IL RITORNO
di
Annamaria Volpini
L’Asmara, domenica 29 novembre 1942
Sono su un
treno, tengo stretta la mano della mamma. In alcuni punti la ferrovia costeggia
le montagne ma dall’altra parte ci sono profondi burroni. Non posso guardare
dal finestrino, ho paura.
La Seconda
guerra mondiale è iniziata e in Eritrea, la nostra colonia africana, gli
italiani hanno perso: gli inglesi vincitori, adesso decidono della nostra
sorte. Su questo treno ci sono centinaia di profughi, intere famiglie che
vengono rimpatriate in Italia.
Sono partita
con la mamma, la tata, i miei due fratelli: Luciano il maggiore, Mario, mio
fratello piccolo di tre anni, sei valigie e un baule. Abbiamo dovuto lasciare
la casa dove abbiamo abitato per quasi cinque anni: e perso tutto. Il
babbo è rimasto prigioniero.
Al porto di
Massaua saliamo sulla Caio Duilio, una nave della Croce Rossa che viaggerà
sempre illuminata per non essere bombardata. La guerra non conosce ostacoli e
non tiene conto della vita di tanti civili innocenti. Non potendo attraversare
il canale di Suez perché è chiuso, facciamo la circumnavigazione
dell’Africa.
Scendiamo giù,
giù fino a Città del Capo, risaliamo lungo l’Oceano Atlantico e passiamo
attraverso lo stretto di Gibilterra per dirigerci verso le coste italiane. Il
viaggio durerà più di un mese e mezzo.
Siamo alloggiati
in due cabine con un piccolo oblò e quando il mare è agitato gli spruzzi
arrivano fin quassù: ho mal di mare, devo rimanere sdraiata nella cuccetta con
gli occhi chiusi. Le giornate sono lunghe da passare però possiamo passeggiare
sui ponti quando il tempo è bello, o stare nelle sale interne quando piove.
La mamma e la
tata sono molto brave a raccontarci le novelle, oppure ci fanno giocare e
disegnare perché abbiamo avuto in regalo album da disegno, quaderni, matite
colorate, penne, qualche libro.
Ci sono classi
per i bambini delle scuole elementari e le Crocerossine aiutano chi ha bisogno
e Luciano cerca in qualche modo di
studiare per non perdere l’anno scolastico, Mario gioca con me e con altri
bambini piccoli come lui.
Mi ricordo in
particolare di un terribile episodio che fece fermare la nave a Port Elizabeth,
vicino a Città del Capo. Il passaparola arriva dappertutto, anche se le
autorità fanno di tutto per tenerlo segreto: sulla nave hanno scoperto sei
soldati italiani clandestini che cercano di scappare dalle atrocità della
prigionia.
Nessuna pietà
per loro, li fanno sbarcare in fretta e furia. Questo fatto suscita molta
impressione e io lo scopro ascoltando i discorsi dei grandi.
Chi dice”
Poveri Cristi” e chi invece applaude l’efficienza della polizia inglese. In
seguito, saremmo venuti a sapere che erano stati portati in un campo di
concentramento in Sud Africa.
Il viaggio
prosegue verso l’Italia.
Alla fine di
dicembre festeggiamo il Santo Natale a bordo, andando alla Messa e a tutte le
cerimonie. I grandi provano a essere appena meno tristi e preoccupati per il
loro avvenire; noi bambini siamo contenti perché abbiamo avuto molti
regali. Anche il 6 gennaio c’è una grande festa, quella della Befana Fascista
perché anche qui tutto funziona secondo le regole del Regime e Mussolini è
sempre il nostro Duce.
Per l’Epifania
ci troviamo nel salone grande: c’è un gran brusio per l’eccitazione, ma appena
inizia la cerimonia cala il silenzio. Discorsi ufficiali inneggianti al regime e
canti della patria. Finiamo con la mano alzata per fare il notorio saluto. Una
persona incaricata da ciascuna famiglia sale sul palco dove le Crocerossine
distribuiscono pacchi dono: per i grandi ci sono vestiti pesanti, maglioni,
gomitoli di lana, coperte (siamo in pieno inverno e il clima africano è solo un
ricordo), per i bambini giocattoli e dolci.
Nel mio
pacchetto trovo caramelle, biscotti, cioccolata vera (non quella orribile
spalmabile) e un bambolotto di celluloide, con gli occhi celesti come i miei,
che muove le braccia e le gambe. Non avevo mai visto un giocattolo così e mi
diverto subito a mordicchiargli un piede. Mario ha avuto un carrettino di
legno. A Luciano hanno regalato libri.
Arriviamo a
Gibilterra. Attraversiamo il canale guidati da un rimorchiatore dragamine. Lo
stretto è minato. Le mine galleggiano in due lunghe e minacciose file nere.
Luciano mi
porta sul ponte sopra coperta, vicino al fumaiolo, ma ci nascondiamo accanto ad
un deposito di cordami perché il comandante non vuole che qualcuno stia fuori.
A sinistra riusciamo a scorgere le bocche dei cannoni che sporgono dalla rocca.
Io non capisco
molto, scambio le mine per palloncini e i cannoni per buchi neri nel
terreno. Lui mi
spiega tutto, come se le sue parole bastassero a farmi passare la paura.
Con l’ingresso
nel mar Mediterraneo cominciamo a sentire quanto la temperatura è cambiata e ci
accorgiamo che è davvero arrivato l’inverno.
Piove spesso,
tira vento, il mare è agitato e siamo costretti a stare nei saloni o in cabina.
La mamma, che
sa lavorare a maglia, confeziona per me un golfino giallo molto bellino e per
il mio bambolotto dei pantaloni e un minuscolo giacchetto. Ci sentiamo molto
eleganti.
Dopo un mese e
mezzo di navigazione il viaggio sta per terminare e a Brindisi sbarcano quanti
abitano in Italia meridionale, mentre noi sbarchiamo a Venezia in un giorno
freddissimo.
Per la prima
volta in vita mia vedo la neve. I fiocchi mi cadono addosso, mi entrano
dappertutto e se apro la bocca mi si sciolgono sulla lingua come gelato.
Saliamo su un
treno tutto illuminato, viaggiamo di notte e arriviamo a Firenze la mattina
dopo.
Zia Tina e zio
Guido accolgono a braccia aperte questa famiglia spaesata e confusa,
comprendono il nostro disagio e ci ospitano come possono.
La zia mi
porta da “Arbiter”, un elegante negozio fiorentino di abiti
confezionati, e mi compra una pelliccina di pelle di coniglio, degli stivaletti
di cuoio e un cappello di velluto nero.
Dopo una
settimana, ci accompagnano a Gambassi, un piccolo paese della Val d’Elsa, dai
miei nonni materni e qui per due anni ritroverò la guerra, vedrò cadere le
bombe, morire un carissimo amico, avrò fame, freddo e paura.
Mi
racconteranno le persecuzioni e le rappresaglie dei tedeschi ed altri
patimenti che subiscono le popolazioni inermi.
Anni dopo,
festeggerò con i paesani la fine della guerra, l’arrivo dei soldati americani,
e tutti gli altri eventi che porteranno alla nascita della Repubblica Italiana.
Ricordo gli
americani per il pane bianco a cassetta, le caramelle col buco, e la cioccolata
fondente, nerissima.
Dopo un mese e mezzo di navigazione il viaggio sta per terminare e a Brindisi sbarcano quanti abitano in Italia meridionale, mentre noi sbarchiamo a Venezia in un giorno freddissimo.
RispondiEliminaPer la prima volta in vita mia vedo la neve. I fiocchi mi cadono addosso, mi entrano dappertutto e se apro la bocca mi si sciolgono sulla lingua come gelato.