mercoledì 4 giugno 2025

ITACA:merC. 2-7 CAMMINARE IL PAESAGGIO DEI POETI- Escursioni e letture proposte da Roberto Mosi. Interviene Nicoletta Manetti





 


Itaca – Incontro 2 luglio: Camminare il paesaggio dei poeti. Firenze e oltre.     Escursioni e letture poetiche

Percorsi

1 - Anello del Rinascimento

L'Anello del Rinascimento è un affascinante percorso trekking di ben 250 chilometri suddiviso in 8 tappe e 10 varianti di distanza differenziata (da un minimo di 5 a un massimo di 25 chilometri) che circondano il capoluogo toscano. L'itinerario alla scoperta dei dintorni di Firenze inizia e termina convenzionalmente presso il Castello di Calenzano; in realtà, trattandosi di un anello, è percorribile in modo libero. Il percorso originario di forma oggettivamente circolare, quasi da ogni punto del percorso si può vedere la Cupola del Brunelleschi; il percorso è stato integrato con nuove aggiunte che lo hanno reso più vario. Molti i punti di interesse coinvolti, fra centri storici, castelli, pievi e paesaggi diversi che vanno dall'argine del fiume alla montagna. Il percorso è di difficoltà media e attraversa strade di tipo sterrato e asfaltato.

Tappa 1 - Calenzano - Monte Morello - Vaglia

Tappa 2 - Vaglia – Alberaccio – Santa Brigida

Tappa 3 - Santa Brigida - Pontassieve

Tappa 4 - Pontassieve - Montecucco - San Donato in Collina

Tappa 5 - San Donato in Collina – Impruneta

Tappa 6 - Impruneta - La Certosa

Tappa 7 - La Certosa – Pian dei Cerri – Signa

Tappa 8 - Signa – Campi Bisenzio – Calenzano

 

   - Luoghi del percorso da segnalare “poeticamente”:

* Alla 2* tappa, al belvedere di Monte Senario: a. Luzi, “Vanno ai monti i monti”

* Alla 5° tappa, a Fonte Santa, ricordo di un femminicidio, la morte di Giulia, da “Orfeo in Fonte Santa” ( Mosi) cap. XIV, pag. 43 (b.)

* Alla 6° tappa, verso l’Impruneta, si scorge bene la Cupola: c. Mario Luzi: “Fiore nostro fiorisci ancora;  Luzi, “Fiore della fede”

* Alla 8° tappa, fra Campi e Signa; d. Luzi, “Presso il Bisenzio”, da Magma

 

 

2. Sentieri:  “Gli Anelli  dei poeti”: 1. Il Centro di Firenze 2. L’Oltrarno 3. Settignano



I. Percorso, l’ANELLO del Centro

 Tempo del percorso: 3 ore, circa

        PARTENZA  - Via Santa Margherita, 1 – Dante Alighieri /  Nel mezzo del cammin di nostra vita /

        Via G. Verdi, 11 – Giacomo Leopardi  / Parmi ogni più bel volto, ovunque io  miro /

        SOSTA Giardino di Borgo Allegri -  LETTURE

        Via Ghibellina, 70 – Michelangelo Buonarroti /  Che cosa è questo, Amore /

        Viale Amendola (di fronte Archivio di St.) - Eugenio Montale / Tu non ricordi la casa dei doganieri /

        SOSTA  Giardino Piazza d’Azeglio - Letture

        Via Cavour – Caffè storico Michelangelo /  Un pensiero per i Macchiaioli /

        Via  Cavour, 1 – Lorenzo de’ Medici /  Quant’è bella giovinezza /

        Via Martelli (Liceo G. Galilei) – Franco Fortini / Padre, il mondo ti ha vinto giorno per giorno /

        Via del Giglio,11 -  John Milton /  Dell’uom la prima colpa  e del vietato /

        Piazza della Repubblica  / Caffè storico Le Giubbe Rosse /  Un pensiero  veloce per i Futuristi / Palazzeschi / La passeggiata/

        Palazzo Strozzi, Gabinetto Vieusseux  -  Eugenio Montale (vedi sopra)

        Lungarno Corsini, 2 – Vittorio Alfieri /   Notte! Funesta, atroce, orribil notte  /

        Lung. Corsini, 2  (Salotto della Contessa d’Albany) – Ugo Foscolo / Forse perché della fatal quiete /

        Lungarno Corsini, 4 -  Alessandro Manzoni  /  Ei fu. Siccome immobile  /

        Parco delle Cascine, Fontana del Narciso  - P. B. Shelley /  Selvaggio vento dell’Ovest, respiro /

        ARRIVO del primo percorso

- - - - -

II. Percorso, l’ANELLO d’Oltrarno (e oltre)
Tempo del percorso:  4 ore, circa

        PARTENZA – Piazza San Felice, 8 – Elizabeth Barrett  /  In quanti modi ti amo, fammeli contare /

        Piazza San Felice, 8 – Robert  Browing / La pioggia di questa notte presto /

        Via Santo Spirito, 5 - Niccolò Machiavelli /  che sotto forma d’un Asin soffersi /

        Piazza Pitti, 15 – Carlo Levi / ozio, pesantissimo ozio/

        Via dei Serragli, Teatro degli Artigiannelli - Umberto Saba / Parlavo vivo ad un popolo di morti /

        Dall’ingresso  del Giardino di Boboli, al Forte Belvedere, a Porta San Niccolò

        Scalinata del Monte alle Croci, Giardino delle Rose, opere di Folon: Letture dedicate a Firenze

        Lungarno in riva sinistra, si attraversa l’Arno al ponte S. Niccolò e si dirige verso:

        Via di San Salvi, Parco dell’ex Ospedale – Dino Campana / In un momento / son sfiorite le rose /

        Parco di S. Salvi – Edificio dipinto con la poesia dagli ex-ricoverati – Pablo Neruda /E quando in Palazzo Vecchio/ bello come un’agave di pietra,/salii i gradini consunti …/

        ARRIVO  del secondo percorso

                                                                           ----

III. Percorso, l’Anello di Settignano (e oltre)
Tempo del percorso: 4 ore, circa

        PARTENZA  da Ponte a Mensola

         Via di Corbignano, 10 Settignano – Casa Giovanni Boccaccio /  Avea la ninfa forse quindici anni /

        Via di Vincigliata , 26 Villa I Tatti – Mary McCarty /

         Torrente Mensola e Lettura del Ninfale fiesolano

         Villa La Capponcina (Settignano) – Gabriele D’Annunzio /  Taci. Sulle soglie del bosco /

        Si prosegue per Via della Capponcina, Settignano, Villa Gamberaia: Letture

        discesa verso Rovezzano, sentiero in riva destra dell’Arno in direzione della città

        Via  della Bellariva, 20 – Mario Luzi / Sulla sponda che frena il tuo pallore /

        Si prosegue per i Lungarni per arrivare a:

        Piazza dei Cavalleggeri  – Piero Bigongiari  / Le unghie crescono per additare qualcosa  /

        Da Piazzale degli Uffizi verso Via Santa Margherita, 1 – Casa di Dante

        Dante Alighieri / l’amor che move il sole e l’altre stelle ./

        ARRIVO dell’Anello dei poeti

 

-  Luoghi del percorso da segnalare “poeticamente”:

* Anello I: Palazzeschi, La passeggiata (e.)

* Anello I: “Selvaggio vento dell’ovest” (f.)

* Anello II: Saba: “Parlavo vivo ad un mondo di morti” (g.)

 

3. Dante  - sette passeggiate con il poeta



Le passeggiate sono illustrate nel libro: R. Mosi “Ogni sera Dante ritorna a casa”, progettate in tempo di pandemia seguendo le 40 lapidi con i versi della Divina Commedia che il comune fece mettere nei primi anni del Novecento . Si parte dalla attuale Casa di Dante (I’ fui nato …,p. 18), al Palazzo Vecchio e Farinata (p. 25), a Corso Donati (via del Corso – chiesa di San Salvi, p. 47), via del Proconsolo, la Badia e Cacciaguida ( p. 61), via s: Margherita, il vicolo dello scandalo e Paolo e Francesca (p. 79), sotto la Cupola del Brunelleschi, presso la Misericordia a p. 92 (Vergine madre …), per finire al Battistero a p. 94, Se mai continga …

 


4.  Campana. Canti Orfici. Da Marradi a La Verna

 


Dal passo del Giogo, l’incontro con Aleramo al Barco, la discesa a Moscheta, all’ingresso della Valle dell’Inferno la Casa Memoria- Museo-Mulino del poeta Ivano Morini (cultore del ricordo di Campana), Casetta di Tiaria, Marradi, La Verna

(alcune  poesie nell’Allegato h.)

 

5. L’Arcadia: i Pastori Antellesi

 


La via è illustrata nel libro Orfeo in Fonte Santa, p. 14. La zona della Fonte, sulla via etrusca da Fiesole a Volterra, sulla via della Transumanza denominata Maremmana e oggi sull’Anello del Rinascimento, è stata frequentata nel Seicento da un gruppo di giovani poeti dell’Arcadia Fiorentina: I Pastori Antellesi che avevano denominato Fonte Santa la “Fonte dei Baci”. Il “pastore” più noto Michelangelo Buonarroti il Giovane (pp. 17-18, la poesia di Michelangelo e i versi di commento).

 


6. Sentiero Mario Luzi

 

 

Sono riportate sopra le 5 escursioni comprese nel Sentiero Mario Luzi. Le escursioni sono illustrate, con i testi di poesia, nel post riportato all’indirizzo:  https://poesia3002.blogspot.com/2025/02/sentiero-mario-luzi-2005-2025-mario.html

Delle escursioni si è già parlato illustrando alcune parti dell’Anello del Rinascimento. Ora ci soffermiamo sulla prima escursione dedicata alle origini del poeta e a Castello (Allegato i.).

 



7. Il sentiero di Rainer Maria Rilke in Toscana

 


Il sentiero è illustrato a p. 147 del libro “Il diario fiorentino di Rilke per Lou Salomè”. Le poesie fiorentine sono al cap. IX; le poesie delle “fanciulle di Viareggio, al cap. XIII.

 


ALLEGATO

 

a.     Luzi, Vanno i monti ai monti




Da “Sotto specie umana” (1999)

 

Vanno ai monti i monti

da soli o con le nubi

sulla cresta o ai fianchi,

si uniscono, si salgono sulla groppa,

si celano l’un l’altro,

si confondono

terra in cielo,

cielo in rupi d’aria e nuvole,

cammini non sappiamo se per uomini o per numi

ne varcano le mutevole frontiera

a scendere e discendere

è il loro moto

tra roccia e terra di pianoro

aperto, senza riparo

dalle origini alle origini.

Ne recano il segno le tue musiche

chiunque tu sia che mi tormenti

con le tue lamentazioni

dal perduto grembo

di anima e materia,

di umano, divino, subumano,

uniti in un’orchestra,

tu, io, la secolare festa.


b.      Mosi R., Orfeo in Fonte Santa, cap. XIV




 

Incredibile la morte

fra i castagni, in file parallele,

colonne della Cattedrale,

rami alti formano archi.

 

Il sole al tramonto incornicia

vetrate iridescenti, il mormorio

delle acque, il sillabare

della preghiera per Giulia,

agnello vittima della furia.

 

Sangue, sangue sul verde

delle foglie, sul pavimento

della Cattedrale, le vetrate

aperte sulla città muta.

Firenze saprà, verrà qui

da San Donato a vedere,

a pregare smarrita

per la ferocia del suo figlio.

 

Giulia sorride nella foto,

è tornata alla Terra,

più vicina a comprendere, forse

a perdonare. Il canto si perde

nelle volte della Chiesa.

 

Con gli ultimi raggi del sole,

prima che chiudano le porte

della Cattedrale, giunge l’eco

del canto degli angeli

alto fino alle volte del cielo.


 

c.      Luzi. La Cupola del Brunelleschi




 

Da “Fiore nostro fiorisci ancora” ( 1996)

 

Primo operaio

L’Estate è piena, il meriggio leva il cervello. Non bastano neppure questi ponti e queste travature e rimuovere l’afa e l’oppressione. Sarà meglio dopo, quando la cupola sarà tutta voltata fino all’ovo e chiusa sopra di noi. Allora ci sarà anche fresco in ogni parte della basilica, si spera.

Intanto di questa stagione siamo richiesti di accrescere il lavoro, di allungare la giornata. Quando gli altri per tutta Firenze sonnecchiano nella lunga siesta dei giorni di canicola, noi siamo più che mai all’opera. Le fiasche vanno e vengono tra le mani dei garzoni e dei maestri e presto sono asciutte. Le ore sono lunghe. Ser Filippo non conosce pausa, sparisce e ricompare di continuo. Gli frullano per il capo mille idee ma una, fissa, le sovrasta tutte: questa cupola. Se va avanti, se regge per geometria, se il calcolo era giusto. Sì, lui a suo dire n’è sempre stato certo, era spavaldo con gli altri uomini dell’arte; ma, guardarlo, è tranquillo fino a un certo punto. Domanda i capimastri, i tagliapietre, i legnaioli, se stimano possibile per la loro parte dargli conferma che l’impresa è giusta e ragionevole.

E, lo sai bene anche tu,, chi è preso dalla sua mania e chi scuote la testa ma continua con parecchia incredulità il suo lavoro nel cantiere.

 

Secondo operaio

Tu con chi stai, io con chi mi metto? Non so proprio rispondere neppure per me stesso.

 

Primo operaio

No, non è facile... però io sono parte di questa fabbrica che cresce; e questo mi basta. Non soltanto mi basta ma anche mi convince. La città edifica lei stessa la sua chiesa, si alza verso il cielo e usa la nostra fatica e la nostra arte per farlo. Mi ha preso e trascinato nel febbrile formicaio della sua officina. …

 

“Fiore della fede”

 

E’ la mia voce ora che ascoltate,

sono Santa Maria del Fiore.

Mi volle la città fervente

alta sopra di sé,

sopra qualsiasi altra

delle sue grandi basiliche

e le sue umili parrocchie

e Santa Reparata che custodisco in me.

Grande mi concepirono i mercanti

e il popolo minuto.

Ebbero di me una visione grande

Arnolfo, Giotto, ser Filippo,

assistettero alla mia nascita, essi,

propiziarono la mia crescita,

un popolo di artefici si adoperò per me nei secoli,

l’Opificio è ancora aperto;

non sarò mai compiuta.

Si tenevano fra le mie mura nascenti

i dialoghi che avete ora ascoltato,

non erano neanch’essi profani,

mi alzavo sopra la città per opera della pietà comune

e di spicciola pazienza.


 

d.     Luzi. Presso il Bisenzio, da Magma

 



La nebbia ghiacciata affumica la gora della concia

e il viottolo che segue la proda. Ne escono quattro

non so se visti o non mai visti prima,

pigri nell'andatura, pigri anche nel fermarsi fronte a fronte.

Uno, il più lavorato da smanie e il più indolente,

mi si fa incontro, mi dice: «Tu? Non sei dei nostri.

Non ti sei bruciato come noi al fuoco della lotta

quando divampava e ardevano nel rogo bene e male».

Lo fisso senza dar risposta nei suoi occhi vizzi, deboli,

e colgo mentre guizza lungo il labbro di sotto

[un'inquietudine.

«Ci fu solo un tempo per redimersi» qui il tremito

si torce in tic convulso «o perdersi, e fu quello.»

Gli altri costretti a una sosta impreveduta

dànno segni di fastidio, ma non fiatano,

muovono i piedi in cadenza contro il freddo

e masticano gomma guardando me o nessuno.

«Dunque sei muto?» imprecano le labbra tormentate

mentre lui si fa sotto e retrocede

frenetico, più volte, finché‚ è là

fermo, addossato a un palo, che mi guarda

tra ironico e furente. E aspetta. Il luogo,

quel poco ch'è visibile, è deserto;

la nebbia stringe dappresso le persone

e non lascia apparire che la terra fradicia dell'argine

e il cigaro, la pianta grassa dei fossati che stilla muco.

E io: «E' difficile spiegarti. Ma sappi che il cammino

per me era più lungo che per voi

e passava da altre parti». «Quali parti?»

Come io non vado avanti,

mi fissa a lungo ed aspetta. «Quali parti?»

I compagni, uno si dondola, uno molleggia il corpo sui

[garetti

e tutti masticano gomma e mi guardano, me oppure il [vuoto.

«E' difficile, difficile spiegarti.»

C'è silenzio a lungo,

mentre tutto è fermo,

mentre l'acqua della gora fruscia.

Poi mi lasciano lì e io li seguo a distanza.

Ma uno d'essi, il più giovane, mi pare, e il più malcerto,

si fa da un lato, s'attarda sul ciglio erboso ad aspettarmi

mentre seguo lento loro inghiottiti dalla nebbia. A un [passo

ormai, ma senza ch'io mi fermi, ci guardiamo,

poi abbassando gli occhi lui ha un sorriso da infermo.

«O Mario» dice e mi si mette al fianco

per quella strada che non è una strada

ma una traccia tortuosa che si perde nel fango

«guardati, guardati d'attorno. Mentre pensi

e accordi le sfere d'orologio della mente

sul moto dei pianeti per un presente eterno

che non è il nostro, che non è qui né ora,

volgiti e guarda il mondo come è divenuto,

poni mente a che cosa questo tempo ti richiede,

non la profondità, né l'ardimento,

ma la ripetizione di parole,

la mimesi senza perché né come

dei gesti in cui si sfrena la nostra moltitudine

morsa dalla tarantola della vita, e basta.

Tu dici di puntare alto, di là dalle apparenze,

e non senti che è troppo. Troppo, intendo,

per noi che siamo dopo tutto i tuoi compagni,

giovani ma logorati dalla lotta.

Ascolto insieme i passi nella nebbia dei compagni che si

[eclissano

e questa voce venire a strappi rotta da un ansito.

Rispondo: «Lavoro anche per voi, per amor vostro».

Lui tace per un po' quasi a ricever questa pietra in cambio

del sacco doloroso vuotato ai miei piedi e spanto.

E come io non dico altro, lui di nuovo: «O Mario,

com'è triste essere ostili, dirti che rifiutiamo la salvezza,

né mangiamo del cibo che ci porgi, dirti che ci offende».

Lascio placarsi a poco a poco il suo respiro mozzato [dall'affanno

mentre i passi dei compagni si spengono

e solo l'acqua della gora fruscia di quando in quando.

«E' triste, ma è il nostro destino: convivere in uno stesso

[tempo e luogo

e farci guerra per amore. Intendo la tua angoscia,

ma sono io che pago tutto il debito. E ho accettato questa [sorte.»

E lui, ora smarrito ed indignato: «Tu" tu solamente"».

Ma poi desiste dallo sfogo, mi stringe la mano con le sue

[convulse

e agita il capo: «O Mario, ma è terribile, è terribile tu non [sia dei nostri».

E piange, e anche io piangerei

se non fosse che devo mostrarmi uomo a lui che pochi ne [ha veduti.

Poi corre via succhiato dalla nebbia del viottolo.

Rimango a misurare il poco detto,

il molto udito, mentre l'acqua della gora fruscia,

mentre ronzano fili alti nella nebbia sopra pali e antenne. (…)

 

e.      Aldo Palazzeschi,  La Passeggiata

 



- Andiamo?
- Andiamo pure.

All'arte del ricamo,
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Sorelle Purtarè. Alla città di Parigi.
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Il presidente pronunciò fiere parole.
tumulto a sinistra, tumulto a destra.


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Cerotto Manganello,
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L?Addolorata al Fiumicello,
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grandi e piccole fascine,
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Professor Nicola Frescura:
state all?erta giovinotti !
Camicie su misura.


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Elettricità e cancelleria.
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rivolgersi al portiere
dalle 2 alle 3.
Adamo Sensi
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primo piano,
Antico forno,
Rosticcere e friggitore.
Utensili per cucina,
Ferrarecce.
Mesticatore.


Teatro Comunale
Manon di Massenet,
gran serata in onore
di Michelina Proches.
Politeama Manzoni,
il teatro dei cani,
ultima matinée.


Si fanno riparazioni in caloches.
Cordonnier.
Deposito di legnami.
Teatro Goldoni
i figli di nessuno,
serata popolare.
Tutti dai fratelli Bocconi !
Non ve la lasciate scappare !


Bar la stella polare.
Assunta Chiodaroli
levatrice,
Parisina Sudori
rammendatrice.


L’ arte di non far figlioli.
Gabriele Pagnotta
strumenti musicali.


Narciso Gonfalone
tessuti di seta e di cotone.


Ulderigo Bizzarro
fabbricante di confetti per nozze.
Giacinto Pupi,tinozze e semicupi.
Pasquale Bottega fu Pietro,
calzature...

- Torniamo indietro?
- Torniamo pure.

  

f.      Shelley. Ode al vento dell’Ovest, la prima stanza



O selvaggio Vento dell’Ovest, tu alito dell’essere d’Autunno,
Tu, dalla cui presenza invisibile le foglie morte
Sono scacciate, come fantasmi in fuga da un incantatore,

Giallo, e nero, e pallido, e rosso etico,
Moltitudini colpite dalla peste: O tu,
Che guidi il carro verso il loro oscuro letto invernale

I semi alati, dove giacciono freddi e bassi,
Ognuno come un cadavere nella sua tomba, finché
La tua azzurra sorella della Primavera soffierà

La sua tromba sulla terra sognante, e riempirà
(Spingendo dolci gemme come greggi a pascolare nell’aria)
Con tinte e odori viventi pianura e collina:

Spirito selvaggio, che ti muovi ovunque;
Distruttore e conservatore; ascolta, oh ascolta!
(…)

 

g.    Saba,  Teatro degli Artigianelli

 

Falce martello e la stella d’Italia

 ornano nuovi la sala. Ma quanto

 dolore per quel segno su quel muro!

 Entra, sorretto dalle grucce, il Prologo.

5 Saluta al pugno; dice sue parole

 perché le donne ridano e i fanciulli

 che affollano la povera platea.

 Dice, timido ancora, dell’idea

 che gli animi affratella; chiude: «E adesso

10 faccio come i tedeschi: mi ritiro».

 Tra un atto e l’altro, alla Cantina, in giro

 rosseggia parco ai bicchieri l’amico

 dell’uomo, cui rimargina ferite,

 gli chiude solchi dolorosi; alcuno

15 venuto qui da spaventosi esigli,

 si scalda a lui come chi ha freddo al sole.

 Questo è il Teatro degli Artigianelli,

 quale lo vide il poeta nel mille

 novecentoquarantaquattro, un giorno

20 di Settembre, che a tratti

 rombava ancora il cannone, e Firenze

 taceva, assorta nelle sue rovine.

- Dante: dal Libro Mosi, “Ogni sera Dante ritorna a casa”

Vedi pp. 18, 47, 61, 79, 92, 94

 

h.    Campana. Canti Orfici. Da Marradi a La Verna (primi riferim.)

Al passo del Giogo per scendere poco dopo al Barco dove la mattina di giovedì 3 agosto 1916 Sibilla Aleramo scese dal postale per incontrare il poeta di Marradi.

               Fra Dino e Sibilla vi era stato uno scambio di lettere, fra queste troviamo la poesia della scrittrice:

 

Chiudo il tuo libro,

snodo le mie trecce,

o cuor selvaggio,

musico cuore…

con la tua vita intera

sei nei miei canti

come un addio a me.

 

Smarrivamo gli occhi negli stessi cieli,

meravigliati e violenti con stesso ritmo andavamo,

liberi singhiozzando, senza mai vederci,

né mai saperci, con notturni occhi.

 

Or nei tuoi canti

la tua vita intera

è come un addio a me.

 

Cuor selvaggio,

musico cuore,

chiudo il tuo libro,

le mie trecce snodo.

 

Dopo tre giorni passati al Barco, il successivo incontro fu venti giorni dopo a Casetta di Tiara, un paese sperduto nei boschi oltre Moscheta e la vicina Valle dell’Inferno (un’aspra gola incastrata fra i monti, attraversata dal torrente Veccione), un soggiorno che vede la coppia alla scoperta dei luoghi immersi fra i castagni.

La Badia di Moscheta è del secolo XI.  Sopra il portone d’ingresso risalta l’insegna in pietra della Badia, con l’immagine di San Pietro, patrono del Monastero, la quercia e l’istrice come simbolo della solitudine e del silenzio che circonda l’edificio. Fatti pochi passi si arriva al punto di accesso alla Valle dell’Inferno, in località il Mulino, dove è presente un piccolo edificio, abitato alcuni anni orsono dal poeta – ed amico - Ivo Morini che ha dedicato molto del suo impegno al ricordo di Dino Campana. Una sua poesia descrive bene il paesaggio selvaggio (si veda: Ivo Morini, Il monte della quercia dolce, Pacini Editore 2006):

 

La Valle è di pietra

 

La roccia incombe

la serpe striscia

e grotte scavate dall’acqua

e vette spazzate al vento.

La Valle è di pietra.

 

Alta di massi      

la rupe sgretola

se viene l’estate

esplode colori

La Valle fiorisce. …

 

         Un sentiero a mezza costa fra il torrente Veccione (dove è tornata, felicemente, a scorrere l’acqua dopo gli imponenti lavori nel sottosuolo per la costruzione della galleria ferroviaria, che avevano portato al prosciugamento del torrente) e la cima dei monti, fra secolari piante di castagni, in un serpeggiare della valle, porta a Casetta di Tiara, all’incontro con le memorie dei due famosi personaggi.

          In questo tratto la passeggiata è di grande suggestione, come si può vedere dalle foto, in un ambiente isolato dal mondo, invaso dal silenzio, mitigato dal lontano scorrere delle acque del torrente e dal fruscio del vento fra le foglie dei castagni, luminose, accese di rosso fuoco, in questa stagione autunnale.

             In questi luoghi, ci piace ricordare, abbiamo ambientato la prima parte del nostro poemetto L’invasione degli storni, Edizioni Gazebo, 2012, che riporta, appunto, il titolo Valle dell’Inferno. Prendiamo due, fra le prime strofe del poemetto:

 

L’occhio del campanile

di Casetta di Tiara si affaccia

sopra i miasmi della valle.

La macchina cattura immagini

a misura dell’occhio digitale.

Il treno attraversa la galleria

nel pulsare delle vene d’acqua,

tremano le radici del bosco.

Il cervo scappa spaventato

sul fianco la ferita di uno sparo.

 

L’acqua canta tra il muschio

dei massi, si scompone in rapide

correnti, si ricompone in pozze

sommerse da morti rami.

Nella radura Gabriella, coronata

di luce, mostra la strada

che dalla valle sale a spirale

per i fianchi della montagna.

Sopra la cima dei castagni

 la vertigine delle rocce,

colonne aeree di una cattedrale

aperta sul candeggiare del cielo.

“Mi perdo in questi boschi

- le parole di Dino - ritrovo

il centro di me stesso tra i fumi

della Follia. Casetta di Tiara

oltre i fianchi della valle,

approdo per l’incendio d’amore.”

 

Le rocce parlano dell’essere

le acque giocano con l’apparire.

Le piene dell’inverno trascinano

pupazzi bianchi caduti dal cielo.

Sulle camicie ricamate, Libertà

Uguaglianza Fraternità

si disfano, approdano sui massi.

Immagini di pietra alle pareti,

ideologie sedimentate:

ora il volo libero del gabbiano

ora colonne fino alle guglie

della cattedrale attraversate

da oriente a occidente

da armenti ricamati di nuvole,

guidati dal fantasma della Ragione.

 

                       “Ci siamo avventurati sul sentiero di Dino e Sibilla, insieme a Gilda, fino al momento in cui, dopo una curva, è apparso in lontananza il paese di Casetta di Tiara, raggomitolato intorno all’aguzzo campanile, una piccola isola nel mare verde dei boschi di castagno. Siamo tornati indietro per il sentiero, fino alla Badia di Moscheta. Nel ritorno sono usciti dai nostri zaini vari libri, dai Canti Orfici ad Un viaggio chiamato amore e sul sentiero, fra le alte pareti della Valle dell’Inferno abbiamo declamato, a piena voce, con l’eco che si alzava dalle acque del ruscello allo scampolo di cielo azzurro, in alto, versi memorabili, che evocano il ricordo di Dino Campana e di Sibilla Aleramo.”

 

Dino Campana: In un momento.

 

In un momento

Sono sfiorite le rose

I petali caduti

Perché io non potevo dimenticare le rose

Le cercavamo insieme

Abbiamo trovato delle rose

Erano le sue rose erano le mie rose

Questo viaggio chiamavamo amore

Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose

Che brillavano un momento al sole del mattino

Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi

Le rose che non erano le nostre rose

Le mie rose le sue rose

 

P. S. E così dimenticammo le rose.

 

 

Dai Leggii posti a Marradi, lungo il fiume:

 

Dino Campana: L’invetriata (Canti Orfici)

 

La sera fumosa d’estate

Dall’alta invetriata mesce chiarori nell’ombra

E mi lascia nel cuore un suggello ardente.

Ma chi ha (sul terrazzo sul fiume si accende una lampada) chi ha

A la Madonnina del Ponte chi è chi è che ha acceso la lampada?

Nella stanza un odor di putredine: c’è

Nella stanza una piaga rossa languente.

Le stelle sono bottoni di madreperla e la sera si veste di velluto:

E tremola la sera fatua: è fatua la sera e tremola ma c’è,

Nel cuore della sera c’è

Sempre una piaga rossa languente.

 

 

- Arcadia: Pastori Antellesi

Da Mosi, “Orfeo in Fonte Santa”, I capitolo

          I.

   Epigrafe per la Fonte dei Baci

 

   Fermati all’ombre mie, sul prato giaci

   Stanco Pastor, cui sete affanno accresca,

   Conforta il core nell’acque mie vivaci,

   Qui dov’Amore, e gioia ogni alma innesca

   Ninfa in me vive, ch’amorosi baci

   Rende, à chi nel mio le labbra infresca

   Fonte di Baci son’, tu per quest’onde

   Baciato, bacia lei, ch’in me s’asconde”.

      Michelangelo Buonarroti Il Giovane (1568-1646)

 

Tempi di favola quelli dei

Pastori Antellesi, parole

di giovani intorno alle acque,

allegre brigate per sentieri

e boschi dei colli vicini, convivi

succulenti, vini prelibati.

 

Ricerca di spazi, profumo

di libertà, lontano dalle

mura di Firenze, ritorno

alla semplicità della vita.

 

Sui monti del Parnaso sopra Delfi

fu scelta la fonte Castalia,

dea ispiratrice, trasformata da

Apollo in purissima fonte.

Sgorgava acqua santa:

i pellegrini si immergevano

prima dell’incontro con il dio.

 

I Pastori Antellesi si bagnavano

nelle acque, alla “Fonte dei Baci”:

purificarsi al canto dell’amore.

 

 

i.       Luzi. Sentiero Luzi

 

Prima Parte del Sentiero, le origini, Castello

 

Da Il silenzio, la voce (1984)

 

 “Il posto dove sono nato, presso Firenze, ha in sé un contrasto molto

pronunziato. In alto, sulle colline, la forma armoniosa e conclusa che gli

architetti delle ville e dei giardini hanno dato alla natura del

Rinascimento e nel Sei Settecento, in basso la polverosa animazione di

una borgata industriale. Inoltre un contrasto anche più lacerante

assimilato, anch’esso nella prima infanzia: quelle sobrie ma

monumentali dimore del potere e del privilegio ho imparato a conoscerle

quando trasformate in ospedali militari ingoiavano dentro i loro cancelli

colonne di autoambulanze con a bordo i feriti che i treni provenienti dai

fronti della prima guerra mondiale scaricavano sulle banchine dei binari

morti nella piccola stazione di Castello di cui mio padre era il capo:

qualcuno di quegli uomini deposti sulle barelle con le bende

insanguinate mi resta anche oggi stampato in mente. Lo stesso luogo mi

fece conoscere i disordini sociali del dopoguerra e le violenze fasciste.

 Più tardi spostandomi per alcuni anni in uno scenario più antico e

quasi araldico, a Siena e dintorni, tutto questo, unito alla consapevolezza

muta e profonda delle figure di quell’arte mi scese addentro come dramma e come enigma. Credo che l’alternanza e la mescolanza di questi due sentimenti abbiano avuto un seguito ininterrotto e siano rimasti costanti nei riguardi delle vicende della nostra epoca: il fascismo, la guerra, l’irrequietezza piena di incubi del dopoguerra e dell’oggi.”

 

 

Dal fondo delle campagne (1965)

 

Mia madre

Mia madre, mia eterna margherita

che piangi e mi sorridi

viva ora più di prima,

lo so, lo so quel che dovrei, pazienza

di forte non è questa ostinazione

d’uomo che teme la sua resa. Forza

è pace. Il sopore che s’insinua

nell’ora giusta fra due giuste veglie

è forza anch’esso, non viltà. Ma ormai

che i tuoi occhi mi s’aprono

solamente nell’anima, due punti

tenaci al fondo del braciere

con cui guardare tutto il resto, o santa,

non è il taglio a fil di lama

che partisce ombra e sole in queste vie

puntate contro il fuoco

del mare all’orizzonte, è un altro il segno

a cui dovrò tener fronte, segno

che ferisce, passa da parte a parte.

 

“Dal fondo delle campagne” (1965)

 

Il duro filamento

 

“Passa sotto la nostra casa qualche volta,

volgi un pensiero al tempo ch’eravamo ancora tutti.

Ma non ti soffermare troppo a lungo”.

La voce di colei che come serva fedele

chiamata si dispose alla partenza,

pianse ma preparò l’ultima cena

poi ascoltò la sentenza nuda e cruda

così come fu detta, quella voce

con un tremito appena più profondo,

appena più toccante ora che viene

di là dalla frontiera d’ombra e lacera

come può la cortina d’anni e fora

la coltre di fatica ed abiezione,

cerca il filo del vento, vi s’affida

finché  il vento la lascia a sé, s’aggira

ospite dove fu di casa, timida

e spersa in queste prime albe dell’anno.

….

 “Passa sotto la nostra casa qualche volta,

volgi un pensiero al tempo ch’eravamo ancora tutti.

Ma non ti soffermare troppo a lungo”

 

l.  Sentiero Rilke

      Dal libro “Il diario fiorentino di Rainer Maria Rilke per Lou Salomé”:

          - poesie del soggiorno a Firenze, capitolo IX

          - poesie del soggiorno a Viareggio, “Le fanciulle”, cap. XIII

 


1 commento:

  1. Itaca – Incontro 2 luglio: Camminare il paesaggio dei poeti. Firenze e oltre. Escursioni e letture poetiche

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