Rivista “Il Segnale”, n. 96 . Anno XXXII, ottobre 2013
La speranza è contagiosa"/ L'invasione degli storni, Gazebo Libri . "Il dialogo con la loquace cornacchia"
Roberto Mosi, L’invasione
degli storni, Gazebo Libri, Firenze 2012
Con L’invasione
degli storni, Roberto Mosi presenta una raccolta di versi le cui solide
cadenze tendono ad ampliare il discorso poetico per via di consistenti
immagini.
L’argomento della malattia è affrontato con forme verbali
precise, composte, e verrebbe da dire, rispettose del lettore, come del tema
proposto. Un tema trattato in maniera molto attenta ma non ossessiva, secondo
un atteggiamento linguistico inteso a promuovere l’altrui partecipazione. La
vita c’è, è lì, anche nei momenti
meno felici.
Leggo a pag. 23 “Sulle
pareti carte disegnate/ dal gemito dell’acqua dei tubi/ dal gorgoglio delle docce".”
Rumore d’acqua che scorre in impianti idraulici sono dunque in grado di
disegnare misteriosi lineamenti che attirano l’attenzione del poeta, qui
fossero carte geografiche appese al muro: non importa, qui, sapere ciò che
davvero accade, ma prendere atto che qualcosa accade.
Più oltre viene proposta una sorta d’immagine-dichiarazione:
“Le colline sono illuminate/ dallo
sguardo indifferente del sole.” Anche la natura inanimata c’è, ma non parla: forse compito
precipuo degli uomini, è proprio quello di farla parlare (secondo modelli
scientifici, ad esempio).
Leggo a pag. 25: “L’edificio
galleggia sugli aghi/ di pini che sfiorano il cielo/ scuro, in attesa della
notte.” In questi tre versi, in cui non è rappresentata alcuna figura
umana, si avverte un persistere vivo non, come nel caso del “sole”, distaccato.
L’esperienza dolorosa, non chiusa in se stessa, riesce a
farsi tramite di riflessioni che non annullano certo il patimento, ma nemmeno
inibiscono il sorgere di fecondi impulsi poetici.
Il Nostro, nell’affrontare con quotidiano coraggio
malattia e cure, trova (sarebbe più esatto dire vive) in sfavorevoli frangenti un quid che è ancora sofferenza, ma
non è più unicamente tale.
L’ultima sezione, dedicata al cinema, tratteggia mondi
virtuali con amorevole intensità.
Non ci sono dubbi: l’autore, come molti di noi, porta con
sé le sequenze cinematografiche che l’hanno maggiormente colpito,
conservandole, assieme agli altri ricordi, nella memoria.
Dopo aver citato il capolavoro di Federico Fellini Otto e mezzo, il poeta scrive due versi
che paiono riferirsi alla scena finale del film e, contemporaneamente, al suo
stesso stare al mondo come essere umano: “Gli
altri sono parte di me/ nel cerchio della vita.”
La Postfazione consiste
in un breve “Dialogo tra l’autore e la Cornacchia della Valle dell’Inferno”, le cui ultime parole sono: “la speranza è contagiosa”.
La perspicace Cornacchia, proprio alla fine, ci fornisce
la chiava di lettura dell’intera raccolta e, nello stesso tempo, ci rende
consci di un contagio che tutti
accomuna. Un contagio provvidenziale, non soltanto nei momenti difficili.
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