sabato 8 febbraio 2025

Ernesto Balducci "L' uomo planetario", edizione Gabrielli - Nuova edizione a cura di Pietro Domenico Giovannoni - Libro di grande attualità !


Nuova edizione di uno dei libri più rappresentativi del pensiero di Ernesto Balducci, 

curata da Pietro Domenico Giovannoni 

con la prefazione di Mons. Gherardo Gambelli, Arcivescovo di Firenze

LA NUOVA PUBBLICAZIONE DE “L’UOMO PLANETARIO” DI ERNESTO BALDUCCI – Giovanna Checchi

“L’uomo planetario” di Ernesto Balducci, pubblicato nel lontano 1985, ha visto di nuovo la luce grazie al desiderio della Fondazione Balducci di far conoscere ai giovani il pensiero profetico del sacerdote scolopio. La nuova edizione, curata da Pietro Domenico Giovannoni, è uscita per i tipi della casa editrice veronese Gabrielli, con la preziosa prefazione dell’Arcivescovo di Firenze Gherardo Gambelli. Il testo, impreziosito dalle note illuminanti di Giovannoni, rivela di essere ancora oggi un’opera di sorprendente attualità. L’autore propone una visione dell’umanità che supera le barriere nazionali, culturali e religiose, anticipando le sfide della globalizzazione e dell’interconnessione planetaria. La sua analisi delle principali tradizioni religiose (induismo, buddhismo, islam, cristianesimo ed ebraismo) evidenzia come ciascuna possa contribuire alla formazione di un’etica planetaria, necessaria per affrontare le crisi globali contemporanee.

Il concetto di “uomo planetario” introdotto da Balducci invita a una trasformazione dell’identità umana, passando da una visione centrata sull’appartenenza a una specifica cultura o nazione a una consapevolezza globale. “L’uomo planetario non è di per sé antireligioso, solo che egli si confronta alle religioni dell’umanità come alla propria preistoria. Non è anticristiano, è postcristiano così come è postbuddista e postislamico.” (p. 55)

In un’epoca segnata da conflitti geopolitici, crisi ambientali e disuguaglianze sociali, l’appello alla costruzione di un’etica planetaria risuona con forza. La sua visione incoraggia un dialogo interreligioso autentico e una collaborazione tra culture diverse per affrontare le sfide comuni dell’umanità. Come sottolinea l’arcivescovo di Firenze, Gherardo Gambelli, nella prefazione alla nuova edizione del libro, ci sono almeno tre paure che il sacerdote nato sul Monte Amiata ci sollecita ad affrontare con coraggio ma che in questi ultimi quarant’anni, almeno nel mondo occidentale, non si sono volute analizzare con la dovuta attenzione. E visto che non abbiamo trovato soluzioni contro le guerre, rimedi alla povertà e abbiamo sottovalutato il cambiamento climatico che cosa possiamo fare oggi? L’Arcivescovo Gambelli punta il dito su una quarta sfida che sarebbe quella relativa al timore di trasformare le emozioni in sentimenti. “L’informazione in tempo reale attraverso internet e i social, infatti, ci provoca ogni giorno miriadi di sensazioni diverse e contraddittorie che non abbiamo il tempo materiale e psicologico di trasformare in autentici sentimenti umani; questa mancata sedimentazione emotiva crea enormi problemi nel nostro equilibrio personale, nelle relazioni interpersonali ma anche nella dimensione politica.” (pag. 9).

In conclusione, questo libro, arricchito dalla prefazione dell’Arcivescovo Gambelli e alle ventuno pagine dell’introduzione di Giovannoni, offre al lettore una prospettiva lungimirante e profetica, invitando a ripensare l’identità umana in chiave globale e a promuovere una cultura di pace e solidarietà. L’opera di Balducci rimane dunque una lettura fondamentale per chiunque sia interessato a comprendere e affrontare le complessità del mondo contemporaneo.

 

domenica 2 febbraio 2025

SENTIERO MARIO LUZI, 2005-2025 // MARIO LUZI TRAIL, 2005-2025 // MARIO LUZI WEG, 2005-2025 // 馬裡奧·魯茲路徑,2005-2025 // ПУТЬ МАРИО ЛУЦИ, 2005–2025 гг. // مسار ماريو لوزي، 2005-2025 //



                                                                       La strada tortuosa che 

                                                                                               da Siena conduce all’Orcia

traverso il mare mosso

di crete dilavate

che mettono di marzo una peluria verde …

                                                                                                                         Mario Luzi da “Su fondamenti invisibili

            Sono molti i modi per ricordare la figura di un grande poeta come Mario Luzi, conferenze, convegni, ecc. Si può farlo senza rimanere al chiuso di una sala, percorrendo luoghi legati al suo ricordo, a pagine della sua poesia. Nello zaino possiamo portare i libri più amati di Mario Luzi, per leggere i versi più suggestivi ad alta voce insieme ai compagni dell’escursione. Sarà come la scoperta di nuove corrispondenze fra il suono delle parole, le emozioni suscitate, i paesaggi incontrati nel nostro camminare. Il programma delle escursioni proposte dal Progetto si divide in due parti. Le camminate della prima parte sono più brevi, si possono effettuare in mezza giornata; quelle della seconda parte sono di un’intera giornata. Ogni uscita è dedicata ad un tema legato alla vita e alla poesia di Mario Luzi. I testi riportati nel presente fascicolo rappresentano una prima scelta che potrà essere arricchita dalle scelte dei partecipanti.

 

Mario Luzi è nato a Firenze, quartiere di Castello 20 ottobre 1914 14 ed è morto il 28 febbraio del 2005 nella sua casa di Firenze. Luzi ha offerto in settant’anni di lavoro un’ampia produzione poetica, drammaturgica, critica.

Tra le sue raccolte poetiche, ricordiamo: La barca (1935, Avvento notturno (1940), Onore del vero (1957), Nel magma (1963), Dal fondo delle campagne (1965), Su fondamenti invisibili (1971), Per il battesimo dei nostri frammenti (1985), Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini (1994), Sotto specie umana, La passione, Via Crucis al Colosseo (1999, Dottrina dell’estremo principiante (2004). Ha insegnato dalle scuole medie all’Università. Più volte candidato al Premio Nobel per la Letteratura, nel 2004 fu nominato senatore a vita della Repubblica italiana.

 

                                                 Castello . Villa La Petraia

 

 I escursione

A Castello, il paese delle origini e del ritorno

Escursione: facile, 3 ore; km 7.

 

Andremo a porre un fiore sulla tomba del poeta, nel cimitero di Castello, presso la Chiesa di San Michele, alla periferia nord di Firenze. La tomba è vicino a quelle della madre e del padre. Il cimitero di campagna è nei pressi dei parchi di due ville medicee, la Villa di Castello e la Villa della Petraia. Più in alto, il paesaggio variegato delle colline e, poco dopo, il verde dei boschi che si innalzano fino alla cima di Monte Morello; in basso le case e le fabbriche della pianura divise, nella prima parte, dalla ferrovia per Bologna; in lontananza il centro di Firenze dominato dalla Cupola del Brunelleschi. La scuola che Luzi frequentò era nelle scuderie della villa medicea di Castello, trasformate in aule. In questi luoghi incontrò i segni della guerra: vide arrivare alla stazione di Castello i soldati che giungevano dal fronte con le ferite ancora vive, diretti alle due ville medicee, trasformate in ospedali militari.

 

Percorso: piazza di Careggi, via della Quiete, via di Boldrone, Villa della Petraia (giardino), Chiesa di San Miche e Cimitero, Villa Reale di Castello (giardino), viale della Villa.

 




Da Il silenzio, la voce (1984)

 

     Il posto dove sono nato, presso Firenze, ha in sé un contrasto molto pronunziato. In alto, sulle colline, la forma armoniosa e conclusa che gli architetti delle ville e dei giardini hanno dato alla natura del Rinascimento e nel Sei Settecento, in basso la polverosa animazione di una borgata industriale. Inoltre un contrasto anche più lacerante assimilato, anch’esso nella prima infanzia: quelle sobrie ma monumentali dimore del potere e del privilegio ho imparato a conoscerle quando trasformate in ospedali militari ingoiavano  dentro i loro cancelli colonne di autoambulanze con a bordo i feriti che i treni provenienti dai fronti della prima guerra mondiale scaricavano sulle banchine dei binari morti nella piccola stazione di Castello di cui mio padre era il capo: qualcuno di quegli uomini deposti sulle barelle con le bende insanguinate mi resta anche oggi stampato in mente. Lo stesso luogo mi fece conoscere i disordini sociali del dopoguerra e le violenze fasciste.

    Più tardi spostandomi per alcuni anni in uno scenario più antico e quasi araldico, a Siena e dintorni, tutto questo, unito alla consapevolezza muta e profonda delle figure di quell’arte mi scese addentro come dramma e come enigma.

   Credo che l’alternanza e la mescolanza di questi due sentimenti abbiano avuto un seguito ininterrotto e siano rimasti costanti nei riguardi delle vicende della nostra epoca: il fascismo, la guerra, l’irrequietezza piena di incubi del dopoguerra e dell’oggi.

Mia madre    (dal Fondo delle campagne 1965)

Mia madre, mia eterna margherita
che piangi e mi sorridi
viva ora più di prima,
lo so, lo so quel che dovrei, pazienza
di forte non è questa ostinazione
d’uomo che teme la sua resa. Forza
è pace. Il sopore che s’insinua
nell’ora giusta fra due giuste veglie
è forza anch’esso, non viltà. Ma ormai
che i tuoi occhi mi s’aprono
solamente nell’anima, due punti
tenaci al fondo del braciere
con cui guardare tutto il resto, o santa,
non è il taglio a fil di lama
che partisce ombra e sole in queste vie
puntate contro il fuoco
del mare all’orizzonte, è un altro il segno
a cui dovrò tener fronte, segno
che ferisce, passa da parte a parte.

 

Il duro filamento  (dal Fondo delle campagne 1965)

“Passa sotto la nostra casa qualche volta,

volgi un pensiero al tempo ch’eravamo ancora tutti.

Ma non ti soffermare troppo a lungo”.

La voce di colei che come serva fedele

chiamata si dispose alla partenza,

pianse ma preparò l’ultima cena

poi ascoltò la sentenza nuda e cruda

così come fu detta, quella voce

con un tremito appena più profondo,

appena più toccante ora che viene

di là dalla frontiera d’ombra e lacera 

come può la cortina d’anni e fora

la coltre di fatica ed abiezione,

cerca il filo del vento, vi s’affida

finché il vento la lascia a sé, s’aggira

ospite dove fu di casa, timida

e spersa in queste prime albe dell’anno…

 “Passa sotto la nostra casa qualche volta,

volgi un pensiero al tempo ch’eravamo ancora tutti.

Ma non ti soffermare troppo a lungo”

  


II Escursione.  

L’incontro con il fiume

Escursione: facile, ore 4, km 8

 

La passeggiata è dedicata al paesaggio dell’Arno, nella. parte sud della città, visto con lo sguardo di Mario Luzi. Una sosta al Giardino delle Rose, da Porta San Niccolò, ci darà una visione d’insieme della valle del fiume, che poi percorreremo in riva destra fino al Girone. Passiamo nei pressi di via di Bellariva, dove il poeta visse, al numero 20, gli ultimi quarant’anni della sua vita.

 

Percorso: Ponte alle Grazie, Giardino delle Rose, via dei Bastioni, Lungarno Francesco Ferrucci, Ponte da Verrazzano, riva destra dell’Arno, sosta all’altezza di via della Bellariva, Pescaia di S. Andrea a Rovezzano, Girone.


    

         Da “Su fondamenti invisibili” (1971)

«Prega», dice, «per la città sommersa»
venendomi incontro dal passato
o dal futuro un’anima nascosta
dietro un lume di pila che mi cerca
nel liquame della strada deserta.
«Taci» imploro, dubbioso sia la mia
di ritorno al suo corpo perduto nel fango.
«Tu che hai visto fino al tramonto
la morte di una città, i suoi ultimi
furiosi annaspamenti d’annegata,
ascoltane il silenzio ora. E risvegliati»
continua quell’anima randagia
che non sono ben certo sia un’altra dalla mia
alla cerca di me nella palude sinistra.
«Risvegliati, non è questo silenzio
il silenzio mentale di una profonda metafora
come tu pensi la storia. Ma bruta
cessazione del suono. Morte. Morte e basta.»
«Non c’è morte che non sia anche nascita.
Soltanto per questo pregherò»
le dico sciaguattando ferito nella melma
mentre il suo lume lampeggia e si eclissa in un vicolo.
E la continuità manda un riflesso
duro, ambiguo, visibile alla talpa e alla lince.
 

 

 

Fiume da fiume  (da Poesie sparse)

 

Si pasce di sé il fiume, bruca
                                            serpeggiando
le sue
          quasi essiccate sgorature,
                                                  visita
le sue
          quasi aride pozzanghere,
si trascina ai suoi già putridi ristagni
finché‚ poco più oltre
                                   un poco lo confortano
misteriosi trasudamenti,
lo irrorano frescure,
umori, vene
dal più profondo
del suo cuore sotterraneo
                                    ed eccolo
rinasce esso dalle secche,
ora, si lascia dietro la sassaia
della sua quasi estinzione
per il suo nuovo cammino -
                         si muove verso se stesso il fiume,
                         si sposta dentro il suo cangiante bruco
ed entra, fiume nuovo
uscito dalle sue ceneri
nei luoghi dove opera
la primavera            e non c'è
fiore né gemma, non c'è ancora
ma c'è quella radiosa incandescenza
di luce e opacità nel bianco dell'aria,
c'è, ed ecco si diffonde, quella trepidante animula
e quel chiaro sopra la linea degli alberi,
quel già più festoso scintillamento delle acque.
C'è tutto "quello". E c'è
                                lui fiume,
ne vibra intimamente
il senso. C'è questo, c'è prodigiosamente.

  


III Escursione

La Cupola del Brunelleschi, fiore nostro fiorisci ancora

Escursione: facile, 3 ore, km

 

Percorso dedicato alle pagine che Luzi scrisse per la Cupola del Duomo, l’opera del Brunelleschi, monumento al centro del paesaggio fiorentino. La partenza è dalla piazza del Duomo per salire poi al belvedere sulla città rappresentato dalla parte alta del Giardino di Villa Bardini, da dove sembra di toccare con mano la Cupola. Il ritorno verso il Centro passando dal Ponte Vecchio, dal Palagio di Parte Guelfa (ricordo di Eugenio Montale); infine al Caffè delle Giubbe Rosse in piazza della Repubblica, per un aperitivo in ricordo dei tempi passati.

 

Percorso: Ponte alle Grazie, Giardino di Villa Bardini, Costa di San Giorgio, Ponte Vecchio, Piazza del Palagio di Parte Guelfa, Piazza della Repubblica.

 



Da “Fiore nostro fiorisci ancora” ( 1996)
Primo operaio // L’Estate è piena, il meriggio leva il cervello. Non bastano neppure questi ponti e queste travature e rimuovere l’afa e l’oppressione. Sarà meglio dopo, quando la cupola sarà tutta voltata fino all’ovo e chiusa sopra di noi. Allora ci sarà anche fresco in ogni parte della basilica, si spera.
Intanto di questa stagione siamo richiesti di accrescere il lavoro, di allungare la giornata. Quando gli altri per tutta Firenze sonnecchiano nella lunga siesta dei giorni di canicola, noi siamo più che mai all’opera. Le fiasche vanno e vengono tra le mani dei garzoni e dei maestri e presto sono asciutte. Le ore sono lunghe. Ser Filippo non conosce pausa, sparisce e ricompare di continuo. Gli frullano per il capo mille idee ma una, fissa, le sovrasta tutte: questa cupola. Se va avanti, se regge per geometria, se il calcolo era giusto. Sì, lui a suo dire n’è sempre stato certo, era spavaldo con gli altri uomini dell’arte; ma, guardarlo, è tranquillo fino a un certo punto. Domanda i capimastri, i tagliapietre, i legnaioli, se stimano possibile per la loro parte dargli conferma che l’impresa è giusta e ragionevole.
E, lo sai bene anche tu,, chi è preso dalla sua mania e chi scuote la testa ma continua con parecchia incredulità il suo lavoro nel cantiere.
Secondo operaio // Tu con chi stai, io con chi mi metto? Non so proprio rispondere neppure per me stesso.
Primo operaio // No, non è facile... però io sono parte di questa fabbrica che cresce; e questo mi basta. Non soltanto mi basta ma anche mi convince. La città edifica lei stessa la sua chiesa, si alza verso il cielo e usa la nostra fatica e la nostra arte per farlo. Mi ha preso e trascinato nel febbrile formicaio della sua officina. …

 

Fiore della fede”
E’ la mia voce ora che ascoltate,
sono Santa Maria del Fiore.
Mi volle la città fervente
alta sopra di sé,
sopra qualsiasi altra
delle sue grandi basiliche
e le sue umili parrocchie
e Santa Reparata che custodisco in me.
Grande mi concepirono i mercanti
e il popolo minuto.
Ebbero di me una visione grande
Arnolfo, Giotto, ser Filippo,
assistettero alla mia nascita, essi,
propiziarono la mia crescita,
un popolo di artefici si adoperò per me nei secoli,
l’Opificio è ancora aperto;
non sarò mai compiuta.
Si tenevano fra le mie mura nascenti
i dialoghi che avete ora ascoltato,
non erano neanch’essi profani,
mi alzavo sopra la città per opera della pietà comune
e di spicciola pazienza.

          e rivissuta, vivente architettura.

IV Escursione

“Il viaggio di Simone Martini” e le origini senesi

Escursione: facile, 3 ore, 8 km

 

La camminata è dedicata al ricordo delle origini senesi del poeta, origini rivendicate con orgoglio. Il percorso si allontana dal centro cittadino per salire sulla collina di Settignano e fermarsi alla piazza Desiderio da Settignano, davanti al panorama di Firenze. Avremo con noi il libro di Luzi Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini per leggere i versi che esprimono la diffidenza dell’artista senese che osserva Firenze dall’alto, durante il viaggio di ritorno da Avignone a Siena: “È là, lei, la Gran Villa/ che brulica e formicola/ di là dal fiume. Lo tenta/ e lo respinge,/ ostica …”. La strada per arrivare a Settignano ci avvicina a ricordi dell’universo della poesia: Parco di San Salvi e la reclusione di Dino Campana nel manicomio (ricordo nel centenario della pubblicazione dei Canti Orfici); Ponte a Mensola e il ricordo delle opere di Giovanni Boccaccio, Il Decamerone e Il Ninfale Fiesolano; via della Capponcina, dove abitarono D’Annunzio e la Duse.

Percorso: viale interno del Parco di Salvi, via del Guarlone, Ponte a Mensola, via della Capponcina, Piazza Desiderio da Settignano.

 

Da “Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini” (1994)

Si approssima Firenze.

                                          Si aggrega la città.

S’addensano i suoi prima

rari sparpagliati borghi.

                                          S’infittiscono

gli orti e i monasteri.

Lo attrae nel suo gomitolo,

                                         ma è incerto

se sfidarne il labirinto

o tenersi alla proda, non varcare il ponte.

Il seguito è sfinito. Il sono e il caldo

              ne annientano il respiro.

È là, lei, la Gran Villa

che brulica e formicola.

Di là dal fiume. Lo tenta

e lo respinge,

ostica, non sa

bene in che cosa, ma ostica

eppure seducente,

vivida. In molti lo conoscono,

alcuni tra i Maestri

pregiano la sua arte,

ma lui teme la loro,

evita il paragone,

non desidera il confronto…

Ah Firenze, Firenze. Sonnecchiano

intontiti i viaggiatori nella sosta.

Meglio rimettersi in cammino,

prendere la via di Siena, immantinente.

V Escursione

L’incontro con i compagni della giovinezza nel sentiero lungo gli argini del Bisenzio.

Escursione: facile, 5 ore, km 12

 

Percorso di una giornata dedicato a rievocare il paesaggio della poesia “Presso il Bisenzio”, il fiume che attraversa la città di Prato, la pianura industriale pratese e fiorentina e si getta nell’Arno all’altezza di Signa, circondato da capannoni delle lavorazioni tessili, dalle quali si dipartono gore con i residui delle conce. Sugli argini del fiume, in una giornata nebbiosa, il poeta incontra i compagni della prima gioventù, che hanno avuto un destino ben diverso dal suo.

 

Percorso: stazione di Calenzano, Capalle, Campi Bisenzio, San Mauro, Signa.

 

Il fiume Bisenzio

Presso il Bisenzio (Da Magma 1965)

 

La nebbia ghiacciata affumica la gora della concia
e il viottolo che segue la proda. Ne escono quattro
non so se visti o non mai visti prima,
pigri nell'andatura, pigri anche nel fermarsi fronte a fronte.
Uno, il più lavorato da smanie e il più indolente,
mi si fa incontro, mi dice: «Tu? Non sei dei nostri.
Non ti sei bruciato come noi al fuoco della lotta
quando divampava e ardevano nel rogo bene e male».
Lo fisso senza dar risposta nei suoi occhi vizzi, deboli,
e colgo mentre guizza lungo il labbro di sotto
[un'inquietudine.
«Ci fu solo un tempo per redimersi» qui il tremito
si torce in tic convulso «o perdersi, e fu quello.»
Gli altri costretti a una sosta impreveduta
dànno segni di fastidio, ma non fiatano,
muovono i piedi in cadenza contro il freddo
e masticano gomma guardando me o nessuno.
«Dunque sei muto?» imprecano le labbra tormentate
mentre lui si fa sotto e retrocede
frenetico, più volte, finché‚ è là
fermo, addossato a un palo, che mi guarda
tra ironico e furente. E aspetta. Il luogo,
quel poco ch'è visibile, è deserto;
la nebbia stringe dappresso le persone
e non lascia apparire che la terra fradicia dell'argine
e il cigaro, la pianta grassa dei fossati che stilla muco.
E io: «E' difficile spiegarti. Ma sappi che il cammino
per me era più lungo che per voi
e passava da altre parti». «Quali parti?»
Come io non vado avanti,
mi fissa a lungo ed aspetta. «Quali parti?»
I compagni, uno si dondola, uno molleggia il corpo sui
[garetti
e tutti masticano gomma e mi guardano, me oppure il [vuoto.
«E' difficile, difficile spiegarti.»
C'è silenzio a lungo,
mentre tutto è fermo,
mentre l'acqua della gora fruscia.
Poi mi lasciano lì e io li seguo a distanza.

Ma uno d'essi, il più giovane, mi pare, e il più malcerto,
si fa da un lato, s'attarda sul ciglio erboso ad aspettarmi
mentre seguo lento loro inghiottiti dalla nebbia. A un [passo
ormai, ma senza ch'io mi fermi, ci guardiamo,
poi abbassando gli occhi lui ha un sorriso da infermo.
«O Mario» dice e mi si mette al fianco
per quella strada che non è una strada
ma una traccia tortuosa che si perde nel fango
«guardati, guardati d'attorno. Mentre pensi
e accordi le sfere d'orologio della mente
sul moto dei pianeti per un presente eterno
che non è il nostro, che non è qui né ora,
volgiti e guarda il mondo come è divenuto,
poni mente a che cosa questo tempo ti richiede,
non la profondità, né l'ardimento,
ma la ripetizione di parole,
la mimesi senza perché né come
dei gesti in cui si sfrena la nostra moltitudine
morsa dalla tarantola della vita, e basta.
Tu dici di puntare alto, di là dalle apparenze,
e non senti che è troppo. Troppo, intendo,
per noi che siamo dopo tutto i tuoi compagni,
giovani ma logorati dalla lotta e più che dalla lotta, dalla
[sua mancanza umiliante.»
Ascolto insieme i passi nella nebbia dei compagni che si
[eclissano
e questa voce venire a strappi rotta da un ansito.
Rispondo: «Lavoro anche per voi, per amor vostro».
Lui tace per un po' quasi a ricever questa pietra in cambio
del sacco doloroso vuotato ai miei piedi e spanto.
E come io non dico altro, lui di nuovo: «O Mario,
com'è triste essere ostili, dirti che rifiutiamo la salvezza,
né mangiamo del cibo che ci porgi, dirti che ci offende».
Lascio placarsi a poco a poco il suo respiro mozzato [dall'affanno
mentre i passi dei compagni si spengono
e solo l'acqua della gora fruscia di quando in quando.
«E' triste, ma è il nostro destino: convivere in uno stesso
[tempo e luogo
e farci guerra per amore. Intendo la tua angoscia,
ma sono io che pago tutto il debito. E ho accettato questa [sorte.»
E lui, ora smarrito ed indignato: «Tu" tu solamente"».
Ma poi desiste dallo sfogo, mi stringe la mano con le sue
[convulse
e agita il capo: «O Mario, ma è terribile, è terribile tu non [sia dei nostri».
E piange, e anche io piangerei
se non fosse che devo mostrarmi uomo a lui che pochi ne [ha veduti.
Poi corre via succhiato dalla nebbia del viottolo.

Rimango a misurare il poco detto,
il molto udito, mentre l'acqua della gora fruscia,
mentre ronzano fili alti nella nebbia sopra pali e antenne.
«Non potrai giudicare di questi anni vissuti a cuore duro,
mi dico, potranno altri in un tempo diverso.
Prega che la loro anima sia spoglia
e la loro pietà sia più perfetta.»

 

Da “Il silenzio, la voce” (1984)

 

“Il cosmo umano ha anch’esso la sua lingua silenziosa, così come la parola è carica di tutti i passaggi della sofferenza che vi si sono impressi, e la voce sempre un po’ trafelata dal mare ininterrotto del mutamento, del divenire, della storia. Il silenzio è gremito di parole taciute o tacitate o represse o obliterate. …

    E poi c’è la voce umile o sperduta di coloro che l’hanno usata per provocare la tua, che hanno interrogato perché tu rispondessi. La voce del poeta si coniuga con quelle voci, s’inserisce o stride in quel concento. In tutte le sue forme implicite ed esplicite il linguaggio della poesia diventa dialogo.”

 

 

                                     Monte Senario

 VI Escursione

La salita al Monte Senario, la fuga dei monti fino all’Amiata, il silenzio del bosco e la voce della poesia. “Il Sentiero di Andrea”.

Escursione: media-facile, km 14, 6 ore

 

La meta è Monte Senario, da dove lo sguardo, in una giornata serena, spazia, da una parte, sui monti dell’Appennino, dall’altra, a sud sulle colline del Chianti, con il profilo dell’Amiata sullo sfondo. È l’occasione per ricordare pagine di Mario Luzi dedicate alla terra di Siena e alla Val d’Orcia. Scendendo dal Monte Senario, percorriamo il “Sentiero di Andrea”, un percorso ad anello realizzato in ricordo di un giovane operaio forestale morto in un incidente, che ci porta nel profondo del bosco, in luoghi pieni di silenzio.

Percorso: Stazione di Vaglia, Signano, Sommavilla, Sorbo, Poggio agli Uccellini, Bivigliano, Montesenario, Piazzale della Croce, Sentiero di Andrea, Bivigliano, Stazione di Vaglia

Da “Sotto specie umana” (1999)

Vanno ai monti i monti

da soli o con le nubi

sulla cresta o ai fianchi,

si uniscono, si salgono sulla groppa,

si celano l’un l’altro,

si confondono

terra in cielo,

cielo in rupi d’aria e nuvole,

cammini non sappiamo se per uomini o per numi

ne varcano la mutevole frontiera

a scendere e discendere

è il loro moto

tra roccia e terra di pianoro

aperto, senza riparo

dalle origini alle origini…

 

DaSu fondamenti invisibili”, 1971

La strada tortuosa che da Siena conduce all’Orcia,

traverso il mare mosso

di crete dilavate

che mettono di marzo una peluria verde

è una strada fuori del tempo, una strada aperta

e punta con le sue giravolte al cuore dell’enigma…


Indice

 

I escursione

A Castello, il paese delle origini e del ritorno

 

II Escursione. 

L’incontro con il fiume. Bellariva

 

III Escursione

La Cupola del Brunelleschi, fiore nostro fiorisci ancora

 

IV Escursione

“Il viaggio di Simone Martini” e le origini senesi

 

V Escursione

L’incontro con i compagni della giovinezza nel sentiero lungo gli argini del Bisenzio.

 

VI Escursione

La salita al Monte Senario, la fuga dei monti fino all’Amiata, il silenzio del bosco e la voce della poesia. “Il Sentiero di Andrea”.