mercoledì 24 maggio 2023

"Il ritorno" di Anna Maria Volpini - Dalla prigionia in Eritrea, al viaggio nella nave ospedale, Massaua, Port Elizabeth, Gibilterra, Venezia - La scoperta della neve, a Venezia

 


IL RITORNO

di

Annamaria Volpini

 

 

L’Asmara, domenica 29 novembre 1942

 

  Sono su un treno, tengo stretta la mano della mamma. In alcuni punti la ferrovia costeggia le montagne ma dall’altra parte ci sono profondi burroni. Non posso guardare dal finestrino, ho paura.

  La Seconda guerra mondiale è iniziata e in Eritrea, la nostra colonia africana, gli italiani hanno perso: gli inglesi vincitori, adesso decidono della nostra sorte. Su questo treno ci sono centinaia di profughi, intere famiglie che vengono rimpatriate in Italia.

  Sono partita con la mamma, la tata, i miei due fratelli: Luciano il maggiore, Mario, mio fratello piccolo di tre anni, sei valigie e un baule. Abbiamo dovuto lasciare la casa dove abbiamo abitato per quasi cinque anni: e perso tutto. Il babbo è rimasto prigioniero.

  Al porto di Massaua saliamo sulla Caio Duilio, una nave della Croce Rossa che viaggerà sempre illuminata per non essere bombardata. La guerra non conosce ostacoli e non tiene conto della vita di tanti civili innocenti. Non potendo attraversare il canale di Suez perché è chiuso, facciamo la circumnavigazione dell’Africa.

  Scendiamo giù, giù fino a Città del Capo, risaliamo lungo l’Oceano Atlantico e passiamo attraverso lo stretto di Gibilterra per dirigerci verso le coste italiane. Il viaggio durerà più di un mese e mezzo.

  Siamo alloggiati in due cabine con un piccolo oblò e quando il mare è agitato gli spruzzi arrivano fin quassù: ho mal di mare, devo rimanere sdraiata nella cuccetta con gli occhi chiusi. Le giornate sono lunghe da passare però possiamo passeggiare sui ponti quando il tempo è bello, o stare nelle sale interne quando piove.

  La mamma e la tata sono molto brave a raccontarci le novelle, oppure ci fanno giocare e disegnare perché abbiamo avuto in regalo album da disegno, quaderni, matite colorate, penne, qualche libro.

  Ci sono classi per i bambini delle scuole elementari e le Crocerossine aiutano chi ha bisogno e   Luciano cerca in qualche modo di studiare per non perdere l’anno scolastico, Mario gioca con me e con altri bambini piccoli come lui.

  Mi ricordo in particolare di un terribile episodio che fece fermare la nave a Port Elizabeth, vicino a Città del Capo. Il passaparola arriva dappertutto, anche se le autorità fanno di tutto per tenerlo segreto: sulla nave hanno scoperto sei soldati italiani clandestini che cercano di scappare dalle atrocità della prigionia.



  Nessuna pietà per loro, li fanno sbarcare in fretta e furia. Questo fatto suscita molta impressione e io lo scopro ascoltando i discorsi dei grandi.

  Chi dice” Poveri Cristi” e chi invece applaude l’efficienza della polizia inglese. In seguito, saremmo venuti a sapere che erano stati portati in un campo di concentramento in Sud Africa.

  Il viaggio prosegue verso l’Italia.

  Alla fine di dicembre festeggiamo il Santo Natale a bordo, andando alla Messa e a tutte le cerimonie. I grandi provano a essere appena meno tristi e preoccupati per il loro avvenire; noi bambini siamo contenti perché abbiamo avuto molti regali. Anche il 6 gennaio c’è una grande festa, quella della Befana Fascista perché anche qui tutto funziona secondo le regole del Regime e Mussolini è sempre il nostro Duce.

  Per l’Epifania ci troviamo nel salone grande: c’è un gran brusio per l’eccitazione, ma appena inizia la cerimonia cala il silenzio. Discorsi ufficiali inneggianti al regime e canti della patria. Finiamo con la mano alzata per fare il notorio saluto. Una persona incaricata da ciascuna famiglia sale sul palco dove le Crocerossine distribuiscono pacchi dono: per i grandi ci sono vestiti pesanti, maglioni, gomitoli di lana, coperte (siamo in pieno inverno e il clima africano è solo un ricordo), per i bambini giocattoli e dolci.

 

  Nel mio pacchetto trovo caramelle, biscotti, cioccolata vera (non quella orribile spalmabile) e un bambolotto di celluloide, con gli occhi celesti come i miei, che muove le braccia e le gambe. Non avevo mai visto un giocattolo così e mi diverto subito a mordicchiargli un piede. Mario ha avuto un carrettino di legno. A Luciano hanno regalato libri.

  Arriviamo a Gibilterra. Attraversiamo il canale guidati da un rimorchiatore dragamine. Lo stretto è minato. Le mine galleggiano in due lunghe e minacciose file nere.

  Luciano mi porta sul ponte sopra coperta, vicino al fumaiolo, ma ci nascondiamo accanto ad un deposito di cordami perché il comandante non vuole che qualcuno stia fuori. A sinistra riusciamo a scorgere le bocche dei cannoni che sporgono dalla rocca.        

  Io non capisco molto, scambio le mine per palloncini e i cannoni per buchi neri nel terreno.                      Lui mi spiega tutto, come se le sue parole bastassero a farmi passare la paura.

  Con l’ingresso nel mar Mediterraneo cominciamo a sentire quanto la temperatura è cambiata e ci accorgiamo che è davvero arrivato l’inverno.

  Piove spesso, tira vento, il mare è agitato e siamo costretti a stare nei saloni o in cabina.

  La mamma, che sa lavorare a maglia, confeziona per me un golfino giallo molto bellino e per il mio bambolotto dei pantaloni e un minuscolo giacchetto. Ci sentiamo molto eleganti.

  Dopo un mese e mezzo di navigazione il viaggio sta per terminare e a Brindisi sbarcano quanti abitano in Italia meridionale, mentre noi sbarchiamo a Venezia in un giorno freddissimo.

  Per la prima volta in vita mia vedo la neve. I fiocchi mi cadono addosso, mi entrano dappertutto e se apro la bocca mi si sciolgono sulla lingua come gelato.

  Saliamo su un treno tutto illuminato, viaggiamo di notte e arriviamo a Firenze la mattina dopo.       

  Zia Tina e zio Guido accolgono a braccia aperte questa famiglia spaesata e confusa, comprendono il nostro disagio e ci ospitano come possono.

  La zia mi porta da “Arbiter”, un elegante negozio fiorentino di abiti confezionati, e mi compra una pelliccina di pelle di coniglio, degli stivaletti di cuoio e un cappello di velluto nero.

  Dopo una settimana, ci accompagnano a Gambassi, un piccolo paese della Val d’Elsa, dai miei nonni materni e qui per due anni ritroverò la guerra, vedrò cadere le bombe, morire un carissimo amico, avrò fame, freddo e paura.

  Mi racconteranno le persecuzioni e le rappresaglie dei tedeschi ed altri patimenti che subiscono le popolazioni inermi.

  Anni dopo, festeggerò con i paesani la fine della guerra, l’arrivo dei soldati americani, e tutti gli altri eventi che porteranno alla nascita della Repubblica Italiana.

  Ricordo gli americani per il pane bianco a cassetta, le caramelle col buco, e la cioccolata fondente, nerissima.




 

 

                                                              

 


1 commento:

  1. Dopo un mese e mezzo di navigazione il viaggio sta per terminare e a Brindisi sbarcano quanti abitano in Italia meridionale, mentre noi sbarchiamo a Venezia in un giorno freddissimo.

    Per la prima volta in vita mia vedo la neve. I fiocchi mi cadono addosso, mi entrano dappertutto e se apro la bocca mi si sciolgono sulla lingua come gelato.

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