mercoledì 22 settembre 2021

"La vita fa rumore", Roberto Mosi - E-book , prefazione Giuseppe Panella - Video "Poesia e lavoro"














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  1. IL RUMORE DELLA VITA DI ROBERTO MOSI

    Introduzione di Giuseppe Panella al libro di poesia: Roberto Mosi, "La vita fa rumore", Ed. Teseo 2014.

    "Poesia e lavoro"

    «Ancora vita il tuo dolce rumore
    dopo giorni bui e muti riprende.
    Porta il vento di maggio l’odore
    del fieno, il cielo immobile splende.
    Gli occhi stanchi colpisce di lontano
    il rosso papavero in mezzo al tenero grano»
    (Attilio Bertolucci, Convalescente)

    1. Il rumore del lavoro e la forza del ricordo

    «La cultura viaggia nell’aria
    suono di voci, note,
    musica, fruscio di idee,
    non porta degrado,
    confonde facce di pietra
    teste devote agli schermi»

    Il punto di partenza di quest’ultimo progetto poetico di Roberto Mosi è legato a un fatto di cronaca che assume nei suoi versi una notevole importanza: la manifestazione avvenuta nel luglio del 2013 a Firenze in seguito a un’ordinanza che imponeva la chiusura alle ore ventidue dei locali della popolare Libreria Café de la Cité dove, invece, eventi culturali e attività musicali a essi connesse duravano fino a tarda ora, tra la rabbia e lo sconcerto degli abitanti del quartiere.
    Il corteo che richiedeva il ripristino degli orari precedenti si era snodato, pur nell’afa estiva, pacifico ma molto colorito e vivacemente scandito dagli slogan gridati con forza e determinazione dai partecipanti alla lotta:

    «Oggi si spalanca la porta:
    si va in corteo, si parla
    dell’essere alla città dell’avere.
    Rabbia, lavoro che muore
    sepolto il progetto di anni
    oltre il senso comune.

    Sul sagrato del Carmine
    s’inchiodano cartelli
    nell’afa di luglio:
    “No alla città vetrina”
    “La noia è normalità”
    “Adotta un libraio”»

    Il rumore prodotto dalla vita è esibito quale conferma del suo non conformismo e della sua progettualità, l’idea di un ritorno alla normalità dopo la dimostrazione che qualcosa di nuovo e di originale poteva essere perseguito scatena la rabbia di chi pensava che almeno qualche spazio di libertà sarebbe stato lasciato aperto per l’invenzione e la gioia di vivere da parte di chi vuole ridurre tutto a noia e a normalità, a consumo e ad esibizione di un’esistenza fasulla e legata esclusivamente all’avere. Ma non è una pura questione di rumore quella sollevata da Roberto Mosi: la posta in gioco è più alta ed è legata al problema del lavoro, della sua potenza, della sua mancanza.
    In molti dei componimenti che seguono, infatti, il tono rievocativo si tinge di un pathos molto intenso. Il ricordo delle lotte del passato tinge di rimpianto e lo sciopero delle trecciaiole (nella poesia omonima) ne diventa il simbolo perduto.

    «Tosca, cerco i fiori del bello
    in periferia al calore delle utopie,
    fiori rossi degli anni pari e dispari».

    Il calore dell’utopia legata alla forza trasformatrice del lavoro e delle lotte organizzate per renderlo più umano e più equamente rimunerato riverbera in queste parole e si trasforma in un ritratto di donna (Tosca che avanza, il suo bambino in braccio, simbolo di un Quarto Stato ancora a venire ma sempre indomabile e impossibile da ricondurre nell’ambito della pura normalità produttiva).
    La descrizione dei luoghi del lavoro si lega a quella delle lotte attuali di chi chiede “pane e lavoro” (lo slogan caro a Lenin e ai bolscevichi fin dal 1905 e sempre replicato con la stessa forza e insistenza nelle manifestazioni operaie). ....

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