Roberto Mosi si interessa di poesia e fotografia. Per la poesia ha pubblicato Sinfonia per San Salvi (Il Foglio 2020), Orfeo in Fonte Santa (Ladolfi 2019), Il profumo dell’iris (Gazebo 2018), Navicello Etrusco (Il Foglio 2018), Eratoterapia (Ladolfi 2017), Poesie 2009-2016 (Ladolfi 2016). L’autore ha realizzato mostre di fotografia presso caffè letterari, biblioteche, sale di esposizione. Cura i Blog: www.robertomosi.it e www.poesia3002.blogspot.it .
lunedì 24 settembre 2018
Massimo Seriacopi e Annalisa Macchia presentano "Esercizi di volo" di Roberto Mosi
sabato 22 settembre 2018
Sergio Givone: "che cos'è la poesia?" - "Poesia e fotografia", R. Mosi - Da "Testimonianze": "Con gli occhi dei poeti", n. 518-519
Si è svolto il 19 settembre, alla Sala Progetti Arte Contemporanea delle Murate (Firenze), l'incontro di presentazione del volume speciale di "Testimonianze" dal titolo "CON GLI OCCHI DEI POETI".
L'intrigante relazione fra poesia e fotografia - VIDEO
Poesia
e fotografia
E’ senza dubbio affascinante
considerare la relazione fra poesia e immagine, per mettere in luce i collegamenti,
rendere visibili le comunanze, le correlazioni e i legami. Fin
dall’antichità si praticava la forma poetica dell’ècfrasi,
ossia la descrizione poetica e celebrativa di un’opera d’arte visiva; un celebre esempio di ècfrasi è la
descrizione dello scudo di Achille nell’Iliade, importante anche in veste di
documento archeologico e storico artistico, in quanto nello scudo sono
descritte le città greche studiate dagli archeologi. [1]
Lo scrittore greco
Luciano di Samosata, del II secolo d.C. fu un precursore della critica d’arte
con le sue descrizioni e interpretazioni di opere d’arte visive. A fine Quattrocento gli intellettuali dei
cenacoli fiorentini si occuparono di
studiare e tradurre l’opera di questo scrittore e nel Cinquecento dettero
impulso alla vera e propria critica storica attraverso la descrizione dei
capolavori artistici. A questo proposito è fondamentale l’opera del Vasari, nelle
Vite le descrizioni di opere d’arte
acquistano nuovo spazio e nuovo ruolo, grazie ad esse possiamo infatti
ricostruire e rintracciare opere del passato.
due forti presenze che
peraltro ci riconducono all’attività creativa – compresa la fotografia - e a
quel rapporto tra pittura e poesia, tra immagine e parola, che ha esordito
presso gli antichi e che si è sviluppato sino ai nostri giorni, con
l’intermediazione decisiva, fra l’altro, [2]. Ecco che può accadere
– come nell’ esperienza dell’autore – la poesia non solo celebra la fotografia
bensì le parole sono forgiate a realizzare fotografie di paesaggi, situazioni e
luoghi dove l’inquadratura ottica segna di volta in volta il cammino interiore
del poeta offerto al lettore. Il rapporto tra fotografia e letteratura può
assumere un ruolo primario, poiché la parola e l’immagine si potenziano
vicendevolmente insieme al pensiero: in questo scambio d’identità vengono
senz’altro a crearsi molteplici piani estetici e interlocutori, attraverso
l’alchimia delle parole e delle immagini, attraverso lo scambio verbale e
mentale tra poeta e lettore, vanno dall’emozione all’interpretazione, dalla memoria
a una novella visione.
Nell’ambito di questo
tipo di riflessione, avvicinandosi alla nostra epoca, appare importante
riferirsi al pensiero di Baudelaire [3], poeta della modernità per
eccellenza che chiarisce quanto l’immagine possa essere uno dei luoghi
privilegiati dell’ispirazione – sia un’immagine diretta che una rappresentazione
iconografica – quasi una preziosa sorgente da cui è possibile recuperare,
distillare possibili parole per potere scolpire il suo volere:
“Glorifier le culte des images (ma grande, mon unique, ma
primitive passion)”.
C’è come una supremazia
visiva che agisce sul poeta ed è così anche in Giacomo Leopardi: “Vedere” è per
Leopardi come per Baudelaire, la matrice da cui trarre oltre che un piacere
personale, il raccolto d’immagini fondamentale per l’opera del poeta [4]
“L’occhio del poeta ha da
sempre la capacità di saper leggere dentro la luce, dentro i colori, la forma,
la prospettiva di un’azione o nel movimento, così come nel tempo, per tradurre
poi ogni entità in un mondo di parole” [5]. La sua guida sono quelle
“prunelles ardentes” che lo stesso Baudelaire attribuiva ai poeti, a quei loro
occhi sempre aperti e capaci di familiarizzare con ogni forma sensibile, con il
buio e con la luce [6]
.
Italo Calvino nella
lezione sulla “Visibilità”, Lezioni
Americane, descrive come le immagini nascano prima delle parole e incombano
sull’artista e sul poeta come una sorta di pioggia “prima sotto forma di
bassorilievi che sembrano muoversi e parlare, poi come visioni proiettate
davanti ai suoi occhi, come voci che giungano al suo orecchio, e infine come
immagini puramente mentali”.
Il presupposto generalmente
dato per incontrovertibile è che i poeti lavorano su materiale verbale, ma in
realtà la voce nasce dalla visione, dai loro occhi, aperti o chiusi che siano,
in continuo dialogo con l’io sotteso che tradurrà a un pubblico il pensato ( G.
Patrizi, Narrare l’immagine. La
tradizione degli scrittori d’arte, Donzelli 2000).
Certamente nel Novecento
il nodo immagine-poesia è sempre più nevralgico e il predominio della
dimensione visiva è ormai al suo apice ai nostri tempi. La ricerca del
significato sia ontologico che artistico si è sempre mossa in molteplici
dimensioni, nel solo linguaggio non si è mai potuta sedare la sete della
spiegazione, nemmeno quando tale linguaggio assurge a un livello metafisico,
come può fare spesso la poesia. La trasversalità artistica diventa uno
degli aspetti inderogabili del Novecento, quindi è ancor più saldo e
inscindibile il rapporto tra la poesia e l’immagine iconografica[7].
Nell’attenzione che il poeta
ha per il mondo reale, irrompe alla fine del XIX secolo a tormentare il suo
occhio una nuova presenza: l’elettricità che muta la percezione e la
potenzialità dello sguardo ed esercita nella vita dell’uomo e nella sua
dimensione quotidiana la sua più grande influenza.
Dal momento in cui
l’illuminazione si diffonde nelle strade della città, sia all’esterno che
all’interno delle case, il poeta si trova costretto ad affrontare un nuovo
visibile. Non è quindi la notte leopardiana ma quella campaniana, dove la città
è teatro, dove la vita è teatro, dove la notte è illuminata continuamente.
Vediamo in Dino Campana (
Pei vichi fondi tra il palpito rosso, in
Inediti ) quest’attenzione per
l’elettricità:
(…) Nel silenzio
caldissimo ambiguo
Della notte voluttuosa
Scuotevasi il mare
profondo:
Era caldo il silenzio
sullo sfondo
Le navi inermi, drizzate
in balzi
Terrifici al cielo
Allucinate in aurora
Elettrica inumana
risplendente
Alla poppa per l’occhio
incandescente. (…)
Vediamo in Attilio Bertolucci
(“Notte”, in Viaggio d’Inverno, in Opere).
O bell’insonnia o
palpebra
di rovere stinta stirata
nello strazio
della luce che mai smette
di battere
in questa notte
metropolitana,
o mia palpebra a filo di
quell’altra
o mia notte a sfida di
quell’altra
o luce della mia notte
che mai cessi di esistere
(…)
Vediamo in Amelia
Rosselli (Le poesie, Milano, 2007, p.
266).
E l’aria era calda e
umida e scottante e i miei occhi pieni
di grata febbre.
I miei occhi pieni di
grattacieli! Ed il tuo occhio
sornione che guida la
macchina della velocità per
i ritrovi fangosi della
tua tarda età. E la mia
gioventù che forse è più scaltra
della tua abile
macchina fotografica.
La tecnica subentra nella
vita dell’uomo del Novecento e la Rosselli evoca uno strumento che rivoluziona
il rappresentabile, la macchina fotografica. Se la luce ha cambiato il visibile
del mondo, sarà la fotografia a cambiare definitivamente la rappresentazione di
esso. Il poeta si trova, per altro verso, a misurarsi con la rappresentazione
fotografica che ha la capacità di condurre all’immediatezza la rappresentazione
stessa, a differenza di quella pittorica. Il lampo di tempo dello scatto
fotografico si può identificare con l’istante in cui tutto il rappresentabile è
stato catturato con un colpo di luce: il segreto della fotografia è che il
momento dell’ispirazione e quello del rappresentato coincidono. Ne consegue un’accelerazione
del percorso percettivo e rappresentativo. Poeta e fotografo si osservano, si
sentono vicini, si scambiano impressioni, arrivano a scoprire che abitano il
moderno con mezzi espressivi non dissimili.
Merita ora risalire alle esperienze
degli anni sessanta dell’Ottocento, quando 0 Nadar (pseudonimo di Gaspard-Félix Tournachon), uno dei primi fotografi di Parigi, scese nelle viscere
dalla terra, nelle catacombe, per fotografare le ossa, i resti degli antichi
abitanti della città. Nadar portò, con le fotografie scattate, il volto della
morte alla luce del sole, come un reperto. Il compito della rappresentazione
della morte scivola anche in quella del fotografo, poeta e fotografo sono due
pupille entrambe protese verso la lettura del mondo – la vita e la morte –
negli alfabeti della luce, forme, parole, fino alla comunione dell’ “immagine poetica” Il
corpo della macchina fotografica contiene uno specchio che riflette il mondo e
lo restituisce. Il poeta è come uno specchio che si fa sensibile, reagisce nel
silenzio della mente e si esprime attraverso la scrittura. fa l’esperienza
della luce come la pupilla che s’impressiona e legge dentro l’enigma
dell’immagine come una scrittura. Una scrittura di luce ove trova i caratteri per
parlare di ciò che ha visto [8].
Il poeta coglie questo
cambiamento, l’accelerazione dei tempi e
con l’incremento della velocità, impara, in sintonia con le caratteristiche
della macchina fotografica, a cogliere il lampo dell’attimo, il respiro del
momento, all’aprirsi e al chiudersi del diaframma: meccanismo che consente, in
definitiva, di scrivere con la luce, incidendo una volta sulla pellicola e ora
sui supporti digitali.
Emerge netta la
consapevolezza che queste nuove dinamiche, incidono sulla stessa lingua
poetica, portano a considerare la lingua come un materiale di sillabe e ritmo,
il singolo verso, la singola parola hanno la luce, il colore di un lampo.
Si vedano Dino Campana e
la lingua della celebre composizione “Batte Botte” (Canti Orfici).
“Ne la nave
Che si scuote,
Con le navi che percuote
Di un’aurora
Sulla prora
Splende un occhio
Incandescente:
(Il mio passo
Solitario
Beve l’ombra
Per il Quais*)
Ne la luce
Uniforme
Da le navi
A la città
Solo il passo
Che a la notte
Solitario
Si percuote
Per la notte
Dalle navi
Solitario
Ripercuote:
Così vasta
Così ambigua
Per la notte
Così pura!
L’acqua (il mare
Che n’esala?)
A le rotte
Ne la notte
Batte: cieco
Per le rotte
Dentro l’occhio
Disumano
De la notte
Di un destino
Ne la notte
Più lontano
Per le rotte
De la notte
Il mio passo
Batte botte.”
La singola sillaba
diventa centrale nella rappresentazione poetica . Si può dire che in questa
poesia di Campana sono intrecciati e amalgati in un corpo unico , tutti gli
aspetti e tutte le potenzialità delle parole ed emerge la contemporaneità di “visto”
e “rappresentato” propria della rappresentazione fotografica.
Il poeta interviene sulla
narrazione, questa diviene movimento, icona e parola.
Appare naturale il
passaggio a Giuseppe Ungaretti e ad uno dei versi più celebri di tutta la
letteratura del Novecento. Si veda il suo “m’illumino d’immenso”, in cui la
poesia e la modernità si confrontano: l’io, la luce e l’universo.
Questa concentrazione
poetica caratterizza anche molte poesie di Caproni, in cui domina il valore del
singolo verso, fra le quali “Il nome”, in “Il Conte di
Kevenhuller”:
Il nome non è la persona
Il nome è una larva.
Di tutti i ircostanti
a malapena è salva
- famelica – l’icona.
Il poeta raccoglie ed
esprime tramite l’attimo e l’essere nella luce, il valore di un singolo momento
a scapito di tutti gli altri, trasfondendo anche nel linguaggio, questo
procedere per lampi, in una nuova ritmicità, al di fuori di una narratività
descrittiva. E’ una parola che vive di se stessa e per se stessa, si fa cioè
oggetto, soggetto ed esperienza come estratta da un lungo frasario quotidiano
ed eletta , restituita al valore di se stessa, mostrando al contempo una
pluralità di prospettive. Se prima il poeta era uno specchio in cui raggruppare
la visione, ora vediamo la parola rompersi, lo specchio del poeta cadere e
farsi frammento di luce e immagine spoglia, distante, destabilizzante, contrastante,
lontana da una narratività, e volutamente straniante per raccogliere diverse
prospettive in una sorta di superappresentazione, in una visione contemporanea
di tutte le prospettive.[9]
Credo di poter verificare
dal vero nella mia esperienza di fotografo e di poeta e nell’impegno che dedico
nella collaborazione con alcuni pittori[10], le considerazioni fin
qui illustrate. L’occhio, lo sguardo vigile e tutti gli altri sensi rivolti al recupero
delle sensazioni, alla maniera di Proust, rappresentano il passaggio centrale
per fissare in parole, in immagini, la vita che ci circonda.
Merita soffermarsi in
primo luogo su due elementi, che ho ricercato nel contesto per me naturale
della città.
Il primo, il tema della
luce, del variare del tono della luce nelle ventiquattro ore, che veste di
vesti sempre nuove gli oggetti, il paesaggio che ci circonda, ci stimola,
suscita emozioni diverse, da cogliere sui due versanti, del comporre e del
fotografare. A questo riguardo è da dire che il poeta “educa” il fotografo e il
fotografo “educa” il poeta.
Il secondo, riguarda il tema
del movimento del mondo e dei mondi che ci
circondano e la capacità
di cogliere la scansione delle frazioni del tempo che vengono a comporre il
racconto della vita quotidiana: nella successione dei fotogrammi della
pellicola, la successione delle immagini pensate e scritte.
In merito al primo tema,
l’e-book “Firenze, foto grafie” [11] illustra una serie di
esperienze condotte nella duplice veste di fotografo e di poeta, oggetto di
mostre in vari spazi pubblici e di pubblicazioni.
Possono essere utili
alcune estrapolazioni da questa pubblicazione per dare conto del convergere
degli interessi e linguaggi di cui sopra si è parlato. Il libro “Nonluoghi”[12], termine coniato
dall’antropologo Marc Augè per indicare le parti della città destinate al
passaggio della folla, riporta la poesia:
La poesia è illustrata
dalla fotografia di una persona anziana che risale con piede stanco le scale di
un sottopassaggio, realizzata pensando al racconto richiamato dalla poesia.
Un'altra poesia della
stessa raccolta parla di un povero essere in piedi presso una delle porte della
stazione della città:
La fotografia che
accompagna la poesia, mostra la folla che esce compatta dalle scale mobili
della stessa stazione, la folla che sfiora indifferente quel povero essere.
Vari capitoli dell’e-book
“Firenze, foto grafie” ( Nonlioghi, Firenze riflessa, Moda ed
oltre,Myth in Florence) mostrano la ricerca del fotografo condotta nelle
varie ore del giorno e della notte in luoghi particolari del centro e delle
periferie: i vestiti in mostra, i manichini, gli stessi monumenti riflessi
nelle vetrine dei negozi, acquistano una “vita” diversa, ora sembrano immobili,
ora in movimento. I versi che più volte accompagnano queste immagini, seguono
con ogni evidenza la vivacità, o la “pigrizia” dello sguardo che fissa le
immagini con la macchina fotografica e colgono anche momenti di alienazione e di solitudine.
Nella immaginazione del poeta un personaggio
particolare, un giullare, si aggira per le strade di Firenze.
Gioca con grafie di luce
il Giullare apparso dal nulla
la testa coronata di fiori.
Gira per la città la camera
Lumix a tracolla sonagli
sulla giubba cattura fotografie
in successione ripartite
per le ore del giorno.
…
Innamorato dei personaggi
delle vetrine, sceglie la notte
per incontrarli. Il Giullare
li fotografa da lontano cercando
di sorprenderli al naturale.
-----
Prepara percorsi fra le vetrine
nella irrealtà riflessa in frammenti.
Strani incontri, manichini
abbracciano solenni monumenti
le gambe affusolate di una modella
entrano dentro Palazzo Vecchio
fra gli smoking pronti per una serata
elegante l’ombra del Battistero.
Il poeta – fotografo è
immerso in un paesaggio particolare, pieno di stimoli, di segni impressi dalla
storia, affollato da turisti provenienti da tutto il mondo, sempre in
movimento, ora in gruppo ora dispersi. Sente di aver bisogno di ricorrere a
molteplici mezzi espressivi, di registrazione, per imprimere nella memoria,
sulla carta, nella macchina fotografica, le scene che via via si dipanano
davanti al suo sguardo. Avverte l’esigenza di essere rapido nel suo lavoro, di
sapere cogliere il valore dell’istante in sintonia con il mutare delle
situazioni. Fra gli esempi possibili, riferiti al capitolo “Firenze calpestata”
della raccolta “Firenze, foto grafie”,
il turista, pantaloni di seta a pois, scarpe di una forma improbabile, che
calpesta la lapide in ricordo del rogo del Savonarola in piazza della Signoria;
intorno a lui vari personaggi che la poesia – e le fotografie – colgono in
posizioni sorprendenti.
Dalla lapide emerge il
Frate
pantaloni neri a pois,
incontra
personaggi felici la
ragazza
muove un passo, scarpe
rosa
incrociate un piccione
la raggiunge la coppia
di vigili urbani allegra
trascende in un giro di
valzer …
Questa ricerca si avvale del
patrimonio di preziose esperienze realizzato dal gruppo di “Poesia visiva”che
ebbe validi rappresentanti, negli anni sessanta ,specie nell’area fiorentina, a
partire da Eugenio Miccini.
Nell’e-book
“Pittopoesia”, pubblicato con “Segreti di Pulcinella”[13] sono raccolte alcune
delle opere realizzate, frutto dell’incontro fra poesie e fotografia (e, in alcuni casi, del disegno e della
pittura[14]). In queste opere
l’attenzione del fotografo, più che all’immagine “unica” nella forma, è rivolta
al racconto di storie della nostra epoca o a richiami ad un illustre passato.
Accade che a volte l’immagine si divida in frammenti o lasci spazio al disegno
del pittore: si veda l’opera “Ogni sera Dante ritorna a casa”, con le figure
del sommo poeta e di Virgilio che si aggirano per le strade del centro di
Firenze, a volte sorprese dall’improvviso apparire di torme di diavoli. In
un’opera-racconto di un incontro di poeti, le immagini raccolte rinviano alla
celebrazione del dio Narciso più che della divina Erato.
Erato guarda dall'alto,
le mani nei capelli,
il pubblico adorante
sull'aia della casa.
Maria sospira d'amore
Anna alza il
braccio al cielo
Miriam si tormenta le mani
Fosca è piena d'allegria
Gianna gesticola parole
Lucio stravolge gli occhi
Lelio canta lugubre la morte.
Erato volge la testa,
le mani nei capelli,
verso le ombre
della notte.
In un’altra opera infine,
il poeta-fotografo sempre con le vesti del giullare con la macchina fotografica
a tracolla, si immerge, nella realtà sconvolgente dei cantieri che hanno
stravolto la città e con uno sguardo vigile, vibrante, dalla doppia valenza
espressiva, ci arricchisce di immagini e di emozioni.
Cavaliere errante nella
città
in sella al ronzino,
sopra
i gas di scarico la testa
eretta,
si scontra con le greggi
dei penduli cellulari,
con le mandrie dei
turisti,
Corre sul cavallo lungo
mostruosi cantieri,
ruotano mulini a vento
svettano aeree trivelle
occhieggiano cavità
di polveri fumanti.
Cantieri officine
della città, dei futuri
nonluoghi,
crogiolo
di solitudini urbane.
Il paesaggio che avvolge
il cavaliere solitario.
L’alleanza tra lo sguardo
del poeta e lo sguardo del fotografo, può sostenere l’avvento di tempi nuovi? Un tempo
nuovo è possibile nell’epoca delle immagini affollate, disseminate, consumate?
Perché questo sia possibile, è forse necessario uno sguardo che sappia vivere
con empatia la città, catturare la bellezza del mondo nell’istante ma sappia
silenziosamente preservarla e custodirla.
[1] Gianna
Pinotti, Ibidem, note 3 e 4.
[2] Si veda
Gianna Pinotti I colori delle emozioni in
Testimonianze n.514/2017, pp. 107-110.
[3] C. Baudelaire, “Mon coeur mis à nu”, Oeuvres completes, Paris, Gallimard, p.
701.
[4] G.
Leopardi, Pensiero n. 1118, in Zibaldone,
Roma Newton Compton, 2001.
[5] Nicolò Cecchella, Emanuela Nanni, Pesia contemporanea e fotografia, capoverso
5
[6] C. Baudelaires “Bohémiens en voyages”, Oevres complètes, p. 17.