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Roberto Mosi, “Il nostro
giardino globale”, online
Presentazione di Giuseppe Baldassarre
Invito
a ri-conoscere il giardino globale
San
Francesco nel Cantico di Frate Sole:
per sora nostra matre
terra,
la quale ne sustenta et
governa,
et produce diversi fructi
con coloriti flori et herba.
Thich
Nhat Hanh:
la tua coscienza è la
coscienza della Terra.
Il
nostro santo di Assisi nel 1200 e il monaco buddista vietnamita pochi anni fa,
entrambi affermano il profondo rapporto che c'è fra l'uomo e la natura: oltre
le parole, belle e profonde, ci indicano una verità tangibile e un monito
inevitabile.
E
padre Ernesto Balducci con semplicità: L’uomo planetario è il nuovo
cittadino del villaggio globale, in ascolto e in dialogo.
Nella
problematica uomo-natura, uomo-terra, uomo-vita nelle molteplici forme
esistenti ci introduce Roberto Mosi con la sua silloge poetica dedicata al
'giardino globale'. Metafora per indicare la terra-cosmo in cui noi uomini ci
troviamo ad esistere interagendo con le molte specie viventi e con tutti gli
elementi inorganici. La problematica della presenza dell'uomo e
dell'antropizzazione della Terra, della cosiddetta sostenibilità o anche
decrescita felice, trova nella scrittura poetica la giusta attenzione, la partecipazione
intelligente e colta, accompagnata dall'emotività e sensibilità consone al tema.
'Leggère
le mie parole' dice l'autore proprio all'inizio del testo introduttivo. E
vengono elencate piante e animali che l'uomo deve considerare alleate nello svolgimento
di premuroso custode passeggero del creato. Rinominare quasi per ricreare e
riscoprire.
Rispetto
per tutto e tutti, anche per le erbacce che crescono spontaneamente dovunque,
nei posti abbandonati e quelli più impensati. Si evidenzia in questo quadro il
contrasto tra quanto l'uomo riesce ancora a costruire di grandioso e in armonia
con la natura e quanto produce di tragico e brutale operando con violenza e
sopraffazione, con la crudele guerra.
Mentre sarebbe così semplice ritornare a vedere con occhi
ingenui di una bambina (Anna), che con i suoi compagni disegna come vedono il
quartiere:
Le pagine piene di colori
vivaci, di facce allegre
un pensiero per tutti,
giovani
e vecchi, piante e
animali.
Una vera lezione per
tutti.
La
biodiversità riconosciuta come elemento primigenio dell'essere vive in questo
momento.
Invitandoci
ad entrare nel giardino globale, partecipi, consapevoli e attenti, Roberto Mosi
sottolinea come la poesia e lo sguardo ingenuo del poeta e dell’artista sia
quello più appropriato per dialogare con la Natura. E questo è invito e compito
di tutti, proprio tutti.
L’amore
finisce dove finisce
l’erba
e l’acqua muore.
Scriveva
il poeta Giorgio Caproni nei suoi 'Versicoli quasi ecologici'. E siamo ancora
in tempo, per poco forse, a ritornare in armonia con la Natura.
Giuseppe
Baldassarre
* * * * *
Roberto Mosi, “Il nostro giardino
globale”, Raccolta online, 19-1-2023
Postfazione dell’Autore
L’Arte e la crisi climatica
L’arte
scuote dall’animo la polvere accumulata
nella
vita di tutti i giorni
Pablo
Picasso
L’arte è in grado di dare risonanza a
fenomeni che incombono sul destino dell’uomo e coinvolge la sfera emotiva di
ognuno di noi, riesce a cambiare la prospettiva di osservazione di chi guarda: le opere
d’arte si trasformano in “oggetti parlanti” ricchi di significato
che possono trasmettere l’urgenza di una certa tematica e allo stesso
tempo spingere l’osservatore ad agire.
L’attivista Bill McKibben, scrittore e giornalista, avvertì venti
anni orsono la necessità di sensibilizzare gli artisti sulla crisi climatica in
atto, convinto del fatto che non fosse ancora stata compresa la sua portata
tragica. Lanciò così un appello alla comunità artistica sottolineando l’urgenza
di un ritorno all’immaginazione che solo gli artisti sono in grado di ricreare.
L’immediatezza e le la forza del messaggio artistico rendono infatti più
accessibili i dati scientifici all’uomo comune e trasmettono in modo diretto lo status della
crisi.
Si pone in questa prospettiva la mostra “Il giardino globale”, organizzata
dal Circolo degli Artisti “Casa di Dante” di Firenze con il proposito di promuovere
l’impegno degli artisti, in dialogo con il pubblico, su argomenti di grande
attualità: la salvaguardia del pianeta, il riscaldamento globale, l'energia e il
destino della stessa umanità e della Terra, da considerare come il nostro
giardino globale.
Emerge sempre più nell'arte contemporanea la consapevolezza di una
pluralità di legami che connettono tra loro forme di vita differenti,
ecosistemi, tecnologie, frammenti di natura e storia. La natura, le nature, in
forma plurale, ibrida, frammentata, tornano così ad essere focali anche nel
mondo dell'espressione.
Ci si chiede in che modo la poesia contemporanea, in dialogo con le arti
figurative, il pensiero filosofico e le scienze naturali e sociali, sia
impegnata in un processo di ridefinizione del rapporto con la natura. Di questi
tempi, infatti, l’attenzione non solo è concentrata sulla crisi ecologica ma si
parla anche di ecologia della parola, di poesia-paesaggio e di poesia come
ossigeno (si veda di Niccolò Scaffai Letteratura e ecologia, Carocci
2017, e Racconti del Pianeta Terra, Einaudi 2022).
La catastrofe che viene prospettata in
cosa consiste? Qualche dato scientifico: l‘osservatorio americano di Manua Loa
indica che la concentrazione di diossido di carbonio nell’atmosfera ha superato
i 416 ppm (parti per milione). Oltre a registrare la trasformazione del clima
di origine antropica, questo dato mostra che la realtà ecologica si degrada a
una velocità sorprendente, specialmente se si pensa che questo valore è sempre
rimasto al di sotto dei 300 ppm fino agli inizi del `900 (le variazioni
del tasso di diossido di carbonio si possono consultare sul sito
https://gml.noaa.gov/ccgg/trends/). Un altro rapporto, pubblicato dall‘IPBES (The
Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem
Services), rileva una perdita di biodiversità e di funzioni ecosistemiche
senza precedenti (il
rapporto dell’IPBES è consultabile al link: https://ipbes.net/global-assessment). Senza considerare poi l’inquinamento marino dovuto
alla plastica, moltiplicato per 10 dal 1980, quello dei rifiuti non trattati,
delle discariche selvagge… L’umanità non ha mai sfruttato tanto il pianeta né
prodotto tanti rifiuti (si veda Lucia della Fontana, La poesia all’epoca
dell’Antropocene, in “L’Ulisse”, n.24, 2021, pagg. 226-234).
Ma che cosa si può fare di fronte al disastro ecologico? La crisi
ecologica, scrive Amitav Ghosh, è anzitutto, una crisi dell’immaginazione: se
c’è una cosa che il cambiamento climatico ha chiarito, è che continuare a
pensare al mondo così com’è equivale a un suicidio collettivo (Ghosh, La
grande cecità : il cambiamento climatico e l’impensabile, Vicenza, Neri
Pozza, 2017, cap. II.). È necessario
rivedere le strutture di pensiero che ci condizionano e che hanno dato forma
alla nostra soggettività e ai nostri canoni rappresentativi, a partire dallo
schema binario che ci ha consentito di separare cultura e natura, “togliendo
l’anima” ad una parte di mondo. È necessario assottigliare le barriere tra le
discipline scientifiche e umanistiche, tra la storia naturale e la storia
umana, tra soggetto e oggetto, tra corpo e mente, tra umano e disumano, tra
attivo e passivo, tra animato e inanimato…
Laura Pugno sostiene che la poesia sa trovare gli espedienti per
sopravvivere in un ambiente ostile: «ha bisogno di mezzi minimi, neanche della
scrittura a rigore, è capace di sopravvivere ovunque, come gli scorpioni, con
la stessa implacabile natura che alla fine riemergerà» ( L. Pugno, In
territorio selvaggio: corpo, romanzo, comunità, Milano, Nottetempo, 2018,
pp. 29-30).
Anche Poesia come ossigeno, il libro a tre voci in cui Antonella
Anedda e Elisa Biagini dialogano con Riccardo Donati, propone la metafora della
poesia che preserva la specie-scrittura e con essa una parte di mondo che
altrimenti andrebbe estinto (A. Anedda, E. Biagini, Poesia come
ossigeno : per un'ecologia della parola, a cura di Riccardo Donati, Milano,
Chiarelettere, 2021). Emerge l‘immagine di una poesia resistente e pioniera che
richiama la ginestra leopardiana, una poesia che nonostante la precarietà, o
proprio grazie ad essa, sopravvive ai margini, tra gli scarti. Da questa
visione “marginale” scaturisce l’analogia tra poesia e Terzo Paesaggio,
ampiamente esplorata da Laura Pugno nella sua rubrica sul sito «Le parole e le
cose» (la rubrica di Laura Pugno è consultabile all’indirizzo
http://www.leparoleelecose.it/).
L’ecologia può collegare la poesia
e la cittadinanza, può mettere in relazione l’io e gli altri e considerarli
come ‘noi’. La poesia che anima queste sfere di interessi, può investire più
livelli, dalla bellezza di determinati ”quadri naturali” alla crisi climatica,
alla relazione tra noi e la vita delle cose.
Laura Pugno ha parlato della poesia
come di un essere vivente, tenace al pari degli scorpioni, la poesia è dotata
di una sua ‘natura’ e di un habitat ideale: il bosco, il «territorio
selvaggio», che vale anche come emblema e metafora di una scrittura libera
dalle regole e dalle imposizioni cui spesso devono sottostare altri generi
letterari. È anche in questo senso che la poesia può definirsi, attraverso
un’analogia ambientale, come Terzo Paesaggio.
Com’è noto, l’espressione «terzo
paesaggio» è ripresa da un libro di Gilles Clément (Gilles Clément, “Manifesto del Terzo paesaggio”, Quodlibet 2005). Per Clément, il
terzo paesaggio include gli spazi che non sono luoghi funzionalmente abitati e
antropizzati; sono piuttosto territori marginali, che l’uomo ha disertato: non
tanto e non solo, cioè, le riserve naturali, ma anche le aree industriali
dismesse, i margini delle periferie tra città e campagna, gli interstizi del
paesaggio urbano come le aiuole e i terreni vaghi. In questi ambienti si forma
un ecosistema che ospita specie adattate a vivere in quel contesto, che è
perciò da conoscere e preservare a vantaggio della biodiversità. Metafore e
immagini del terzo paesaggio contribuiscono ormai a delineare un panorama dai
confini aperti, in cui emergono, insieme ad autori di generazioni più recenti,
le voci canoniche della poesia italiana contemporanea. Emerge una visione del
mondo, un insieme di idee e considerazioni consonanti con la figura dell’uomo
planetario quale è stata delineata da Ernesto Balducci: è il nuovo
cittadino del villaggio globale, in ascolto e in dialogo con il diverso per
cultura, etnia, religione, in nome della comune umanità e della sopravvivenza
della specie e dell’intero pianeta (Ernesto Balducci, L’uomo planetario, Giunti
2005).
La raccolta poetica Il nostro
giardino globale fa riferimento alle coordinate ora indicate, declina
le angosce che ci tormentano sul destino dell’uomo e del giardino nel
quale vive, sia nel respiro della vita quotidiana che nella visione di
orizzonti più ampi: cerca di suscitare scintille di ragionevolezza e di
speranza per la comune salvezza.
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