Si è svolto il 19 settembre, alla Sala Progetti Arte Contemporanea delle Murate (Firenze), l'incontro di presentazione del volume speciale di "Testimonianze" dal titolo "CON GLI OCCHI DEI POETI".
I relatori: Sauro Albisani, Mariella Bettarini, Rosalba de Filippis, Segio Givone, Davide Rondoni e Severino Saccardi. Roberto Mosi ha introdotto e coordinato l'incontro. Inteventi musicali di Chiara Ciribello.
Si tratta del volume della Rivista Testimonianze n. 518-519, Volume monografico speciale curato da Rosalba de Filippis, Luca Lenzini, Miriana Meli, Roberto Mosi, Severino Saccardi, Simone Siliani.
Un volume speciale, totalmente monografico e del tutto «particolare», per «Testimonianze» (che non è certamente una rivista letteraria, ma che ha comunque un’ispirazione di carattere umanistico), con contributi miranti ad inquadrare la realtà del nostro tempo (talora opaca, contraddittoria, complessa e ambivalente) a partire da un’ottica particolare: quella della poesia.
Una realtà vista Con gli occhi dei poeti. I poeti del nostro tempo, ma anche quelli del nostro passato, più o meno prossimo, che ci vengono presentati per «ritratti» o che parlano in prima persona con i loro versi. Accanto ai «medaglioni» dedicati a grandi autori, messi a punto da studiosi e/o scrittori e critici, vengono evidenziati percorsi tematici (tra i quali anche quelli curati dagli studenti di due scuole fiorentine) come la poesia al femminile, quella «visiva» e quella di altre culture e latitudini, per approdare alla memoria di poeti che di recente ci hanno lasciato, ricordati da scrittori e amici che sono stati loro vicini e che possono quindi raccontarne l’esperienza, l’ispirazione e il percorso umano e culturale con particolare vivezza.
L’indice del volume:
Sergio Givone in dialogo con Severino Saccardi, Quell’antica domanda di Socrate
Ritratti
Massimo Seriacopi, Il grande dono di Dante
Carmelo Mezzasalma, Giovanni della Croce, nella notte del desiderio
Gaspare Polizzi, Giacomo Leopardi e il sentire comune dell’«umana compagnia»
Giuseppe Giachi, Dino Campana o della forza evocativa della poesia
Daniele Balicco, Un poeta che viene dal passato e legge il futuro nel presente: Pier Paolo Pasolini
Luca Lenzini, L’«ospite ingrato» Franco Fortini
Francesco Matteo Cataluccio, Czeslaw Milosz, cercatore di senso e «cittadino del mondo»
Matteo Moca, Arthur Rimbaud: dare all’Inaudito la forma della parola
Marco Marchi, Mario Luzi, poeta/testimone dei mutamenti e delle persistenze del mondo
Sauro Albisani, Carlo Betocchi e la conoscenza dell’alveare dei sogni
Gloria Manghetti, Diego Valeri: il sentimento creaturale del mondo
Rosalba de Filippis, Giorgio Caproni: una poesia ad occhi aperti
Elena Gurrieri, «Poesia dello sguardo» e amore della vita in Sandro Penna
Enrico Fink, Bob Dylan: uno sguardo lucido sul mondo
Denio Derni e Matteo Peraccini, Fabrizio De André, amico fragile
Percorsi
Gabriella Sica, Gli occhi dei poeti
Francesco Stella, «Semicerchio»: una specola aperta sul mondo
Mia Lecomte e «Compagnia delle poete», Un unico corpo sonoro
Ricardo Héctor Rabitti, Poesia del Rio da la Plata: Borges, Onetti, Molina
Cinzia Demi, Benedici questa croce di spighe
Davide Rondoni, Un mondo invaso di parole
Eugenio Miccini, La felicità
Tiziano Fratus, Natura, poesia e meditazione
Alba Donati, Lettera alle donne che spariscono
Luisa Puttini, Dedicate alle donne
Roberto Mosi, L’intrigante relazione fra poesia e fotografia
Lucia Marcucci, Un’ottima scelta
Laura Monaldi, L’esperienza della «Poesia Visiva», fra mis-letture e ripensamenti
Evaristo Seghetta Andreoli, Con versi dal sapore di miele e di vino
Franco Manescalchi, 1986-2009: al gran Caffè letterario «Le Giubbe Rosse»
Lamberto Pignotti, Un testimone in incognito
Studenti della classe 3C del Liceo Scientifico «E. Balducci» di Pontassieve (coordinati dalla prof. Simona Giani), Il viaggio dell’anima: Cavalcanti e Caproni a confronto
Studenti della classe 5A del Liceo Scientifico «A. Gramsci» di Firenze (coordinati dal prof. Marco Salucci), Il carpe diem ai tempi del Web
Ricordarsi
Alessandro Fo, «Aria strappata centimetro per centimetro al vuoto»: ricordo di Pierluigi Cappello
Mariella Bettarini, La grande voce poetica di Gabriella Maleti
Giuseppe Panella, Giusi Verbaro: il vento impetuoso della poesia
Margherita Loconsolo, Hasan, un poeta «affamato di umanità»
Margherita Loconsolo, Per Hasan Atiya Al Nassar
Laura Bozzi, Per Hasan Atiya Al Nassar
Ricordiamo che il volume può anche essere acquistato on line (nella sezione Shop del sito www.testimonianzeonline.com) o può essere richiesto direttamente scrivendo a: infotestimonianze@gmail.com .
QUELL’ANTICA DOMANDA DI SOCRATE
di Sergio Givone in dialogo con Severino Saccardi – Pagg 6-20
Che cos’è la poesia? I poeti medesimi (a partire da quelli qui citati: da Ione, interpellato da Socrate, a Rilke, da Neruda alla Szymborska) dicono di non saperlo. Eppure essi riconoscono quel fuoco che arde dentro, che si manifesta in uno sguardo che vede il mondo in modo «altro» e che spaventa chi non lo sa riconoscere. Ci sono un’ispirazione e una musica interiore che vanno tradotte (come dice Dante: ciò «ch’e’ ditta dentro vo significando») in espressione poetica con estro, ma anche con sapienza, con studio e con fatica. Un fuoco che ogni animo umano può avvertire, anche se non tutti lo riescono a tradurre in versi. E la poesia, che con la religione condivide l’afflato mistico e il riconoscimento del mistero (anche quando parte da premesse materialistiche o irreligiose, com’è per grandi autori come Lucrezio e Leopardi) ha radici popolari, come dimostrano i grandi poemi omerici, e dà espressione ad un sentire universale. Un sentire che si traduce, talora, in forme, in linguaggi e in esperienze che sfidano anche la tradizionale, e datata, distinzione (come hanno evidenziato poeti-menestrelli come il Nobel Bob Dylan e il nostro Fabrizio De André) fra cultura «bassa» e cultura «alta».
Lo sguardo di Rilke
Saccardi. Se sei d’accordo, partirei con una riflessione di carattere generale, relativa al lavoro di «Testimonianze» per questo volume particolare. Come sai, noi non siamo una rivista letteraria, né tantomeno (in tale ambito) specialistica; ma, in senso ampio, la nostra è una rivista che ha un’ispirazione umanistica; dunque, questo della poesia è un tema che ci sentiamo, in qualche modo, un po’ abilitati a trattare e di cui è interessante comunque parlare con te. Con gli occhi dei poeti è il titolo di questo lavoro e se credi potremmo iniziare il nostro ragionamento proprio dalla domanda: Cosa può voler dire oggi, di fronte a una realtà spesso così ambivalente, davanti a una materia così opaca, oscura, così contraddittoria e complessa come è quella della contemporaneità, guardare al mondo con occhi diversi, con l’ottica della poesia, con l’animo, con lo sguardo dei poeti?. Questa non è che un’evocazione e vorrei chiedere a te cosa questa evocazione fa venire in mente.
Givone. Mi viene in mente una bella pagina di Rilke, che parla del giovane poeta e ne parla così: egli è a tavola insieme con i genitori, chiacchierano di cose comuni, e improvvisamente questo giovane alza gli occhi, apre gli occhi, alza lo sguardo e i suoi genitori sorprendono in questo sguardo qualche cosa di assolutamente incomprensibile: non lo riconoscono più. Egli getta sul mondo questo suo sguardo e il mondo non è più quello che è, lo vede da una lontananza che risulta misteriosa, incomprensibile ai genitori (eppure sono i suoi genitori ed egli è poco più che un bambino), ma lo sguardo del poeta è questo, è la capacità di guardare il mondo come da un altrove, da un aldilà, in una prospettiva utopica inaudita: da un aldilà, da un altrove, in modo altro. Com’è possibile questo? Ecco, se dovessimo rispondere a questa domanda, è difficile non ricordarsi di quello che diceva Socrate a questo proposito nel dialogo Lo Ione (Ione è un poeta, un giovane poeta, proprio come il giovane poeta di Rilke). Dunque, Socrate pone a Ione la stessa domanda che ha fatto a tutti gli altri cittadini di Atene: «Cosa fai? Cosa ci stai a fare qui? Qual è la ragione per cui fai quello che fai?». Tutti hanno dato una risposta: il politico ha osato dire che è lì alla ricerca, insieme con gli altri, del bene comune, il calzolaio ha spiegato perché fa le scarpe e a cosa servono, e così via. Ione non sa rispondere – «perché scrivi poesie?» «non lo so» – e allora Socrate sbotta: «Allora tu sei il più sciocco degli uomini? Tutti mi sanno dire perché fanno quello che fanno, solo tu non mi sai dire perché scrivi poesie, perché fai quello che fai» e, da quel sublime ironista che sappiamo essere Socrate, lo guarda di sottecchi e gli dice «Tuttavia, tu che sei il più sciocco degli uomini sei anche il più saggio, perché questo tuo non sapere è segno del fatto che il “sapere” poetico è enthusiasmòs, viene da Dio», cioè viene da un’ispirazione profonda che ci spossessa della nostra quotidianità e della nostra realtà e ci costringe a guardare il modo altrimenti, ce lo restituisce come non lo abbiamo mai visto e in modo da scoprire ciò che si nasconde nel cuore del mondo. Questo è il poeta. C’è un arco che va dalla Grecia a Rilke e ai grandi poeti contemporanei, anche se ora non più tanto, che dicono la stessa cosa, sulla quale vale la pena di interrogarsi. Osando semplificare, è giusto dirlo, sia Socrate sia Rilke riconoscono la natura religiosa della poesia. Questo è un punto che credo meriti riflessione: la natura religiosa della poesia.
Rimane il mistero
Saccardi. È la dimensione della sacralità, quindi, anche se oggi sembra che questa sacralità sia venuta meno, non credi?
Givone. Certo, e qui tocchiamo un punto essenziale. La poesia è un discorso molto ambiguo, è un discorso religioso e irreligioso al tempo stesso. Pensiamo a Lucrezio, che è alla radice di un poeta come Leopardi. La sua poesia è tutta intonata alla desacralizzazione, alla filosofia di Epicuro: uomo liberati dal timore degli dei.
Saccardi. È una immanentizzazione del punto di vista sulla vita.
Givone. È una radicale immanentizzazione: guarda il mondo per quello che è, abbi il coraggio di guardare il mondo per quello che è. E questa poesia irreligiosa, desacralizzata, si trasforma in una sorta di canto cosmico, in una forma di sacralizzazione del mondo.
Saccardi. Un grande soffio vitale…
Givone. Sì, il primo canto è dedicato proprio alla vita, a Venere, alla vita nascente (è quel soffio vitale a cui si è ispirato Botticelli per la sua Venere). È il canto della vita, il primo dei sei grandi canti di cui è composto il De Rerum Natura, che si conclude col canto della morte. Questa religiosa irreligione che è la poesia di Lucrezio comprende questo grande arco dalla vita alla morte. L’universo è come sospeso, è sradicato dal quel suo fondamento che era Dio, che erano le strutture religiose di comprensione del mondo, ed è una sorta di liberazione del mondo a se stesso; in questo senso la poesia ha un grande valore cosmico, la poesia è il mondo senza fondamento che è come sospeso al suo nulla. Questo genera stupore, costringe a guardare il mondo in un altro modo, e questo altro modo, essendo stupore, meraviglia di fronte alla vita, meraviglia di fronte al mistero dell’universo, torna a essere religione. In questo senso, dico, la poesia è ambigua, è religiosa e irreligiosa al tempo stesso.
Saccardi. D’altra parte, prima citavi Leopardi e tu da maestro mi insegni che Leopardi, poeta che attinge pienamente dalla lezione del materialismo, dell’immanentismo, è però il poeta dell’Infinito.
Givone. Esattamente, Leopardi come Lucrezio. Perché c’è una derivazione lucreziana non solo indiretta, ma anche diretta. Leopardi è poeta di tradizione settecentesca, la cui filosofia è quel materialismo del quale abbiamo due grandi interpreti, Timpanaro e poco distante Luporini, il quale parlava di un Leopardi «progressivo», Leopardi che libera dalla superstizione religiosa, Leopardi materialista, progressivo perché materialista (Timpanato sosteneva questa tesi). Ma, come gli appare alla fine l’universo? Come «(…) quell’arcano mirabile e spaventoso» che prima che si potrà mai spiegare «perderassi», prima di essere spiegato e inteso si perderà. Ecco, questo è un arcano irreligioso, nel senso che non c’è nessun Dio.
Saccardi. Ma rimane il mistero.
Givone. Certo, rimane il mistero. Su questo hanno scritto non solo i materialisti che abbiamo citato in precedenza, Luporini e Timpanaro, ma anche Bobbio ha delle pagine bellissime in merito. La ragione alla quale Leopardi diceva di attenersi, la ragione, la sola ragione, quel lumicino che fa un po’ di luce nel grande buio, è proprio quella che ti dice che sei circondato da un grande buio e il grande buio è il mistero. Certo, un conto è riempire quel mistero di risposte di tipo religioso, un conto è considerarlo soltanto mistero, ma mistero è, per gli uni e per gli altri, per coloro che lo riempiono di risposte religiose e per quelli invece che lo custodiscono nella sua misteriosità.
Saccardi. Su questo, ovviamente, ci sarebbero tantissime cose da dire, perché c’è il Leopardi che in qualche modo recupera le ragioni della speranza, e di questo, nella Ginestra, troviamo infinite occasioni di riflessione. Però, sull’origine dello sguardo poetico, della poesia che nasce da qualcosa di molto profondo, che si ritrova in tanti autori, io, se permetti, avrei da proporti qualche verso di Neruda che può offrire uno spunto interessante:
La poesia
Accade in quell’età… La poesia
venne a cercarmi. Non so da dove
sia uscita, da inverno o fiume.
Non so come né quando,
no, non erano voci, non erano
parole né silenzio,
ma da una strada mi chiamava,
dai rami della notte,
bruscamente fra gli altri,
fra violente fiamme,
o ritornando solo,
era lì senza volto
e mi toccava.
…
Salto e vado alla conclusione:
…
Ed io, minimo essere,
ebbro del grande vuoto
costellato,
a somiglianza, a immagine
del mistero,
mi sentii parte pura
dell’abisso,
ruotai con le stelle,
il mio cuore si sparpagliò nel vento
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