Roberto Mosi, Navicello Etrusco,Edizioni Il Foglio, 2018
Il commento di Umberto Zanarelli, pianista, interprete di livello internazionale.
"Dietro invito del caro
amico poeta Roberto Mosi mi sono imbarcato sul Navicello Etrusco e, grazie a
lui, ho potuto vivere un’esperienza unica visitando luoghi a me sconosciuti e
ascoltare “la musica delle sue storie”. Ecco le mie impressioni. Un libro che
racchiude una moltitudine di riferimenti all’arte etrusca ed ai miti che
popolano le raffinate liriche ospitate nel singolare testo; canti attraverso i
quali il poeta ci consente di condividere il suo viaggio nell’antica Etruria a
bordo del proprio Navicello che, sospinto dalla brezza marina, percorre la
tratta di mare tra Populonia ed il promontorio di Piombino, dal Golfo di
Baratti all’isola d’Elba e Follonica. Il poeta si fa archeologo ed avventuriero
riuscendo a rinvenire sotto manti polverosi di luccicante pirite, anfore ed
altri tesori etruschi. Ad ogni tappa del Navicello una nuova storia, un nuovo
incontro, una nuova scoperta, a volte tangibile, a volte intangibile. Storie di
genti lontane con i loro mestieri dai quali emergono resti affascinanti che
lasciano intravedere l’erudita civiltà. Ma come ogni popolo, anche quello
etrusco vanta i suoi miti e non manca occasione al nostro “marinaio” di
imbattersi in tali divinità. Fra esse spicca Turan, la dea dell’amore, erede
del mondo antico, divinità della terra e della fecondità. Ma ad ogni attracco
del Navicello, ad accogliere lo sbarco del nostro poeta c’è la musica etrusca.
Molto amata da questa civiltà, essa accompagnava qualsiasi attività delle loro
giornate. Suoni, danze e canti ispirati dai suoni suggeriti dalla natura come
il mormorio del bosco, il fragore del mare, lo scorrere del torrente, lo
zampillare della sorgente, suoni riprodotti con l’aulos, il più celebre
strumento a fiato simile al flauto e simbolo della cultura musicale etrusca,
sovente accompagnato da crotali, tympanun e lira.
Ma il Navicello ora
cambia la sua rotta facendo vela verso i tempi odierni e allora ecco emergere i
ricordi di una Populonia barbaricamente distrutta e saccheggiata i cui soli
baluardi a testimoniare la gloria del
passato. Scene agghiaccianti di resti di tombe mostrano inoltre l’aspetto
crudele di un popolo, segni impressi su un corpo trafitto da chiodi ricurvi per
fissare saldamente al suolo carne e spirito di chi si pensava fosse stata una
strega. Le vele gonfiate da Zefiro inducono il Navicello a proseguire il suo
viaggio; riconosce il poeta il volto dell’Imperatore all’Elba esiliato, poi il
terrore per le flotte di aerei che come
falchi nemici, senza scrupolo sorvolano il mare. Anche i fumi delle
ciminiere più non disegnano in cielo i profili di plumbee nubi mutati dal
vento. Miglia dopo miglia il Navicello prosegue il suo viaggio ed i ricordi più
vicini e lontani lasciano ora al poeta un futuro di speranza. Egli ammira con
lo sguardo del passato ciò che è rimasto nel presente e allora, perché non
ripartire tuffandosi attraverso le vie del mito ai tempi delle origini?
Ma in questo viaggio di
ritorno nel passato il poeta incontra i migranti del nostro tempo in cerca di
una terra generosa di ospitarli - non poche le insidie del mare che sovente
pretende quei corpi. Il “capitano” del Navicello or prega per loro rivolgendosi
alla Madre Vergine, madre anche di tutti quei figli dispersi con tragica fine
sperando di intraprendere una rotta sulla via della solidarietà e della pace.
Sparita anche la musica che allietava lo spirito e che forse or risuona come ricordo
nel cuore del poeta, migrato verso lidi lontani dove regna la
pace.
Umberto Zanarelli
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