lunedì 16 novembre 2020

"... Io fui nato e cresciuto/ sovra il bel fiume d'Arno alla gran villa". Bella presentazione di Literary di Dante e i suoi versi scolpiti nel marmo

 



I versi di Dante scolpiti nel marmo, a Firenze

 

Incontrare, oggi, Dante Alighieri nelle strade di Firenze e i versi della Divina Commedia scolpiti nel marmo, sui muri degli antichi edifici, che ricordano personaggi e avvenimenti della vita della città nei tempi dell’infanzia e della giovinezza del poeta: questo il compito, esaltante, da perseguire domenica 8 novembre con un piccolo gruppo di amici e di amiche, di età diverse, ognuno fornito delle regolamentari mascherine. È stata purtroppo l’ultima domenica della Firenze “gialla”, nell’epoca della pandemia, prima della fase arancione che ci vedrà, nella sostanza, relegati in casa ma sempre intenti, ne sono certo, a programmare, disegnare per tempi migliori, futuri percorsi di visita. 

Il gruppo, nei frequenti collegamenti in video conferenza tenuti nei giorni precedenti l’incontro, aveva già deciso di eleggere come guida, pratica, il prezioso libretto di Foresto Niccolai “Firenze. Le lapidi dei luoghi danteschi” e, in particolare, la parte dedicata al primo “viaggio”, l’Inferno. Il libretto di Niccolai informa che le lapidi che ricordano fatti ed episodi della vita fiorentina “nel tempo torbido del grande poeta”. Fatti ed episodi ai quali sono legati i nomi di gloriose famiglie e di uomini famosi che Dante giudicò, con il suo sdegno o con la sua lode.

“Ma il tempo molti ricordi ha fatto svanire, e molti giudizi ha reso vaghi e sibillini. Dare una spiegazione chiara è lo scopo che mi propongo”, sostiene Foresto Niccolai. “Fu nel 1900 che il Comune di Firenze prese l’iniziativa di collocare nelle vie e nelle piazze cittadine, una serie di lapidi a ricordo dei luoghi danteschi. Fu formata una commissione composta da Isidoro del Lungo, Pietro Torrigiani, Giuseppe Minuti, con compiti storico-letterari, che ricercò i luoghi ed i canti della Divina Commedia e nel 1907 le lapidi furono collocate.” Le lapidi sono 34: 9 per l’Inferno, 8 per il Purgatorio, 20 per il Paradiso; la maggior parte di queste, 20, sono collocate al centro, nel Sestiere di San Piero, dove nacque e visse Dante.

 

Il nostro gruppo si è dunque ritrovato la mattina di domenica 8 novembre, proprio in via Dante Alighieri.  Ho visto, con piacere, che ognuno è arrivato con libri sotto il braccio o nella borsa, comprati nelle librerie o presi a prestito nelle biblioteche, scelti in vario modo, rispondendo al richiamo tamburellante dei media sull’avvicinarsi dei 700 anni dalla morte del poeta. In tutti la voglia di conoscere, capire, godere della poesia, poter anche avanzare riflessioni critiche, senza farsi travolgere dall’onda anomala della retorica. Non mancava il libro, dai toni eccessivi di Cazzullo “A riveder le stelle”, l’ammaliante volume “Firenze segreta di Dante” di Dario Pisano, il “Dante” di Barbero con la provocazione sul profilo di usuraio del poeta, “Come donna innamorata” di Marco Santagata.

Mia nipote Anna si è portata dietro “Dante per gioco. L’Inferno” (Federighi Edizioni) e il suo amico Claudio “Dante. La Divina Commedia a fumetti” di Marcello Toninelli.

 

L’incontro è stato sotto la lapide posta sulla cosiddetta Casa di Dante - edificio ricostruito da Giuseppe Castellucci (1910) su antiche mura – che recita:

 

                          … “Io fui nato e cresciuto

Sovra ‘l bel fiume d’Arno alla gran villa.

                                                        Inf. XXIII , 94-95

 

Sono queste le parole che pronuncia Dante in risposta alla domanda che gli rivolgono, nel girone degli ipocriti, i due frati che si sono avvicinati a lui:

 “O Tosco, ch’al collegio/ de l’ipocriti tristi se’ venuto, / dir chi tu se’ non aver in dispregio”.

Abbiamo osservato che nelle espressioni del poeta si avverte il sospiro dell’esule per la sua patria. Gli aggettivi “bello” attribuito all’Arno, e “grande” attribuito a Firenze, insieme alla precisazione “nato e cresciuto” per indicare che non è fiorentino del contado, tradiscono, con la loro insistenza, questa sottintesa malinconia dell’esule e del politico. Ci siamo soffermarti, in particolare sull’espressione “la gran villa”, ricordando che nello scorcio del Duecento, il movimento di rinnovamento edilizio, all’interno e all’esterno di Firenze, ebbe la sua naturale conclusione nella costruzione dei grandi edifici pubblici e religiosi, che hanno dato poi nei secoli la fisionomia definitiva alla città, modificandola completamente. Si pensi all’inizio dei lavori – alla loro ripresa – per quanto riguarda Santa Maria Novella, Santa Croce, la nuova cattedrale, Palazzo Vecchio, il palazzo del Comune. Si può dire che a quell’epoca Firenze era tutto un cantiere!

 

Abbiamo voluto proseguire seguendo ancora il registro della malinconia e dei teneri ricordi dell’esule. Ci siamo fermati al Battistero:

 

“ … nel mio bel San Giovanni”

                             Inf. XIX, 17

 

Poche parole queste che ci dicono l’affetto nostalgico dell’esule per l’antico tempio, il Battistero della città, al cui fonte fu battezzato. Abbiamo continuato poi il percorso per la vicina via Cerretani fino alla chiesa di Santa Maria Maggiore, per scoprire i versi:

 

          “… in la mente m’è fitta, e or m’accora,

           La cara e buona immagine paterna

           Di voi, quando nel mondo ad ora ad ora

           M’insegnavate come l’uom s’eterna”

                                                 Inf. 58-63

 

E’ il ricordo affettuoso dell’illustre letterato Brunetto Latini, maestro di Dante, notaio e cancelliere del Comune di Firenze.  La tomba di Brunetto Latini fu ritrovata nella chiesa di Santa Maria Maggiore di Firenze e abbiamo potuto constatare che è segnalata da un'antica colonnetta nella cappella a sinistra dell'altare maggiore.

A questo punto del nostro percorso è apparso naturale incamminarci verso via Calzaioli dove è presente la lapide dedicata a Cavalcante Cavalcanti e al ricordo del figlio Guido, amico fraterno di gioventù di Dante, considerato con lui, Guido Guinicelli, Cino da Pistoia, Gianni Alfani, uno dei padri della nostra lingua, poeta soave del “dolce stil novo”.

 

               “ … Se per questo cieco

Carcere vai per altezza d’ingegno

Mio figlio ov’è? E perché non èò teco?”

E io a lui, “Da me stesso non vegno:

Colui che attende là, per qui mi mena,

Forse cui Guido vostro ebbe a disdegno.”

                                        Inf. X, 58-63

 

Un amico del gruppo, Renato, fine lettore di Dante, davanti a questi versi incisi nel marmo, ha voluto ricordare che il canto X, di straordinaria bellezza poetica , è anche il canto di Farinata della nobile famiglia degli Uberti, capo di parte Ghibellina in Firenze, che nel famoso incontro dei vincitori a Empoli, si oppose alla richiesta senese di radere al suolo “Fiorenza”.

        

            “ … fu’ io sol colà dove sofferto

         Fu per ciascun di tòrre via Fiorenza,

         Colui che la difesi a viso aperto.”

                                               In. X, 91-93

 

Abbiamo potuto vedere come oggi Firenze conservi questa lapide, in un posto prezioso, nel primo cortile del suo palazzo comunale, in Palazzo Vecchio. È stato a questo punto del nostro percorso, al termine della mattina, che Renato ci ha invitato a raggiungere la Loggia dei Lanzi, in piazza della Signoria, e presso la statua del “Perseo con la testa di Medusa” di Benvenuto Cellini, abbiamo aperto ognuno la nostra Divina Commedia e, guidati dalla voce altisonante del nostro amico, abbiamo letto insieme le sequenze drammatiche, umanissime del decimo canto.

Presto un nuovo appuntamento, nel centro di Firenze, nel sestiere di Porta San Piero, per scoprire altre pagine dell’arte e dell’umanità di Dante, con alcuni giorni per preparare a distanza ma collegati online fra noi – in questo periodo di piena pandemia - il prossimo percorso di visita.





1 commento:

  1. L’incontro è stato sotto la lapide posta sulla cosiddetta Casa di Dante - edificio ricostruito da Giuseppe Castellucci (1910) su antiche mura – che recita:



    … “Io fui nato e cresciuto

    Sovra ‘l bel fiume d’Arno alla gran villa.

    Inf. XXIII , 94-95



    Sono queste le parole che pronuncia Dante in risposta alla domanda che gli rivolgono, nel girone degli ipocriti, i due frati che si sono avvicinati a lui:

    “O Tosco, ch’al collegio/ de l’ipocriti tristi se’ venuto, / dir chi tu se’ non aver in dispregio”.

    Abbiamo osservato che nelle espressioni del poeta si avverte il sospiro dell’esule per la sua patria. Gli aggettivi “bello” attribuito all’Arno, e “grande” attribuito a Firenze, insieme alla precisazione “nato e cresciuto” per indicare che non è fiorentino del contado, tradiscono, con la loro insistenza, questa sottintesa malinconia dell’esule e del politico. Ci siamo soffermarti, in particolare sull’espressione “la gran villa”, ricordando che nello scorcio del Duecento, il movimento di rinnovamento edilizio, all’interno e all’esterno di Firenze, ebbe la sua naturale conclusione nella costruzione dei grandi edifici pubblici e religiosi, che hanno dato poi nei secoli la fisionomia definitiva alla città, modificandola completamente. Si pensi all’inizio dei lavori – alla loro ripresa – per quanto riguarda Santa Maria Novella, Santa Croce, la nuova cattedrale, Palazzo Vecchio, il palazzo del Comune. Si può dire che a quell’epoca Firenze era tutto un cantiere!

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