La strada tortuosa che
da Siena conduce all’Orcia
traverso il mare mosso
di crete dilavate
che mettono di marzo una peluria verde …
Mario Luzi da “Su fondamenti
invisibili”
Sono molti i
modi per ricordare la figura di un grande poeta come Mario Luzi, conferenze,
convegni, ecc. Si può farlo senza rimanere al chiuso di una sala, percorrendo
luoghi legati al suo ricordo, a pagine della sua poesia. Nello zaino possiamo
portare i libri più amati di Mario Luzi, per leggere i versi più suggestivi ad
alta voce insieme ai compagni dell’escursione. Sarà come la scoperta di nuove
corrispondenze fra il suono delle parole, le emozioni suscitate, i paesaggi incontrati
nel nostro camminare. Il programma delle escursioni proposte dal Progetto si
divide in due parti. Le camminate della prima parte sono più brevi, si possono
effettuare in mezza giornata; quelle della seconda parte sono di un’intera
giornata. Ogni uscita è dedicata ad un tema legato alla vita e alla poesia di
Mario Luzi. I testi riportati nel presente fascicolo rappresentano una prima
scelta che potrà essere arricchita dalle scelte dei partecipanti.
Mario Luzi è nato a Firenze, quartiere di Castello 20
ottobre 1914 14 ed è morto il 28 febbraio del 2005 nella sua casa di Firenze.
Luzi ha offerto in settant’anni di lavoro un’ampia produzione poetica,
drammaturgica, critica.
Tra le sue raccolte poetiche, ricordiamo: La barca (1935,
Avvento notturno (1940), Onore del vero (1957), Nel magma (1963), Dal fondo
delle campagne (1965), Su fondamenti invisibili (1971), Per il battesimo dei
nostri frammenti (1985), Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini (1994),
Sotto specie umana, La passione, Via Crucis al Colosseo (1999, Dottrina
dell’estremo principiante (2004). Ha insegnato dalle scuole medie
all’Università. Più volte candidato al Premio Nobel per la Letteratura, nel
2004 fu nominato senatore a vita della Repubblica italiana.
Castello . Villa La Petraia
I escursione
A Castello,
il paese delle origini e del ritorno
Escursione:
facile, 3 ore; km 7.
Andremo
a porre un fiore sulla tomba del poeta, nel cimitero di Castello, presso la
Chiesa di San Michele, alla periferia nord di Firenze. La tomba è vicino a
quelle della madre e del padre. Il cimitero di campagna è nei pressi dei parchi
di due ville medicee, la Villa di Castello e la Villa della Petraia. Più in
alto, il paesaggio variegato delle colline e, poco dopo, il verde dei boschi
che si innalzano fino alla cima di Monte Morello; in basso le case e le
fabbriche della pianura divise, nella prima parte, dalla ferrovia per Bologna; in
lontananza il centro di Firenze dominato dalla Cupola del Brunelleschi. La
scuola che Luzi frequentò era nelle scuderie della villa medicea di Castello,
trasformate in aule. In questi luoghi incontrò i segni della guerra: vide
arrivare alla stazione di Castello i soldati che giungevano dal fronte con le
ferite ancora vive, diretti alle due ville medicee, trasformate in ospedali
militari.
Percorso: piazza
di Careggi, via della Quiete, via di Boldrone, Villa della Petraia (giardino),
Chiesa di San Miche e Cimitero, Villa Reale di Castello (giardino), viale della
Villa.
Da Il silenzio, la voce
(1984)
Il
posto dove sono nato, presso Firenze, ha in sé un contrasto molto pronunziato.
In alto, sulle colline, la forma armoniosa e conclusa che gli architetti delle
ville e dei giardini hanno dato alla natura del Rinascimento e nel Sei
Settecento, in basso la polverosa animazione di una borgata industriale.
Inoltre un contrasto anche più lacerante assimilato, anch’esso nella prima
infanzia: quelle sobrie ma monumentali dimore del potere e del privilegio ho
imparato a conoscerle quando trasformate in ospedali militari ingoiavano dentro i loro cancelli colonne di
autoambulanze con a bordo i feriti che i treni provenienti dai fronti della
prima guerra mondiale scaricavano sulle banchine dei binari morti nella piccola
stazione di Castello di cui mio padre era il capo: qualcuno di quegli uomini
deposti sulle barelle con le bende insanguinate mi resta anche oggi stampato in
mente. Lo stesso luogo mi fece conoscere i disordini sociali del dopoguerra e
le violenze fasciste.
Più tardi
spostandomi per alcuni anni in uno scenario più antico e quasi araldico, a
Siena e dintorni, tutto questo, unito alla consapevolezza muta e profonda delle
figure di quell’arte mi scese addentro come dramma e come enigma.
Credo che
l’alternanza e la mescolanza di questi due sentimenti abbiano avuto un seguito
ininterrotto e siano rimasti costanti nei riguardi delle vicende della nostra
epoca: il fascismo, la guerra, l’irrequietezza piena di incubi del dopoguerra e
dell’oggi.
Mia madre (dal Fondo delle campagne
1965)
Mia madre, mia eterna margherita
che piangi e mi sorridi
viva ora più di prima,
lo so, lo so quel che dovrei, pazienza
di forte non è questa ostinazione
d’uomo che teme la sua resa. Forza
è pace. Il sopore che s’insinua
nell’ora giusta fra due giuste veglie
è forza anch’esso, non viltà. Ma ormai
che i tuoi occhi mi s’aprono
solamente nell’anima, due punti
tenaci al fondo del braciere
con cui guardare tutto il resto, o santa,
non è il taglio a fil di lama
che partisce ombra e sole in queste vie
puntate contro il fuoco
del mare all’orizzonte, è un altro il segno
a cui dovrò tener fronte, segno
che ferisce, passa da parte a parte.
Il duro filamento (dal Fondo delle campagne 1965)
“Passa
sotto la nostra casa qualche volta,
volgi un pensiero al tempo ch’eravamo ancora tutti.
Ma non
ti soffermare troppo a lungo”.
La voce di colei che come
serva fedele
chiamata
si dispose alla partenza,
pianse
ma preparò l’ultima cena
poi
ascoltò la sentenza nuda e cruda
così
come fu detta, quella voce
con un
tremito appena più profondo,
appena
più toccante ora che viene
di là dalla frontiera d’ombra e lacera
come
può la cortina d’anni e fora
la coltre di fatica ed abiezione,
cerca
il filo del vento, vi s’affida
finché
il vento la lascia a sé, s’aggira
ospite
dove fu di casa, timida
e
spersa in queste prime albe dell’anno…
“Passa sotto la nostra casa qualche volta,
volgi
un pensiero al tempo ch’eravamo ancora tutti.
Ma non
ti soffermare troppo a lungo”
II Escursione.
L’incontro con il fiume
Escursione: facile, ore 4, km 8
La passeggiata è
dedicata al paesaggio dell’Arno, nella. parte sud della città, visto con lo
sguardo di Mario Luzi. Una sosta al Giardino delle Rose, da Porta San Niccolò,
ci darà una visione d’insieme della valle del fiume, che poi percorreremo in
riva destra fino al Girone. Passiamo nei pressi di via di Bellariva, dove il
poeta visse, al numero 20, gli ultimi quarant’anni della sua vita.
Percorso: Ponte alle Grazie, Giardino delle Rose, via dei Bastioni,
Lungarno Francesco Ferrucci, Ponte da Verrazzano, riva destra dell’Arno, sosta all’altezza
di via della Bellariva, Pescaia di S. Andrea a Rovezzano, Girone.
Da “Su fondamenti invisibili” (1971)
«Prega», dice, «per la città
sommersa»
venendomi incontro dal passato
o dal futuro un’anima nascosta
dietro un lume di pila che mi cerca
nel liquame della strada deserta.
«Taci» imploro, dubbioso sia la mia
di ritorno al suo corpo perduto nel fango.
«Tu che hai visto fino al tramonto
la morte di una città, i suoi ultimi
furiosi annaspamenti d’annegata,
ascoltane il silenzio ora. E risvegliati»
continua quell’anima randagia
che non sono ben certo sia un’altra dalla mia
alla cerca di me nella palude sinistra.
«Risvegliati, non è questo silenzio
il silenzio mentale di una profonda metafora
come tu pensi la storia. Ma bruta
cessazione del suono. Morte. Morte e basta.»
«Non c’è morte che non sia anche nascita.
Soltanto per questo pregherò»
le dico sciaguattando ferito nella melma
mentre il suo lume lampeggia e si eclissa in un vicolo.
E la continuità manda un riflesso
duro, ambiguo, visibile alla talpa e alla lince.
Fiume da fiume (da Poesie sparse)
Si pasce di sé il fiume, bruca
serpeggiando
le sue
quasi essiccate
sgorature,
visita
le sue
quasi aride pozzanghere,
si trascina ai suoi già putridi ristagni
finché‚ poco più oltre
un poco lo confortano
misteriosi trasudamenti,
lo irrorano frescure,
umori, vene
dal più profondo
del suo cuore sotterraneo
ed eccolo
rinasce esso dalle secche,
ora, si lascia dietro la sassaia
della sua quasi estinzione
per il suo nuovo cammino -
si muove verso se stesso il fiume,
si sposta dentro il suo cangiante bruco
ed entra, fiume nuovo
uscito dalle sue ceneri
nei luoghi dove opera
la primavera
e non c'è
fiore né gemma, non c'è ancora
ma c'è quella radiosa incandescenza
di luce e opacità nel bianco dell'aria,
c'è, ed ecco si diffonde, quella trepidante animula
e quel chiaro sopra la linea degli alberi,
quel già più festoso scintillamento delle acque.
C'è tutto "quello". E c'è
lui fiume,
ne vibra intimamente
il senso. C'è questo, c'è prodigiosamente.
III Escursione
La Cupola del Brunelleschi, fiore nostro fiorisci ancora
Escursione: facile, 3 ore, km
Percorso
dedicato alle pagine che Luzi scrisse per la Cupola del Duomo, l’opera del
Brunelleschi, monumento al centro del paesaggio fiorentino. La partenza è dalla
piazza del Duomo per salire poi al belvedere sulla città rappresentato dalla
parte alta del Giardino di Villa Bardini, da dove sembra di toccare con mano la
Cupola. Il ritorno verso il Centro passando dal Ponte Vecchio, dal Palagio di
Parte Guelfa (ricordo di Eugenio Montale); infine al Caffè delle Giubbe Rosse
in piazza della Repubblica, per un aperitivo in ricordo dei tempi passati.
Percorso: Ponte alle Grazie, Giardino di Villa Bardini, Costa di
San Giorgio, Ponte Vecchio, Piazza del Palagio di Parte Guelfa, Piazza della
Repubblica.
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgNOIeMk5ue1pdp9dxaB8gKNgRdCpq5sZ62GrY7-Fz__R-qmSCqldqAN2ZpD7L3WbI1Z9Echk7uAGsYyNXOTnzaAkvT5fvumZPhMC4N8I4FWRwvOyGnRzswyIKhhRTS31PFQFi3oFeDtE7Xu3pSgVRy5vTORcQXgITcRnMLnx8d5jM2X6eF7PaxN9CGw5I/s320/Immagine7.jpg)
Da “Fiore nostro fiorisci ancora” ( 1996)
Primo operaio // L’Estate è piena, il meriggio leva il cervello. Non bastano
neppure questi ponti e queste travature e rimuovere l’afa e l’oppressione. Sarà
meglio dopo, quando la cupola sarà tutta voltata fino all’ovo e chiusa sopra di
noi. Allora ci sarà anche fresco in ogni parte della basilica, si spera.
Intanto di questa stagione siamo richiesti di accrescere il lavoro, di
allungare la giornata. Quando gli altri per tutta Firenze sonnecchiano nella
lunga siesta dei giorni di canicola, noi siamo più che mai all’opera. Le
fiasche vanno e vengono tra le mani dei garzoni e dei maestri e presto sono
asciutte. Le ore sono lunghe. Ser Filippo non conosce pausa, sparisce e
ricompare di continuo. Gli frullano per il capo mille idee ma una, fissa, le
sovrasta tutte: questa cupola. Se va avanti, se regge per geometria, se il
calcolo era giusto. Sì, lui a suo dire n’è sempre stato certo, era spavaldo con
gli altri uomini dell’arte; ma, guardarlo, è tranquillo fino a un certo punto.
Domanda i capimastri, i tagliapietre, i legnaioli, se stimano possibile per la
loro parte dargli conferma che l’impresa è giusta e ragionevole.
E, lo sai bene anche tu,, chi è preso dalla sua mania e chi scuote la testa ma
continua con parecchia incredulità il suo lavoro nel cantiere.
Secondo operaio // Tu con chi stai, io con chi mi metto? Non so proprio
rispondere neppure per me stesso.
Primo operaio // No, non è facile... però io sono parte di questa fabbrica che
cresce; e questo mi basta. Non soltanto mi basta ma anche mi convince. La città
edifica lei stessa la sua chiesa, si alza verso il cielo e usa la nostra fatica
e la nostra arte per farlo. Mi ha preso e trascinato nel febbrile formicaio
della sua officina. …
“Fiore della fede”
E’ la mia voce ora che ascoltate,
sono Santa Maria del Fiore.
Mi volle la città fervente
alta sopra di sé,
sopra qualsiasi altra
delle sue grandi basiliche
e le sue umili parrocchie
e Santa Reparata che custodisco in me.
Grande mi concepirono i mercanti
e il popolo minuto.
Ebbero di me una visione grande
Arnolfo, Giotto, ser Filippo,
assistettero alla mia nascita, essi,
propiziarono la mia crescita,
un popolo di artefici si adoperò per me nei secoli,
l’Opificio è ancora aperto;
non sarò mai compiuta.
Si tenevano fra le mie mura nascenti
i dialoghi che avete ora ascoltato,
non erano neanch’essi profani,
mi alzavo sopra la città per opera della pietà comune
e di spicciola pazienza.
e rivissuta, vivente architettura.
IV Escursione
“Il viaggio di Simone Martini” e le origini senesi
Escursione: facile, 3 ore, 8 km
La
camminata è dedicata al ricordo delle origini senesi del poeta, origini
rivendicate con orgoglio. Il percorso si allontana dal centro cittadino per
salire sulla collina di Settignano e fermarsi alla piazza Desiderio da
Settignano, davanti al panorama di Firenze. Avremo con noi il libro di Luzi Viaggio terrestre e celeste di Simone
Martini per leggere i versi che esprimono la diffidenza dell’artista senese
che osserva Firenze dall’alto, durante il viaggio di ritorno da Avignone a
Siena: “È là, lei, la Gran Villa/ che
brulica e formicola/ di là dal fiume. Lo tenta/ e lo respinge,/ ostica …”. La
strada per arrivare a Settignano ci avvicina a ricordi dell’universo della
poesia: Parco di San Salvi e la reclusione di Dino Campana nel manicomio (ricordo
nel centenario della pubblicazione dei Canti Orfici); Ponte a Mensola e il
ricordo delle opere di Giovanni Boccaccio, Il
Decamerone e Il Ninfale Fiesolano; via
della Capponcina, dove abitarono D’Annunzio e la Duse.
Percorso: viale interno del Parco di Salvi, via del Guarlone, Ponte
a Mensola, via della Capponcina, Piazza Desiderio da Settignano.
Da “Viaggio
terrestre e celeste di Simone Martini” (1994)
Si approssima Firenze.
Si aggrega la città.
S’addensano i suoi prima
rari sparpagliati borghi.
S’infittiscono
gli orti e i monasteri.
Lo attrae nel suo gomitolo,
ma è incerto
se sfidarne il labirinto
o tenersi alla proda, non varcare il ponte.
Il seguito è sfinito. Il sono e il caldo
ne annientano il
respiro.
È là, lei, la Gran Villa
che brulica e formicola.
Di là dal fiume. Lo tenta
e lo respinge,
ostica, non sa
bene in che cosa, ma ostica
eppure seducente,
vivida. In molti lo conoscono,
alcuni tra i Maestri
pregiano la sua arte,
ma lui teme la loro,
evita il paragone,
non desidera il confronto…
Ah Firenze, Firenze. Sonnecchiano
intontiti i viaggiatori nella sosta.
Meglio rimettersi in cammino,
prendere la via di Siena, immantinente.
V Escursione
L’incontro
con i compagni della giovinezza nel sentiero lungo gli argini del Bisenzio.
Escursione:
facile, 5 ore, km 12
Percorso di una giornata dedicato
a rievocare il paesaggio della poesia “Presso
il Bisenzio”, il fiume che attraversa la città di Prato, la pianura
industriale pratese e fiorentina e si getta nell’Arno all’altezza di Signa,
circondato da capannoni delle lavorazioni tessili, dalle quali si dipartono
gore con i residui delle conce. Sugli argini del fiume, in una giornata
nebbiosa, il poeta incontra i compagni della prima gioventù, che hanno avuto un
destino ben diverso dal suo.
Percorso:
stazione di Calenzano, Capalle, Campi Bisenzio, San Mauro, Signa.
Il fiume Bisenzio
Presso il Bisenzio (Da Magma 1965)
La nebbia ghiacciata affumica la gora della concia
e il viottolo che segue la proda. Ne escono quattro
non so se visti o non mai visti prima,
pigri nell'andatura, pigri anche nel fermarsi fronte a fronte.
Uno, il più lavorato da smanie e il più indolente,
mi si fa incontro, mi dice: «Tu? Non sei dei nostri.
Non ti sei bruciato come noi al fuoco della lotta
quando divampava e ardevano nel rogo bene e male».
Lo fisso senza dar risposta nei suoi occhi vizzi, deboli,
e colgo mentre guizza lungo il labbro di sotto
[un'inquietudine.
«Ci fu solo un tempo per redimersi» qui il tremito
si torce in tic convulso «o perdersi, e fu quello.»
Gli altri costretti a una sosta impreveduta
dànno segni di fastidio, ma non fiatano,
muovono i piedi in cadenza contro il freddo
e masticano gomma guardando me o nessuno.
«Dunque sei muto?» imprecano le labbra tormentate
mentre lui si fa sotto e retrocede
frenetico, più volte, finché‚ è là
fermo, addossato a un palo, che mi guarda
tra ironico e furente. E aspetta. Il luogo,
quel poco ch'è visibile, è deserto;
la nebbia stringe dappresso le persone
e non lascia apparire che la terra fradicia dell'argine
e il cigaro, la pianta grassa dei fossati che stilla muco.
E io: «E' difficile spiegarti. Ma sappi che il cammino
per me era più lungo che per voi
e passava da altre parti». «Quali parti?»
Come io non vado avanti,
mi fissa a lungo ed aspetta. «Quali parti?»
I compagni, uno si dondola, uno molleggia il corpo sui
[garetti
e tutti masticano gomma e mi guardano, me oppure il [vuoto.
«E' difficile, difficile spiegarti.»
C'è silenzio a lungo,
mentre tutto è fermo,
mentre l'acqua della gora fruscia.
Poi mi lasciano lì e io li seguo a distanza.
Ma uno d'essi, il più giovane, mi pare, e il più malcerto,
si fa da un lato, s'attarda sul ciglio erboso ad aspettarmi
mentre seguo lento loro inghiottiti dalla nebbia. A un [passo
ormai, ma senza ch'io mi fermi, ci guardiamo,
poi abbassando gli occhi lui ha un sorriso da infermo.
«O Mario» dice e mi si mette al fianco
per quella strada che non è una strada
ma una traccia tortuosa che si perde nel fango
«guardati, guardati d'attorno. Mentre pensi
e accordi le sfere d'orologio della mente
sul moto dei pianeti per un presente eterno
che non è il nostro, che non è qui né ora,
volgiti e guarda il mondo come è divenuto,
poni mente a che cosa questo tempo ti richiede,
non la profondità, né l'ardimento,
ma la ripetizione di parole,
la mimesi senza perché né come
dei gesti in cui si sfrena la nostra moltitudine
morsa dalla tarantola della vita, e basta.
Tu dici di puntare alto, di là dalle apparenze,
e non senti che è troppo. Troppo, intendo,
per noi che siamo dopo tutto i tuoi compagni,
giovani ma logorati dalla lotta e più che dalla lotta, dalla
[sua mancanza umiliante.»
Ascolto insieme i passi nella nebbia dei compagni che si
[eclissano
e questa voce venire a strappi rotta da un ansito.
Rispondo: «Lavoro anche per voi, per amor vostro».
Lui tace per un po' quasi a ricever questa pietra in cambio
del sacco doloroso vuotato ai miei piedi e spanto.
E come io non dico altro, lui di nuovo: «O Mario,
com'è triste essere ostili, dirti che rifiutiamo la salvezza,
né mangiamo del cibo che ci porgi, dirti che ci offende».
Lascio placarsi a poco a poco il suo respiro mozzato [dall'affanno
mentre i passi dei compagni si spengono
e solo l'acqua della gora fruscia di quando in quando.
«E' triste, ma è il nostro destino: convivere in uno stesso
[tempo e luogo
e farci guerra per amore. Intendo la tua angoscia,
ma sono io che pago tutto il debito. E ho accettato questa [sorte.»
E lui, ora smarrito ed indignato: «Tu" tu solamente"».
Ma poi desiste dallo sfogo, mi stringe la mano con le sue
[convulse
e agita il capo: «O Mario, ma è terribile, è terribile tu non [sia dei nostri».
E piange, e anche io piangerei
se non fosse che devo mostrarmi uomo a lui che pochi ne [ha veduti.
Poi corre via succhiato dalla nebbia del viottolo.
Rimango a misurare il poco detto,
il molto udito, mentre l'acqua della gora fruscia,
mentre ronzano fili alti nella nebbia sopra pali e antenne.
«Non potrai giudicare di questi anni vissuti a cuore duro,
mi dico, potranno altri in un tempo diverso.
Prega che la loro anima sia spoglia
e la loro pietà sia più perfetta.»
Da “Il
silenzio, la voce” (1984)
“Il cosmo umano ha anch’esso la sua lingua silenziosa,
così come la parola è carica di tutti i passaggi della sofferenza che vi si
sono impressi, e la voce sempre un po’ trafelata dal mare ininterrotto del
mutamento, del divenire, della storia. Il silenzio è gremito di parole taciute
o tacitate o represse o obliterate. …
E poi c’è la
voce umile o sperduta di coloro che l’hanno usata per provocare la tua, che
hanno interrogato perché tu rispondessi. La voce del poeta si coniuga con
quelle voci, s’inserisce o stride in quel concento. In tutte le sue forme
implicite ed esplicite il linguaggio della poesia diventa dialogo.”
Monte Senario
VI Escursione
La salita al Monte Senario, la fuga dei monti fino
all’Amiata, il silenzio del bosco e la voce della poesia. “Il Sentiero di
Andrea”.
Escursione: media-facile, km 14, 6 ore
La meta è Monte
Senario, da dove lo sguardo, in una giornata serena, spazia, da una parte, sui
monti dell’Appennino, dall’altra, a sud sulle colline del Chianti, con il
profilo dell’Amiata sullo sfondo. È l’occasione per ricordare pagine di Mario
Luzi dedicate alla terra di Siena e alla Val d’Orcia. Scendendo dal Monte
Senario, percorriamo il “Sentiero di Andrea”, un percorso ad anello realizzato
in ricordo di un giovane operaio forestale morto in un incidente, che ci porta
nel profondo del bosco, in luoghi pieni di silenzio.
Percorso: Stazione di Vaglia, Signano, Sommavilla, Sorbo, Poggio
agli Uccellini, Bivigliano, Montesenario, Piazzale della Croce, Sentiero di
Andrea, Bivigliano, Stazione di Vaglia
Da “Sotto specie umana”
(1999)
Vanno ai monti i monti
da soli o con le nubi
sulla cresta o ai fianchi,
si uniscono, si salgono sulla groppa,
si celano l’un l’altro,
si confondono
terra in cielo,
cielo in rupi d’aria e nuvole,
cammini non sappiamo se per uomini o per numi
ne varcano la mutevole frontiera
a scendere e discendere
è il loro moto
tra roccia e terra di pianoro
aperto, senza riparo
dalle origini alle origini…
Da “Su
fondamenti invisibili”, 1971
La
strada tortuosa che da Siena conduce all’Orcia,
traverso
il mare mosso
di
crete dilavate
che
mettono di marzo una peluria verde
è
una strada fuori del tempo, una strada aperta
e punta
con le sue giravolte al cuore dell’enigma…
Indice
I escursione
A
Castello, il paese delle origini e del ritorno
II Escursione.
L’incontro
con il fiume. Bellariva
III Escursione
La
Cupola del Brunelleschi, fiore nostro
fiorisci ancora
IV Escursione
“Il viaggio di Simone Martini” e le origini senesi
V
Escursione
L’incontro
con i compagni della giovinezza nel sentiero lungo gli argini del Bisenzio.
VI Escursione
La
salita al Monte Senario, la fuga dei monti fino all’Amiata, il silenzio del bosco
e la voce della poesia. “Il Sentiero di Andrea”.