mercoledì 28 marzo 2012

L'anello dei poeti: l'Oltrarno (e oltre)



Trekking-Italia Firenze – Sabato 31 marzo 2012

1. Piazza S. Felice – Elizabeth Barrett Browining
Poetessa inglese, nata a Durham e morta a Firenze nel 1861. Sposa nel 1845 il poeta Robert Browing e con lui si trasferisce a Firenze. E’ sepolta al Cimitero degli Inglesi di Firenze.


In quanti modi ti amo?
In quanti modi ti amo? Fammeli contare.
Ti amo fino alla profondità, alla larghezza e all'altezza
Che la mia anima può raggiungere, quando partecipa invisibile
Agli scopi dell'Esistenza e della Grazia ideale.
Ti amo al pari della più modesta necessità
Di ogni giorno, al sole e al lume di candela.
Ti amo generosamente, come chi si batte per la Giustizia;
Ti amo con purezza, come chi si volge dalla Preghiera.
Ti amo con la passione che gettavo
Nei miei trascorsi dolori, e con la fiducia della mia infanzia.
Ti amo di un amore che credevo perduto
Insieme ai miei perduti santi, - ti amo col respiro,
I sorrisi, le lacrime, di tutta la mia vita! - e, se Dio vorrà,
ti amerò ancora di più dopo la morte.

2. Via Dei Serragli, Teatro degli Artigianelli - UMBERTO SABA
Nasce a Trieste nel 1883, muore a Gorizia nel 1957 – Vittima della persecuzione razziale, nel suo peregrinare venne a Firenze, ospite di Montale.

Teatro degli Artigianelli (sett. 1944)
Falce martello e la stella d'Italia
ornano nuovi la sala. Ma quanto
dolore per quel segno su quel muro!

Esce, sorretto dalle grucce, il Prologo.
Saluta al pugno; dice sue parole
perché le donne ridano e i fanciulli
che affollano la povera platea.
Dice, timido ancora, dell'idea
che gli animi affratella; chiude: "E adesso
faccio come i tedeschi: mi ritiro".
Tra un atto e l'altro, alla Cantina, in giro
rosseggia parco ai bicchieri l'amico
dell'uomo, cui rimargina ferite,
gli chiude solchi dolorosi; alcuno
venuto qui da spaventosi esigli,
si scalda a lui come chi ha freddo al sole.

Questo è il Teatro degli Artigianelli,
quale lo vide il poeta nel mille
novecentoquarantaquattro, un giorno
di Settembre, che a tratti
rombava ancora il canone, e Firenze
taceva, assorta nelle sue rovine




3. Porta San Niccolò – Giardino delle Rose - Panorama della città
Sono presenti statue diJean-Michel Folon (Uccle, 1º marzo 1934 – Principato di Monaco, 20 ottobre 2005) è stato un illustratore, pittore e scultore belga. Il suo stile è caratteristico: visi uniformi, abiti spesso scuri, colori sfumati dal blu al malva con predilezione per l'acquarello.

Dino Campana –Canti Orfici
FIRENZE

Fiorenza giglio di potenza virgulto primaverile. Le mattine di primavera sull’Arno. La grazia degli adolescenti (che non è grazia al mondo che vinca tua grazia d’Aprile), vivo vergine continuo alito, fresco che vivifica i marmi e fa nascere Venere Botticelliana: I pollini del desiderio gravi da tutte le forme scultoree della bellezza, l’alto Cielo spirituale, le linee delle colline che vagano, insieme a la nostalgia acuta di dissolvimento alitata dalle bianche forme della bellezza: mentre pure nostra è la divinità del sentirsi oltre la musica, nel sogno abitato di immagini plastiche!
***
L’Arno qui ancora ha tremiti freschi: poi lo occupa un silenzio dei più profondi: nel canale delle colline basse e monotone toccando le piccole città etrusche, uguale oramai sino alle foci, lasciando i bianchi trofei di Pisa, il duomo prezioso traversato dalla trave colossale, che chiude nella sua nudità un così vasto soffio marino. A Signa nel ronzìo musicale e assonnante ricordo quel profondo silenzio: il silenzio di un’epoca sepolta, di una civiltà sepolta: e come una fanciulla etrusca possa rattristare il paesaggio...
***
Nel vico centrale osterie malfamate, botteghe di rigattieri, bislacchi ottoni disparati. Un’osteria sempre deserta di giorno mostra la sera dietro la vetrata un affaccendarsi di figure losche. Grida e richiami beffardi e brutali si spandono pel vico quando qualche avventore entra. In faccia nel vico breve e stretto c’è una finestra, unica, ad inferriata, nella parete rossa corrosa di un vecchio palazzo, dove dietro le sbarre si vedono affacciati dei visi ebeti di prostitute disfatte a cui il belletto dà un aspetto tragico di pagliacci. Quel passaggio deserto, fetido di un orinatoio, della muffa dei muri corrosi, ha per sola prospettiva in fondo l’osteria. I pagliacci ritinti sembrano seguire curiosamente la vita che si svolge dietro l’invetriata, tra il fumo delle pastasciutte acide, le risa dei mantenuti dalle femmine e i silenzii improvvisi che provoca la squadra mobile: Tre minorenni dondolano monotonamente le loro grazie precoci. Tre tedeschi irsuti sparuti e scalcagnati seggono compostamente attorno ad un litro. Uno di loro dalla faccia di Cristo è rivestito da una tunica da prete (!) che tiene raccolta sulle ginocchia. Fumo acre delle pastasciutte: tinnire di piatti e di bicchieri: risa dei maschi dalle dita piene di anelli che si lasciano accarezzare dalle femmine, ora che hanno mangiato. Passano le serve nell’aria acre di fumo gettando un richiamo musicale: Pastee. In un quadro a bianco e nero una ragazza bruna con una chitarra mostra i denti e il bianco degli occhi appesa in alto. – Serenata sui Lungarni. M’investe un soffio stanco dalle colline fiorentine: porta un profumo di corolle smorte, misto a un odor di lacche e di vernici di pitture antiche, percettibile appena (Mereskoswki).
***
Pablo Neruda

La città

E quando in Palazzo Vecchio,
bello come un'agave di pietra,
salii i gradini consunti,
attraversai le antiche stanze,
e uscì a ricevermi un operaio,
capo della città, del vecchio fiume,
delle case tagliate come in pietra di luna,
io non me ne sorpresi:
la maestà del popolo governava.

E guardai dietro la sua bocca
i fili abbaglianti della tappezzeria,
la pittura che da queste strade contorte
venne a mostrare
il fior della bellezza
a tutte le strade del mondo.

La cascata infinita che il magro poeta di Firenze
lasciò in perpetua caduta
senza che possa morire,
perchè di rosso fuoco e acqua verde
son fatte le sue sillabe.

Tutto dietro la sua testa operaia io indovinai.

Però non era, dietro di lui,
l'aureola del passato il suo splendore:
era la semplicità del presente.

Come un uomo, dal telaio all'aratro,
dalla fabbrica oscura,
salì i gradini col suo popolo e nel Vecchio Palazzo,
senza seta e senza spada,
il popolo, lo stesso che attraversò con me
il freddo delle cordigliere andine era lì.

D'un tratto, dietro la sua testa,
vidi la neve,
i grandi alberi che sull'altura si unirono e qui,
di nuovo sulla terra,
mi riceveva con un sorriso e mi dava la mano,
la stessa che mi mostro il cammino laggiù lontano
nelle ferruginose cordigliere ostili che io vinsi.

E qui non era la pietra convertita in miracolo,
convertita alla luce generatrice,
né il benefico azzurro della pittura,
né tutte le voci del fiume
quelli che mi diedero la cittadinanza
della vecchia città di pietra e argento,
ma un operaio, un uomo, come tutti gli uomini.

Per questo credo ogni notte del giorno,
e quando ho sete credo nell'acqua,
perchè credo nell'uomo.

Credo che stiamo salendo l'ultimo gradino.

Da lì vedremo la verità ripartita,
la semplicità instaurata sulla terra,
il pane e il vino per tutti.



4. Parco di San Salvi (già Ospedale Psichiatrico)
a. Sede della ex Direzione Sanitaria dell’Ospedale
Dino Campana (Marradi 1895 – Castel Pulci 1932) è ricoverato la prima volta a San Salvi nel 1909. Nel 1918, dopo una visita a San Salvi, viene internato nel manicomio di Castel Pulci dove rimarrà fino alla morte.

Sibilla Aleramo e Dino Campana, da “Un viaggio chiamato amore”

Chiudo il tuo libro,
snodo le mie trecce,
o cuor selvaggio,
musico cuore…
con la tua vita intera
sei nei miei canti
come un addio a me.
Smarrivamo gli occhi negli stessi cieli,
meravigliati e violenti con stesso ritmo andavamo,
liberi singhiozzando, senza mai vederci,
né mai saperci, con notturni occhi.
Or nei tuoi canti
la tua vita intera
è come un addio a me.
Cuor selvaggio,
musico cuore,
chiudo il tuo libro,
le mie trecce snodo.
Sibilla Aleramo a Dino Campana, Mugello, 25-7-1916

In un momento
Sono sfiorite le rose
I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano le nostre rose
Le mie rose le sue rose.
Dino Campana a Sibilla Aleramo, 1917


b – Nei pressi della ex Direzione Sanitaria, un vecchio edificio fu dipinto dai ricoverati con il disegno di Palazzo Vecchio e dei versi di Pablo Neruda ( poeta cileno, Parral 1904 – Santiago 1973) dedicati alla città (vedi sopra). Si riporta una famosa poesia.


IL TUO SORRISO

Toglimi il pane, se vuoi,
toglimi l' aria, ma
non togliermi il tuo sorriso.
Non togliermi la rosa,
la lancia che sgrani,
l'acqua che d' improvviso
scoppia nella tua gioia,
la repentina onda
d'argento che ti nasce.

Dura è la mia lotta e torno
con gli occhi stanchi,
a volte, d' aver visto
la terra che non cambia,
ma entrando il tuo sorriso
sale al cielo cercandomi
ed apre per me tutte
le porte della vita.
Amore mio, nell' ora
più oscura sgrana
il tuo sorriso, e se d' improvviso
vedi che il mio sangue macchina
le pietre della strada,
ridi, perché il tuo riso
sarà per le mie mani
come una spada fresca.

Vicino al mare, d'autunno,
il tuo riso deve innalzare
la sua cascata di spuma,
e in primavera, amore,
voglio il tuo riso come
il fiore che attendevo,
il fiore azzurro, la rosa
della mia patria sonora.

Riditela della notte,
del giorno, delle strade
contorte dell'isola,
riditela di questo rozzo
ragazzo che ti ama,
ma quando apro gli occhi
e quando li richiudo,
quando i miei passi vanno,
quando tornano i miei passi,
negami il pane, l'aria,
la luce, la primavera,
ma il tuo sorriso mai,
perché io ne morrei.

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