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La
città che cambia fra memoria e futuro. Il caso Novoli
Roberto Mosi
La
linea della tramvia per l’aeroporto di Firenze, da via Gordigiani, dopo aver
sfiorato il liceo scientifico Leonardo da Vinci, s’impenna sul lungo ponte
intitolato a Margherita Hack, alla confluenza del Mugnone e del Terzolle, e
scende su via di Novoli per raggiungere la fermata San Donato-Università. Per
coloro che sono nati nella zona come me e hanno una certa età, l’impatto con il
paesaggio urbano di oggi è veramente sconvolgente. Da una parte, nella
direzione dell’Arno, gli imponenti agglomerati degli edifici costruiti negli
anni Settanta, lasciano un breve respiro all’antica chiesa di San Donato in
Polverosa, al suo campanile medievale e ad un tratto della villa Demidoff,
sottoposta di recente ad una drastica opera di restauro. Dalla parte opposta
della via di Novoli, verso Monte Morello, i segni più forti dei recenti cambiamenti
avvenuti nella città, con la realizzazione del centro commerciale di San Donato,
aperto su un’ampia piazza da dove inizia il percorso verso il polo delle
Scienze Sociali dell’Università di Firenze; con il restauro dell’imponente ex
Centrale Termica dello stabilimento Fiat, trasformata in urban centre. Poco
oltre si apre il parco di San Donato, realizzato in questi ultimi anni, un’area
verde che, per dimensioni, è la terza nella città; all’estremità del parco, sul
viale Guidoni, si alza l’enorme massa di cristalli e cemento del Palazzo di
Giustizia.
Nella
definizione di questo nuovo contesto urbano, accennato a grandi linee, si può
individuare, per un verso, la ricerca della salvaguardia della memoria del luogo,
per l’altro, lo sviluppo in questa zona di nuove funzioni importanti per il
quartiere e per la città. Sono aspetti diversi fra loro ma crediamo che richiedano
una precisa attenzione, passaggi importanti per dare consapevolezza e speranza
ad un’intera comunità. Tre sono gli elementi legati alla memoria collettiva
della zona: il lavoro, la religione, le acque.
Riguardo
al primo elemento, l’edificio della centrale termica dell’ex stabilimento
industriale Fiat, è certamente un simbolo di rilievo all’interno del nuovo
scenario urbano. Si tratta di un edificio a torre, alto 30 metri con struttura
portante in cemento armato dalla cui sommità si innalzava, una volta, una
ciminiera che raggiungeva i 50 metri di altezza, ora sostituita da un insieme
di tralicci che ne rievocano la forma. È un’occasione unica per i
cittadini visitare questo luogo, scoprirne la storia e comprendere
gli interventi che stanno trasformando il sito in un polo culturale. Le visite
consentono di accedere al cuore della centrale, ovvero agli spazi dove sul
finire degli anni Trenta del Novecento, furono costruite due
imponenti caldaie, in grado di fornire l’approvvigionamento elettrico utile
all’adiacente stabilimento Fiat. Il complesso, più volte modificato, è rimasto in
funzione fino agli anni Novanta. Dal piano alto dell’edificio si ha uno sguardo
d’insieme sul quartiere di Novoli, sulla sua struttura urbana, sull’articolazione
delle residenze e delle fabbriche.
Ricordo
bene, quando ero ragazzo, il concerto delle sirene al mattino e alla sera, le
cui voci si alzavano, con tonalità diverse, dallo stabilimento Fiat, dalla
Manifattura Tabacchi e, più lontano, dalle Officine Galileo e dalla Nuova
Pignone. Questa zona, d’altra parte, è stata sempre dedicata al lavoro sia
agricolo che industriale; già nel secolo XIII si insediò l’Ordine degli
Umiliati che, grazie all’abbondanza delle acque e dei fossi, presenti fin dalla
centuriazione romana, intraprese la lavorazione della lana, che poi trasferì in
Borgo Ognissanti. Nell’Ottocento l’imprenditore russo Anatolio Demidoff nel
parco della villa, pianta quaranta mila alberi di gelso e avvia, per alcuni
anni, un ciclo completo di una fiorente industria della seta. La stessa villa è
il centro della gestione degli affari del ricchissimo industriale, proprietario
di fabbriche e miniere anche in Russia, in Siberia, nella regione degli Urali,
in Crimea: da qui partono collegamenti internazionali, resi possibili dall’uso del
telegrafo.
In
merito al secondo elemento preso in considerazione, un particolare significato
riveste la chiesa di San Donato in Polverosa, dagli anni Sessanta del secolo
passato sede della parrocchia della zona, aperta a tutte le ore del giorno, un
rifugio prezioso di raccoglimento, sfiorato oggi dal traffico convulso verso le
autostrade. Sorta come oratorio nei pressi del Mugnone, ha origini romaniche,
risalenti al 1187, l’interno restaurato è ad un’unica navata, conserva alcuni
affreschi staccati del XIV-XV secolo: di Matteo di Pacino sono l'Annunciazione,
il Martirio di san Sebastiano, San Giorgio e il drago e la
Madonna della Cintola, mentre l'Adorazione dei Magi e la Nascita
del Battista furono dipinti da Cenni di Francesco di Ser Cenni; di Gaetano Bianchi è il dipinto neogotico Pazzino
de' Pazzi, crociato fiorentino, che rende
omaggio a san Donato (1880). Da questa chiesa partirono nel febbraio 1188, 84
cavalieri fiorentini per la Terza Crociata dopo che le loro insegne erano state
benedette dall’inviato del papa. Dalle terre d’oriente, conquistate allora dai
crociati, arrivano oggi molti migranti, che vivono una pacifica integrazione
con le persone del quartiere.
Il
grande portone della chiesa si apre, dopo gli ultimi lavori alla villa, su una
piazzetta, ben visibile dalla fermata della tramvia, arredata con pannelli
multicolori che danno conto della storia antica, preziosa del luogo; a metà
dell’Ottocento, lo spazio dell’edificio religioso fu utilizzato per la
biblioteca Demidoff, composta da quaranta mila volumi tecnici e umanistici,
nelle più diverse lingue; nella villa vi era un patrimonio di collezioni d’arte
antica e moderna che unite a quelle dei palazzi della famiglia di Pietroburgo,
Mosca, Parigi, formavano una raccolta fra le più ricche del mondo, che poi è
andata dispersa in numerose, celebri aste.
Riguardo
al terzo elemento della memoria collettiva, le acque, merita soffermarsi sul
toponimo Polverosa che ricorda le esondazioni dai fossi, dai torrenti che per
lunghi secoli hanno interessato d’inverno il quartiere di Novoli, invaso dal
fango: d’estate la fanghiglia si seccava e la polvere invadeva strade e campi;
un paesaggio ben diverso da quello dell’epoca romana, in cui, partendo dalla
via di Novoli, che seguiva l’allineamento del decumano maggiore (est-ovest), si
era dato vita, nella pianura fiorentina, alla centuriazione, ad un’agricoltura
prospera, per un lungo periodo. La Polverosa, nei tempi a noi più vicini, comprendeva
una zona che dalle mura della città arrivava a Peretola, tutto il territorio
era accomunato dalla stessa realtà ambientale, i torrenti a corso libero
devastavano le magre cultura agricole, l’Arno, ancora privo di argini, si
diramava, circondando le Cascine e scorrendo sull’attuale tracciato di via
Baracca, formava continuamente acquitrini ed isolotti. Un mondo ricco di acque,
libere, regimentate via via, con grande fatica dall’opera dell’uomo. Ricordo,
da parte mia, da ragazzo, via di Novoli, stretta fra alte siepi, spesso
d’inverno allagata, impraticabile; allo stesso tempo, conservo ancora
l’immagine del bindolo, il marchingegno vicino alla casa del contadino su via
di Novoli, azionato da due asini bendati, per il sollevamento dell’acqua dal
pozzo; dallo stesso pozzo saliva acqua freschissima, di grande conforto per il
vicinato nelle estati caldissime.
Nella
progettazione del parco di San Donato si è dato un giusto peso alla memoria
delle acque, che abbiamo visto protagoniste della storia di questa zona. Il
parco è stato realizzato da pochi anni (inaugurazione nel 2008) a seguito della
valorizzazione di parte dell'area dell'ex stabilimento Fiat (la restante parte
è servita per la costruzione dell'enorme complesso del Palazzo di Giustizia, la
cui mole domina buona parte dell'orizzonte del parco). Se si escludono le
Cascine, il parco di San Donato, pur trovandosi in un quartiere periferico,
risulta tra le aree verdi pubbliche più grandi di Firenze. Sono stati inseriti
degli elementi di abbellimento o funzionali: una cascata, un laghetto di forma
ellittica attraversato da un lungo ponte, ruscelli, una collinetta artificiale
con cipressi a cui si accede costeggiando una siepe che sale a tortiglione,
arriva ad un belvedere aperto su uno spazio occupato da una sorta di tettoia
con sottostanti panchine, un'area giochi per i piccoli, un'area cani, alcune
fontanine. Nel parco, polmone verde di oltre dieci ettari, si è curata negli
ultimi anni la piantagione di un nuovo bosco urbano, con oltre 250 alberi. È
importante rilevare che questo tipo interventi fanno oggi riferimento al “Piano
del verde e degli spazi aperti”, approvato dal Comune all’inizio del 2025:
Firenze è fra le prime città in Italia a dotarsi di questo strumento, con il
quale si perseguono le strategie necessarie per adattarsi ai cambiamenti
climatici e mitigarne gli effetti, ispirandosi al principio 3-30-300: 3 alberi
visibili da ogni finestra, il 30% di copertura verde e 300 metri al massimo tra
casa e lo spazio verde più vicino. L'obiettivo dichiarato è quello di rendere
Firenze sostenibile, resiliente e vivibile per le generazioni presenti e future
anche di fronte al cambiamento del clima di cui già si stanno vedendo gli
effetti. Il Piano analizza e fotografa la situazione attuale della città,
dalle caratteristiche ambientali e climatiche, alla temperatura media fino alle
piogge e alla loro evoluzione nel tempo, passando dalla disponibilità di aree
per mettere a dimora alberi in giardini, strade, piazze o parcheggi. Il Piano,
che è stato chiamato Iris in onore del fiore simbolo della città di
Firenze, si occupa di tutti gli spazi aperti e non solo del verde urbano
(pubblico o privato) promuovendo una trasformazione green delle aree
pubbliche.
Sono
stati analizzati i cambiamenti del clima nel corso del tempo con alcuni indici
usati comunemente in climatologia, dai quali emergono evidenti tendenze al
riscaldamento del clima nell’area fiorentina. È stata registrata, ad
esempio, una temperatura media annuale del ventennio
2001-2020 più alta di 1,4 gradi rispetto a quella registrata fra il
1878–1918. Anche il freddo è cambiato: i giorni di gelo sono scesi da 270
medi in 10 anni fino agli anni ’40 ai circa 100 medi del
decennio 2011 – 2020. Sono aumentati i giorni di caldo (temperatura
superiore ai 34 gradi) passati dai 50 medi in dieci anni registrati fino agli
anni ‘20 agli oltre 200 medi in dieci anni degli anni 2000 fino a superare i
400 giorni caldi medi nel decennio 2011-2020. Sulla base dei dati storici
raccolti nel Piano si nota anche l’aumento dei fenomeni temporaleschi ma con
una minore disponibilità idrica (perché le piogge sono più forti e concentrate
in pochi giorni). Sulla base dei dati raccolti che mettono in risalto
l’evidente riscaldamento della città, l’aumento dei fenomeni temporaleschi
estremi e la minore disponibilità idrica, sono state evidenziate le aree con le
maggiori criticità e la loro densità abitativa, informazioni importanti per
poter definire le priorità di intervento.
Il
territorio fiorentino, con le sue tipologie di spazi aperti, ha un patrimonio
verde di 922,3 ettari di cui 189 sottoposti a vincolo storico e con ben 875
ettari di competenza dell’amministrazione comunale, con meno verde a
disposizione degli abitanti nel Quartiere 1 e nel Quartiere 5, dove sorge,
appunto, il parco di San Donato.
Il
Piano evidenzia la necessità generale di recuperare ogni spazio disponibile per
realizzare “infrastrutture verdi” e arricchire il tessuto urbano di elementi
naturali, recuperando vivibilità. In primo luogo, prevede nuovi alberi con
funzione di ombreggiamento specialmente lungo strade e parcheggi (oltre
arbusti, cespugli e prati), nuovi spazi verdi anche di dimensioni ridotte,
soluzioni basate sulla natura (depavimentazioni, rain garden e trincee
drenanti, pareti e tetti verdi). Piccoli e grandi interventi per portare
in 5 anni 50.000 nuovi alberi e arbusti, 20 nuovi spazi verdi vicino casa, 50
nuove aree gioco, 10 piazze verdi, 10.000 mq di superfici rese permeabili.
Sono
queste tappe importanti nel processo di cambiamento della città, generale e
nelle singole parti, dal centro alle periferie, che fanno sperare in un futuro
accettabile per l’uomo.






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