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Mercoledì 3 novembre una bella passeggiata sull’Appennino tra la Toscana e la Romagna, ci ha portato a scoprire, con un gruppo di amici e il mio cane Gilda, i luoghi e il sentiero del celebre incontro che avvenne nel 1916 fra la scrittrice Sibilla Aleramo e il poeta Dino Campana.
Nel ricordo di quell’avvenimento, siamo saliti da Scarperia, antico Borgo del Mugello, al passo del Giogo per scendere poco dopo al Barco dove la mattina di giovedì 3 agosto 1916 Sibilla Aleramo scese dal postale per incontrare il poeta di Marradi.
Fra Dino e Sibilla vi era stato uno scambio di lettere, fra queste troviamola poesia della scrittrice:
Chiudo il tuo libro,
snodo le mie trecce,
o cuor selvaggio,
musico cuore…
con la tua vita intera
sei nei miei canti
come un addio a me.
Smarrivamo gli occhi negli stessi cieli,
meravigliati e violenti con stesso ritmo andavamo,
liberi singhiozzando, senza mai vederci,
né mai saperci, con notturni occhi.
Or nei tuoi canti
la tua vita intera
è come un addio a me.
Cuor selvaggio,
musico cuore,
chiudo il tuo libro,
le mie trecce snodo.
Dopo tre giorni passati al Barco, il successivo incontro fu venti giorni dopo a Casetta di Tiara, un paese sperduto nei boschi oltre Moscheta e la vicina Valle dell’Inferno (un’aspra gola incastrata fra i monti, attraversata dal torrente Veccione), un soggiorno che vede la coppia alla scoperta dei luoghi immersi fra i castagni.
Nella recente passeggiata del 3 novembre, siamo arrivati con l’auto fino alla Badia di Moscheta, passando vicino all’imponente struttura costruita recentemente come presa d’aria per il lunghissimo tratto di galleria ferroviaria, che in tempi recenti è stata realizzato sulla linea direttissima Firenze – Bologna.
La Badia di Moscheta è del secolo XI. Sopra il portone d’ingresso risalta l’insegna in pietra della Badia, con l’immagine di San Pietro, patrono del Monastero, la quercia e l’istrice come simbolo della solitudine e del silenzio che circonda l’edificio. Fatti pochi passi siamo arrivati al punto di accesso alla Valle dell’Inferno, in località il Mulino, dove è presente un piccolo edificio, abitato alcuni anni orsono dal poeta – ed amico - Ivo Morini che ha dedicato molto del suo impegno al ricordo di Dino Campana. Una sua poesia descrive bene il paesaggio selvaggio (si veda: Ivo Morini, Il monte della quercia dolce, Pacini Editore 2006):
La Valle è di pietra
La roccia incombe
la serpe striscia
e grotte scavate dall’acqua
e vette spazzate al vento.
La Valle è di pietra.
Alta di massi
la rupe sgretola
se viene l’estate
esplode colori
La Valle fiorisce. …
Un sentiero a mezza costa fra il torrente Veccione (dove è tornata, felicemente, a scorrere l’acqua dopo gli imponenti lavori nel sottosuolo per la costruzione della galleria ferroviaria, che avevano portato al prosciugamento del torrente) e la cima dei monti, fra secolari piante di castagni, in un serpeggiare della valle, porta a Casetta di Tiara, all’incontro con le memorie dei due famosi personaggi.
Il mio cane, Gilda, è stato il protagonista della passeggiata, che felice si è lanciato in un perenne andirivieni fra le acque del torrente, in basso, e il sentiero davanti a noi, comparendo e scomparendo nella vegetazione. Il pensiero è andato, naturalmente, alla presenza in questi luoghi di Sibilla e di Dino nel mese di settembre del 1916, all’immagine della copertina del libro che li ritrae durante una passeggiata, con un magnifico cane, in posa, davanti a loro, che, si dà il caso, rassomiglia a Gilda.
In questo tratto la passeggiata è di grande suggestione, come si puo' vedere dalle foto, in un ambiente isolato dal mondo, invaso dal silenzio, mitigato dal lontano scorrere delle acque del torrente e dal fruscio del vento fra le foglie dei castagni, luminose, accese di rosso fuoco, in questa stagione autunnale.
In questi luoghi, ci piace ricordare, abbiamo ambientato la prima parte del nostro poemetto L’invasione degli storni, Edizioni Gazebo, 2012, che riporta, appunto, il titolo Valle dell’Inferno. Prendiamo due, fra le prime strofe del poemetto:
L’occhio del campanile
di Casetta di Tiara si affaccia
sopra i miasmi della valle.
La macchina cattura immagini
a misura dell’occhio digitale.
Il treno attraversa la galleria
nel pulsare delle vene d’acqua,
tremano le radici del bosco.
Il cervo scappa spaventato
sul fianco la ferita di uno sparo.
L’acqua canta tra il muschio
dei massi, si scompone in rapide
correnti, si ricompone in pozze
sommerse da morti rami.
Nella radura Gabriella, coronata
di luce, mostra la strada
che dalla valle sale a spirale
per i fianchi della montagna.
Sopra la cima dei castagni
la vertigine delle rocce,
colonne aeree di una cattedrale
aperta sul candeggiare del cielo.
“Mi perdo in questi boschi
- le parole di Dino - ritrovo
il centro di me stesso tra i fumi
della Follia. Casetta di Tiara
oltre i fianchi della valle,
approdo per l’incendio d’amore.”
Le rocce parlano dell’essere
le acque giocano con l’apparire.
Le piene dell’inverno trascinano
pupazzi bianchi caduti dal cielo.
Sulle camicie ricamate, Libertà
Uguaglianza Fraternità
si disfano, approdano sui massi.
Immagini di pietra alle pareti,
ideologie sedimentate:
ora il volo libero del gabbiano
ora colonne fino alle guglie
della cattedrale attraversate
da oriente a occidente
da armenti ricamati di nuvole,
guidati dal fantasma della Ragione.
Dino Campana: In un momento.
In un momento
Sono sfiorite le rose
I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano le nostre rose
Le mie rose le sue rose
P. S. E così dimenticammo le rose.
***
Dino Campana: L’invetriata (Canti Orfici)
La sera fumosa d’estate
Dall’alta invetriata mesce chiarori nell’ombra
E mi lascia nel cuore un suggello ardente.
Ma chi ha (sul terrazzo sul fiume si accende una lampada) chi ha
A la Madonnina del Ponte chi è chi è che ha acceso la lampada?
Nella stanza un odor di putredine: c’è
Nella stanza una piaga rossa languente.
Le stelle sono bottoni di madreperla e la sera si veste di velluto:
E tremola la sera fatua: è fatua la sera e tremola ma c’è,
Nel cuore della sera c’è
Sempre una piaga rossa languente.
Mercoledì 3 novembre una bella passeggiata sull’Appennino tra la Toscana e la Romagna, ci ha portato a scoprire, con un gruppo di amici e il mio cane Gilda, i luoghi e il sentiero del celebre incontro che avvenne nel 1916 fra la scrittrice Sibilla Aleramo e il poeta Dino Campana.
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