martedì 24 marzo 2020

E-book: Roberto Mosi LA VITA FA RUMORE - Giuseppe Panella prefazione. Video: "Poesia e lavoro"


Poesia e lavoro Poesia e lavoro Poesia  


Roberto Mosi

La vita fa rumore


E-book


***

Disegni di Enrico Guerrini

Prefazione di Giuseppe Panella

***

 A Firenze e ai suoi  giovani  che stanno cercando il lavoro


***



*****

Collegamento al video: "Poesia e lavoro"

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Prefazione di Giuseppe Panella


Poesia e lavoro


«Ancora vita il tuo dolce rumore
dopo giorni bui e muti riprende.
Porta il vento di maggio l’odore
     del fieno, il cielo immobile splende.
      Gli occhi stanchi colpisce di lontano
                   il rosso papavero in mezzo al tenero grano»

                                       (Attilio Bertolucci, Convalescente)



1. Il rumore del lavoro e la forza del ricordo

Il punto di partenza di quest’ultimo progetto poetico di Roberto
Mosi è legato a un fatto di cronaca che assume nei suoi versi una notevole
importanza: la manifestazione avvenuta nel luglio del 2013 a
Firenze in seguito a un’ordinanza che imponeva la chiusura alle ore
ventidue dei locali della popolare Libreria Café de la Cité dove, invece,
eventi culturali e attività musicali a essi connesse duravano fino
a tarda ora, tra la rabbia e lo sconcerto degli abitanti del quartiere.
Il corteo che richiedeva il ripristino degli orari precedenti si era snodato,
pur nell’afa estiva, pacifico ma molto colorito e vivacemente
scandito dagli slogan gridati con forza e determinazione dai partecipanti
alla lotta:

«Oggi si spalanca la porta:
si va in corteo, si parla
dell’essere alla città dell’avere.
Rabbia, lavoro che muore
sepolto il progetto di anni
oltre il senso comune.

Sul sagrato del Carmine
s’inchiodano cartelli
nell’afa di luglio:
“No alla città vetrina”
“La noia è normalità”
“Adotta un libraio”»

Il rumore prodotto dalla vita è esibito quale conferma del suo non
conformismo e della sua progettualità, l’idea di un ritorno alla normalità
dopo la dimostrazione che qualcosa di nuovo e di originale
poteva essere perseguito scatena la rabbia di chi pensava che almeno
qualche spazio di libertà sarebbe stato lasciato aperto per l’invenzione
e la gioia di vivere da parte di chi vuole ridurre tutto a
noia e a normalità, a consumo e ad esibizione di un’esistenza fasulla
e legata esclusivamente all’avere. Ma non è una pura questione
di rumore quella sollevata da Roberto Mosi: la posta in gioco è più
alta ed è legata al problema del lavoro, della sua potenza, della sua
mancanza.
In molti dei componimenti che seguono, infatti, il tono rievocativo
si tinge di un pathos molto intenso. Il ricordo delle lotte del passato
tinge di rimpianto e lo sciopero delle trecciaiole (nella poesia omonima)
ne diventa il simbolo perduto: «Tosca, cerco i fiori del bello /
in periferia al calore delle utopie, / fiori rossi degli anni pari e dispari». Il
calore dell’utopia legata alla forza trasformatrice del lavoro e delle
lotte organizzate per renderlo più umano e più equamente rimunerato
riverbera in queste parole e si trasforma in un ritratto di donna
(Tosca che avanza, il suo bambino in braccio, simbolo di un Quarto
Stato ancora a venire ma sempre indomabile e impossibile da ricondurre
nell’ambito della pura normalità produttiva). La descrizione
dei luoghi del lavoro si lega a quella delle lotte attuali di chi chiede
“pane e lavoro” (lo slogan caro a Lenin e ai bolscevichi fin dal 1905
e sempre replicato con la stessa forza e insistenza nelle manifestazioni
operaie).
Qui lo scenario è diverso da quello della San Pietroburgo o della
Mosca d’inizio secolo, ma l’obiettivo è pur sempre quello e le forze
addette alla sua repressione appaiono le stesse, ferreamente scagliate
a proteggere i privilegi dei troppi pochi in grado di assicurare
livelli decenti di vita ai molti che non possono averne la possibilità:

«Le tute blu arrivano da Rifredi
la polizia è schierata, sbuca
dai portici la camionetta,
picchiano forte i manganelli,
si grida in coro pane e lavoro.

Le Giubbe Rosse sono sbarrate,
i poeti scomparsi.

La musica è delle sirene,
i versi le urla degli operai»

La dimensione culturale non può che essere accantonata e tacere
in un contesto simile. Nel fuoco e nel furore della lotta, la poesia
non è in grado di far sentire la propria voce: i versi sono ingoiati
dalle urla di rabbia degli operai in cassa integrazione o licenziati, la
musica è rappresentata dalle sirene delle auto della polizia. Eppure
anche in un contesto di questo tipo c’è spazio per la scrittura e per
il suo potere di ricordo e d’incitamento a prendere la parola, di non
cedere, di ritrovare una verità di là dalle menzogne e dell’oblio. In
un testo successivo, una delle protagoniste di una manifestazione
per la Festa delle Donne dell’8 marzo invita chi scrive a farsi voce e
memoria del passato e del presente delle lotte:

«Federiga, le compagne
tornano a difendere
il silenzio della fabbrica.
Fosca mi accompagna
sull’argine del fosso:
“Parla delle nostre idee,
tessi il filo della memoria”».

La dimensione operaia e popolare predomina in questa prima parte
della raccolta: le voci e le testimonianze dei protagonisti diretti,
la nostalgia per un’epoca ormai definitivamente tramontata, la necessità
di mantenerne viva la memoria, la forza dell’evocazione e
il rimpianto per non essere più protagonisti in una stagione rinnovata
di presa di coscienza e di emergenza delle lotte, tutto questo
contraddistingue la scrittura poetica di questa sezione del poemetto
(nonostante la suddivisione in liriche apparentemente singole e
collocate isolatamente, infatti, non vedo una netta separazione narrativa
nell’ispirazione fluida che caratterizza questi testi nella loro
continuità e tenderei a considerarli, piuttosto, come un unico flusso
po’ematico, un poemetto suddiviso in altrettanti stasimi):

«Sento il pianto dei bimbi,
voci, grida d’amore.
Il cortile centrifuga giorni
stagioni vicine e lontane,
la memoria dei volti.
Un vortice all’alba
disperde sogni e ricordi
nell’aria rossa della città.
I gatti sulle terrazze
si stirano languidi»

Anche i luoghi della condizione operaia (per dirla con Simone
Weil) non sfuggono alla descrittività ricca di pathos di Mosi e i cortili
delle case operaie sono rappresentati come il luogo privilegiato
della loro soggettività dopo il momento dell’alienazione nel lavoro.
Il cortile in cui risuonano i pianti dei bambini, le urla delle coppie
che litigano o i gemiti di quelle che fanno l’amore ne è la rappresentazione
più esatta e, nello stesso tempo, simbolicamente esaltata
dal contesto.
In esso tutto ciò che è accaduto nel tempo, i bisogni e i ricordi, le
passioni, i desideri e il dolore di vivere si confondono in un’atmosfera
irreale, come di sogno astratto, ma la caduta in una drammaticità
estranea al tono stilistico generale dell’opera è impedita, quasi
bloccata, dall’ironica presenza dei gatti ieratici e pigri che “si stira-
no languidi” sulle terrazze, una sorta di contrappunto animale e
appagato rispetto all’insoddisfatta rabbia e nostalgia che caratterizza
le vicende degli umani. Il guizzo rappresentato dai felini appollaiati
sui tetti impedisce la caduta in un pathos eccessiva e mostra le
due facce della scrittura di Mosi: la lirica coinvolgente e sostenuta
da un’autentica passione e la bonaria capacità di smontarla e di decostruirla
in nome di un appello a sentimenti meno esasperati e più
legati alla quotidianità.
Così i migranti, i lavavetri, i raccoglitori di pomodori nella Maremma
e quelli di arance a Rosarno sono riscattati nel loro dolore e
nella loro rabbia da uno sguardo che li coglie nella loro umanità
e non ne fa solo simboli di una condizione umana tenuta sotto il
giogo ferreo della necessità di sopravvivere, ma li coglie nella loro
dimensione di persone che sanno reagire all’abbattimento in cui si
trovano e rivendicano la loro personalità di esseri viventi.
Alle mani bianche degli operai del primo (come pure del secondo)
Novecento sono sostituite quelle nere del nuovo Millennio: mani
atte a lavorare anch’esse e anch’esse sfruttate senza pietà, spremute
ai limiti del possibile da un feroce meccanismo che da esse ricava
ciò che può e che vuole e che poi le emargina e le accantona ai bordi
dell’esistenza comune degli altri componenti della compagine
sociale che subiscono certamente lo stesso sfruttamento, ma spesso
in maniera meno diretta e devastante, lasciando così loro l’illusione
che il trattamento ad essi riservato sarà del tutto diverso e che con
le “mani nere” essi non avranno mai niente a che fare.


2. Il lavoro e le sue facce molteplici

Il lavoro, dunque, si è visto, è al centro di quest’accorata raccolta di
versi di Mosi.
Il poeta fiorentino non si concentra solo sullo sfruttamento e sull’angoscia
che esso produce nelle sue vittime predestinate. Il lavoro è
guardato talvolta con la lente deformata del grottesco e della satira
sociale. È il caso di Federigo, impiegato presso una ditta di pompe
funebri, che accorre in mano il catalogo delle bare ogni volta
che apprende dell’esistenza di un moribondo che sia un potenziale
La vita fa rumore 11
cliente. Il lavoro dell’infermiera dell’ospedale psichiatrico (quello
ormai chiuso da qualche tempo di San Salvi) e quello dell’addetta
alle pulizie in un vagone delle Ferrovie dello Stato (la donna telefona
al suo fidanzato di aspettarla all’arrivo del treno, direttamente
al binario dieci della stazione, in modo da avere più tempo per
l’amore) sono visti con rispetto e, nel secondo caso, con un tocco di
tenerezza e di sentimentale affezione.
Il lavoro è – anche secondo Mosi – la difficile conquista del Novecento
che rischia di andare perduta nel nuovo Millennio e tornare
a essere difficilmente raggiungibile (ed equamente remunerato)
com’è accaduto nell’Ottocento dell’egemonia capitalistica e del
trionfo della grande industria. Non avere lavoro o perderlo è ormai
la grande paura di tutti i salariati e dei lavoratori dipendenti ed è
giusto, quindi, che la poesia si faccia carico della natura profonda
di questo problema così bruciante, così attuale.
Ma è lavoro anche l’attività artistica e, di conseguenza, il teatro.
Mosi rinnova il suo interesse per l’opera lirica, ad esempio, e aggiunge
alla raccolta un suo personale omaggio a Giuseppe Verdi:

«Emerge l’immagine:
comparsa in costume
vestito da frate, da principe
da soldato e da servo
sulle assi del palcoscenico.

Don Giovanni, Carmen
Lucia di Lammermoor.
Maschere si affacciano,
personaggi vestiti di musica
danzano sulle cornici
bianche di calce,
scivolano in platea,
Carmen e Radamés,
salgono nelle luci del palco
corrono tenendosi per mano
nel vortice delle note»

che suona anche come un omaggio dovuto alla fatica diuturna degli
artisti e alla loro capacità di rendere la vita altrui talvolta più
leggera e meno schiacciata dal dolore quotidiano di vivere.
Anche il mito classico partecipa di quest’atmosfera di cauta leggerezza,
di deliberata sospensione del giudizio, di assonnata partecipazione
a metà. Anche gli ieri di ieri sono fatti della stessa materia
di cui sono costituiti quelli di oggi. Anche Ulisse e il suo nostos a
Itaca:

«L’eroe raggiunge
la reggia nel sonno.
Penelope dorme stizzita
Arturo saluta, la coda ritta.
L’eroe guarda la posta,
dispone in ordine le armi
si distende sul letto,
il risveglio è vicino.

Ogni sera Ulisse
torna ad Itaca»

La poesia di Mosi, dunque, si distende tra i due poli (a lui consueti)
del pathos duro e veemente della partecipazione e dell’ironica verifica
degli stilemi di un passato divenuto eterno nell’immaginario
collettivo. Tra mito e modernità, allora, si apre per lui lo spazio
della poesia: uno spazio da riempire con la forza delle idee e delle
soluzioni verbali.

                                                         Giuseppe Panella



*******
*****




Libreria Cafè

Silenzio, ombre sedute
sugli scaffali de La Citè
sopra i libri della Libreria
Cafè, sul pianoforte
fra divani e abat-jour.
Salva la pubblica quiete.

Il proclama del giudice:
“Chiuso dalle nove
alle sette del mattino.
Disturbo alla quiete.”
Buonanotte Firenze,
un colpo alla cultura.

La cultura viaggia nell’aria
suono di voci, note
musica, fruscio di idee,
non porta degrado,
confonde facce di pietra
teste devote agli schermi.

Oggi si spalanca la porta:
si va in corteo, si parla
dell’essere alla città dell’avere.
Rabbia, lavoro che muore
sepolto il progetto di anni
oltre il senso comune.

Sul sagrato del Carmine
s’inchiodano cartelli
nell’afa di luglio:
“No alla città vetrina”
“La noia è normalità”
“Adotta un libraio”.

Si muove il corteo,
musica: dal furgone
il suono Brazil, Brazil.
Il corteo ondeggia,
samba, carrozzine
avanzano a zig zag.

La ragazza danza
sul tetto rosso dell’Ape
il trampoliere
i cani al guinzaglio.
Si distende l’orchestra,
i cappelli di paglia.

Al centro la tromba
da una parte, dall’altra,
teste, braccia, cartelli
seguono il movimento.
San Frediano alle finestre
le mani in alto festanti.

Piazze tra ali di folla,
il traffico bloccato,
ronzano le radio.
Piazza della Passera:
due ragazze in costume
sul tavolo del ristorante.

Le parole, la denuncia:
“Escono da La Citè,
parlano, ridono.
Che ridono di notte?
Chiudano alle ventidue
musica di Bach, Mozart!”

Urla sempre più alte:
“La vita fa rumore!”
Il corteo avanza,
Santo Spirito: “La piazza
del degrado dove si vive”,
ironia dell’altoparlante.

Sara nella piazza,
figura del Botticelli,
parla di libri, concerti.
La mostra delle Ferrari
al Ponte Vecchio?
No alla Libreria Cafè?

Due gitane, vestiti rossi,
battono forte le mani,
musica, flamenco
sul sagrato della Chiesa.
La facciata apre le ali
nell’armonia delle volute.

***




***


Le trecciaiole

Tosca, cerco i fiori del bello
in periferia al calore delle utopie,
fiori rossi degli anni pari e dispari.

“Alla Società di Mutuo Soccorso,
dopo l’arrivo dell’ultimo volo
quando cessa ogni rumore.”

Nei quadri alle pareti Vinicio
racconta la storia di Peretola,
sui tavoli lattine di Coca Cola.

Longarine, tavole da cantiere
si spingono in alto: lo slancio
della Cupola, della nuova società.

Macchie di colore rosso, nero
giallo, azzurro, la tavolozza
di Botticelli. Lievitano storie.

Marcia il Quarto Stato, Tosca
in prima fila, il bambino in braccio.
Facce sul fondo, formano un popolo.

Escono dai quadri dietro le torce
dei vigilanti, nei supermercati,
tra le ombre delle fabbriche.

“Lo sciopero delle trecciaiole.
Mi distesi sulle rotaie.” Tosca ricorda:
“La cavalleria attaccò nella piazza.”

Remo al villino presso la stazione:
“Chiusi il cancello, partii per la guerra.
Lo riaprii, con me la tubercolosi.”

Cesare porta gli amici alla barca
da renaiolo sull’Arno: “Dall’alba
al tramonto per un pezzo di pane.”

All’alba i primi voli, le sirene.
Alla Casa del Popolo Tosca e gli altri
riprendono posto nei quadri.

***

Lavoro!

Il salotto buono di Firenze
appare in bianco e nero,
i colori delle storie di Vasco.

Le tute blu arrivano da Rifredi
la polizia è schierata, sbuca
dai portici la camionetta,
picchiano forte i manganelli,
si grida in coro pane e lavoro.

Le Giubbe Rosse sono sbarrate,
i poeti scomparsi.

La musica è delle sirene,
i versi le urla degli operai.

***


Mimose alla Manifattura Tabacchi

Tosca mi guida per un varco
dall'argine del Fosso Macinante
dentro lal fabbrica abbandonata.
Sedici compagne attendono
al centro del piazzale, uscite
dai sedici fabbricati a raggiera.

Ogni donna narra una storia.
Federiga ricorda un’immagine:
il portone della fabbica si apre
mimose avanzano
le sigaraie escono cantando
per la festa dell’otto marzo.
Si accende il viso di Delia:
la sirena, è lo sciopero, sassi 
sui fascisti entrati nel piazzale.

Federiga, le compagne tornano 
a difendere il silenzio della fabbrica.
Tosca mi accompagna al varco
tra i cespugli del Fosso Macinante:
“Parla delle idee che abbiamo
vissuto, tessi il filo della memoria”.

Scorrono le acque del Fosso
talpe si dirigono verso il Centro,
sulla discarica giace un manichino,
una maglia rosa, topi si agitano
nella cavità degli occhi.

***






***


Quartiere popolare

Il cortile è un pozzo profondo
cinquanta finestre assiepate
vicine gomito a gomito,
in basso il nero del fondo
in alto uno spicchio di luna.
Le luci si spengono
una lavatrice sferraglia
l’ultimo risciacquo.

Il cortile ha il lungo respiro
della gente che dorme,
evaporano sogni
s’incontrano sul fondo
in una danza incessante.
Sento il pianto dei bimbi,
voci, grida d’amore.

Il cortile centrifuga giorni
stagioni vicine e lontane,
la memoria dei volti.
Un vortice all’alba
disperde sogni e ricordi
nell’aria rossa della città.
I gatti sulle terrazze
si stirano languidi.

***

Migranti

È arrivato dai paesi dell’Est
lo stormo di uccelli migratori,
la notte dormono in stazione.

All’alba nascondono le coperte
tra i nidi dei piccioni,
sopra i chioschi delle aranciate.

Uccelli rapaci afferrano i sacchi
al mattino. La sera altri ripari,
ai nidi delle rondini più vicini.

***


Lavavetri

Il corteo dei magi lascia
l’affresco della Cappella,
scende le scale, appare
solenne nella via.

Sulle cavalcature i sovrani,
il grasso sceriffo: portano
in dono la stizza, il genio
fiorentino, l’arroganza.

Li circondano cittadini
i mercanti più ricchi
i giocatori del calcio
il capo dei tassisti
cuochi famosi.

Nel paesaggio di colline
angeli in volo, gruppi
di pastori, lavavetri
le braccia incrociate.

***



Mani

Mani piccole mani nere
mani bianche mani ferite
battono ai vetri della macchina.
Sguardi grandi assediano
incombenti il mio mondo.

Mani fioriscono nella città,
mostrano i dolori del mondo.

***



Mediatrice culturale 

In una valle della Lucania
vive Maria, dolce ragazza
della lontana terra del Libano.

Conosce le lingue che si intrecciano
sul mare, il sapore comune dei piatti
in ogni festa l’eco di altre feste.

Stringe amicizie con le donne
parla felice della sua figlia
in questa terra dai rari sorrisi di bimbi.

Insegna la lingua ai migranti giunti
dall’altra parte del mare, per i lavori
nelle stalle e nei boschi.

Maria costruisce esili ponti
tra mondi lontani, vicini.

***



La raccolta delle arance

“Sono cinque giorni
che mangiamo arance
nascosti nell’aranceto.”

La faccia nera appare
oltre la tavola, oltre
la cesta d’arance rosse
bionde e il succo
fresco degli agrumi.

Per le strade di Rosarno
la furia della gente,
ronde in giro, lunghi
bastoni in mano.

“Ci muoviamo di notte,
c’è lavoro in Sicilia.”
“Vincerete la paura?”
“Prima un pezzo di pane
poi pensiamo alla paura.”

Si allontana, sparisce
nel verde dei rami
l’uomo nero, il sangue
rosso d’ arancia.

***



La raccolta dei pomodori

La casa dell’estate emerge
dai campi di pomodoro,
dai solchi di piante verdi
cosparse di occhi rossi
fino alle colline sul mare.

Oltre la rete avanzano
ceste verdi di plastica,
all’opera mani di genti
giunte dall’Africa, donne
uomini chini al lavoro.

Formiche nere portano
le ceste al punto di raccolta.
Re Mida converte la fatica
in montagne luccicanti
del rosso dei pomodori.

***


La stella cometa

Mario insegna a guardar le stelle
dalla radura sopra Lagonegro.

Al tramonto risalgono il monte
s’immergono nel silenzio.

In cerchio sfogliano i perché
per lavagna la volta celeste.

Ognuno sogna l’incontro con altri
cieli, con la sua stella cometa.

***



Lavoro in festa.

Marsa Alam, Mar Rosso


Nella terra dove sorge il sole
dal mare nelle vesti del dio Ra
gli alberghi avamposti assediati,
si scruta l’orizzonte dal villaggio
nave gonfia di musica e feste
incagliata fra acque di corallo
e deserto dai grigi colori,
solcato dalla strada, retta assoluta
nata dalle viscere dell’Africa.

Le sabbie dei giardini fioriscono
di profumi e colori,
le donne indolenti al sole
portano cellulari all’orecchio,
vicino camerieri giocano
a calcio con giovani di Berlino.

Nel salone, la sera, la danza
la ballerina accarezza
la fronte lucida del commesso
di Harrods, il karaoke,
segretarie di Bercy cantano
J’entend siffler le train.

Nella terra dove sorge il sole
dal mare nelle vesti del dio Ra
grossi topi passeggiano
per le strade di Al Quaesir.
Per l’operaio di Dusseldorf
venti minuti per comprare
fra le merci sgargianti del suk.
Ai tavoli del caffè lampi
negli occhi degli uomini,
nei vicoli donne in nero.

Carovane di Toyota violentano
il deserto, un cameraman
riprende il terrore
dell’impiegato di Nantes,
sulle rocce scolpite dal vento
sacchetti di plastica.

Nei campi beduini la sera
si sciolgono danze ritmate
la maestra di Norwich balla
guidata dal bambino
gli occhi punti di antracite.

***



***



Una vita da ferroviere

Il treno arriva veloce,
lo stridio dei freni
annuncia Firenze,
dai finestrini scorre
Rifredi.

Cerco come ogni volta
di sorprendere nella stazione
che fugge, l’ombra
di Bruno, trent’anni
di notti e di sole.

Sui cristalli oltre i binari
frammenti di sole
seguono il volo
del capovaccaio, il rapace
che segue lento le greggi
ai margini di lontani deserti.

***



Pulizia a bordo

Anna in divisa verde
Pulizia a Bordo Alta Velocità
trascina il carrello
(carta, sapone, deodoranti)
nel rombo del treno in corsa,
dieci carrozze venti bagni,
uomini e donne.

Il treno rallenta
Anna in piedi alla porta,
digita messaggi d’amore
al suo uomo in attesa,
binario dieci della stazione.

***



L'eco dell'esplosione

Il treno esce dall’Appennino,
taglia la periferia della città.
Nella carrozza visi stanchi,
computer accesi,
gli ultimi lavori del giorno.

Scorre il binario numero uno,
Mc Donald, la biglietteria –
poi lo squarcio nel muro,
il bagliore della sala d’attesa.
L’eco ancora dell’esplosione.

***




***



Infermiera al manicomio

Maria alla finestra
chiama i passanti
urla ai rumori
parla di storie d’amore.

Eri infermiera a San Salvi,
al manicomio.

Le tue parole incrociano
storie di donne legate
alle corde dei letti,
la cura di gelide docce.

La finestra d’improvviso
si chiude, rimane l’eco
sospesa sul veleno dei motori.

***



Ospedale

Luci azzurre nei corridoi
fasciano il silenzio delle stanze.
Avanzo tra presenze del passato
nel labirinto dell’ospedale.
Attraverso reparti
seguo tracce di storie
che qui hanno visto la fine.
Da una stanza appare
nonna Fosca dal dolce sorriso
il grembiule da cuoca
poi Francesco in mano gli arnesi
da calzolaio. Dal fondo
Vasco vestito da marinaio .

Intreccio il filo delle storie
per orientarmi
nel labirinto della notte.

***



L'impiegato delle pompe funebri

Raffiche di vento,
trema la finestra accesa
per la veglia al moribondo.

All’angolo della strada
Federigo pronto a correre
il catalogo in mano.

Sopra lo spiovere del tetto
un angelo bianco muove le ali,
vicino un angelo nero,
la coda sporgente.

Alle luci dell’alba
la corsa per afferrare
l’anima, il corpo.

****



La comparsa

Gli applausi volano via,
il teatro è silenzio.

Da lontane sorgenti
la musica di Verdi,
le note salgono
sfiorano velluti rossi.

Emerge l’immagine:
comparsa in costume
vestito da frate, da principe
da soldato e da servo
sulle assi del palcoscenico.

Don Giovanni, Carmen
Lucia di Lammermoor.
Maschere si affacciano,
personaggi vestiti di musica
danzano sulle cornici
bianche di calce,
scivolano in platea,
Carmen e Radamés,
salgono nelle luci del palco
corrono tenendosi per mano
nel vortice delle note.

***



***


La guida 

Leggeri i passi salgono la collina,
la città si scioglie in sentieri solitari,
cancelli muti parlano di storie lontane.
Avvolge l’eco dei nostri passi
la pelle ruvida degli alti muri
segnata da strisce di graffiti.
Sporgono le braccia degli ulivi,
le voci dei compagni galleggiano
nell’aria umida di temporale.

Appare la casa rossa di Rosai,
Čajkovskij compone musica,
le note per la campagna,
dalla villa del Pian dei Giullari
esce suor Celeste dopo la veglia,
una giovane bionda scende
a Firenze per il lavoro da sarta,
nonna Giulia, negli occhi gocce di cielo.

Oltre le acque dell’Ema, piene
di voci, di canti delle lavandaie,
il sentiero s’impenna fra i campi.
La vista si apre sui colli,
al centro la Cupola, misura
dell’incedere dei nostri passi.

San Gersolè ci accoglie,
le case sgocciolate lungo la strada,
i ragazzi intorno alla maestra.
Si distende poi la villa de’ Medici
dimora del lussurioso prelato.
Scende un barroccio di conche:
nonno Antonio tiene il cavallo.

Si apre infine la piazza
sullo sfondo la chiesa,
intorno le braccia dei loggiati.
Il paese si è ritirato a tavola
alla campana di mezzogiorno.
Il temporale sferza le cose,
il vino riscalda le parole,
la voglia di andare
alla scoperta del mondo.

***



L'impiegato - Ulisse 

Ogni sera Ulisse
torna ad Itaca.

L’alba sorprende
il volo dell’eroe
le armi impugnate
il computer per scudo
il telefono in mano
altri cento achei
infossati nelle poltrone.

Sulla terra le ombre
cedono il passo alla luce,
evaporano dal mare
i brividi della notte,
le strade vomitano
macchine nervose.

Alla sera voci allarmate
parlano di dei adirati.
Sulle piste la flotta
achea attende il decollo.
Infine il balzo
nella notte di pece.
Il porto d’Itaca è chiuso
per la furia dei venti.
Infinito il ritorno.

L’eroe raggiunge
la reggia nel sonno.
Penelope dorme stizzita,
Arturo saluta, la coda ritta.

L’eroe guarda la posta,
dispone in ordine le armi
si distende sul letto,
il risveglio è vicino.

Ogni sera Ulisse
torna ad Itaca.

***



Euridice sull'escavatore 

Cerbero il gigante dalle teste
rotanti ha trafitto Firenze,
nove chilometri di galleria.
Il treno in arrivo in mezzo alla folla.
“Orfeo è alla guida del treno”
sospira una voce innamorata
“Euridice è vestita di bianco”.
“Il canto ci ha conquistati,
siamo scesi in fila indiana
seguendo il suono della voce”.

Euridice è alla guida di Cerbero
nella melma degli ultimi strati,
la tuta bianca, l’elmetto sopra
i capelli biondi. Orfeo
s’innamorò al primo sguardo.
Implorò Ade di lasciarla salire.
“Uscirà alla fine dello scavo
quando passerà il primo treno”.

***



Commerci

Saldi per fine stagione
per cessata attività
saldi per amore perduto
per fine Repubblica
saldi arrivo menopausa
mancata erezione saldi
da scorte esaurite
per laicità defunta
saldi per demenza senile
improvvisa gioia saldi
per l’io esaurito
padrone depresso
saldi per fede devastante
invasione Casta
teste all’ammasso saldi

***



Impiegati comunali

Sfrenate pulsioni
portano a cogliere momenti
celesti in ascensori bloccati,
membri dai guanti colorati
fremiti inarrestabili
in luoghi comunali.

Inservienti compassate
raccolgono a fine giornata reperti,
la notizia ecco che rimbomba:
l’ascensore a volte si blocca
per scalare le vette del cielo.

***




Futuribile

Bit byte bit byte
zero uno zero uno
uno zero

acceso spento spento acceso
locale globale globale locale

punto rete punto rete
rete punto

nano secondo nano secondo
secondo nano

blog ergosum sum ergoblog
google yahoo google yahoo
yahoo google

messaggio d’amore d’amore messaggio
you tube you tube
tube you

***



Pony express

Pony express sui pedali
girovago sognatore,
portatore di dispacci.

Baschetto, lucchetto a U,
ricetrasmittente, borraccia,
borsa a tracolla,
divisa rossa, riflessi
sulle vetrine, infinita serie di pixel,
freccia acuminata.

***



***



Il lavoro del poeta

Oh divina Erato,
Signora della poesia,
invoco il tuo aiuto
per comporre in versi
suoni e silenzi,
per la ricerca della parola
nella discarica della memoria
o nel flusso dei pensieri,
in mezzo alla melma
delle ore del giorno,
o in mezzo alla luce
delle ore della notte
cercare ancora parole
per formare un ammasso
d’argilla da modellare
a piene mani
cercando la forma.

Leggo e rileggo
i versi, ascolto
la mia voce, cerco
tracce di colore,
riflessi di luce
pieni e vuoti d’ombra,
scompongo e ricompongo
l’ammasso d’argilla.
Nella tavolozza dei colori
inzuppo la fantasia,
nel pennello parole
in libertà, la scala
dei suoni, profondità
della memoria, ricerco la luce,
ricerco il tratto,
lo sfumato, il senso
lontano dalla realtà,
comunico il tutto,
comunico il niente.

Sono sazio di penetrare
di mani l’argilla,
ora il fuoco del forno
abbraccia la forma;
è pronta poi per essere
affidata all’aria,
alla polvere del giorno.

***



La cuoca

        Françoise, felice di dedicarsi a quell’arte della cucina per la quale aveva
        un certo dono … andava lei stessa ai Mercati a farsi dare i più bei quarti
        di lombo, di stinco di bue, di zampa di vitello, come Michelangelo che
        passava otto mesi nelle montagne di Carrara a scegliere i blocchi di
        marmo...
                        Marcel Proust, All’ombra delle fanciulle in fiore

Cucina avamposto
della casa dei Proust,
dalla tavola di marmo
decollano i piatti guarniti
serviti al ricevimento
in una nuvola di commenti,
l’eco delle voci
raggiunge la porta.

Cucina porto di sbarco,
la borsa della spesa
arriva da Les Halles
alla tavola di marmo,
freschezza del rombo
primizie della stagione,
scelte da Michelangelo
tra i marmi di Carrara.

Cucina impero
di Françoise, ordini alle forze
della natura arrivate in aiuto,
dirige l’orchestra
dei servitori,
accoglie solenne
i complimenti dell’Ambasciatore
per l’arrosto di bue
deposto su cristalli di gelatina.

Cucina miraggio
per la memoria della gola,
il sapore della lettura
mischiata al gusto dei sapori,
i lamponi del Signor Swann
la torta alle mandorle
la crema al cioccolato
l’impasto per la petite madeleine.

Cucina caleidoscopio
abitata dalla curiosità di Marcel
per l’arte di Françoise
per il manzo alla moda,
per il sapore inebriante del sugo
dopo tre ore di cottura,
ricco di bocconcini di carne:
le storie dei suoi personaggi.

Cucina crocevia
per i ricordi della mia cucina,
ventre della vita intorno
alla tavola di marmo,
abitata da storie e novelle,
da ospiti, piatti, tinozze per il bagno,
dalla mano del nonno
che mi protegge dagli spigoli.

Cucina museo,
al centro della fotografia
la trama lucida del marmo,
ai lati la dispensa
l’occhio spento dei fornelli
l’acquaio muto per sempre,
alle pareti lo scaldaletto
scaldavivande di rame
ombre della vita passata.

Cucina attesa
per la veglia di Céleste,
seduta alla tavola di marmo
in compagnia dei personaggi,
degli incontri di Marcel.
Il campanello dalla camera:
Adesso glielo dico: stanotte
ho messo la parola fine”.
Grazie, Céleste Albaret.

***




***



Il pittore

E lo studio di Elstir mi apparve come il laboratorio di una specie di

nuova creazione del mondo, in cui, dal caos che sono tutte le cose che

noi vediamo, egli aveva tratto… qui un’onda del mare che schiacciava

con collera sulla sabbia la sua schiuma lilla, là un giovane vestito di tela

bianca ..

                  Marcel Proust, All’ombra delle fanciulle in fiore

Silenzio seducente del quadro
nel rumore di folla del Salone.
Scopro metafore fissate
tra le frasi delle immagini,
pittore senza arte, compongo
dall’arte di più pittori
da un frammento del mondo
da artifici di immagini
da prospettive inattese.
Comprendo, trasformo
catturo la mia pittura
penetrando nei quadri.
Dipingo con la parola
per pennello la parola
per trama la tela della parola
per colore il suono della parola.

Silenzio sonoro del porto.
Multiforme, potente unità
nessun confine, terra e mare
l’acqua penetra le case, oltre
i tetti gli alberi dei battelli.
Uomini spingono alla spiaggia
barche tra i flutti, la sabbia
bagnata riflette le chiglie,
specchio lucido d’acqua.
Una nave lontana nascosta
ora dagli edifici, sembra
avanzare in mezzo alla città.
Alla bocca del porto le onde
battono contro gli scogli,
uomini governano le barche
piegate ad angolo acuto,
al galoppo, veloci sul mare.
Altrove specchi d’acqua
calmi, in una bella mattina
dopo il temporale, i riflessi
degli scafi accavallati
sul profilo delle chiese.
Più lontano tratti neri,
bianchi di spume, di nebbia
compongono la carreggiata
dell’erta impennata
di una nave verso il cielo,
una carrozza che scrolla via
l’acqua all’uscire dal guado.

Silenzio ambiguo del ritratto.
Acquerello pieno d’incanto,
soggetto singolare, seducente
fascino da scoprire di giovane
donna non bella, il copricapo
simile a un cappello duro
orlato dal nastro color ciliegia,
la sigaretta accesa
nella mano coperta dal guanto.
Sul tavolo un vaso di rose.
Travestimento per il ballo?
Un’attrice di altri tempi
a mezzo vestita da uomo?
Tratti mascolini del volto,
forse un giovane effeminato.
Tristezza nello sguardo
posa piccante, provocante
da personaggio del teatro.
Libertà dalla normalità?

Silenzio d’acqua delle ninfee.
Cinque, sei tele per dipingere
passo dall’una all’altra
inseguendo l’attimo
la sorpresa dell’inatteso.
Punti d’osservazione diversi
per le stagioni dell’anno
il mese, il giorno, l’ora.
Una tela, un pennello diversi
al variare dei brandelli di cielo
il passare di una nuvola
l’improvvisa folata di vento
l’arrivo della tempesta.
La superficie s’increspa
s’infrange in piccole onde
si sgualcisce il telo di seta,
i colori si accendono vivi
si spengono, ombre di morte.

Silenzio simbolo di seduzione.
Danza il corpo segnato
da simboli misteriosi,
danza una rosa in mano
in attesa del carnefice,
danza davanti ad Erode
gli occhi accesi di brace,
danza per la decapitazione
sorreggendo il vassoio,
danza per la testa che brilla
di un’aureola di gloria.
Dipinti, acquerelli, disegni
si moltiplicano: la danzatrice
torna a sollevare il braccio,
a muovere i passi fatali.

Silenzio della pagina scritta.
Regno della lenta cognizione
per l’occhio educato alla pittura,
si stacca dal ritmo usuale
del tempo dello spazio,
nel laboratorio aperto
per la nuova creazione,
conquista una folla
d’immagini cospiranti,
convergenti in mille rivoli,
allontana di pagina in pagina
il soffio silenzioso della morte.

****





*

                   Biografie


Roberto Mosi vive a Firenze, è stato dirigente per la Cultura alla
Regione Toscana. Fra le recenti pubblicazioni: Ogni sera Dante 
ritorna a casa. Sette passeggiate con il poeta, Il Foglio; Promethéus. 
Il dono del fuoco, Ladolfi; Orfeo in Fonte Santa, Ladolfi; Sinfonia 
per San Salvi, Ladolfi; Il profumo dell’iris, Gazebo; Navicello 
Etrusco, Il Foglio; Eratoterapia, Ladolfi; L’invasione degli 
storni, Gazebo; Poesie 2009-2016, Ladolfi; 
IEsercizi di volo, Europa Edizioni; Elisa Baciocchi e 
il fratello Napoleone, Il Foglio; Ogni anno 
Napoleone torna all’isola d’Elba, Il Foglio, e-book).
Ha pubblicato nel 2013: Concerto (Gazebo) che
comprende “Concerto per Flora” e “Sinfonia per Populonia”.
In precedenza, le raccolte di poesia: L’invasione
degli storni (Gazebo 2012), Luoghi del mito (Lieto Colle 2010), Aquiloni
(Il Foglio 2010), Nonluoghi (Comune di Firenze 2009), Florentia
(Gazebo 2008). Nella Collana LibriLiberi di www.a.Recherche.
it sono presenti gli eBook: Nonluoghi, Aquiloni, Itinera, Sinfonia
per Populonia, Florentia. Recensioni sulle opere dell’autore nel
sito www.literary.it. Ha realizzato mostre presso caffè letterari e
biblioteche sul rapporto fra testo poetico, immagine fotografica e
pittura. Gli è stato assegnato il primo premio “Villa Bernocchi” 2009
(Verbania). L’autore ha realizzato mostre di fotografia presso caffè
letterari, biblioteche, sale di esposizione. Mosi è fra i redattori di
Testimonianze, rivista fondata da Ernesto Balducci. Fra gli articoli:
“Il paesaggio fra poesia e memoria” (2002), “Dino Campana”
(2004), “Gli angeli sulla Cupola di Berlino” (2004), “Mario Luzi, la
tensione verso la semplicità” (2005), “Da quando Modugno cantò
volare” (2007). Cura i blog www.robertomosi.it e www.poesia3002.
blogspot.it. Riferimenti: mosi.firenze@gmail.com

Enrico Guerrini vive a Firenze. Ha frequentato l’Accademia
di Belle Arti, indirizzo di scenografia, e i corsi della Scuola di
Comics. Dal 2002 ha realizzato mostre dedicate, fra l’altro, al Faust
di Goethe, al Doktor Faust di Ferruccio Busoni, alle tre cantiche
della Divina Commedia. Ha vinto, in più occasioni, primi premi
con le sue opere. Collabora da tempo con Roberto Mosi, sia per
l’illustrazione di libri di poesia (Nonluoghi, L’invasione degli storni)
sia in perfomance di disegno dal vivo durante la lettura di poesie
presso luoghi culturali fiorentini. Collabora con case editrici per
l’illustrazione di testi e realizza stabilmente le scenografie per gli
spettacoli del Teatro dell’Antella e per il gruppo teatrale Teatrosfera
di Firenze. Riferimenti: enriguerrini@gmail.com.



Note

La fotografia della copertina dell' E-book è dal pannello presentato 
dall'Autore alla Mosta "Arti e Mestieri nella Bibbia", ANLA, Chiostro
Chiesa di Santa Maria de' Pazzi, Firenze.
La fotografia soprariportata è stata scattata dall’autore il 5 luglio
2013, in occasione del corteo di solidarietà per la Libreria Cafè La
Citè, colpita da un provvedimento del giudice a seguito di una
denuncia per disturbo alla pubblica quiete; è la copertina del libro
"La vita fa rumore. Noi viviamo di lavoro", Edizioni Teseo 2013.
Enrico Guerrini ha realizzato i disegni presenti nella raccolta.
La poesia Le trecciaiole è ripresa dal “Concerto per Flora” della
raccolta “Concerto”, Gazebo Libri, 2013.
Gli ultimi componimenti La cuoca e Il pittore sono ripesi dai lavori preparati
dall’autore per le edizioni www.laRecherche.it dedicate nel 2011 e
nel 2013 a Marcel Proust, in occasione dell’anniversario della nascita
dello scrittore francese.



Video

Al presente E-book è collegato il video "Poesia e lavoro"pubblicato su YouTube.
Indirizzo: https://youtu.be/N1VTrFGFhWc


INDICE

Prefazione di Giuseppe Panella

Libreria Cafè
Le trecciaiole
Lavoro!
Mimose alla Manifattura Tabacchi
Quartiere popolare
Migranti
Lavavetri
Mani
Mediatrice culturale
La raccolta delle arance
La raccolta dei pomodori
La stella cometa
Lavoro in festa. Marsa Alam, Mar Rosso
Una vita da ferroviere
Pulizia a bordo
L'eco dell'esplosione
Infermiera al manicomio
Ospedale
L'impiegato delle pompe funebri
La comparsa
La guida
L'impiegato - Ulisse
Euridice sull'escavatore
Commerci
Impiegati comunali
Futuribile
Pony express
Il lavoro del poeta
La cuoca
Il pittore

Biografie
Note
Video



5 commenti:

  1. "La poesia di Mosi, dunque, si distende tra i due poli (a lui consueti)
    del pathos duro e veemente della partecipazione e dell’ironica verifica
    degli stilemi di un passato divenuto eterno nell’immaginario
    collettivo. Tra mito e modernità, allora, si apre per lui lo spazio
    della poesia: uno spazio da riempire con la forza delle idee e delle
    soluzioni verbali." Dalla Prefazione allibro di Giuseppe Panella.

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  2. «Oggi si spalanca la porta:
    si va in corteo, si parla
    dell’essere alla città dell’avere.
    Rabbia, lavoro che muore
    sepolto il progetto di anni
    oltre il senso comune.

    "Sul sagrato del Carmine
    s’inchiodano cartelli
    nell’afa di luglio:
    “No alla città vetrina”
    “La noia è normalità”
    “Adotta un libraio”»

    Da La vita fa rumore. Noi viviamo di lavoro

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  3. Il punto di partenza di quest’ultimo progetto poetico di Roberto
    Mosi è legato a un fatto di cronaca che assume nei suoi versi una notevole
    importanza: la manifestazione avvenuta nel luglio del 2013 a
    Firenze in seguito a un’ordinanza che imponeva la chiusura alle ore
    ventidue dei locali della popolare Libreria Café de la Cité dove, invece,
    eventi culturali e attività musicali a essi connesse duravano fino
    a tarda ora, tra la rabbia e lo sconcerto degli abitanti del quartiere.
    Il corteo che richiedeva il ripristino degli orari precedenti si era snodato,
    pur nell’afa estiva, pacifico ma molto colorito e vivacemente
    scandito dagli slogan gridati con forza e determinazione dai partecipanti
    alla lotta.

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  4. "LA VITA FA RUMORE"

    Poesia del lavoro

    INDICE
    Prefazione di Giuseppe Panella

    Libreria Cafè
    Le trecciaiole
    Lavoro!
    Manifattura
    Quartiere popolare
    Migranti
    Lavavetri
    Mani
    Mediatrice
    Raccolta delle arance
    Raccolta dei pomodori
    Stella cometa
    Lavoro in festa, Marsa Alam
    Una vita da ferroviere
    Pulizia a bordo
    La strage
    Infermiera al manicomio
    Ospedale
    Impiegato delle pompe funebri
    Teatro
    Guida turistica
    Ulisse torna ad Itaca
    Orfeo a Firenze
    Mercato
    Impiegati comunali
    Futuribile
    Pony express
    Il lavoro del poeta
    La cucina di Françoise (La Recherche)
    Il lavoro del pittore (La Recherche)

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  5. Giuseppe Panella
    1. Il rumore del lavoro e la forza del ricordo

    Il punto di partenza di quest’ultimo progetto poetico di Roberto
    Mosi è legato a un fatto di cronaca che assume nei suoi versi una notevole
    importanza: la manifestazione avvenuta nel luglio del 2013 a
    Firenze in seguito a un’ordinanza che imponeva la chiusura alle ore
    ventidue dei locali della popolare Libreria Café de la Cité dove, invece,
    eventi culturali e attività musicali a essi connesse duravano fino
    a tarda ora, tra la rabbia e lo sconcerto degli abitanti del quartiere.
    Il corteo che richiedeva il ripristino degli orari precedenti si era snodato,
    pur nell’afa estiva, pacifico ma molto colorito e vivacemente
    scandito dagli slogan gridati con forza e determinazione dai partecipanti
    alla lotta....

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