venerdì 4 dicembre 2020

Dante e il "Canto degli aretini" - Bondelmonte all'origine degli odi e delle violenze - Literary 7 dicembre

 

Collegamento Literary 7 dicembre 

Dante e la sciagurata scelta di Buondelmonte


Le prescrizioni in tempo di pandemia per la zona rossa ci hanno costretto anche domenica 29 novembre, ad un incontro virtuale, in video conferenza, riguardo al percorso dedicato ai versi di Dante, scolpiti sulle lapidi presenti in alcune strade di Firenze. Speriamo in tempi prossimi, di vivere insieme, all’aria aperta queste esperienze, in parte a piedi e in parte in bicicletta. Raffaello, il nostro nocchiero, ci ha detto che la tappa progettata per questa domenica, con la partenza da piazza Piave, alla Torre della Zecca Vecchia, e la sosta davanti a sette targhe dantesche, è di sei chilometri e meriterà, al momento effettivo della realizzazione, fare affidamento sulla nostra flotta di mezzi a due ruote.



Ho visto dallo schermo che tutti gli amici del gruppo erano in forma, contenti di partecipare alla nuova avventura, impressionati ancora dal racconto fatto alla fine della precedente passeggiata, della tragica fuga di Corso Donati per le torri e per i tetti delle case del Sestiere di San Pier Maggiore. 


Si sono uniti a noi Hannah e Paul, due amici svedesi, che vivono nella zona di Gavinana e dalle loro proposte è nata l’idea di estendere il nostro percorso, passando per il ponte Ponte San Niccolò e per via di Ripoli, ad un luogo particolare della memoria, “il Canto degli Aretini”.


Hannah ci ha ricordato da persona curiosa delle vicende della città: “In via di Ripoli all’angolo con via Benedetto Accolti si trova il Canto degli Aretini, un piccolo spazio verde recintato da una ringhiera con una colonna posta al centro. Il nome fa riferimento alla sanguinosa battaglia di Campaldino del 1289 tra Guelfi, prevalentemente fiorentini, e Ghibellini, fazione dove erano schierati gli abitanti di Arezzo, i quali subirono una rovinosa sconfitta. I Guelfi vittoriosi trascinarono in catene migliaia di prigionieri a Firenze e chiesero il riscatto alle famiglie; chi non venne liberato morì in breve tempo nelle prigioni cittadine, per poi essere sepolto a lato di via Ripoli. Sembra che i capitani fiorentini acconsentirono alla sepoltura in quel punto a patto che gli aretini sconfitti continuassero a prendersi cura di quel lembo di terra, che da allora fa parte del comune di Arezzo. La colonna venne posta nel 1921 per volontà del comune di Arezzo e sul piedistallo furono incise le parole: “Sulla via lungo la quale l’oste/ Guelfa fiorentina moveva le insegne/ per andare in terra di nemici questo/ cosiddetto “cantone di Arezzo” che/ è del comune Ghibellino proprietà/ d’ignota secolare origine riceveva/ dal verso immortale del poeta combattente/ in Campaldino memoria degli infausti/ odii da città a città oggi/ nell’italiana concorde potenza/ aboliti per sempre.” Il poeta combattente rammentato nello scritto altri non è che Dante Alighieri, che prese parte alla battaglia di Campaldino, in prima fila, tra i feditori a cavallo. “


Io vidi già cavalier muover campo,

e cominciare stormo e far lor mostra,

e talvolta partir per loro scampo;

corridor vidi per la terra vostra,

o Aretini, e vidi gir gualdane,

fedir torneamenti e correr giostra”

Inf. XXII, 1-6




È prevista successivamente la tappa nel rione di San Niccolò, ai piedi della scalinata che conduce alla Chiesa di San Miniato. Il percorso è di notevole fascino paesaggistico e si svolge per la pista ciclabile che costeggia l’Arno, in riva sinistra. Odraccir e Paul, ingegnere, amante della natura, a questo punto sono intervenuti, in uno stretto confronto, sull’importanza del fiume – un fiumicel che nasce in Falterona - per la città di Firenze, nelle varie epoche, specie per i tempi in cui visse Dante: “Gli abitanti delle colline erano scesi a popolare la città richiamati anche dai vantaggi del fiume – ha detto Paul - dove sorsero via via i mulini ad acqua per macinare il sale, segare il legno, spremere le olive e follare i panni. Il fiume dava energia ai conciatori (da qui gli attuali nomi di via delle Conce e di via dei Conciatori), ai pellicciai (le pelli giungevano via mare dal Mar Nero). Lavoravano sul fiume i cordai, i renaioli. Furono costruite le prime pescaie che frenavano la corrente, conservando acqua per i lavori sul fiume.” Odraccir ha ripreso: “Importante la navigazione sull’Arno, fino a Pisa e al mare. Alla fine del XII secolo fu costituita la Corporazione dei Navaioli d’Arno.” 



Siamo così arrivati al rione di San Niccolò e in via San Salvatore al Monte, abbiamo incontrato la lapide, ai piedi della scalinata che oggi porta al viale dei Colli e poi alla Chiesa di San Miniato:


… per salire al monte

Dove siede la chiesa che soggioga

La ben guidata sopra Rubaconte

Si rompe del montar l’ardita foga

Per le scalee che si fero ad etade

Ch’era sicuro il quaderno e la doga;

Purg. XII, 100-105


Questi versi ricordano che, sopra il Ponte alle Grazie (già Ponte Rubaconte), il sentiero sale con grande pendenza (ardita foga) verso la collina dove è posta la Chiesa di San Miniato e che la salita è facilitata dalle scale costruite in tempi in cui non si falsificavano i registri e le misure (come invece accadeva ai tempi di Dante). “La Chiesa di San Miniato, oggi Basilica, è il vertice dello stile romanico fiorentino assieme al Battistero di San Giovanni - ci ha ricordato Ariam Aizitel – e sul mons florentinus le prime comunità cristiane scavarono le loro catacombe. Fu costruita nell’anno 1018 come basilica benedettina nel luogo dove era un’antica cappella dedicata a Miniato, primo martire cristiano.” Su consiglio di Elisa, abbiamo previsto di entrare nel vicino parco comunale “Giardino delle Rose” e di salire in alto dove vi sono le statue di Folon e si apre un’ampia, splendida vista su Firenze. Ha mostrato da un libro della sua biblioteca, l’immagine del primo panorama di Firenze ripreso da un dipinto ai piedi della “Madonna della Misericordia” (1342) nel Museo del Bigallo. “Le case sono strette le une alle altre, si estendono in altezza, molte con la forma della casa-torre. Al centro vi è il Battistero, la Badia con il campanile poligonale. Gli edifici più conosciuti sono in costruzione, come il Duomo, il campanile di Giotto, la chiesa di Santa Croce. La città era tutto un cantiere, il cantiere più grande della sua storia! In questo contesto urbano, civile deve essere considerata la figura di Dante.”



Da San Niccolò è immediato recuperare il percorso che costeggia l’Arno in riva sinistra e incontrare il Ponte alle Grazie, il “ponte di Rubaconte”, dal nome del podestà che lo fece costruire nel 1237.

La tappa successiva al Ponte Vecchio, il più antico della città, l’unico di epoca medievale sopravvissuto alle distruzioni dell’ultima guerra. Il ponte ospitava case e botteghe affittate a beccai (macellai) e verdurai dall’Arte della Lana, che ne deteneva l’amministrazione. Ai piedi del ponte, in riva destra, all’angolo con Piazza del Pesce, la lapide:


conveniesi a quella pietra scema

che guarda il ponte, che Fiorenza fesse

vittima nella sua pace postrema.

Par. XVI, 145-147


Renato ci ha detto che era felice a questo punto perché incontra finalmente il personaggio di Cacciaguida e i canti nei quali l’avo di Dante è protagonista, dei quali ha fatto più volte letture pubbliche in occasione di lecturae Dantis. L’amica Ariam Aizitel ha illustrato i versi della targa: “Cacciaguida spiega l’origine delle discordie e delle fazioni in Firenze. Il giovane cavaliere Buondelmonte della nobile famiglia dei Buondelmonti, per porre fine a una controversia, si impegna a sposare una giovane della famiglia degli Amidei. Il giorno convenuto per le nozze però non si fa trovare: è stato convinto da Aldrada de’ Donati a chiedere in sposa la figlia. L’offesa fu enorme: nel giorno di Pasqua del 1216 Buondelmonte, mentre si reca con la sposa in piazza del Duomo, fu ucciso dai congiurati delle famiglie degli Amidei, degli Uberti e dei Lamberti. La vendetta personale si allarga a contesa civile, alla formazione delle fazioni dei Guelfi e dei Ghibellini.”



Hannah e Paul, attori dilettanti in gioventù, hanno improvvisato una scenetta, ispirandosi a quanto riferisce Dino Compagni nella sua “Cronica”.

Chi hai tu tolta per moglie” – chiede Hannah, nelle vesti di Aldrada, dal balcone del suo palazzo, a Buondelmonte in basso, a cavallo, nella via; e mostrando la bellissima figlia – Io ti serbavo questa!” 


Non posso altro ormai”, risponde Paul, nei panni di Buondelmonte. “Sì, puoi, che la pena pagherò io per te.” “E io la voglio”, risponde Paul/Buondelmonte. “E tolsela per moglie, lasciando quella che avea tolta e giurato, ci dice Dino Compagni.” Decisione che fu l’antefatto di una vera e propria tragedia con effetti dolorosi nei decenni successivi.

Il nostro percorso è proseguito alla ricerca ancora delle testimonianze legate alla figura di Buondelmonte. Dal Lungarno Acciaiuoli siamo entrati per un piccolissimo vicolo, nella suggestiva piazza del Limbo: “La piazza prima dell'anno Mille – ha detto Odraccir - era ancora situata al di fuori della cerchia romana delle mura cittadine, che passavano a pochissima distanza e solo con le nuove fortificazioni di epoca carolingia (X secolo) fu inclusa come tutto il triangolo di terra fino all'Arno. Il toponimo prende il suo nome dal cimitero degli infanti morti prima di aver ricevuto il battesimo, per questo destinati a popolare con le loro anime il Limbo nel mondo ultraterreno. Sulla piazza si affaccia la chiesa di Santi Apostoli, una delle chiese fiorentine che maggiormente ha mantenuto un aspetto altomedievale al suo interno.” Nel vicino Borgo Sant’Apostoli, sulla Torre dei Baldovinetti, la targa:


Già eran Gualterotti e Importuni;

e ancor saria Borgo più quieto,

se di nuovi vicin fosser digiuni.

Par. XVI, 133-135


Il borgo sarebbe rimasto, dunque, un luogo tranquillo se non fossero arrivate famiglie che hanno portato discordia e scontri feroci.

Nelle vicinanze, sempre in Borgo Sant’Apostoli, una lapide piena di significato:


O Buondelmonte, quanto mal fuggisti Dio

le nozze sue per altrui conforti!

Molti sarebber lieti, che son tristi,

se Dio t’avesse conceduto ad Ema

la prima volta ch’a città venisti.

Par. XVI, 140-144


Meglio per tutti sarebbe stato – così Hannah ha illustrato questo passaggio del Canto - se Buondelmonte fosse morto, affogato nel fiume Ema, invece di venire a risiedere a Firenze, dove era destino che avrebbe dovuto essere causa di tutte le discordie.”

Da questa strada si arriva in via Por Santa Maria dove si leggono questi versi incisi nella lapide sui resti della torre della famiglia degli Amidei.


La casa di che nacque il vostro fleto,

per lo giusto disdegno che v’ha morti,

e posto fine al vostro viver lieto,

era onorata essa e’ suoi consorti

Par. XVI, 136-139


Fleto è il” pianto”, il dolore dei Fiorentini per gli odi, le discordie e le violenze conseguenti all’offesa (giusto disdegno) compiuta da Buondelmonti nei confronti degli Amidei. 


Ci è parso infine naturale l’invito di Elisa, al termine del nostro progetto di escursione, di attraversare Piazza della Signoria, entrare in Palazzo vecchio, nel primo cortile e leggere insieme i bellissimi versi dell’avo di Dante, scolpiti nella lapide sotto il porticato a destra, che chiudono il Canto XVII del Paradiso: “Evocano – ha detto Elisa – un’immagine della antica Firenze pacifica e gloriosa, che richiama subito per contrasto l’attuale condizione della città.”


Vid’io Fiorenza in sì fatto riposo,

che non avea cagione onde piangesse;

con queste genti vid’io glorioso

e giusto il popol suo, tanto che il giglio

non era ad asta mai posto a ritroso,

né per division fatto vermiglio.

Par. XVI, 149-154


Riguardo agli ultimi versi – ha commentato Paul, esperto di armi – alla fine della battaglia, in segno di irrisione, i vincitori trascinavano sul campo l’asta con l’insegna dei vinti rovesciandola; ciò non era mai successo al giglio, insegna di Firenze. L’insegna originale di Firenze, ai tempi di Cacciaguida era costituita da un giglio bianco in campo rosso. I colori si invertirono successivamente, in conseguenza delle lotte intestine fra guelfi e ghibellini.” 


Prima di salutarci dal video, guidati da Renato abbiamo letto ad alta voce questi versi e ci è sembrato che il suono invadesse il cortile di Palazzo Vecchio e si alzasse in alto fino alla Torre di Arnolfo e a sfiorare la gloriosa insegna del Marzocco.



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