Profondamente riconoscente, pubblico la recensione di Nicoletta Manetti al libro:
“TRE
PRINCIPESSE FRANCESI A FIRENZE” DI ROBERTO MOSI
La
penna di Roberto Mosi, noto poeta fiorentino dalle molteplici declinazioni,
torna a convincere anche nella prosa, in particolare nel racconto storico.
Già
con Barbari avevamo scoperto la sua grazia nel raccontare la Storia, scegliendo
un periodo tra l’altro poco conosciuto, poco indagato. Con la professionalità
che gli appartiene, ci ha saputo porgere con leggerezza un’approfondita e
accurata ricerca documentale degna di un corposo saggio, ma distillata in un
piccolo libro attraente e fruibile.
Ora,
con Tre principesse francesi a Firenze, che va ad arricchire la raffinata
collana Stranieri a Firenze di Angelo Pontecorboli Editore, Mosi si
conferma un sapiente narratore, proponendoci stavolta le figure delle tre
sorelle di Napoleone, Paolina, Elisa e Carolina, in particolare nel loro
periodo toscano.
A
raccontare inizialmente è Sylvia Boucot, la fedele dama di compagnia che per
oltre trent’anni è stata vicina con affetto e dedizione, in tempi alterni, alle
tre sorelle. Ritornata nella sua Normandia dopo la morte a Firenze della
principessa Carolina il 18 maggio del 1839, vuole dare ordine ai suoi ricordi e
lo fa con un diario.
Ed
ecco stagliarsi le figure, diremmo le silhouettes, delle tre principesse:
Per
prima Elisa, sposata con Felice Baciocchi, che con lui fa il suo ingresso in
Lucca dopo otto mesi dalla incoronazione del fratello, e quattro anni dopo in
Firenze, come Granduchessa di Toscana.
Di
lei, donna moderna e dalle spiccate capacità imprenditoriali, Mosi si era già
occupato approfonditamente nel suo precedente Elisa Baciocchi e il fratello
Napoleone (Ed. Il Foglio 2013).
Poi
Paolina, la sorella prediletta di Napoleone, l’unica a non aver ricevuto dal
fratello né corona né trono, ma anche l’unica a seguirlo nell’esilio all’isola
d’Elba. Bellissima e disinvolta, a Firenze arriva nel 1825, attesa dal marito,
il principe Camillo Borghese, nel palazzo omonimo. Ha la fama di donna più
bella del mondo, colei che ormai è la Venere Vincitrice del Canova, per
il quale ha posato con orgoglio e che, alla domanda se abbia provato disagio,
risponde che, “no, la stanza non era poi così fredda…” Dodici fili di perle le
coprono il collo ormai non più giovane. Trascorre gli ultimi giorni della sua
vita nella villa di Montughi, dove muore poco dopo, il 9 giugno 1825.
Ed
ecco infine Carolina, sposata Murat e regina di Napoli, che arriva a Firenze nel
1831, e qui vive otto anni, fino alla morte. Il suo funerale viene celebrato
alla chetichella per le ormai rovesciate fortune.
Storie
e caratteri diversi, ma col comune denominatore del desiderio di libertà e della
determinazione nei vari momenti delle loro vite caratterizzate da un’ascesa
folgorante e dalla parabola triste della decadenza.
Il
privato che si intreccia con lo sfondo pubblico e soprattutto con la Grande
Storia, rende accattivante la lettura, scorrevole e visiva, grazie alle minuziose
descrizioni degli ambienti e ai dialoghi.
Sullo
sfondo, ma altrettanto protagonista, la Firenze della prima metà
dell’Ottocento, dei salotti, delle feste e dei teatri, in cui si sta affermando
la nuova borghesia.
Mosi
stesso è l’altro io narrante che, visitando i luoghi, li osserva con delicata
meraviglia e ci accompagna per mano. Non mancando poi – ed è una cifra preziosa
che sempre lo contraddistingue – di accomiatarsi con un cenno ai tempi attuali.
Quindi, inevitabilmente, con l’amarezza di constatare come certi miti, come i
comandanti supremi, “oggi ricompaiono con forti tratti sugli scenari incerti
del nostro presente”. Ma anche con il messaggio positivo che la conoscenza,
l’analisi delle vicende passate, e quindi la loro scrittura e lettura, ci
aiutino “nella ricerca di un terreno più solido sul quale fondare le nostre
speranze”.
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