Bella presentazione di Dante con i suoi versi scolpiti nel marmo - Gli aggettivi “bello” attribuito all’Arno e “grande” attribuito a Firenze, tradiscono, con la loro insistenza, la malinconia dell’esule e del politico.
Όμορφη παρουσίαση του Δάντη με τους στίχους του σκαλισμένους σε μάρμαρο - Τα επίθετα «όμορφος» που αποδίδεται στον Άρνο και «μεγάλος» που αποδίδεται στη Φλωρεντία, προδίδουν, με την επιμονή τους, τη μελαγχολία του εξόριστου και του πολιτικού
I versi di Dante scolpiti nel marmo, a Firenze
Incontrare, oggi, Dante Alighieri nelle
strade di Firenze e i versi della Divina Commedia scolpiti nel marmo, sui muri
degli antichi edifici, che ricordano personaggi e avvenimenti della vita della
città nei tempi dell’infanzia e della giovinezza del poeta: questo il compito,
esaltante, da perseguire domenica 8 novembre con un piccolo gruppo di amici e
di amiche, di età diverse, ognuno fornito delle regolamentari mascherine. È
stata purtroppo l’ultima domenica della Firenze “gialla”, nell’epoca della
pandemia, prima della fase arancione che ci vedrà, nella sostanza, relegati in
casa ma sempre intenti, ne sono certo, a programmare, disegnare per tempi
migliori, futuri percorsi di visita.
Il gruppo, nei frequenti collegamenti in
video conferenza tenuti nei giorni precedenti l’incontro, aveva già deciso di
eleggere come guida, pratica, il prezioso libretto di Foresto Niccolai
“Firenze. Le lapidi dei luoghi danteschi” e, in particolare, la parte dedicata
al primo “viaggio”, l’Inferno. Il libretto di Niccolai informa che le lapidi
che ricordano fatti ed episodi della vita fiorentina “nel tempo torbido del
grande poeta”. Fatti ed episodi ai quali sono legati i nomi di gloriose famiglie
e di uomini famosi che Dante giudicò, con il suo sdegno o con la sua lode.
“Ma il tempo molti ricordi ha fatto
svanire, e molti giudizi ha reso vaghi e sibillini. Dare una spiegazione chiara
è lo scopo che mi propongo”, sostiene Foresto Niccolai. “Fu nel 1900 che il
Comune di Firenze prese l’iniziativa di collocare nelle vie e nelle piazze cittadine,
una serie di lapidi a ricordo dei luoghi danteschi. Fu formata una commissione
composta da Isidoro del Lungo, Pietro Torrigiani, Giuseppe Minuti, con compiti
storico-letterari, che ricercò i luoghi ed i canti della Divina Commedia e nel
1907 le lapidi furono collocate.” Le lapidi sono 34: 9 per l’Inferno, 8 per il
Purgatorio, 20 per il Paradiso; la maggior parte di queste, 20, sono collocate
al centro, nel Sestiere di San Piero, dove nacque e visse Dante.
Il nostro gruppo si è dunque ritrovato la
mattina di domenica 8 novembre, proprio in via Dante Alighieri. Ho visto, con piacere, che ognuno è arrivato
con libri sotto il braccio o nella borsa, comprati nelle librerie o presi a
prestito nelle biblioteche, scelti in vario modo, rispondendo al richiamo
tamburellante dei media sull’avvicinarsi dei 700 anni dalla morte del poeta. In
tutti la voglia di conoscere, capire, godere della poesia, poter anche avanzare
riflessioni critiche, senza farsi travolgere dall’onda anomala della retorica. Non
mancava il libro, dai toni eccessivi di Cazzullo “A riveder le stelle”,
l’ammaliante volume “Firenze segreta di Dante” di Dario Pisano, il “Dante” di
Barbero con la provocazione sul profilo di usuraio del poeta, “Come donna
innamorata” di Marco Santagata.
Mia nipote Anna si è portata dietro “Dante
per gioco. L’Inferno” (Federighi Edizioni) e il suo amico Claudio “Dante. La
Divina Commedia a fumetti” di Marcello Toninelli.
L’incontro è stato sotto la lapide posta
sulla cosiddetta Casa di Dante - edificio ricostruito da Giuseppe Castellucci
(1910) su antiche mura – che recita:
… “Io fui nato e
cresciuto
Sovra
‘l bel fiume d’Arno alla gran villa.
Inf. XXIII , 94-95
Sono queste le parole che pronuncia
Dante in risposta alla domanda che gli rivolgono, nel girone degli ipocriti, i due
frati che si sono avvicinati a lui:
“O Tosco, ch’al collegio/ de l’ipocriti tristi
se’ venuto, / dir chi tu se’ non aver in dispregio”.
Abbiamo osservato che nelle espressioni
del poeta si avverte il sospiro dell’esule per la sua patria. Gli aggettivi
“bello” attribuito all’Arno, e “grande” attribuito a Firenze, insieme alla
precisazione “nato e cresciuto” per indicare che non è fiorentino del contado,
tradiscono, con la loro insistenza, questa sottintesa malinconia dell’esule e
del politico. Ci siamo soffermarti, in particolare sull’espressione “la gran
villa”, ricordando che nello scorcio del Duecento, il movimento di rinnovamento
edilizio, all’interno e all’esterno di Firenze, ebbe la sua naturale conclusione
nella costruzione dei grandi edifici pubblici e religiosi, che hanno dato poi
nei secoli la fisionomia definitiva alla città, modificandola completamente. Si
pensi all’inizio dei lavori – alla loro ripresa – per quanto riguarda Santa
Maria Novella, Santa Croce, la nuova cattedrale, Palazzo Vecchio, il palazzo
del Comune. Si può dire che a quell’epoca Firenze era tutto un cantiere!
Abbiamo voluto proseguire seguendo
ancora il registro della malinconia e dei teneri ricordi dell’esule. Ci siamo
fermati al Battistero:
“ … nel mio bel San Giovanni”
Inf.
XIX, 17
Poche parole queste che ci dicono
l’affetto nostalgico dell’esule per l’antico tempio, il Battistero della città,
al cui fonte fu battezzato. Abbiamo continuato poi il percorso per la vicina
via Cerretani fino alla chiesa di Santa Maria Maggiore, per scoprire i versi:
“… in la mente m’è fitta, e or
m’accora,
La cara e buona immagine paterna
Di voi, quando nel mondo ad ora ad
ora
M’insegnavate come l’uom s’eterna”
Inf.
58-63
E’ il ricordo affettuoso dell’illustre
letterato Brunetto Latini, maestro di Dante, notaio e cancelliere del Comune di
Firenze. La tomba di Brunetto Latini fu
ritrovata nella chiesa di Santa Maria Maggiore di Firenze e abbiamo potuto
constatare che è segnalata da un'antica colonnetta nella cappella a sinistra
dell'altare maggiore.
A questo punto del nostro percorso è
apparso naturale incamminarci verso via Calzaioli dove è presente la lapide
dedicata a Cavalcante Cavalcanti e al ricordo del figlio Guido, amico fraterno
di gioventù di Dante, considerato con lui, Guido Guinicelli, Cino da Pistoia,
Gianni Alfani, uno dei padri della nostra lingua, poeta soave del “dolce stil
novo”.
“ … Se per questo cieco
Carcere vai per altezza d’ingegno
Mio figlio ov’è? E perché non èò teco?”
E io a lui, “Da me stesso non vegno:
Colui che attende là, per qui mi mena,
Forse cui Guido vostro ebbe a disdegno.”
Inf.
X, 58-63
Un amico del gruppo, Renato, fine
lettore di Dante, davanti a questi versi incisi nel marmo, ha voluto ricordare
che il canto X, di straordinaria bellezza poetica , è anche il canto di
Farinata della nobile famiglia degli Uberti, capo di parte Ghibellina in
Firenze, che nel famoso incontro dei vincitori a Empoli, si oppose alla
richiesta senese di radere al suolo “Fiorenza”.
“ … fu’ io sol colà dove sofferto
Fu per ciascun di tòrre via Fiorenza,
Colui che la difesi a viso aperto.”
In.
X, 91-93
Abbiamo potuto vedere come oggi Firenze
conservi questa lapide, in un posto prezioso, nel primo cortile del suo palazzo
comunale, in Palazzo Vecchio. È stato a questo punto del nostro percorso, al
termine della mattina, che Renato ci ha invitato a raggiungere la Loggia dei
Lanzi, in piazza della Signoria, e presso la statua del “Perseo con la testa di
Medusa” di Benvenuto Cellini, abbiamo aperto ognuno la nostra Divina Commedia
e, guidati dalla voce altisonante del nostro amico, abbiamo letto insieme le
sequenze drammatiche, umanissime del decimo canto.
Presto un nuovo appuntamento, nel centro
di Firenze, nel sestiere di Porta San Piero, per scoprire altre pagine
dell’arte e dell’umanità di Dante, con alcuni giorni per preparare a distanza ma
collegati online fra noi – in questo periodo di piena pandemia - il prossimo
percorso di visita.
L’incontro è stato sotto la lapide posta sulla cosiddetta Casa di Dante - edificio ricostruito da Giuseppe Castellucci (1910) su antiche mura – che recita:
RispondiElimina… “Io fui nato e cresciuto
Sovra ‘l bel fiume d’Arno alla gran villa.
Inf. XXIII , 94-95
Sono queste le parole che pronuncia Dante in risposta alla domanda che gli rivolgono, nel girone degli ipocriti, i due frati che si sono avvicinati a lui:
“O Tosco, ch’al collegio/ de l’ipocriti tristi se’ venuto, / dir chi tu se’ non aver in dispregio”.
Abbiamo osservato che nelle espressioni del poeta si avverte il sospiro dell’esule per la sua patria. Gli aggettivi “bello” attribuito all’Arno, e “grande” attribuito a Firenze, insieme alla precisazione “nato e cresciuto” per indicare che non è fiorentino del contado, tradiscono, con la loro insistenza, questa sottintesa malinconia dell’esule e del politico. Ci siamo soffermarti, in particolare sull’espressione “la gran villa”, ricordando che nello scorcio del Duecento, il movimento di rinnovamento edilizio, all’interno e all’esterno di Firenze, ebbe la sua naturale conclusione nella costruzione dei grandi edifici pubblici e religiosi, che hanno dato poi nei secoli la fisionomia definitiva alla città, modificandola completamente. Si pensi all’inizio dei lavori – alla loro ripresa – per quanto riguarda Santa Maria Novella, Santa Croce, la nuova cattedrale, Palazzo Vecchio, il palazzo del Comune. Si può dire che a quell’epoca Firenze era tutto un cantiere!