venerdì 30 novembre 2018

The Art of Enrico Guerrini and Michelangelo's lesson: "Pity" for the migrants drowned in our seas: "Stabat Mater" - The "Etruscan Navicello"




“Stabat Mater”

L' Arte di Enrico Guerrini e la lezione di Michelangelo: "Pietà" per i migranti annegati nei nostri mari: "Stabat Mater" - Il "Navicello Etrusco"

The Art of Enrico Guerrini and Michelangelo's lesson: "Pity" for the migrants drowned in our seas: "Stabat Mater" - The "Etruscan Navicello"


La Raccolta di poesia “Navicello Etrusco” di Roberto Mosi (Ed. Il Foglio, 2018) è stata in questi giorni al centro di due incontri. 




Il primo ha riguardato, domenica 25 novembre, il riconoscimento attribuito alla Raccolta in occasione del  Premio “Leandro Polverini”, ad Anzio: il terzo posto bell’ambito della “poesia Onirica”. L’autore, ricordando la ricorrenza della giornata contro la violenza sulle donne, nella bella Sala delle Conferenze dell’Hotel Lido Garda di Anzio, ha presentato dal libro, la poesia “Velia” dedicata alla donna etrusca, secondo la tradizione, donna libera, non sottomessa all’uomo, presente nella vita pubblica.


Vivono nella luce le donne etrusche
libere nella vita della casa, delle città,
senza arrossire allo sguardo dell’uomo.

Veila, Velia, Velka
Ati, Culni, Larthia, nomi
incisi sugli specchi di bronzo.

Vino, musica, canti per la donna
distesa sul triclinio, accanto
al compagno, sotto lo stesso mantello.

Vesti preziose, fibbie d’oro, pettini
d’avorio giunti da terre lontane.
Per virtù, energia, ambizione.

Vi aspettiamo, sorelle etrusche,
nel nostro secolo, libere da ostacoli,
da violenze, maestre di vita, di libertà.


Il secondo incontro dedicato al “Navicello Etrusco”, ha avuto luogo a Firenze la sera del 25 novembre presso “Cirkoloco”, nell’edificio dell’ex-Fila, animato da frequenti eventi culturali e di intrattenimento. La serata ha avuto un carattere particolare, partecipato: dopo il video introduttivo ai luoghi della Raccolta ( si veda: https://www.youtube.com/watch?v=-dn2XMqax0E ) , alcuni soci del circolo hanno letto, le poesie che segnano la rotta del “Navicello” nello spazio - il mare etrusco di Populonia – e nel tempo, fino ai nostri giorni: Velia, Tagete, Turan dea dell’amore, Barbari, La strega di Baratti, Diciassette dadi, La Sterpaia ( e l’altoforno di Piombino), Tular Dardanium, Lampedusa. 





Queste due ultime poesie sono dedicate, da un lato, all’eroe etrusco Dardano che secondo la leggenda attraversò con i compagni il Mediterraneo, in spirito di pace, per andare a fondare la città di Troia; dall’altro lato, alla pietà per la tragedia dei naufragi in mare, nei nostri giorni, dei migranti, unita alla evocazione del famoso lamento di Jacopone da Todi Stabat Mater. 

La prima poesia Tular Dardanium:

Dardano partì dall’Etruria,
per fondare la città di Troia,
superò ogni confine
sulle rotte del Mediterraneo.
Piantò germogli di vita
fra popoli diversi sul mare,
scenario oggi di morte
dei migranti in fuga
dalla guerra, dalla fame.
L’eroe Dardano guida
ancora oltre i confini
il suo popolo
alla conquista della dignità, 
sul mare in tempesta dell’utopia.

L’ultima poesia dedicata al recente naufragio nelle acque di Lampedusa:

Parte a mezzanotte il traghetto
da Trapani a Lampedusa
il mare dei 366 figli annegati


Stabat Mater dolorósa
iuxta crucem lacrimósa,
dum pendébat Fílius

Sono sul camion, giorni
da Tamara a Misurata
tempeste di sabbia, violenza


Eia, mater, fons amóris,
me sentíre vim dolóris
fac, ut tecum lúgeam

Sono sul barcone carico
da Misurata a  Lampedusa
nafta paura fame


Fac me vere tecum flere,
Crucifíxo condolére
donec ego víxero

Sono nell’urlo dei disperati
sprofondo nell’acqua
conquisto il silenzio, la pace



Iuxta crucem tecum stare,
te libenter sociáre
in planctu desídero.

            Il pittore Enrico Guerrini ha lavorato nel corso della serata, nello spirito evocato dalla poesia, al tema della pietà, partendo dalla ricerca sull’opera di Michelangiolo. 
           
Dopo uno scambio di suggestioni ed emozioni con i soci riguardo ai temi introdotti nel corso dell’incontro, Mosi e Guerrini hanno annunziato che una nuova, prossima pubblicazione raccoglierà le immagini condivise con il pubblico, nel corso di questa serata e di precedenti incontri dedicati al viaggio “poetico” del Navicello Etrusco.













martedì 20 novembre 2018

"Concerto per Flora": Giuseppe Panella presenta: poesia e colori - TRE TEMPI: 1° La Primavera", 2° Tredici tempere su tela, 3° La nscita di Venere - Pierluigi Mencarelli e il suo flauto


Video - Link



      
































































































































































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Presentazione della raccolta "Concerto"



Giuseppe Panella

                            LA FONTE DEL RITMO, L’AVVENTURA DEL TEMPO

  1.

«Tutto è ritmo, l’intero destino dell’uomo è un solo ritmo celeste, così come l’opera d’arte è un unico ritmo»                                              (Friedrich Hölderlin)

 

«L’io / Scopre il suono di una voce che lo raddoppia / In immagini di desiderio, in figure che parlano, / In idee che gli vengono sotto forma di parole, / Vecchi e filosofi sono assillati da questa / Voce materna, luce nella notte…»             (Wallace Stevens)

 

 

A Populonia, in tutta evidenza, si verificano durante l’anno vicende inspiegabili e si scoprono rapporti oscuri tra le diverse parti che compongono il quadro unitario delle esistenze umane.

Basta saperli osservare e descrivere usando lo strumento privilegiato della poesia.

Il bene e il male della Storia convergono e si dispiegano come su uno schermo a mostrare ciò che li caratterizza e influisce sul destino delle esistenze umane. Ciò che appare risulta non soltanto completamente diverso da ciò che sembra accadere in realtà ma è tanto più contraddittorio rispetto a quello che si crede (o si vorrebbe) che avvenga tanto che si può coglierlo soltanto per accenni, per scarti, per tagli di luce e, fondamentalmente, solo per riflesso, per contatti lontani.

Non si tratta, però, di una dimostrazione lirica basata sulla qualità e la specificità dei contenuti quanto sull’esigenza del ritmo, sulla potenza del suono, sull’efficacia delle notazioni timbriche.

Per Populonia si può esigere soltanto un concerto, non un poema basato esclusivamente sulla linearità delle parole.

Lo dichiara apertis verbis lo stesso autore commentando al termine del suo poema quanto ha scritto:

 

«La poesia gioca, in quest’occasione, con alcune forme del mondo della musica, ne riprende tratti, impronte. E’ abbandonata  la fisionomia consueta della forma-libro, orientata, di solito, in una determinata, unica direzione, per seguire il movimento delle composizioni musicali in andamenti plurali, ascendenti e discendenti. Questa raccolta, Concerto, pone attenzione alle istanze della musica nella struttura sinfonica per movimenti e a quelle poetiche nello svolgersi delle evocazioni che generano immagini. Insieme le due istanze producono emozioni che si rincorrono nel flusso della coscienza, di frammenti di memoria. E nella sinfonia – come nel concerto – è composizione di abbandoni e riprese, dove un tema è introdotto, poi sviluppato, poi accantonato, poi variato e organizzato in discorso»

 

Dunque, Mosi si cimenta con un linguaggio, quello della musica, in cui i livelli tonali si susseguono in una ricerca di armonia finale e in cui ogni elemento si ricompone alla fine dell’esecuzione e si ritrova nella sua particolare dimensione autonoma per cui è nata, pur mantenendo la sua posizione all’interno del tutto. Tra autonomia del significante e necessità del significato, la poesia di Mosi si aggira tra le vicende del presente e la nostalgia del mito per cercare di ottenere il risultato che gli interessa: dare alla poesia una chance di intervenire sulla realtà senza esserne travolta e schiacciata.

I quattro movimenti del suo Concerto, allora, dedicati come sono alle quattro stagioni (seguendo una tradizione ben definita nella storia della musica), alternano ricostruzioni delle vicende di attualità a momenti di vita familiare, intercetta segni orribili di inciviltà persistente (il razzismo che i terribili fatti di Rosarno hanno mostrato come ancora prevalenti nella in-cultura della penisola) ma si apre a moti di speranza per il futuro delle generazioni che verranno.

Il dettato poetico di Mosi si concentra sul dato e si articola per brevi sequenze narrative che sviluppano lo spunto principale di partenza. Eccone un esempio (dalla sezione InvernoCaos) :

 

«A trecento chilometri / il treno per la città. / L’incontro da “Mimì / alla Ferrovia”, gli amici. / Sulla tovaglia tracce / di vino, la città di Gomorra. / Nove cerchi rossi / del nostro Inferno. // Al centro il porto / intorno Secondigliano, / Scampia e Forcella, / Torre Annunziata. / “La gente, vermi della terra, / rimangono vermi, sempre”, / la voce d’aspide della Camorra. // “Sono cinque giorni / che mangiamo arance / nascosti nell’aranceto”. / La faccia appare / al telegiornale. / Per le strade di Rosario / la furia della gente, / ronde di bianchi in giro. // Seduti nell’ombra / aspirano crack, / fiammelle per la dose, / uomini e donne / di Castel Volturno. / Sopravvissuti alla droga, / la pelle di cenere. / Morti gli altri, senza nome» (pp. 4-5).

 

oppure sul versante mitologico dell’intervento poetico, l’ironia subentra al posto del dramma:

 

«Mito. Labirinto mito / al centro la vampa / dell’io, in volo / con ali di cera. // E’ forse uguale / a un dio l’uomo / calvo, senza ombra / che dorme in piedi / alla porta di Populonia ? / I ginocchi piegati / la testa in avanti. // Ogni notte l’Eroe / raggiunge la reggia. / Penelope dorme stizzita, / Arturo saluta, la coda ritta. / Apre la posta, ordina le armi, / si distende sul letto, /b il risveglio vicino. / Ulisse torna sempre a Itaca. // Sono giunto alle terre / degli Etruschi. Le navi / passano il Bosforo, / bandiere al vento. / Inseguo Giasone / alla conquista del vello / d’oro, le carovane / sulla via della seta» (p. 8).

 

Nella sinfonia delle Quattro Stagioni impostata nel libro, come si è visto,  i momenti tragici della cronaca nazionale (i fatti di Rosario o l’incidente del Moby Prince) si alternano alle scoperte che costituiscono la sostanza della vita quotidiana e familiare (come nella sezione Primavera, tutta la sequenza relativa alla nascita e ai primi anni della nipotina Marta) mentre nella sezione dedicata all’Estate  la vita della natura e i suoi suoni e moti si intrecciano ai giochi e ai canti dei bambini.

Nell’ultima sezione, quella che chiude la Prima Parte, infine, l’Autunno,  è la descrizione delle parole della poesia, paragonate alle foglie che delicatamente si staccano dagli alberi, a confortare la scrittura e renderla forma espressiva capace di rafforzare e rinvigorire la sostanza di un Io che tenderebbe a sbiadire nel corso del tempo. La potenza delle memorie conservate nel baule inesausto dell’esistenza passata, tuttavia, è in grado di riportare il silenzio dalla sua condizione di oblio incombente e minaccioso a quella di un elemento che fonda la vita stessa, accentuandone gli elementi di bellezza assoluta:

 

«Ascolto il silenzio / dalla Rocca di Populonia / lontano dalle spiagge, / dai motori delle strade. / L’aruspice segue /il volo del falco, / coglie i segni del cielo / per la nuova stagione. // La violenza del giorno / è lontana, la città cade / nell’antico mistero. / I sacerdoti in processione / salgono all’altare / per il sacrificio. / Nuovo sangue / nutre la vita del mito. // Mi lascio andare, / l’acqua accarezza / il nuoto leggero. / Sotto di me le ombre, / le creature del mare. / Sopra di me la luce / di Febo. La bellezza / a portata di mano» (pp. 28-29).                                                                                                                                                                                                    

2.

«Della Primavera nessun segno! / Leonardo va su e giù nella sua stanza angusta / … arrogante fissa la neve ostinata. / Raffaello entra in un bagno caldo / … i suoi lunghi capelli di seta sono secchi / per il poco sole. / Aretino ricorda la Primavera a Milano; la / madre, / che ora, su dolci colline milanesi, dorme. / Della Primavera nessun segno! Nessun segno! / Ah, Botticelli apre la porta del suo studio»                                                      (Gregory Corso)

 

Il secondo tempo del libro di Mosi, invece, è un omaggio all’arte fiorentina e soprattutto alla pittura che l’ha resa grandissima. E’ alla Primavera di Sandro Filipepi-Botticelli che i primi versi sono dedicati in questa sezione della rapsodia ed è con i versi del Poliziano che il testo si apre.

Ma poi, dopo la descrizione della grande apoteosi dei Medici che hanno riportato la pace a Firenze (secondo una bella intuizione di Cristina Acidini Luchinat ripresa e fatta propria nell’esecuzione del suo tempo poetico da Mosi), segue la descrizione di Fiorenza stessa e delle sue bellezze artistiche:

 

«Geometrie dalle piazze / il cerchio dei bambini, / le ellissi delle rondini, / il quadrato dei turisti, / la retta della palla calciata / la sfera in rosa del cielo. // Colori della storia. / L’argento della pietra forte, / l’oro della pietra serena, / il bianco della calce, / il verde dei marmi, / il rosso dei tetti. // Il suono della poesia, / Shelley alla Fonte del Narciso, / i Futuristi alle Giubbe Rosse, / Montale all’antico Istituto, / Campana a San Salvi, / Dante per ogni dove» (pp. 36-37).                                                                                                                                                                                

La sezione dedicata alla produzione artistica si conclude con un omaggio a Tredici tempere su tela che il pittore Vinicio Berti  aveva regalato alla Società di Mutuo Soccorso di Peretola e che raccontavano per immagini la storia dell’associazione. Anche in essa la decantazione rappresentativa delle vicende collocate sulla tela e la musicalità delle parole si integrano in una sorta di concento di colori e suoni che vogliono dare il senso e produrre forme evocative dei “miti popolari di un’epoca” (come sostiene Mosi nel suo commento finale).

Sarà la Natura, invece, a dare il la alla parte finale dell’opera, quella che vuole rendere omaggio alla potenza quasi naturale dei versi di frate Francesco di Assisi. Riprendendo talune sue composizioni già pubblicate, Mosi si distende nella descrizione della forza degli elementi e di ciò che ricompone il quadro della bellezza del mondo:

 

«Compongo in versi / suoni e silenzi / cerco parole, creo / un ammasso d’argilla / da modellare a piene mani. // Scompongo, ricompongo / i versi, cerco la forma. / Ora il fuoco abbraccia / l’argilla, la riscalda, / la cuoce, la brucia. // La poesia è pronta / per la polvere del giorno» (p. 51).     

 

Allo stesso modo, tra scrittura / descrizione della realtà e sua trasfigurazione in immagini e suoni, si apre lo spazio di una soggettività che si muove tra l’una e l’altra, quella di un poeta che accetta i limiti della parola scritta e vuole andare oltre di essa, nel tentativo di costruire un progetto artistico che sia capace di ritornare alla natura mitopoietica del canto che vive nel e con il mondo in cui si trova a esistere.                                                                                       






venerdì 16 novembre 2018

La scomparsa del poeta Giovanni Stefano Savino

Apprendiamo con dolore che nella giornata di ieri, 15 novembre 2018, è scomparso il poeta Giovanni Stefano Savino.
Giovanni Stefano Savino era nato a Firenze il 15 ottobre 1920.
Impiegato, Poste e Telegrafi, insegnante, poi, elementare, scuola media, scuola media superiore, italiano e storia.
Dal 1979 al 1994, su invito di Giovanni Paolo II aveva scritto saggi di letteratura e musica.
Viveva a Firenze.
Aveva pubblicato per la Casa Editrice Gazebo, dall'anno 2002 all'anno 2017, quattordici libri di poesia; nel 2008 il libro di saggistica Schegge di vita ed arte 1979-1994.


***

L'ultimo libro di poesia Versi senza titolo (2017). La fotografia in copertina di Gabriella Maleti.



Pag. 35  del libro. 

 XXXI

Le cinque della sera e cerco versi,
li trovo, li misuro sulla carta,
li dimentico. I volti degli amici
così ho perso. E tutti i giorni uguali.
Stringo, mordo parole come fili
d’erba. Non guardo il cielo della conca,
mi basta questo foglio e questo verso.

Ascolto l’ultima voce sul rigo.


5 ottobre 2016



venerdì 2 novembre 2018

Dieci anni di mostre,per Firenze



Una Mostra lunga dieci anni. Per Firenze

Il pannello con nove riquadri presenta il percorso di lavoro svolto negli anni passati, fra fotografia e poesia, una ricerca costante che recentemente è stata illustrata nell’articolo pubblicato dalla rivista Testimonianze con il titolo “L’intigrante relazione fra poesia e fotografia (pagg. 167-174 del n. 518-519 /2018, dedicato al tema “Con gli occhi dei poeti”). Le immagini riportate nel pannello sono riprese dai manifesti di alcune delle mostre svolte presso biblioteche e sale di esposizione.

Questo percorso di ricerca è stato illustrato davanti ad un pubblico di amici, il primo novembre, presso la Sala delle conferenze di via Ghibellina 2, nell’area delle Murate: un lavoro di dieci anni, dedicato a riprendere, con sensibilità sociale e poetica, le immagini fotografiche della città che più suscitano emozioni, secondo un criterio circolare, dalle colline alla periferia, al corso dell’Arno, al Centro e alle vie della moda, ai vicoli dispersi in una rete di labirinti. 

L’autore ha avuto la preoccupazione di documentare i diversi passaggi del suo impegno e nel corso dell’incontro ha potuto proiettare fotografie e video che raccolgono i risultati del percorso svolto, diviso in varie tappe (o progetti) dai “nonluoghi”, a Firenze “città-mito”, all’ “altra Florentia”, la città della speranza. La documentazione raccolta è a disposizione del pubblico dei social network, in particolare:
1- I documenti pubblicati da “Literary”, per l’autore Roberto Mosi, alla voce “Occhio all’autore” (www.literary.it)
2- L’e-Book “Firenze, foto grafie” (indirizzo: http://www.larecherche.it/librolibero_ebook.asp?Id=183)
4- Il Catalogo di “Pittopoesia” realizzato con il contributo del pittore Enrico Guerrini (indirizzo: http://www.robertomosi.it/2017/05/pittopoesia-catalogo-guerrini-mosi/)


Alcune delle scansioni temporali delle mostre: “NONLUOGHI” (2009), “FLORENTIA” (2010), “ITINERA” (2011), “MITH IN FLORENCE” (2012), “FIRENZE RIFLESSA” (2013), “FIRENZE, CALPESTATA” (2014), “FIRENZE DIETRO LA FACCIATA” (2015), “TRACCE” (2016, dedicata ai cantieri urbani per la tramvia).

         Uno dei campi di ricerca: quello dei non luoghi, la parola coniata da Marc Augè per gli spazi attraversati da folle d’individui, dove non si costruisce identità. Nelle fotografie dell’autore, questi luoghi acquistano un tratto personale, vi è la capacità della fotografia di “trasformare anche i soggetti più inconsistenti in un unico immaginativo di grande importanza”. L’attenzione dell’autore per Firenze spazia dalla cultura rinascimentale al ruolo d’icona odierna del turismo, grazie al glamour scintillante della moda e delle griffes internazionali al cospetto delle antiche vestigia. 

         Fra le mostre, l’autore si è soffermato in particolare su FIRENZE CALPESTATA: la Mostra richiama l’attenzione sulla città e la conservazione delle sue molteplici fisionomie storiche, silenti sotto il calpestio inconsapevole dei passanti, come la significativa lapide in Piazza della Signoria, dedicata al luogo in cui - il 23 maggio 1498 - fu condannato al rogo per eresia il monaco domenicano Girolamo Savonarola. Nella scoperta delle sedimentazioni storiche Roberto Mosi offre una campionatura di rapide inquadrature fotografiche di figure, sorprese in inediti scorci dal basso, nella dinamica degli arti inferiori, nell’azione del camminare, correre, stazionare. Il fatto storico evocato diviene il monito performativo attualizzato attorno al quale ruotano una galleria di persone/personaggi: il/la turista, i figuranti (il capitano del Popolo/i soldati), il maratoneta, i podisti, la studentessa,  la ragazza dai tacchi alti, la posa spensierata di una ballerina, i vigili urbani, l’operatore ecologico, l’operaio, le zampe di un  cane, la carrozza trainata dai cavalli, per disegnare sulla mappa cittadina la vita brulicante dell’oggi, che vive, si agita, attende, lavora e spera nei cambiamenti. E’ in gioco la vitalità segreta di un patrimonio storico continuamente da riscoprire ed apprezzare per arginare l’anestesia liquida della dimenticanza, nel rischio dell’eterno presente. Una collezione di opere fotografiche che fa dello scatto digitale un’idea-immagine, un “dispositivo di senso” individuale e collettivo” .

        Secondo la tradizione curata dall’autore, alle immagini fotografiche è legata una poesia:


                            Eterno Presente

Evaporano figure fissate al selciato
inquadrature sorprese dal basso
dinamiche degli arti inferiori,
camminare stazionare correre.
L’aria conosce il fumo del rogo.


Emerge dalla lapide il Frate
pantaloni neri a pois
incontra nella piazza figure felici.
Inizia un passo di danza la ragazza
scarpe rosa incrociate,
trascende in un giro di valzer
la coppia dei vigili urbani,
gioisce la diva su altissimi tacchi
e la star d’altri tempi.
Il Capitano del Popolo osserva
il ritorno di una gloriosa stagione,
assiste di lontano il carabiniere
incorniciato dal sole.
L’alano fiuta gli odori
che si spargono nell’aria.


Si muove il corteo per San Marco
preceduto dallo spazzino
risuona il passo cadenzato dei fanti,
via Vacchereccia via Larga.
Avanza la carrozza
fra ali festose di folla,
si scatena la corsa del popolo
per essere fra i primi ad ascoltare la parola.
Salutano l’arrivo scarpe rosse
macchiate di violenza.


Ho il sogno di vedervi rinsavire
ho il sogno di vedervi
spalancare porte e finestre.
Gettate la zavorra delle vostre sceneggiate
bruciate la vostra chincaglieria.
Basta credersi migliori
se si hanno cose
e zero senso dell’essere. *

La lapide rimane al centro
calpestata dal passo di un’ombra.
Pantaloni neri a pois.

                                        R. M.
* Da Indignati. Prediche di Savonarola, a cura di S. Massini, Ed. Piagge, Firenze 2012.