martedì 14 dicembre 2021

"Vivere in pace con la Natura" e il "Manifesto del Terzo Paesaggio", di Gilles Clemént - Il Giardino Planetario

 

MANIFESTO DEL TERZO PAESAGGIO

o del "vivere in pace con la Natura"

Con l’espressione “Terzo paesaggio”, Gilles Clément indica i “luoghi abbandonati dall’uomo”: i parchi e le riserve naturali, le grandi aree disabitate del pianeta, ma anche spazi più piccoli e diffusi, quasi invisibili: le aree industriali dismesse dove crescono rovi e sterpaglie; le erbacce al centro di un’aiuola spartitraffico… Sono spazi diversi per forma, dimensione e statuto, accomunati solo dall’assenza di ogni attività umana, ma che presi nel loro insieme sono fondamentali per la conservazione della diversità biologica

Il libro "Manifesto del Terzo Paesaggio" ne mostra i meccanismi evolutivi, le connessioni reciproche, l’importanza per il futuro del pianeta. È un’opera che apre un campo di riflessione aperto anche ad implicazioni politiche. 

"Le sfide poste dal Terzo Paesaggio sono le sfide della diversità"

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L'AUTORE

GILLES CLÉMENT

Gilles Clément (1943), docente presso l’École Nationale Supérieure du Paysage de Versailles e scrittore, ha influenzato con le proprie teorie e con le proprie realizzazioni (tra queste il Parc André Citroën e il Musée du quai Branly, entrambi a Parigi) un’intera generazione di paesaggisti europei. Ha pubblicato tra l’altro, Le jardin planétaire (catalogo della mostra alla Villette di Parigi, 1999), La sagesse du jardinier (2004), e due romanzi, Thomas et le voyageur (1997) e La dernière pierre (1999). In italiano sono stati pubblicati l’antologia Il giardiniere planetario (22 publishing, 2008) e Elogio delle vagabonde (DeriveApprodi 2010). Quodlibet ha pubblicato Manifesto del Terzo paesaggio (2005), Il giardino in movimento (2011), Breve storia del giardino (2012), Giardini, paesaggio e genio naturale (2013) e Ho costruito una casa da giardiniere (2014).

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"Giardino planetario


Partendo dallo spazio incolto, abitato dalle erbacce del Padiglione delle Agitate dell’ex ospedale di San Salvi, vorremmo gettare lo sguardo in avanti, nel mondo dell’utopia, assumere questo spazio come punto di partenza, di ricerca, di attenzione verso nuove sensibilità per l’uomo e per l’ambiente, spinti anche dalle urgenze dei nostri giorni.

È utile il riferimento al libro “Manifesto del Terzo paesaggio” di Gilles Clément (Edizioni Quodlibet 2005). Con l’espressione “Terzo paesaggio” egli indica “i luoghi non direttamente curati dall’uomo: i parchi e le riserve naturali, le grandi aree disabitate del pianeta, ma anche spazi più piccoli e diffusi, quasi invisibili: le aree industriali dismesse dove crescono rovi e sterpaglie; le erbacce al centro di un’aiuola spartitraffico … Sono spazi diversi per forma, dimensione e statuto, accomunati dall’assenza dell’attività umana (o dalla minima attività) che presi nel loro insieme sono fondamentali per la conservazione della diversità biologica”.

Il libro di Gilles Clément definisce i singoli spazi, pur diversi nella forma e nell’estensione, con il termine di “giardino”, un territorio di rifugio per la diversità biologica: altrove – negli spazi direttamente curati dall’uomo - questa diversità è scacciata. Aggiunge, per le aree del “Terzo paesaggio”, l’appellativo di “giardini in movimento”, per la loro vitalità, dove si possono osservare “fiori, alberi, insetti, uccelli, tutti intrecciati in una concatenazione complicata e magnifica”. Si tratta, ci sembra, di una categoria che si addice ai caratteri dell’area erbosa che circonda il Padiglione delle Agitate.

È importante poi cogliere le interrelazioni fra i diversi “giardini in movimento”. “Le erbe si spostano in silenzio, seguendo i venti. Non si può nulla contro il vento”. Il vento, dunque, padrone degli scenari naturali.

Gilles Clément conia il termine di “giardino planetario”. “La Terra come territorio riservato alla vita è uno spazio chiuso […]. È un giardino. Non appena enunciata, questa constatazione rinvia ogni umano, passeggero della Terra, alle proprie responsabilità. Eccolo divenuto giardiniere”.

Il “giardino planetario” chiama in causa “l’umanità intera”, l’uomo si presenta come “giardiniere planetario”: vi è un salto di scala rispetto ai frammenti considerati in precedenza, siamo in presenza di una “mescolanza planetaria”. Una delle ragioni di fondo del giardinaggio planetario sta nel non ostacolare questo movimento, perché “la molteplicità degli incontri e la diversità degli esseri” sono “altrettante ricchezze aggiunte al territorio”. E, diremmo, all’umanità." 

("Sinfonia per San Salvi", Il Foglio")

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Elogio delle erbacce


Quando intralciano i nostri piani o le nostre mappe ordinate del mondo, le piante diventano erbacce (p.11).

Quella vegetazione non aveva nullo di bello o affascinante, non richiamava i fiori selvatici della poesia bucolica …. Eppure pulsava di vita, una vita primitiva, cosmopolita, …. Queste piante erano avvolte da un’aura magica, come se l’incantesimo dell’“area dismessa” rendesse tutto possibile (p.12-13).

Naturalmente, “tutto dipende da cosa si intende per erbacce”. La definizione è la storia culturale dell’erbacce. Come, dove e perché classifichiamo come indesiderabile una pianta fa parte della storia dei nostri incessanti tentativi di tracciare i confini tra natura e cultura, stato selvaggio e domesticazione (p. 15).

Per certi versi questo libro [“Elogio delle erbacce”] è … l’invito a considerare queste piante fuorilegge per quelle che sono, capire come crescono e perché le riteniamo un problema. Per altri versi è una storia umana. Le piante diventano erbacce perché è così che la gente le etichetta. … Le erbacce compaiono quando viene meno questa precisa divisione in compartimenti. Il selvaggio s’intrufola nella nostra sfera civilizzata, e l’addomesticato fugge e perde il controllo. Le erbacce dimostrano che la vita naturale (e lo stesso corso dell’evoluzione) si ribella ai nostri vincoli culturali. Facendo ciò, ci pongono sotto gli occhi l’idea stessa di un universo spaccato in due (p. 31-32).

Le erbacce rompono i confini, sono la minoranza apolide che sta a ricordarci che la vita non è poi così ordinata, ed è proprio da loro che potremmo imparare a vivere – come accadeva un tempo – a cavallo delle linee di confine della natura (p. 337).”


Richard Mabey, “Elogio delle erbacce”, Ponte alle Grazie

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Cigli erbosi

Frammento indeciso del giardino planetario, il Terzo paesaggio 

è costituito dall’insieme dei luoghi abbandonati dall’uomo. 

Questi margini raccolgono ua diversità biologica 

che non è a tutt’oggirubricata come ricchezza".

Gilles Clément, “Manifesto del Terzo paesaggio”, pag.11

 

Al margine della città

i cigli erbosi della strada

i bordi dei campi dove nasce

un’erba strana, senza nome

l’aiuola dismessa, indecisa

sulla sua natura,

indefinita sul suo destino.

Zone libere

zone che sfuggono al nostro controllo,

meritano rispetto per la loro verginità

per la loro disposizione naturale all’indecisione.

La diversità

trova rifugio su il ciglio della strada

l’orlo dei campi, un acquitrinio

o un piccolo orto non più coltivato

un piazzale invaso da erbacce

o il margine di un’area industriale

laddove non ci sia l’intervento dell’uomo.

Residui dove nascono cose nuove,

idee nuove, forze nuove. No.

Potrebbero nascere

    ma non è detto che nascano.


[R. Mosi, Sinfonia per San Salvi, Il Foglio]



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La fotografia

"Terzo paesaggio. Fotografia italiana oggi – autori vari"

 Damiani, 2009, 92 pagine, fotografie in b/n e a colori

"La XXIII edizione del Premio Nazionale Arti Visive Città di Gallarate si confronta con la fotografia. Undici fotografi italiani selezionati dalla Commissione Scientifica presentano nella mostra del 2009 intitolata Terzo Paesaggio. Fotografia italiana oggi. Lo sguardo che gli undici artisti invitati posano sulla realtà e che ci rimandano attraverso i loro lavori, linguisticamente caratterizzati da una precisa identità, è spesso rivolto verso situazioni marginali, nascoste, apparentemente poco visibili a occhi distratti o bombardati da un immaginario aggressivo e ridondante. E’ rivolto dunque verso i territori della diversità, dei residui visivi ed emotivi il più delle volte relegati a situazioni di passaggio, poco interessanti e laterali. Proprio quest’idea di marginalità, quest’attenzione al non visto e non detto, ad aspetti e spazi residuali che, in quanto residuali, accolgono le diversità e la vita, è il principale filo conduttore che sottende le opere in mostra."

Fotografie di Luca Andreoni, Andrea Galvani, Tancredi Mangano, Maurizio Montagna, Armida Gandini, Moira Ricci, Francesca Rivetti, Alessandro Sambini, Marco Signorini, Alessandra Spranzi e Richard Sympson

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FOTO DEL TERZO PAESAGGIO [R. Mosi]





























1 commento:

  1. Cigli erbosi

    Frammento indeciso del giardino planetario, il Terzo paesaggio

    è costituito dall’insieme dei luoghi abbandonati dall’uomo.

    Questi margini raccolgono ua diversità biologica

    che non è a tutt’oggirubricata come ricchezza.

    Gilles Clément, “Manifesto del Terzo paesaggio”, pag.11




    Al margine della città

    i cigli erbosi della strada

    i bordi dei campi dove nasce

    un’erba strana, senza nome

    l’aiuola dismessa, indecisa

    sulla sua natura,

    indefinita sul suo destino.

    Zone libere

    zone che sfuggono al nostro controllo,

    meritano rispetto per la loro verginità

    per la loro disposizione naturale all’indecisione.

    La diversità

    trova rifugio su il ciglio della strada

    l’orlo dei campi, un acquitrinio

    o un piccolo orto non più coltivato

    un piazzale invaso da erbacce

    o il margine di un’area industriale

    laddove non ci sia l’intervento dell’uomo.

    Residui dove nascono cose nuove,

    idee nuove, forze nuove. No.

    Potrebbero nascere

    ma non è detto che nascano.



    [R. Mosi, Sinfonia per San Salvi, Il Foglio]

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