A 12 anni dalla pubblicazione del libro "L'invasione degli storni"riportiamo una serie di recensioni. 10 anni orsono è stato pubblicato nella forma dell'e-book da LaRecherche, con i disegni di Enrico Guerrini : LINK all'e-book
XII.
C. Bigazzi: "L'invasione degli storni", un viaggio nella speranza -
Recensione "Semicerchio"
"Per ispirazione e
struttura, la ‘trilogia’
di Mosi si presenta come
una contemporanea
rivisitazione della
Commedia
dantesca che ambisce ad
un disegno
universale e allo stesso
tempo ad una
marcata connotazione
fiorentina. Un percorso
ascensionale che,
tripartito nelle
sezioni Valle
dell’Inferno, Via del Purgatorio,
Nuovo Cinema Paradiso, dà
vita a
un affresco a forti
immagini, giocato tra
mimesi di luoghi reali,
citazioni letterarie
ed incontri con
personaggi e simboli,
nella ricreazione
visiva/vissuta di un patrimonio
acquisito e comune. È il
viaggio
di speranza e significato
da parte di un
uomo che osserva,
registra e testimonia
quella frattura
conflittuale tra umanità ed
ambiente che l’impegno
poetico è chiamato
a sanare, ma che il
‘maglio della
Storia’ pare riconfermare
ad ogni passo.
Nella prima parte, la
valle dell’Inferno, sorvegliata
dalla vigile Cornacchia,
altro non
è che la postmoderna
discarica del mondo,
o come scrive Giuseppe
Panella nella
Prefazione «il non-luogo
del consumo e
della disarmonia»:
l’immagine altrimenti
positiva del passaggio
degli uccelli migratori
si riflette sul degrado
della comunità
speculatrice, in una
paludosa congestione
dalla quale tra i miasmi
affiorano mostruose
presenze alla coscienza,
tra reale
e virtuale, tradizione ed
espressionismo;
anche il ritmo sembra
rallentare al peso
di alcuni giudizi sulla
storia recente.
Si passa quindi
all’atmosfera umbratile e
alla più scarna
precisione del linguaggio
della parte centrale,
ovvero il bianco inesorabile
«Tempo dell’Attesa»
scandito tra
le squallide mura di un
purgatoriale Reparto
oncologico, nel quale
l’unica linfa è
la chemioterapia e il
paziente è un provvisorio
homo viator osservato in
silenzio
dal Ragno che tesse la
tela degli umani
destini.
Poi la malattia sembra
vinta e,
sempre con la guida di
Gabriella, novella
Beatrice coronata di
luce, si conclude
l’ascesa salvifica: come
sullo schermo di
un Cinema scorrono in
tripudio uno dopo
l’altro fotogrammi
luminosi e ‘trasfigurati’.
E qui, nella fucina dove
«Appare il senso,
la forma, / il fuoco
abbraccia la creta, / l’opera
è pronta per
brillare...», approda l’epilogo
di un cammino pensoso ed
umano
che non rinuncia a
stemperare i mortali
vizi nelle immortali
virtù dell’arte. Mentre
anche le presenze
naturali, gli uccelli, si
fanno parte integrante
della Commedia
in una sintesi che
ricompone a scrigno il
cosmo di Mosi: «Nei
nidi appesi alle gronde
/ riposano i racconti del
mondo, / la
testa sotto le ali».
(Caterina Bigazzi)
Semicerchio nn. 48-49 2013, pag. 231
XI. Luigi Fontanella per "L'invasione degli
storni": "Versi, questi di Mosi, delicatissimi, pieni di speranza, e
al contempo indelebili, scolpiti nel tempo"
.
“Mosi, poeta fiorentino
di delicate permanenti sfumature (permanenti perché incidono e sedimentano
nella psiche del lettore sensibile) ci offre un altro gentilissimo libro dopo
il memorabile Aquiloni.
La bella immagine che
compare sulla copertina (suggestiva fotografia di Simone Guidotti) dà subito un
segno dell’assunto del libro, e, giustamente, nell’ottima Prefazione di
Giuseppe Panella, viene subito indicato un altro quanto affascinante referente
letterario: l’indimenticabile passo del Palomar di Calvino nel quale il
personaggio di fronte alle ondate degli storni, che con ampie volute oscurano
di tanto in tanto i nostri cieli, prova apprensione.
Ed è sotto lo stemma
dell’Interrogazione che si snoda questo “viaggio” del poeta dalla Valle
dell’Inferno alla Via del Purgatorio fino al “Paradiso” della realtà presente
che però si nutre del proprio passato, come già ci ha insegnato un altro grande
scrittore (William Faulkner).
E a fare da “guida”
ispirativa per questo viaggio, un po’ come – fatte le debite differenze –
avviene con Beatrice per Dante, è la piccola Gabriella, sorella di Roberto,
morta dopo un giorno di vita. E’ a lei che l’autore dedica questo vibrante
libretto (la dedica stessa è già di per sé un verso: “A Gabriella, il respiro,
il volo di un giorno”).
Versi, questi di Mosi,
delicatissimi, pieni di speranza, e al contempo indelebili, scolpiti nel tempo,
come quelli collocati a suggello finale del “Purgatorio”:
“Lascio l’ospedale, corro
/ nella strada in discesa, l’aria / accarezza la pelle arrossata. / Gabriella
mi guida, /pedalo leggero nella città, / la nuova Sala d’Attesa.”
Luigi Fontanella
X.
Roberto Carifi per "L'invasione" - "Poesia", aprile 2012
" Roberto Mosi vive
a Firenze. E’ stato dirigente per la Cultura alla Regione Toscana. Ha
pubblicato diverse raccolte di versi, molti articoli e ioere di saggistica. E’
redattore della rivista fiorentina “Testimonianze”, fondata da Ernesto
Balducci.
Ora Roberto Mosi ha dato
alle stampe L’invasione degli storni (Gazebo), un bel libro preceduto dalla
prefazione del filosofo e poeta Giuseppe Panella che scrive: “La vita è fatta
di illusioni e di sogni ,
l’altra faccia della
Luna. Il Paradiso è perdersi in essa e ritrovarsi dall’altra parte. Mosi prova
a raccontarci come è andato il suo viaggio dall’Inferno al Paradiso, dal mare
dell’immondizia allo schermo translucido della coscienza: la sua poesia è tutta
qui, resa immobile e, pur tuttavia, agitata dalla forza del desiderio di
volare”.
La poesia di Mosi è alta
e sublime, e L’invasione degli storni è un libro da non dimenticare.
L’ultimo chiarore scompare
l’ombra sale dalle strade,
sommerge le cupole,
le tegole dei tetti,
inghiotte il volo delle piume.
Nei nidi appesi alle grondaie
riposano i racconti del mondo,
la testa sotto le ali.
Roberto Carifi in “Poesia”, aprile 2012,
pag. 77.
IX.
Michele Brancale: "Il volo degli storni nel cielo di Firenze, occasione
per uno sguardo sulla città e sul dolore" - in "Toscana Oggi" 3
marzo 2012 –
"Gli storni sulle
colline di Careggi, tra gli agglomerati sanitari collocati nel verde tra i
viali, accompagnano il viaggio di Roberto Mosi nella selva oscura della
debolezza fisica che decide del futuro e mescola i tempi, facendo avvertire
dimensioni che non sono quelle consuete, quelle raggiungibili con il
ragionamento «Chiudo gli occhi sulla poltrona.| Nella stanza suona il telefono,
| corro a perdifiato per strade | per scale e corridoi infiniti». Sono i
momenti in cui si riassume la vita, se ne scolpisce il significato e si guarda
altrove. E non da soli. Mosi si sente accompagnato da una Beatrice bambina, la
sorellina ritrovata. Finito il percorso nella valle, tra inferno e purgatorio,
comincia il tempo di un'altra attesa, un «Nuovo cinema Paradiso» che si fa
premonizione di vittoria su ogni solitudine.
L'invasione degli storni
fa seguito a un altro libro che Mosi ha scritto per Gazebo: Florentia. Col
senno di poi si può dire che il percorso redentivo delle Invasioni..., tutto
scavato nell'interiorità, qui preventivamente abbracciava con uno sguardo colmo
di umanità la sua amata, città con occhi corali. La stazione rappresenta l'acme
di questa visione:
«E' arrivato dai paesi
dell est | lo stormo di uccelli migratori, | la notte dormono in stazione.|
All'alba raccolgono gli averi, | nascondono i cenci fra i rami | in mezzo ai
nidi dei piccioni, | sopra i chioschi delle aranciate. | Uccelli vestiti da spazzino
| al mattino afferrano i sacchi. | La sera si cerca un altro riparo | più
vicino ai nidi delle rondini».
La città si fa cronaca e
storia. Ecco una sintesi efficace del social forum del 2002:
«Le piazze del centro,
| respirano paura, | alle vetrine barriere per scudo, | sul cartello: 'Chiuso
per lusso'.| La polizia è in assetto di guerra, | gracidano le radio. |
L'anello dei viali | ride di allegria dei giovani».
Ogni geografia si compone
di luoghi simbolo, la città diventa richiamo, interloquisce con altri luoghi.
Nelle «Colline di un altro mondo» Mosi, attraverso il racconto di un altro, si
porta in Etiopia, nella guerra del '36. E' un testo duro e sensibile, da
leggere quando si punta a rabbonire il fascismo in realtà vivaio di massacri |
... mercenari del sangue bruno,.| camicie nere italiche, crudeli cuccioli di
cesari morti» per usare le parole di Mandelstam) o si parla con leggerezza di
conflitti rapidi e chirurgici, guardando le luci in tv e senza osservare quello
che accade sotto il cielo. Nel gorgo c'è un bambino che chiama.
VIII.
Giorgio Linguaglossa per "L'invasione"
“Trovo che
"l'invasione degli storni" sia un libro coraggioso, coraggioso perché
privo di orpelli retorici e stilistici, gli oggetti sono oggetti, hanno il loro
posto sicuro, riposano come nature morte, le cose si sfogliano come le stecche
di un ventaglio, una dopo l'altra... ma chi apre il ventaglio?, dove è
l'autore?
L'autore sembra
nascondersi dietro le quinte per lasciare piena visibilità al quadro, proprio
come accade nel cinema dove il regista non è visibile eppure è presente,
diffuso in ogni fotogramma; anzi, tanto più il regista è invisibile tanto più
risulta presente nei fotogrammi.
Preferisco la distaccata
e laconica enumerazione delle sue poesie alla formaldeide di altre più lucidate
che portano con sé una nuvola di afrori e di colori, certo accattivanti ma
anche stucchevoli.”
Giorgio Linguaglossa
VII.
Giuseppe Marchetti per "L'invasione"
"La realtà di una certa storia e di
una maligna cronaca
che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, mi pare che sia alla
base. Il racconto del presente assume così una doppia occasione di
verifica:
è racconto, appunto, ma anche pensiero e riflessione
rigorosa sulle nostre avventura di cittadini e di uomini."
VI.
Giuseppe Baldassarre per "L'invasione"
“ “L’invasione degli
storni” è un libro audace, profondo, ben lavorato.
La tematica esistenziale,
personale ed oltre, in chiave allegorica e realistica insieme: con la cura del
particolare e della singola espressione.
Una narrazione che mentre
si svolge mostra radici nel più profondo dell’essere, anche doloroso. Un
tentativo di catarsi che avviene gradualmente, sempre più desiderata,
intravista, percepita come possibile, finchè avviene.
E il tutto nella
tradizione della letteratura alta, il tuo mondo che acquista significato
allegorico, il tuo viaggio nell’esperienza della vita.
E’ un bel libretto, opera
di maturità anche tecnica.
La prefazione di Giuseppe
Panella è una lettura attenta e convincente.”
V.
Claudia Manuela Turco per “L’invasione”
Gentile Roberto Mosi,
abbiamo ricevuto il suo
volumetto “L’invasione degli storni”, ancora
fresco di stampa. La
ringraziamo per questo cortese e gradito dono.
La narrazione poetica
ricuce per un attimo i lembi dell’eterna ferita, il dato autobiografico rende i
segmenti in cui le dimensioni di vita e morte e aldilà si intrecciano ancor più
pulsanti, vibranti. Le consolidate tappe di inferno purgatorio paradiso sono
state rivisitate in una chiave personale che arricchisce la visione di
ulteriori implicazioni, catturando il lettore dall’inizio alle fine dell’opera.
In un clima di intimità
tra animali umani e animali non umani, dentro e oltre il simbolo. Mi sono
venuti in mente i due cugini-lucherini pascoliani, leggendo della vita di un
sol giorno (vissuta e non vissuta al tempo stesso) di Gabriella.
Ma la dimensione di
malattia e morte lascia spazio anche ad altro, nella varietà di questo
volumetto. Una pubblicazione interessante, che fa sentire la forza della poesia
anche laddove non giunge la parola a soccorrere.
Complimentandomi per
questo suo libro, la saluto cordialmente,
Claudia Manuela Turco (Brina Maurer)
IV. Mariagrazia
Carraroli: "Appunti di
lettura" per "L'invasione"
Appunti di lettura
"La trilogia
dall’eco dantesca è tanto coinvolgente e forte da non permettere soste.
E incalza. E morde.
La metafora della
discarica che all’inizio imputridisce ogni Bellezza, riempiendo l’aria di
miasmi, ben s’addice all’invasione del male nelle cellule del corpo, così come
la sintesi che la poesia riesce a compiere tra la storia con la ESSE maiuscola
e l’altra, quella personale, dentro una piaga rossa languente. L’effetto sul
lettore risulta quanto mai efficace ed icastico.
I versi della trilogia
corrono a slalom tra luoghi esterni dai nomi che richiamano la Commedia, e
ambiente interiore, tra malattia del mondo e morbo personale, mentre il cielo
che accomuna entrambi è dominato da invasioni oscure e gracidii sinistri.
L’inferno è questa cupa
disperazione dentro cui il poeta, guidato da eterea mano fraterna, non può e
non deve soccombere.
Così l’autore risale
verso racconti di speranza ( le cure mediche ) e di bellezza ( il cinema, gli
Autori, i grandi Interpreti ).
A questo punto,
l’orizzonte dello “ schermo “ s’acquieta. Le note sonore si fanno
particolarmente dolci e suasive, mentre si spegne, luminosa, l’ultima sequenza.
I titoli di coda recano
con evidenza i nomi degli interpreti principali : l’ AUTORE e la CORNACCHIA, a
cui s’aggiunge la partecipazione straordinaria d’una terza, importante
presenza, quella necessaria della SPERANZA.
La penna del poeta Mosi,
dalla scrittura scabra ed essenziale, non vuole in tal modo fermare il punto su
uno scontato lieto fine, quanto piuttosto testimoniare un percorso di coraggio,
di fatica e di fiducia nonostante tutto il buio di cui tale viaggio era
circondato.
Un messaggio che tutti,
forse anche i più scettici, sentono, sentiamo di avere bisogno."
III.
Maria Pia Moschini per "L' invasione degli storni" di R. Mosi, Gazebo
Edizioni, prefazione di Giuseppe Panella.
"I racconti poetici
di Roberto Mosi, racchiusi nel bel libro “L’invasione degli storni”, appaiono
come un diario di viaggio , una ricerca attenta di luoghi dell’anima che
appaiono come non luoghi tanto si dissolvono e si concentrano, proprio come gli
storni sui cieli delle nostre città, una visitazione dell’eterno presente che
fa coincidere vita e morte, in un unico grande volo.
La natura si fa leggere
attraverso i dettagli, si rivela in figure simboliche : la cornacchia, gli
storni stessi…volatili intelligenti, abitatori di quei campi morfici che lo
scienziato Rupert Sheldrake considera modificatori della nostra mente per quella
forma di telepatia che si viene a instaurare fra animali e uomo, ma si pensa
anche fra natura e oggetti, e che dà origine alla mente estesa. Un dialogo
infinito, un mezzo di comunicazione universale che collega il visibile con
l’invisibile.
La citazione di Casetta
di Tiara, insediamento umano antichissimo nel cuore dell’Appennino Tosco
Emiliano, dove ancora si parla il “casettino”, un linguaggio antichissimo,
appare ad un lettore ignaro come una metafora del poeta, racchiuso nel suo
idioma. In questi racconti, Gabriella è avvolta dal non vissuto, la sua vita di
un solo giorno racchiude tutte le ere del mondo , il possibilismo radioso
dell’infinito esistere che diviene aureola, lampada votiva .
La malattia del poeta
penetra invece nei contenuti poetici con immagini definite, esatte: le chiome
dei pini ondeggiano oltre i vetri della finestra e l’Ospedale prende il volo,
si dilata, conduce nell’Oltre. Il Cinema invece sposta i racconti nel buio di
una sala popolata di fantasmi. Gli attori di un tempo dialogano con il poeta,
compagni di viaggio senza tempo che si librano in un clima magico e
rappresentano la vita nelle sue dimensioni polimorfiche. Il testo teatrale
finale è un dialogo ironico e vivace che riassume le tematiche del libro e fa
riferimento a luoghi “certi”, dove un abitante di Firenze può specchiarsi.
E’ questo libro un
volteggiar di storni, un passaggio da una configurazione all’altra in modo
veloce e sintetico. Rimangono negli occhi immagini naturalistiche bellissime,
fortemente evocative, un libro interessante e composito che appare come uno
scrigno prezioso e ricco di suggestioni per un lettore attento che ami la
condivisione."
II.
"L'invasione", dialogo con la Cornacchia (postfazione)
Autore – Sei il primo
personaggio che appare sulla scena della Valle dell’Inferno, il primo atto de
L’invasione degli storni, indaffarato e un po’ agitato.
Cornacchia – Mi piace la
parte. Sono un animale solitario, si dice intelligente, linguacciuto. Sono
anche un po’ mago, mi piace la cabala e gioco volentieri con i numeri.
A. – Sembra che ti
diverta.
C. – Ma certo! Non sai,
nel tuo caso, la faccia buffa che avevi quando sei arrivato, dopo che sei
caduto nel labirinto che congiunge la città alla Valle.
A. – Sembri innamorata di
questa Valle, nascosta fra i monti dell’Appennino, incavata come dal colpo di
lancia di un gigante.
C. – Sì, mi piace stare
qui. La mia voce è potente, cra, cra, cra. Rimbomba contro le pareti, l’eco
rimbalza in tutte le direzioni, sembra il gracchiare di un branco di
cornacchie, una cornacchiaia, si dice: non mi sento più sola. Il fondo della
Valle - negli anfratti e nelle gore del torrente - è pieno di cianfrusaglie,
dei resti scenici lasciati dalla Storia. E poi ci sono le discariche di rifiuti
pieni di bocconcini. Devo dire, però . . .
A. – Che cosa?
C. – Negli ultimi anni
c’è stato un impazzimento generale. E' stata scavata a fianco della Valle
un’enorme galleria per i treni veloci. Si è violentata la terra e ora molte
sorgenti sono all’asciutto, si fanno battute di caccia per uccidere gli animali
del bosco. E’ giunto poi fino alla Valle l’eco dell’attentato ai Georgofili, a
Firenze. Mi presi un bello spavento, le penne sul dorso sono diventate grigie.
Il Gigante dell’Appennino, nel Parco di Pratolino, si svegliò dal sonno di
secoli. C’è un’esplosione di follia generale che non ha niente a che vedere con
la follia innocente di quel poeta famoso di Marradi.
A. – L’hai conosciuto?
C. – L’ho visto diverse
volte, vestito di pelli di pecora. L’ultima volta passò in compagnia di una
signora, sul sentiero in alto che porta a Casetta di Tiara.
A. – Perché mi hai
lasciato uscire dalla Valle dell’Inferno?
C. – Ho conosciuto la tua
storia e ho capito che il tuo viaggio doveva continuare. Gabriella, la tua musa
ispiratrice, mi aveva raccontato tutto.
A. – Conosci le altre
tappe?
C. – Sì. Gli storni me ne
hanno parlato.
A. – E cosa ti hanno
raccontato?
C. – Gli storni che
abitano sulle colline di Careggi, dalle parti di Via del Purgatorio, ti hanno
visto dietro i vetri della finestra dell’ospedale nei giorni della malattia. Ti
hanno visto precipitare sul fondo e poi rinascere a una vita nuova.
A. – I racconti volano!
Ti lascio ora ai tuoi calcoli, la fila dei nuovi arrivati diventa sempre più
lunga.
C. – Sì, mi sono lasciata
prendere dalle chiacchiere. Un'ultima cosa. Gli storni che abitano le colline
di Bellosguardo, vicino all’arena estiva “Chiar di luna”, ti hanno visto la
sera arrivare al cinema e immergerti nel sogno di Nuovo Cinema Paradiso e di
tanti altri film. Devi tornare a trovarmi con un sacco di racconti, di storie
di film, di versi. Il tuo è un viaggio alla ricerca della speranza e la
speranza è contagiosa.
I
La Prefazione di Giuseppe Panella a “L’invasione degli storni”
Il nuovo libro di Roberto Mosi parte da
uno spunto narrativo di Italo Calvino sul volo degli storni (“L’invasione degli
storni”, in Palomar,1983):
«Nell’aria viola del tramonto egli guarda
affiorare da una
parte del cielo un pulviscolo minutissimo,
una nuvola d’ali che
volano. Si accorge che sono migliaia e
migliaia: la cupola del cielo
ne è invasa. Quella che fin qui gli era
sembrata un’immensità
tranquilla e vuota si rivela tutta
percorsa da presenze rapidissime e
leggere”.
La nuova Raccolta, che
segue i libri “Nonluoghi” (2009) e
“Luoghi del mito” (2010),
è una trilogia poetica che descrive un
viaggio nel mondo
contemporaneo, ormai degradato e senza centro,
che parte dalla Valle
dell’Inferno, luogo poetico e soprattutto
campaniano per
eccellenza, per proseguire nella Via del Purgatorio
e raggiungere il Nuovo
Cinema Paradiso.
Nell’Inferno della radura
del Mugello (provincia di Firenze), gli
animali dimostrano tutta
la loro perplessità circa il destino dell’uomo
così come Gabriella, musa
ispiratrice e novella Beatrice, indica la
via:
«La cornacchia sfoglia /
le pagine, scuote la testa / mi spinge fuori dalla valle. / La cascata sbarra
il sentiero / l’acqua scende fragorosa. / Salto tra le onde, sui massi / in
cerca della via d’uscita. / Scopro la grotta oltre il salto / dell’acqua, Gabriella
mi porge / la mano: “Dopo la valle / scoprirai il tempo dell’Attesa”»
Nella Valle dell’Inferno
al posto dell’armonia del passato e della
ricomposizione delle
contraddizioni dei giorni nostri, predominano le
scaglie e i frantumi
della civilizzazione presente che distrugge e
inquina, invece che
purificare separando ciò che dura da ciò che
deve essere distrutto,
ciò che è fatto per servire da quello che è
puro prodotto del
profitto. L’Inferno è dunque questo, l’Indistinto, il
luogo nel quale tutto è
mescolato e il puro è tratto nel gorgo
dell’impuro:
«Congestione di rifiuti
urbani / nelle discariche a cielo aperto, / i topi si tengono per la coda /
fanno festa gabbiani in volo / gatti impigriti dal grasso. / Ogni rifiuto
giunge alla meta / differenziato per contenitore, / la Coscienza divide i
rifiuti. / Umido organico: scarti / di cucina, erbe del prato. / Carta e
cartone: giornali, / libri, fumetti, quaderni. / Plastica: bottiglie d’acqua, /
involucri, piatti, sacchetti / Vetro: vasetti, brocche, / specchi, lampade,
bicchieri. / Mondo virtuale: baci, amore, / passione, sentimento, emozione»
L’Inferno è il non luogo
del consumo e della minaccia, della
disarmonia tra la realtà
sognata e il progetto globale che la nega in
nome di una smodata e
forsennata corsa al profitto: dunque, la
negazione di una vita
armoniosa. autentica.
Il Purgatorio è una Sala
d’Attesa dove si scontano i peccati sotto
forma di malattia. Il
luogo della sofferenza, della ricerca di una
guarigione che si fa
aspettare infliggendo sofferenza e disagio a chi
ne è la vittima spesso
incolpevole, spesso inconsapevole, sempre
timorosa e schiacciata
dal male:
«Nella Sala d’Attesa
l’odore / dell’alcol, il battito del tamburo / la pelle secca della lingua. /
Folla nella Sala d’Attesa / la porta aperta sul
Reparto, / il gioco degli
scacchi, / per pedine la vita e la morte. / Passi
sulla sabbia tra miraggi
/ evanescenti, il Tumore / tesse il tempo
dell’Attesa. / Il maglio
colpisce la facciata / abbatte la parete di rosso / un boato invade l’ospedale.
/ Tra le gru e le escavatrici / sopravvive solo il Reparto”
Ed è nel Reparto che si
consuma l’Attesa fatta di squallore,
sofferenza, assenza; tra
le sue mura fatte di gesso e di lacrime si
cerca se stessi e ci si
accinge a rinnovare la propria dimensione più
profonda per essere di
nuovo capaci di vivere e di giungere a quel
Paradiso fatto
d’illusioni e di felicità che è la Fabbrica dei Sogni. Nel
Reparto incombe il Ragno
che tesse la tela del destino, che
scandisce il passare del
tempo, che annota e trattiene i passi di chi
vorrebbe fuggirne ma non
può.
Chi ci riesce, infine, si
slancia alla ricerca di qualcosa – Nuovo
Cinema Paradiso - che
prima, nel Reparto, gli era stato negato e che
solo ora prende
consistenza – ed è “la materia di cui sono fatti i
sogni”:
”Suona la mia canzone, /
Sam. Come a quel tempo”. / Implora dallo
schermo, / lo sguardo di
Ingrid, vago il suo sorriso. / “Canta: As Time
Goes By”. / Ripeto le sue
parole, / seguo Gabriella nel film. / Sono alle
spalle di Bogart / sulla
pista dell’aeroporto, / sento le parole dell’addio. // La mia mano non stringe
/ Gabriella, la poltrona è vuota»
“La vita è fatta
d’illusioni e di sogni proiettati su un telone che
s’illumina della gioia
immensa dell’immedesimazione con l’altra
faccia della Luna. Il
Paradiso è perdersi in essa e ritrovarsi dall’altra
parte. Mosi – il commento
di Giuseppe Panella nella Introduzione al
libro - prova a
raccontarci com’è andato il suo viaggio dall’Inferno
al Paradiso, dal mare
dell’immondizia allo schermo translucido della
coscienza: la sua poesia
è tutta qui, resa immobile e, pur tuttavia,
agitata dalla forza del
desiderio di volare. Quando ci riesce, allora,
si “illumina d’immenso”.