Recensione di Gian Piero
Stefanoni
Pubblicata il primo marzo 2019 da
LaRecherche
“Ci eravamo lasciati dopo la
lettura de La vita fa rumore (gennaio 2019) parlando a proposito della poesia
di Roberto Mosi di una scrittura fortemente caratterizzata da un' incisione
critica ed etica del reale, da un racconto bruciante nelle dolenze e nelle
rivendicazioni del presente. Ed è ciò che a distanza di tre anni ritroviamo in
queste pagine, il dettato adesso arricchito però da una grazia prima appena
sottesa, appena evocata, a dimostrazione allora di una scrittura mai arenata in
se stessa. Una grazia data nell'espressione di un verso che trae forza da sé,
nella fiducia che risale dall'apprendere, dal saper osservare- e ascoltare-
nella rimessa in moto dei mondi entro una attualizzazione sempre nuova della
bellezza ora per partecipata storia ora per edificata memoria. Siamo pertanto
d'accordo con Ladolfi quando nella prefazione, a proposito di un andare a
riscoprire i luoghi in cui si è vissuti (Firenze) dal fondo delle sue radici e
delle sue sofferenze, Mosi compie un'operazione che va a sottrarre "al
tempo la sua azione devastante" ricucendone piuttosto nella contemplazione
e nello stupore prossimità e risonanze.
L'occasione come sempre però è data
dalla vita stessa, dal suo procedere per rinascite tra le maglie delle sue
direzioni, delle sue annunciazioni, qui nel volto di nozze della figlia o della
amata nipotina Marta.. È come se, nel passaggio e nel nutrimento di vita che
queste occasioni consentono, la poesia lo consegnasse entro uno sguardo e uno
spazio finalmente sollevato e perciò grato in quel ritorno di sostanza che
viene dall'amore. La gratitudine dunque è il primo frutto di questi versi a
conferma di quel risanamento cui la poesia comunque conduce (e a spiegare
insieme il perché del titolo, Erato secondo la mitologia classica la Musa del canto
orale e della poesia amorosa) nell'andamento chiaro- e caldo- di una parola
sempre accogliente, sempre funzionalmente aperta. E dunque condivisa nella
consapevolezza di una identità nell'intreccio con la vita degli altri, letizia
e pesi mai scissi da un costruire comune. Ecco allora nelle risonanze i
richiami obbligati non solo a una storia personale o a una Storia come detto
che viene dall'alto (la città dei Medici, lo splendore di un'arte e di un
pensiero che ancora ci interrogano) ma anche alle cadute e alle mancanze di chi
della storia non riesce a tenere il passo. Ed è questo certamente uno dei punti
di forza del suo dettato nella costanza del mantener "fermo il timone/ sul
mare aperto". Timone che ha il suo senso nel saggiare così la consistenza
del presente e che nel finale si fa monito nella lettera cui proverà sciogliere
alla piccola Marta motivi e incanti del dire poetico. La poesia infatti,
ribadisce, ha autenticità nel timbro se sa guardare al vero della vita,
"ai tempi prossimi che stanno per arrivare" facendosi strumento
contro l'opacità dell'epoca. Una affettuosa- e sapiente- lezione questa che
riguarda tutti noi.”
ALLEGATO
Dal libro Eratoterapia: Lettera
dell’autore alla Nipote Marta, sulla poesia
“Per Marta
Cara
Marta,
ti scrivo questa lettera nel
momento in cui cominci a comporre i primi versi.
Credo che sia possibile curarsi
con la poesia, per vincere le paure, stati di sofferenza, per stringere
sogni che passano in volo, per
divertirsi. La voce della poesia arriva dal dentro, potente nelle ore della
notte, debole e distratta il
giorno. Porta sollievo, se non guarigione, dolcezza di ricordi, sapori tenui di
malinconia.
Fai in modo che il tuo comporre
sia una voce essenziale, senza fronzoli, che navighi in mezzo al vero
della vita, giocando, a volte, se
credi, con i riflessi che brillano dagli
specchi del mito. Nella ricerca dei
toni della voce, fatti guidare
dall’equilibrio, lontano da accenti eccessivi o sbiaditi, tieni la barra del
timone sul quadrante della leggerezza, la vela aperta sui venti che spirano dal
mondo degli affetti, dell’emozione, dell’amore.
La voce
risuoni di un
timbro autentico, non oscuro, lascia passare lontano la
nostalgia del passato, indossa, se credi, a volte, la giubba del giullare pronto
a sorprendere, a sorridere con gli altri, lontano dalla solitudine. Evita, poi,
i cascami ammuffiti delle vecchie stagioni della poesia, che hanno fatto
il loro tempo.
Prendi, dunque, con presa leggera
la mano della poesia e cammina con lei oltre il presente, lancia lo
sguardo, con quello che di bello
e sensibile c’è in te, ai tempi prossimi che stanno per arrivare, saggia la
loro consistenza, crea percorsi
coinvolgenti per te e per gli altri.
I tesori di Erato, della poesia,
possono essere la tua medicina, garantirti la salute, salvarti dalle sfere
opache della nostra epoca,
distillare per te gocce di felicità.
Felici
poesie,
Nonno
Roberto”
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