, altri appartenenti all’alta borghesia, hanno realizzato un progetto per dare una degna sepoltura alla loro antenata, nello spazio restaurato di una cappella della chiesa d’Ognissanti, vicino alle spoglie di illustri uomini fiorentini.

 

Nella Collana “Stranieri e Firenze” di Angelo Pontecorboli, due libri presentano preziosi riferimenti per la storia della famiglia Bonaparte:

Caterina Perrone, Marie-Laetitia Wyse Rattazzi. La principessa internazionale, Angelo Montecerboli Editore, Firenze 2023.

Roberto Mosi, Tre principesse francesi a Firenze. Sylvia Bouquet e le sorelle di Napoleone, Elisa Baciocchi, Paolina Borghese e Carolina Murat, Montecerboli, Firenze 2024.

          In relazione alla figura di Napoleone Bonaparte, centrale in questa storia, pare importante soffermarsi sulle vicende del Concordato del 1801 che interessarono la stessa Francia e i territori dominati, partendo dall’operato di quegli uomini che gettarono le fondamenta del nuovo istituto. Il libro che illustra le coordinate dell’intervento:

Guglielmo Adimari, Napoleone Bonaparte. Trono e altare 1801, Angelo Montecerboli Editore, Firenze 2019.

          Una ricostruzione preziosa, quella di Adilardi, della personalità e delle qualità morali di Napoleone Bonaparte, il primo a siglare un concordato tra Stato e Chiesa, tra trono a Altare in epoca moderna. Con un accurato lavoro di archivio, svolto su documenti, lettere, annotazioni storiche, ripercorre le tappe e le idee che portarono al primo concordato in epoca moderna tra uno Stato e la Chiesa cattolica e di cui Napoleone fu l’esclusivo artefice ed ideatore. Col concordato Napoleone permette ai cattolici la libertà di professare la propria fede, vigilando semplicemente sul necessario ordine pubblico. Ma per arrivare a questo risultato deve superare la generale ostilità del suo entourage: dall’esercito alla cerchia intellettuale e politica, il primo console ha tutti contro. Secondo il concordato i vescovi prima di prendere possesso delle loro diocesi, dovevano giurare al Primo Console, e a scalare anche i parroci alle autorità locali, promettendo ubbidienza e fedeltà al governo stabilito secondo la Costituzione della Repubblica francese. Mantenendo la dovuta separazione tra Stato e Chiesa l’obiettivo di Napoleone è quello di riconciliare i due fronti del mondo cattolico, mettendo tutti sullo stesso piano, e riavvicinare il mondo cattolico allo Stato francese nel suo complesso, abbattendo i muri precedentemente creati.

          La firma del Concordato ricompatta l’alleanza tra Trono e Altare, ma non come nell’ancien regime: si superano i vecchi schemi in chiave assolutamente moderna e pubblicamente configurata. La modernità di questo accordo è evidentemente riconosciuto anche successivamente tanto è vero che esso è stato modello di riferimento per altre scritture, come quella dei Patti Lateranensi, tra Stato italiano e Santa sede nel 1929, o come quello del 1983 tra Bettino Craxi e il cardinale Agostino Casaroli. Più recentemente il concordato napoleonico ha costituito anche il modello dell’accordo provvisorio siglato nel 2018 tra Papa Francesco e Xi Jinping, Presidente della Repubblica Popolare Cinese, atto che riconosce accanto alla Chiesa Cattolica Patriottica Cinese, la Chiesa Cattolica non ufficiale. Anche qui la nomina dei vescovi avviene, come nel concordato napoleonico, con l’approvazione di ambo le parti, nell’intento di avvicinare due mondi finora separati e ostili.

 

Caterina Perrone

Roberto Mosi