Roberto Mosi
Concerto
Gazebo
Collana di poesia
e prosa a cura di
Mariella Bettarini
e Gabriella Maleti
A Costanza,
musica nella mia vitaGiuseppe Panella
La
fonte del ritmo, l’avventura del tempo
1.
«Tutto è ritmo, l’intero destino dell’uomo è un solo
ritmo celeste, così come l’opera d’arte è un unico ritmo» (Friedrich
Hölderlin)
«L’io / Scopre il suono di una voce che lo raddoppia / In
immagini di desiderio, in figure che parlano, / In idee che gli vengono sotto
forma di parole, / Vecchi e filosofi sono assillati da questa / Voce materna,
luce nella notte …» (Wallace
Stevens)
A
Populonia, in tutta evidenza, si verificano durante l’anno vicende inspiegabili
e si scoprono rapporti oscuri tra le diverse parti che compongono il quadro
unitario delle esistenze umane.
Basta
saperli osservare e descrivere usando lo strumento privilegiato della poesia.
Il
bene e il male della Storia convergono e si dispiegano come su uno schermo a
mostrare ciò che li caratterizza e influisce sul destino delle esistenze umane.
Ciò che appare risulta non soltanto completamente diverso da ciò che sembra
accadere in realtà ma è tanto più contraddittorio rispetto a quello che si
crede (o si vorrebbe) che avvenga tanto che si può coglierlo soltanto per
accenni, per scarti, per tagli di luce e, fondamentalmente, solo per riflesso,
per contatti lontani.
Non
si tratta, però, di una dimostrazione lirica basata sulla qualità e la
specificità dei contenuti quanto sull’esigenza del ritmo, sulla potenza del
suono, sull’efficacia delle notazioni timbriche.
Per
Populonia si può esigere soltanto un concerto, non un poema basato
esclusivamente sulla linearità delle parole.
Lo
dichiara apertis verbis lo stesso
autore commentando al termine del suo poema quanto ha scritto:
«La
poesia gioca, in quest’occasione, con alcune forme del mondo della musica, ne
riprende tratti, impronte. E’ abbandonata la fisionomia consueta della
forma-libro, orientata, di solito, in una determinata, unica direzione, per
seguire il movimento delle composizioni musicali in andamenti plurali,
ascendenti e discendenti. Questa raccolta, Concerto,
pone attenzione alle istanze della musica nella struttura sinfonica per
movimenti e a quelle poetiche nello svolgersi delle evocazioni che generano
immagini. Insieme le due istanze producono emozioni che si rincorrono nel
flusso della coscienza, di frammenti di memoria. E nella sinfonia – come nel
concerto – è composizione di abbandoni e riprese, dove un tema è introdotto,
poi sviluppato, poi accantonato, poi variato e organizzato in discorso.»
Dunque,
Mosi si cimenta con un linguaggio, quello della musica, in cui i livelli tonali
si susseguono in una ricerca di armonia finale e in cui ogni elemento si
ricompone alla fine dell’esecuzione e si ritrova nella sua particolare
dimensione autonoma per cui è nata, pur mantenendo la sua posizione all’interno
del tutto. Tra autonomia del significante e necessità del significato, la
poesia di Mosi si aggira tra le vicende del presente e la nostalgia del mito
per cercare di ottenere il risultato che gli interessa: dare alla poesia una chance di intervenire sulla realtà senza
esserne travolta e schiacciata.
I
quattro movimenti del suo Concerto, allora,
dedicati come sono alle quattro stagioni (seguendo una tradizione ben definita
nella storia della musica), alternano ricostruzioni delle vicende di attualità
a momenti di vita familiare, intercetta segni orribili di inciviltà persistente
(il razzismo che i terribili fatti di Rosarno hanno mostrato come ancora
prevalenti nella in-cultura della penisola) ma si apre a moti di speranza per
il futuro delle generazioni che verranno.
Il
dettato poetico di Mosi si concentra sul dato e si articola per brevi sequenze
narrative che sviluppano lo spunto principale di partenza. Eccone un esempio
(dalla sezione Inverno, Caos):
“Sono cinque giorni
/ che mangiamo arance / nascosti
nell’aranceto”. / La faccia appare / al telegiornale. / Per le strade di
Rosarno / la furia della gente, / ronde di bianchi in giro. // Seduti
nell’ombra / aspirano crack, /
fiammelle per la dose, / uomini e donne / di Castel Volturno. / Sopravvissuti
alla droga, / la pelle di cenere. / Morti gli altri, senza nome» (pp. 4-5).
oppure
sul versante mitologico dell’intervento poetico, l’ironia subentra al posto del
dramma:
«Mito.
Labirinto mito / al centro la vampa / dell’io, in volo / con ali di cera. // E’
forse uguale / a un dio l’uomo / calvo, senza ombra / che dorme in piedi / alla
porta di Populonia ? / I ginocchi piegati / la testa in avanti. // Ogni notte
l’Eroe / raggiunge la reggia. / Penelope dorme stizzita, / Arturo saluta, la
coda ritta. / Apre la posta, ordina le armi, / si distende sul letto, / il
risveglio vicino. / Ulisse torna sempre a Itaca. // Sono giunto alle terre /
degli Etruschi. Le navi / passano il Bosforo, / bandiere al vento. / Inseguo
Giasone / alla conquista del vello / d’oro, le carovane / sulla via della seta»
(p. 8).
Nella
sinfonia delle Quattro Stagioni impostata nel libro, come si è visto, i momenti
tragici della cronaca nazionale (i fatti di Rosarno o l’incidente del Moby Prince) si alternano alle scoperte
che costituiscono la sostanza della vita quotidiana e familiare (come nella
sezione Primavera, tutta la sequenza
relativa alla nascita e ai primi anni della nipotina Marta) mentre nella
sezione dedicata all’Estate la vita
della natura e i suoi suoni e moti si intrecciano ai giochi e ai canti dei
bambini.
Nell’ultima
sezione, quella che chiude la Prima Parte,
infine, l’Autunno, è la descrizione
delle parole della poesia, paragonate alle foglie che delicatamente si staccano
dagli alberi, a confortare la scrittura e renderla forma espressiva capace di
rafforzare e rinvigorire la sostanza di un Io che tenderebbe a sbiadire nel corso
del tempo. La potenza delle memorie conservate nel baule inesausto
dell’esistenza passata, tuttavia, è in grado di riportare il silenzio dalla sua
condizione di oblio incombente e minaccioso a quella di un elemento che fonda
la vita stessa, accentuandone gli elementi di bellezza assoluta:
«Ascolto il silenzio / dalla Rocca di Populonia / lontano
dalle spiagge, / dai motori delle strade. / L’aruspice segue /il volo del
falco, / coglie i segni del cielo / per la nuova stagione. // La violenza del
giorno / è lontana, la città cade / nell’antico mistero. / I sacerdoti in
processione / salgono all’altare / per il sacrificio. / Nuovo sangue / nutre la
vita del mito. // Mi lascio andare, / l’acqua accarezza / il nuoto leggero. /
Sotto di me le ombre, / le creature del mare. / Sopra di me la luce / di Febo.
La bellezza / a portata di mano» (pp. 28-29).
2.
«Della
Primavera nessun segno! / Leonardo va su e giù nella sua stanza angusta / …
arrogante fissa la neve ostinata. / Raffaello entra in un bagno caldo / … i
suoi lunghi capelli di seta sono secchi / per il poco sole. / Aretino ricorda
la Primavera a Milano; la / madre, / che ora, su dolci colline milanesi, dorme.
/ Della Primavera nessun segno! Nessun segno! / Ah, Botticelli apre la porta
del suo studio»
(Gregory Corso)
Il
secondo tempo del libro di Mosi, invece, è un omaggio all’arte fiorentina e
soprattutto alla pittura che l’ha resa grandissima. E’ alla Primavera di Sandro Filipepi-Botticelli
che i primi versi sono dedicati in questa sezione della rapsodia ed è con i
versi del Poliziano che il testo si apre.
Ma
poi, dopo la descrizione della grande apoteosi dei Medici che hanno riportato
la pace a Firenze (secondo una bella intuizione di Cristina Acidini Luchinat
ripresa e fatta propria nell’esecuzione del suo tempo poetico da Mosi), segue
la descrizione di Fiorenza stessa e
delle sue bellezze artistiche:
La
sezione dedicata alla produzione artistica si conclude con un omaggio a Tredici tempere su tela che il pittore
Vinicio Berti aveva regalato alla Società di Mutuo Soccorso di Peretola e che
raccontavano per immagini la storia dell’associazione. Anche in essa la
decantazione rappresentativa delle vicende collocate sulla tela e la musicalità
delle parole si integrano in una sorta di concento di colori e suoni che
vogliono dare il senso e produrre forme evocative dei “miti popolari di
un’epoca” (come sostiene Mosi nel suo commento finale).
Sarà
la Natura, invece, a dare il la alla
parte finale dell’opera, quella che vuole rendere omaggio alla potenza quasi
naturale dei versi di frate Francesco di Assisi. Riprendendo talune sue
composizioni già pubblicate, Mosi si distende nella descrizione della forza
degli elementi e di ciò che ricompone il quadro della bellezza del mondo:
«Compongo
in versi / suoni e silenzi / cerco parole, creo / un ammasso d’argilla / da
modellare a piene mani. // Scompongo, ricompongo / i versi, cerco la forma. /
Ora il fuoco abbraccia / l’argilla, la riscalda, / la cuoce, la brucia. // La
poesia è pronta / per la polvere del giorno» (p. 51).
Allo stesso modo, tra scrittura / descrizione della realtà e sua trasfigurazione in immagini e suoni, si apre lo spazio di una soggettività che si muove tra l’una e l’altra, quella di un poeta che accetta i limiti della parola scritta e vuole andare oltre di essa, nel tentativo di costruire un progetto artistico che sia capace di ritornare alla natura mitopoietica del canto che vive nel e con il mondo in cui si trova a esistere.
Sinfonia
per
Populonia
I. Inverno
Caos
Labirinto caos
domato da Dedalo
misura finita circondata
dal mare infinito.
Scrosci d’acqua
sciolgono
la notte,
Populonia
è muta
aggrappata
alla costa,
ruscelli
di melma
uccidono
il mare,
le
scorie galleggiano
precipitano
sul fondo.
A trecento chilometri
il
treno per la città.
L’incontro
da “ Mimì
alla
Ferrovia”, gli amici.
Sulla
tovaglia tracce
di
vino, la città di Gomorra.
Nove
cerchi rossi
del
nostro Inferno.
Al centro il porto
intorno
Secondigliano,
Scampia
e Forcella,
Torre
Annunziata.
“La gente, vermi della
terra,
rimangono vermi, sempre”,
la
voce d’aspide
della
Camorra.
“Sono cinque giorni
che mangiamo arance
nascosti nell’aranceto.”
La
faccia appare
al
telegiornale.
Per
le strade di Rosarno
la
furia della gente,
ronde
di bianchi in giro.
Seduti nell’ombra
aspirano
crack,
fiammelle
per la dose,
uomini
e donne
di
Castel Volturno.
Sopravvissuti
alla droga,
la
pelle di cenere.
Morti
gli altri, senza nome.
Osservo l’andare
alla
via Domiziana
per
prostituirsi,
e
il ritorno per la droga.
Chiuderanno
gli occhi
tra
monti di spazzatura,
sono
solo immigrati
e,
peggio, neri africani.
Passione
Labirinto passione
di Teseo per Arianna
il filo teso
nei rossi meandri.
Ogni sera m’affaccio
alla
terrazza Mascagni:
i
gabbiani guidano
le
navi. Alla Meloria
si
accende l’occhio rosso.
Si
allontana l’ombra
della
Moby Prince
per
il destino di fuoco.
“Aiuto”, l’eco
rimbomba,
dilata la paura. Intorno
ossa biancheggianti
infisse nella grotta.
Avanzo a fatica, le onde
padrone del corpo.
Vespero si affaccia,
vedetta, in attesa.
Euridice alla guida
della pala
ruotante,
nell’Inferno, l’elmetto
sopra i capelli biondi.
Orfeo implora Ade
di lasciarla partire.
“Alla fine dello scavo,
al passaggio del treno”.
Brillano gli sguardi
nell’ombra,
un fuoco sottile
affiora rapido alla pelle *
“Lasciateci amare
come vogliamo” ha scritto
sul muro della scuola.
La dolce-ridente Saffo
coronata di viole **.
* Saffo, fr. 2. (trad. S. Quasimodo)
** Alceo, fr. 63. (trad. S. Quasimodo)
Venere, l’impiegata
più
bella dell’ufficio,
ha
lasciato Efesto,
placido
e triste.
Adone
il nuovo
compagno.
La sera
frusta
l’Alfa Romeo
per
arrivare da lui.
Bolle la pentola
il
sogno d’Europa
ballano
le fiamme
le
streghe agitano il brodo.
Il
dito del banchiere
l’occhio
di un rom
il
sorriso di un nero.
Le
vecchie gettano dentro.
Mito
Labirinto
mito
al
centro la vampa
dell’io,
in volo
con
ali di cera.
E’ forse uguale
a
un dio l’uomo
senza ombra
che
dorme in piedi
alla
porta di Populonia?
I
ginocchi piegati
la
testa in avanti.
Ogni notte l’Eroe
raggiunge
la reggia.
Penelope
dorme stizzita,
Arturo
saluta, la coda ritta.
Apre
la posta, ordina le armi,
si
distende sul letto,
il
risveglio vicino.
Ulisse
torna sempre a Itaca.
Sono giunto alle terre
degli Etruschi. Le navi
passano il Bosforo,
bandiere al vento.
Inseguo Giasone
alla conquista del vello
d’oro, le carovane
sulla via della seta.
Striscio nel bosco,
in
mano il pugnale:
il
Santuario di Diana,
fra
le colonne, al centro,
l’albero
dal Ramo d’oro.
Spio
i passi del sacerdote,
il
vento intona un lugubre,
continuo
lamento.
Scatto, un serpente.
Il
pugnale si abbassa,
una
lotta furiosa
per
il Ramo d’oro.
Ritorno
sui miei passi.
Appendo
il Ramo alla porta
di
Populonia. La luce
rischiara
i nostri tempi.
Un gemito. Dal solco
scavato
si è alzata
tra
le zolle rimosse
la
testa di un bambino.
“Sono Tagete, arrivato
tra voi per mostrare
i segni del Cielo.”
E
nel silenzio scompare.
II. Primavera
Nascere
Nella casa avvolta
dalle
ombre, risuonino
accordi
di chitarra,
i
canti riempiano
le
stanze, il colloquio
con
le ombre diventi
sommesso.
La vita
ha
generato la vita.
Quando sei nata
c’era
una falce di luna
sospesa
sull’ospedale.
Quando
sei nata
il
tuo primo viaggio
nella
culla condivisa
con
un fagottino cinese.
Gli
occhi a mandorla.
Quando sei nata
sono
uscito felice,
il
mondo sospeso
ha
ritrovato la vita,
i
rumori della strada
il
loro sordo rumore
i
profumi della campagna
il
profumo di giugno.
Dieci le tappe
del
viaggio nella casa,
dieci
i mesi di Marta,
il
braccio è la sella,
sprona
il vecchio cavallo.
Dieci
le tappe
del
viaggio nella casa,
dieci
i mesi di Marta.
Intreccio parole
rubate
alla dispensa
delle
fate, alla fattoria
di
ogni dove, alle canzoni
del
lavoro. Rotea i piedi,
mi
stringe la mano.
Lontano
è lo sguardo,
nel
mondo dei sogni.
Vola vola l’altalena
fra
scrosci di risa.
Piazza
d’Azeglio,
granelli
di luce
nel
cielo degli occhi.
Sento
la voce di Radio
Cora,
i versi di Luzi,
“Serenata
alla piazza”.
Crescere
Batte leggero
il
cuore dell’orchestra
sulla
spiaggia del Golfo
di
Baratti, voci alte
occupano
il silenzio.
Si
allontana il rombo
dei
motori. La risacca
gioca
con i pensieri.
Siamo maschere,
le
mani nella sabbia
coperta
a tratti dal mare.
Batte
i piedi felice,
sul
viso i colori
accesi
della spiaggia.
Si
abbattono castelli
tra
scoppi di risa.
Ha scoperto l’ ombra,
l’ombra
la segue,
alza
un braccio, saluta
i
riflessi nella sabbia.
Per
palcoscenico
la
passerella del bagno,
illuminata
dal sole.
Marta
non è più sola.
Villa dei Pinoli,
aghi
di pino sul tetto.
Cantano
gli uccelli
diretti
dalle cornacchie
a
ogni ora del giorno.
Muove
i primi passi
le
braccia aperte
galleggiano
nell’aria.
Dalla terrazza
l’aria
del mare,
i
traghetti un rollio
lento,
lasciano il porto
sfiorano
la Piazza.
Marta
da principessa
passerà
nel Corso
in
trionfo sul carrettino.
Marta è nel tempo
venti
secondi per respirare
venti
minuti per urlare
venti
giorni per sognare
venti
settimane per sorridere
venti
mesi per giocare
venti
anni per amare
Marta
è il nostro tempo.
Scherzare
Salpa la nave bianca
per
la terra dei ghiacci,
a
bordo imbianchini,
gelatai
e grasse sorbettiere.
Torna
la nave carica,
ghiaccioli
e nasi rossi.
Negli
occhi il Polo Sud
a
strisce e colori.
Sessanta le olive
dell’olivo
sul balcone
Sessanta
olive da spremere
per
gli animali della fattoria.
Sei
cucchiai per le oche,
il
cavallo e l’asinello.
Sei
cucchiai per il gallo
e
poi non ce n’è più.
Vola la forchetta
per
New York, l’aereo
passa
davanti alla bocca,
chiuso
l’aeroporto.
Un
colpo di telefono
allo
zio Nicola.
La
bocca si apre
per
mille bocconi.
“Ona,, la bella rificolona!
La mia ha i fiocchi
la tua i pidocchi!”
Sibilano
cannucce,
urlano
i ragazzi
le
batterie pronte.
S’infiamma,
un falò,
un
tizzone annerito.
L’omino della pioggia
accoglie
dalla rotonda
le
auto in fila indiana.
Ai
piedi la valigia
piena
d’occhiali rosa
per
vedere la città,
i
palazzi tutti in fila
galleggiano
a mezz’aria.
I treni innamorati
s’incontrano
a Scarlino.
S’incrociano
sui binari,
fischiano,
sbattono le ciglia:
è
nata una passione.
L’Eurostar dava baci
alla
Littorina. Nascerà
presto
un trenino,
il
gioco per un bambino.
III. Estate
Fiorire
Un punto di tenerezza
una sarabanda di luci
un gioco di geometrie
un gattino vorace.
La
sezione aurea
dello
sguardo dei nonni.
Anna
si è intrufolata
nella
nostra vita.
E’ una piuma in volo
leggera. La stringo
tra le braccia, sento
il battito del cuore.
Le braccia annaspano,
giocano con le emozioni.
Siamo vicini, da lontane
stagioni della vita.
La favola continua,
domande
condite
di
perché. Silenzio.
Si
raccoglie sul fianco,
un
piccolo gomitolo,
il
respiro, un soffio.
Le
labbra assaporano
il
gusto dei sogni.
Ci hanno aggredito
le
ore della notte
agitata
da ombre
dipinte
di nero,
abitate
dalla paura.
Si
dispera nel sonno.
L’impotenza
invade
la
solitudine della notte.
Dalla loggia assaporo
lo
stupore del cielo
stellato.
La notte
avvolge
la casa.
La
campagna sonora
è appesa
lontano,
all’eterna
fiamma, alta
sui
fumi dell’acciaieria.
La linea delle colline
disegna i confini
dell’Acropoli, si avvolge
nella Rocca di Populonia
solenne sul mare,
s’immerge tra le tombe
abitate dalle ombre
degli Etruschi.
Al mattino la voce
delle
tortore sul pino,
nel
giardino due upupe
a
caccia di chiocciole.
Nel
cielo gabbiani,
rondini
in volo.
Il
falco traccia
i
confini dell’orizzonte.
Giocare
Il triciclo intreccia
viaggi
sul prato.
Anna
raggiunge
veloce
Milano
riparte
per Roma,
la
bambola sul seggiolino.
Chiama
l’albergo:
“Una camera per quattro!”
“Si gioca ancora!”
Siamo nella foresta
il leone che mangia
il lupo, il pompiere
che salva il gattino
sulla cima dell’albero,
il macchinista del treno
ora sobrio, ora brillo.
Giochiamo tra le canzoni
sulle
onde del mare
che
accarezzano
la
spiaggia, i castelli
di
sabbia costruiti,
abbattuti
ogni mattina.
Il
sole impigliato
nelle
ciocche dei capelli.
“Dormite bambini,
la mamma è in ufficio,
vi racconto la storia
di Cappuccetto Rosso
che va dalla nonna.
Incontra il lupo nel
bosco:
“Il dolce nel panierino
è per la nonna malata.”
Il suono di un disco
rende ogni ora sonora:
“Bovi, bovi dove andate
tutte le porte son
serrate.”
“Siam serrate a
chiavistello
con la punta del
coltello.”
Parole
dove andate
vestite
come fate?
“Andiam, andiam
a caccia del leon.
Se si sveglia, se si
sveglia
lui ci mangia in un
boccon.”
Le
braccia in avanti
strisciamo
sul prato.
Le
mani alla bocca,
il
fucile vicino.
“Cosa fanno le belle manine?
Battono, battono
e se ne vanno.
Cosa fanno le belle
manine?
Girano, girano
e se ne vanno.”
Frullano,
passerotti
in
volo nella stanza.
Cantare
Impazzisce
il canto
imperturbabile
delle cicale
arroventate
dal sole.
Il
giardino si alza
dai
campi di pomodoro,
solchi
di piante
dagli
occhi arrossati,
fino
alle colline.
Canta alle bambole:
“Tanti auguri a te”,
ride,
batte le mani.
Sommersa
da mille
occhi
curiosi,
guarda
stupita
le
candeline sul dolce.
Piange
ora disperata.
Cantano i bambini
“Giro giro tondo
come è bello il mondo
tra tanti uccellini.”
Creano
un cerchio,
una
nube di evviva,
appendono
alle nubi
le
storie di tanti anni fa.
Le acque di Torre Mozza
parlano:
“Gaetana
da sola difese la Torre
dall’assalto degli
inglesi.
Francesco fu nascosto
dai pirati a Montecristo.
Un cucchiaio lucente
guidò la barca dei
fratelli.”
Le acque dello Stellino
parlano
del pescecane:
“Mangiò, un boccone,
il palombaro al lavoro
sul fondo del mare.
Emerse una bombola
trafitta dai denti
del Carcarodonte.”
Cantano i venti
padroni
della casa,
arrivano
a raffiche
dalle
spiagge vicine,
braccia
della tempesta.
Le
bambole coperte
fino
alla punta del naso
nel
tepore del sottoscala.
“Vento, portami via con te!”
canto
vicino al letto.
“Fischia il vento.”
“Ancora, non smettere
mai.”
“Il vento ha buttato
giù la canna, bambina
fai la nanna
il nonno vuol dormir!”
Partire
La spiaggia un tappeto
di
colori, la storia
di
ieri, degli Etruschi:
il
rosso dei forni,
l’argento
del ferro.
Salutano
le braccia
del Golfo di Baratti
verdi
di antiche pinete.
L’agosto porta i viaggi,
il silenzio della casa.
Porta i temporali,
le cantine allagate.
L’agosto porta
il messaggio: Anna
ha visto dalla nave
giocare i delfini.
I girasoli circondano
la
casa del mare.
Dalla
loggia ascolto
il
silenzio dei girasoli,
seguono
le nostre storie.
Fissano nella memoria
i ricordi dell’estate.
Ondeggiano, salutano.
Dalla Rocca di Populonia,
la
magia dell’aruspice:
il
vento ha mangiato
ogni
nube, si apre
il
mare coronato
da
lontane montagne.
L’Elba
e la Corsica
la
costa francese … e oltre.
Antichi personaggi
abitano
le onde
di
questo mare.
L’Imperatore
famoso
nacque
tra le montagne
azzurre
della Corsica.
Conquistò
le terre
davanti
ai nostri occhi … e oltre.
Catturato dai lupi
fu
portato all’Elba,
re
di un piccolo regno.
Incontrò
sui monti Maria,
la
Principessa amata.
Fuggì
per queste acque
verso
l’ultima battaglia,
la
prigionia, la morte … e oltre.
La lanterna si alza
da Populonia, gonfia
d’aria, di pensieri
per la stagione che verrà.
Raggiunge nel cielo
le altre lanterne,
si confonde tra le ombre
che lievitano dalla terra.
IV. Autunno
Tramonto
Labirinto
antro
del
Minotauro
spazi
grigi di pietra,
al
centro l’Enigma.
Ti vesti di parole,
piovono
dal canto,
spuntano
nel giorno
coriandoli
di colore.
Bolle
di sapone
si
gonfiano.
Scoppiano
nell’aria,
riappaiono
dal nulla.
Lettere piovono
dal cielo, piccole
grasse,
lettere suonano
sibilano gracchiano.
Lettere in fila,
i vagoni di un trenino,
conquistano un senso,
diventano parole.
Ti vesti di parole
sempre
nuove.
Mi
spoglio di parole
sempre
nuove,
volano
via i nomi
dalla
stanza della mente.
Rimane
l’ombra
dei
vestiti appesi.
Se il nome riemerge
è
festa, l’incontro,
un
amico ritrovato.
Al
centro della mente
s’innalza
la dimora
raggrinzita
dell’Io.
La
porta aperta
per
l’ultimo volo.
Memorie
Labirinto
conoscenza
il
filo di Arianna
nelle
mani di Teseo,
legame
d’amore.
Scivolano i ricordi,
la
colonia una nave
arenata
fra le dune
del
mare. Si alza
la
torre dell’acqua
sulle
chiome dei pini.
Le
raffiche del vento
invadono
i corridoi.
Irrompono i ragazzi,
sono
un punto, la testa
rapata
sugli occhi celesti,
in
mano la valigia
(corredo:
costume,
magliette,
mutande).
Arriva
dal piazzale
il
canto dei ragazzi.
Bambini scendono
seguendo
il maestro,
le
braccia nel vento.
Sulla
neve le spire di un serpente.
Li
seguo dal rifugio,
spariscono
tra gli abeti.
Li
rivedo in volo, aquiloni
nella
luce del tramonto.
Vola l’aeroplano,
un
foglio di poesia,
un
colpo di vento
solleva
il muso in alto.
Improvviso
l’aeroplano
d’acciaio:
“Nonna valigia!”
grido,
poi le bombe
squassano
il quartiere.
Silenzio
Labirinto
miraggio
il
nulla al centro
scomposizione
del reale
seduzione
dell’invisibile.
Ombra della sera
figura
d’uomo
allungata
nella luce
triste
del tramonto,
grappolo
d’uva
dimenticato
al tralcio
della
vite nel tempo
della
vendemmia.
Ascolto il silenzio
dalla
Rocca di Populonia
lontano
dalle spiagge,
dai
motori delle strade.
L’aruspice
segue
il
volo del falco,
coglie
i segni del cielo
per
la nuova stagione.
La violenza del giorno
è lontana, la città cade
nell’antico mistero.
I sacerdoti in processione
salgono all’altare
per il sacrificio.
Nuovo sangue
nutre la vita del mito.
Mi lascio andare,
l’acqua accarezza
il nuoto leggero.
Sotto di me le ombre,
le creature del mare.
Sopra di me la luce
di Febo. La bellezza
a portata di mano.
Concerto
per
Flora
I. “La Primavera”
Flora
… al regno ov’ogni Grazia
si diletta
ove Biltà di fiori al crin
fa biolo,
ove tutto lascivo, drieto
a Flora,
Zefiro vola e la verde
erba infiora. *
Flora esce con lieta
baldanza dal bosco,
sparge rose recise
raccolte nel grembo.
Nel volto il sorriso
della rinata Fiorenza.
Al suo fianco, strida
di donna, frasche spezzate,
Zefiro, le gote gonfie
di vento, afferra Clori,
l’amata ninfa, zampilli
di fiori dalla bocca.
Il vento s’ingorga
nei pepli, li scuote,
li increspa a onde
in un turbinio
continuo di stoffe,
gremite di petali e fiori.
Al centro del prato
un tappeto di fiori,
Venere accenna
a un passo di danza,
saluta, un lieve gesto,
l’arrivo della primavera.
Riprende l’eterea
danza delle Grazie.
Cupido sta per scoccare
la freccia, bendato.
Un colpo e si accende
il fuoco dell’amore.
Mercurio nel bosco
profumato d’aranci,
in vesti da guerra,
alza in alto il caduceo
cinto da due feroci
serpenti avvinghiati.
Trafigge l’ultima nube
residuo della discordia,
mostra il tempo della pace.
La tempesta vola via
dalla città di Fiorenza,
dalla terra dei Medici.
Fiorire
“Ben arrivato agli Uffizi”,
Flora salutandomi
mi porge una rosa.
“Sandro mi ha rifatto
il trucco per ricevere
la folla dei visitatori”.
La fila della folla
disegna nel Piazzale
le spire di un anaconda.
Un Cupido dipinto di bianco
lancia frecce di gomma
ai passanti.
“La notte usciamo
dai quadri, mi scateno
con Venere e Mercurio.
Arriva il profumo dell’Arno,
l’aroma del pane,
il canto degli ubriachi”.
Non dormite, non riposate
la notte? La vostra
salute è in pericolo.
Oggi c’è bisogno
di bellezza, di simboli
sereni del bello.
“Quando
dalla Torre
suona il mattino,
arrivano i padri,
a colpi di pennello
sparisce la stanchezza,
si ricompongono le vesti.”
Chiedi ai padri
di rimanere tra noi,
l’arte fecondi
la sterilità dei tempi,
rinascano le botteghe,
i gigli del Rinascimento.
“Le ombre tra le ombre!
L’arte incontra il bello
seguendo con occhi puri
la cadenza dei tempi,
inseguendo le esili
tracce dell’utopia”.
Fiorenza
Attraverso le piazze
cammino per le vie
cerco pagine di storia
raccolgo immagini.
Per segnalibro
l’idea della bellezza.
Pullman sull’Arno
da tutto il mondo,
le dieci del mattino.
Pullman dall’Arno
per tutto il mondo,
le cinque della sera.
Cupola, rossa corolla
al centro della valle,
lo slancio dei costoni,
la sequenza degli embrici.
Galleggia sulle strade,
segno puro d’armonia.
Geometrie dalle piazze
il cerchio dei bambini,
le ellissi delle rondini,
il quadrato dei turisti,
la retta della palla
calciata
la sfera in rosa del cielo.
Colori della storia.
L’argento della pietra
forte,
l’oro della pietra serena,
il bianco della calce,
il verde dei marmi,
il rosso dei tetti.
Il suono della poesia.
Shelley alla Fonte del
Narciso,
i Futuristi alle Giubbe
Rosse,
Montale all’antico
Istituto,
Campana a San Salvi.
Dante per ogni dove.
II. “ Tredici tempere su tela”
Tosca
Tosca mi guida per un varco
dentro la fabbrica abbandonata
“Parla delle idee che abbiamo vissuto,
tessi il filo della memoria.” * *
Tosca, cerco i fiori del
bello
nati nella periferia
al calore delle utopie
che rivestono di rosso
gli anni pari e dispari
della mia lunga vita.
“Incontriamoci alla Società
di Mutuo Soccorso
stasera, dopo l’arrivo
dell’ultimo volo
quando svanisce
il rumore dei motori.”
Nei quadri alle pareti
del ristorante, Vinicio
racconta per linee e
colori
la storia del paese.
Sui tavoli lattine
di birra e Coca Cola.
Longarine e ganasce,
tavole da cantiere
si spingono in alto:
lo slancio della Cupola,
delle idee in fermento
per la nuova società.
Tra le strutture, macchie
di colore, rosso e nero,
giallo e azzurro,
la tavolozza del
Botticelli.
Lievitano parole,
viti d’acciaio del
racconto.
La COSTRUZIONE
della Casa del Popolo,
dopo il lavoro di
quattordici ore.
L’Assalto dei Fascisti,
la RESISTENZA,
sentieri rossi per la
rinascita.
Rinasce Peretola
e la Casa del Popolo,
cultura e solidarietà.
L’aria profuma di sogni,
del sapore sensuale
della rivoluzione.
Marcia il Quarto Stato,
una folla in corteo,
Tosca in prima fila,
il bambino in braccio.
Facce sfumano sul fondo,
formano un POPOLO.
Trame
Escono dai quadri,
per le strade dietro le torce
delle guardie di notte.
Tra le ombre delle fabbriche,
dei supermercati,
le zolle degli ultimi campi.
“Lo sciopero delle
trecciaiole.
Mi distesi sulle rotaie
il bambino in braccio.”
Tosca ricorda agli amici:
“La cavalleria ci attaccò
da ogni parte, nella
piazza.”
Remo al villino
di via della Stazione:
“Chiusi questo cancello,
partii per la guerra.
Lo riaprii dopo sei anni,
per compagna la
tubercolosi.”
Cesare porta gli amici
fino all’Arno,
alla barca da renaiolo:
“Fatica dura dall’alba
al tramonto, un carico
per un pezzo di pane.”
Orlando indica le luci
di Monte Morello:
“Un anno sul Monte,
da partigiano. Fummo
circondati dai tedeschi.
Solo io mi salvai.”
All’alba i primi voli,
le sirene dell’Osmannoro.
Alla Casa del Popolo
Tosca, Remo e gli altri
riprendono posto
nei quadri di Vinicio Berti.
Tracce
“Il primo tra i vini
quello
di Peretola e Brozzi, il
miglior
che un cristiano ingozzi”
dice Bacco parlando
alla rovescia: “ Sa di botte,
di cuoio e marcorella.”
Il primo volo quello
di Zoroastro da Peretola:
le ali di Leonardo,
si lanciò da Monte Ceceri
nel vuoto, con le rondini.
La gamba rotta, la gloria.
Il primo navigatore
Amerigo Vespucci.
I modelli delle navi
nel Fosso Macinante,
prima di dare il nome
al nuovo continente.
Il primo a partire
per il noce di Benevento,
il Gobbo di Peretola
e a tornare con due gobbe,
una davanti e una di dietro.
La punizione delle streghe.
Il primo a dire
che le gru di Peretola
hanno una zampa sola,
Chichibio il cuoco
innamorato di Brunetta
dalle facili promesse.
Il primo cavaliere
con Ettore Fieramosca
alla disfida di Barletta,
Albimonte da Peretola,
guerriero temprato
dalle risse del paese.
La prima a vedere
Pinocchio impiccato
alla Grande Quercia,
la Fata dai capelli
turchini, con il falco
e il can-barbone.
Il primo burattino
a diventare un ragazzo,
Pinocchio. La Fata:
“ Per il tuo buon cuore,
ti perdono. Sarai
un ragazzo come gli
altri.”
III. “La Nascita di Venere”
Venere
Una donzella non con umano
volto
da Zefiri lascivi spinta a
proda
gir sopra un nicchio; e
par che ‘l ciel ne goda.
Vera la schiuma e vero il
mar diresti … * * *
Venere superba
solca le onde del mare
verso la terraferma.
Rinnoverà alla felice
terra di Toscana
i doni dell’amore.
Il volto reclinato,
copre con la destra
un seno, con l’altra
preme sul pube
la ciocca lunga
dei capelli biondi.
Sulla riva frastagliata
di spiagge e insenature,
un tappeto erboso:
Carite dispiega
nel vento un mantello
di pianticelle fiorite.
Volano abbracciati
Zefiro e Aura:
dalle bocche spira
un effluvio, una pioggia
diffusa di rose recise
sulle acque increspate.
Fiorenza attende Venere.
Sarà annunziata
dal riflusso frangiato
delle onde del fiume
che scherza controcorrente
ai piedi del ponte.
Vedute
“Mi affaccio dalle sei
finestre affrescate”.
Le immagini di Venere
sul telone che copre
il palazzo in costruzione,
vicino all’autostrada.
“Canto una canzone
d’amore, in bicicletta”.
Sui Lungarni, dopo
la notte in discoteca,
sullo sfondo la chiesa
di San Frediano in Cestello.
“Corro tra gli ippocastani
nel giardino di Boboli”.
Maglietta e calzoni bianchi,
la cuffia
dell’i-pod,
l’immagine riflessa
nella vasca del Nettuno.
“Ondeggio nella sfilata
al Piazzale degli Uffizi”.
Il vestito rosso
di Armani, lampi
di flash tra due
nubi di applausi.
“Guido un gruppo
sulla monobici”.
Occhiali ray-ban:
sulle lenti la luce
alternata delle insegne,
l’ombra del Campanile.
“Scherzo con gli amici
a Santo Spirito”.
Bottiglie di birra,
un pitbull al guinzaglio,
sul braccio il tatuaggio
LOVE, LOVE, LOVE.
“Lancio baci
ai viandanti della notte”.
In piedi al finestrino
dell’ultima vettura del tram
che attraversa la città
addormentata.
Visione
Venere spinta dai venti
giunge alla riva,
ai piedi della Galleria
degli Uffizi, dove
un tempo sorgeva
il porto romano.
Tosca in disparte
dal Ponte Vecchio
osserva l’arrivo
di una nuova stagione,
assapora il profumo
della primavera.
Flora accoglie la dea,
la coperta ricamata
di gigli fra le braccia.
Mano nella mano
salgono la scalinata,
raggiungono gli Uffizi.
L’Alba si annuncia.
C’è ancora il tempo
per intrecciare una danza,
per invitare Mercurio
a rinnovare il rito
per un nuovo Rinascimento.
Canto
“Sora nostra
matre terra”
“Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo
utile et humile ...
Laudato si’, mi Signore, per frate focu, per lo quale
ennallumini la nocte, …
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, ...”
dal Cantico delle creature, San Frencesco d’Assisi
Acqua
Si ode solo il fruscio
delle foglie, è scomparso
il suono dell’acqua
dal fondo della valle.
Prendo nella mano
la sabbia del fiume,
solo detriti del bosco,
gusci di granchi.
“Che cerchi tra i rovi,
pellegrino smarrito?”
chiede la civetta
dalla finestra della casa.
“Ero la civetta da richiamo
del vecchio civettaio
Ora la mia voce si alza invano
fino al volo dei falchi:
la galleria scavata
alle radici del bosco
ha rubato per sempre
il suono dell’acqua.”
Terra
La luna mostra il suo volto
a Matmata, la città nel deserto
del sud, le case scavate
intorno a profondi crateri.
La luna mostra il suo volto
nelle dune di sabbia rossastra
nelle colline bruciate dal sole.
Seguendo fresche gallerie
scavate dalle origini del tempo
sono sceso al riparo per la sera.
Nella notte di stelle disteso
sulla stuoia, mi sento felice
vicino al cuore della terra.
Fuoco
Compongo in versi
suoni e silenzi
cerco parole, creo
un ammasso d’argilla
da modellare a piene mani.
Scompongo, ricompongo
i versi, cerco la forma.
Ora il fuoco abbraccia
l’argilla, la riscalda,
la cuoce, la brucia.
La poesia è pronta
per la polvere del giorno.
Vento
Una schiera di cavalieri
galoppa sul crinale
del monte, sopra la città.
Si piegano, si rialzano.
Sventolano gli stendardi.
Sono gli alberi del bosco
sulla cima del monte,
scossi dalle raffiche
del vento, dall’ululato
che penetra i nostri sonni.
Sole
Il sole scende dal carro
e getta l’armatura,
gli ultimi raggi
incorniciano la nave
all’orizzonte.
Vespero alto nel cielo
precede le stelle
per ogni dove,
sulle rive dell’ isola
abitano ancora
gli eroi di Omero.
Stelle
Osservo
le stelle
dalla
radura del bosco
bagnata
di silenzio.
Leggo
nella volta celeste
il
racconto dei miti.
Cerco
la mia stella
per
l’incontro con altri
cieli,
altre terre,
per
orientarmi nella vita
incerta
di migrante.
Luna
La luna versa
una bianca luce di latte,
sorta dall’orlo delle colline
al di là dei binari.
Il treno taglia la notte
al centro di un manto di luce.
Nota dell’autore
Concerto
Questa sera a teatro, al Concerto! La serata si apre con
la sinfonia dedicata alla città etrusca di Populonia. Segue il Concerto per Flora, la nostra Fiorenza. Per ultimo il Canto “Sora nostra matre terra”.
La poesia gioca, in quest’occasione, con alcune forme del
mondo della musica, ne riprende tratti, impronte. E’ abbandonata la fisionomia
consueta della forma-libro, orientata, di solito, in una determinata, unica
direzione, per seguire il movimento delle composizioni musicali in andamenti
plurali, ascendenti e discendenti.
Questa
Raccolta, Concerto, pone attenzione
alle istanze della musica nella struttura sinfonica per movimenti e a quelle
poetiche nello svolgersi delle evocazioni che generano immagini. Insieme le due
istanze producono emozioni che si rincorrono nel flusso della coscienza, di frammenti
di memoria. E nella sinfonia – come nel concerto – è composizione di abbandoni
e riprese, dove un tema è introdotto, poi sviluppato, poi accantonato, poi
variato e organizzato in discorso.
Sinfonia per Populonia e Concerto per Flora partecipano
a tale assunto: il ricordare e l’interrogarsi, il raccontare e il descrivere diventano
dato caratterizzante in quel preminente gioco di fusioni, di richiami, in
associazioni d’idee che si rincorrono e si frappongono tra la realtà e il
sogno, tra il desiderio e la memoria.
La malta per questa costruzione è offerta dalla ricerca
che ho sviluppato nel campo della poesia. I movimenti che compongono i temi
della Sinfonia per Populonia e del Concerto per Flora, presentano tra loro
registri diversi secondo gli argomenti, con la ricerca ora di dissonanze, ora
di toni aulici o umili.
La Raccolta Concerto
termina con il componimento Sora
nostra matre terra dedicato all’incontro dell’uomo con la natura. In questo
caso l’attenzione è rivolta alla forma dei Lieder, opere per voce solista e pianoforte, e ai Liederkreise,
o "cicli", una serie di
canzoni legate da un singolo tema narrativo.
Sinfonia per Populonia
Si alternano le stagioni nella terra di Populonia: Inverno,
Primavera, Estate, Autunno. Vari sono i
passaggi, dai giorni nostri all’epoca degli Etruschi, dalla dimensione pubblica
a quella del quotidiano privato, secondo una varietà di flussi di coscienza che
spaziano in lungo e in largo, tra passato e presente.
Populonia, si
ricorda, è una frazione del comune di Piombino in provincia di Livorno. L'antico abitato si trova in posizione
dominante su di uno dei promontori che formano il golfo di Baratti. Populonia fu un antico insediamento etrusco, di nome
Fufluna (da Fufluns, dio
etrusco del vino e dell'ebbrezza) o Pupluna, l'unica città etrusca sorta lungo la costa.
Era una delle dodici città della Dodecapoli etrusca, le città-stato principali che facevano parte dell'Etruria,
governate da un lucumone.
Già in epoca arcaica l'abitato si estese
anche alle alture limitrofe e all'area del golfo di Baratti, dove, oltre alle
principali necropoli della città, è localizzato anche il quartiere industriale.
Insieme a Volterra fu uno
dei centri più importanti per l’attività mineraria e per
l'industria metallurgica degli Etruschi.
Concerto per Flora
Il Concerto è
dedicato alla ninfa Flora, il mitico personaggio che richiama la città di
Firenze e il suo antico appellativo: “Fiorenza”. Il riferimento è alla perenne
fioritura o ri-fioritura della città sotto il governo mediceo e in altre
stagioni della sua storia. “Alla bella Flora trionfante non può che convenire
l’identità di Fiorenza, la città.” (Cristina Acidini Luchinat, Botticelli. Allegorie mitologiche,
Electa, 2001, pag. 34). Per Landino – nel Proemio
al Commento della Divina Commedia, 1481 – “ Volle essere detta Florentia,
in che appruovo l’opinione di Plinio, fiorendo essa d’ogni spezie di bellezza
...”
Alcune delle scene richiamate nel Concerto per Flora sono ambientate alla Galleria degli Uffizi,
presso i celebri quadri di Sandro Botticelli, La Primavera e La nascita di
Venere. I due quadri presentano, com’è noto, allegorie mitologiche che
hanno dato luogo nel tempo a molteplici interpretazioni della figura dei
personaggi e delle loro azioni, con valenze legate o al committente o di natura
storica o filosofica. Fra le interpretazioni possibili, la scelta nel nostro
caso si rivolge alla lettura proposta nel bel libro di Cristina Acidini
Luchinat, ora citato. Secondo questo testo, La
Primavera celebra la riconquista della pace sotto la guida dei Medici e
nella Nascita di Venere la dea, in
piedi sulla conchiglia, è spinta dai venti verso la costa della Toscana, per
fare dono delle sue ricchezze.
Una posizione importante, in particolare, assume nel
quadro La Primavera la figura di
Mercurio: “Ecco dunque che col suo caduceo inquieto, in via di pacificazione,
il dio tuttora in assetto di guerra dissolve una nube, forse un’ultima piccola
nube, residuo di una grande discordia”. Il caduceo è l’insegna che impugna Mercurio,
formata da un bastone al quale si avvinghiano due serpenti, simbolo nella
tradizione del dio Esculapio, “segno – nel mondo antico – di concordia, unione,
pace”.
Le citazioni in corsivo riportate nella Raccolta,
all’inizio de La Primavera * e de La nascita di Venere * * *,
sono riprese dal primo Libro delle Stanze
per la Giostra di Giuliano di Agnolo Poliziano e, precisamente, dalla
strofa 68, la prima, e dalla strofa 100, la seconda. Si veda A. Poliziano, Le Stanze, in Poesie Italiane a cura di S. Orlando (Rizzoli Milano, 1988). Sandro
Botticelli, com’è noto, trasse ispirazione dal poema del Poliziano.
Il secondo tempo del Concerto
per Flora, Tredici tempere su tela
- di Vinicio Berti - fa come da collegamento tra il primo e il terzo tempo. Vinicio Berti (Firenze, 1921 – Firenze, 1991) è stato
un pittore, illustratore ed autore di fumetti. Tra
i fondatori dell'astrattismo classico fiorentino, fu una delle personalità
artistiche più significative del dopoguerra.
Negli anni Ottanta Vinicio Berti regalò alla Società Mutuo
Soccorso di Peretola tredici tavole che raccontano la storia più che centenaria
dell’associazione. Sono esposte in una delle sale della Casa del Popolo e illustrano
tratti importanti dell’identità sociale di Peretola, un borgo di antiche
origini alle porte di Firenze. Queste opere interpretano, in definitiva, i miti
popolari di un’epoca. Riprendere il filo di quei racconti, può aiutare a
ritrovare il senso della storia di un’intera città.
La citazione in
corsivo che apre il secondo tempo Tredici
tempere su tela, è ripresa dalla poesia La
Manifattura Tabacchi **,
presente nel libro dell’autore Florentia
(Gazebo Libri, Firenze 2008).
L’ultimo movimento del secondo tempo, Tesori, è costruito attingendo alla
storia e alle leggende legate a Peretola, alcune tramandate in ambito popolare.
Possono essere indicate tra le fonti, le novelle di Franco Sacchetti Trecentonovelle, Giovanni Boccaccio Decamerone, l’opera di Francesco Redi (Bacco in Toscana e Il Gobbo di Peretola), Pinocchio
di Collodi, il film Il soldato di Ventura
di Pasquale Festa Campanile.
Nel precedente movimento Tracce, le parole riportate in lettere maiuscole, ricordano uno dei
tratti tipici della Poesia Visiva - specie delle opere di Eugenio Miccini -, movimento
che nasce a Firenze dalle sperimentazioni artistiche e letterarie compiute nel
clima della Neoavanguardia, a partire dagli anni Sessanta del secolo passato.
Una citazione, infine, riguardo al movimento Vedute de La nascita di Venere: la figura di Venere che si affaccia dalle
finestre affrescate sul telone del palazzo in costruzione, ricorda alcune opere
di Andy Warhol.
Canto “Sora nostra matre terra”
Il titolo, com’è evidente, fa riferimento al Cantico delle creature di San Francesco
d’Assisi.
Le poesie che
compongono il Canto sono riprese, con
alcune modifiche, dai libri dell’autore Itinera
(Masso delle Fate, 2007) e Luoghi del
mito (Lieto Colle, 2010) .
Le immagini del libro
La foto in copertina è dell’autore. I tre disegni che
aprono le sezioni del libro, sono del pittore fiorentino Enrico Guerrini.
Roberto Mosi vive a Firenze. E’ stato dirigente per la
Cultura alla Regione Toscana. Ha
pubblicato le raccolte di poesia: L’invasione
degli storni (Gazebo Libri, 2012), Luoghi
del mito (Lieto Colle, 2010), Nonluoghi
(Comune di Firenze, 2009), Florentia (Gazebo
Libri, 2008). Nella collana Libri Liberi,
www.a.Recherche.it sono pubblicati gli
eBook di poesia: Aquiloni e Itinera. Recensioni sulle opere
dell’autore sono riportate nel sito www.literary.it.
Mosi cura i Blog per la poesia www.robertomosi.it
e www.poesia3002.blogspot.it . Ha
realizzato mostre presso caffè letterari e biblioteche dedicate al rapporto fra
testo poetico, immagine fotografica e pittura.
Roberto Mosi è fra i redattori della rivista fiorentina Testimonianze, fondata da Ernesto Balducci. Alcuni
degli articoli pubblicati: “Il
paesaggio fra poesia e memoria” (2002), “Dino Campana, un viaggio chiamato amore” (2004), “Gli angeli sulla Cupola di Berlino” (2004),
“Mario Luzi, la tensione verso la
semplicità” (2005), “Da quando
Modugno cantò volare” (2007), “Aeroplani di carta” (2008), “Quando mio
padre combatteva in Etiopia” (2011), “Bertgang di L. Fontanella” (2012).
Altre opere: “Cibernetica
e città del futuro”, in “Città e anticittà” a cura di Giovanni
Michelucci, 1971; “Sulle tracce di
Napoleone e Elisa: percorsi napoleonici nella costa toscana” (Fazzi
Editore, 2005); “Elisa Baciocchi e il fratello Napoleone. Storie francesi da
Piombino a Parigi” (Foglio Edizioni, 2013).
L’autore è impegnato come volontario nel campo della
cultura.
Riferimenti: r.mosi@tin.it
.
Indice
Giuseppe Panella
La fonte del
ritmo, l’avventura del tempo
Sinfonia
per Populonia
I.
Inverno
Caos,
Passione, Mito
II. Primavera
Nascere, Crescere, Scherzare
III. Estate
Fiorire, Giocare, Cantare, Ricordare
IV. Autunno
Tramonto,
Memoria, Silenzio
Concerto
per Flora
I.
“La Primavera”
Flora, Fiorire, Fiori
II. “Tredici tempere su tela”
Tosca,
Tracce, Tesori
III. “La
nascita di Venere”
Venere, Vedute, Visione
Canto “Sora nostra matre terra”
Acqua, Terra, Fuoco, Vento, Sole, Stelle, Luna
------------------
Video youtube: In onore di Giuseppe Panella, Estate
Il libro "Concerto" di Roberto Mosi, Gazebo Editore, è presente nelle Biblioteche: Gabinetto Vieussieux, Regione Toscana, Buonarroti, Comunale dell'Impruneta.
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