E’
stata una fortuna sabato 21 luglio ritrovarsi alle pendici di Monte Senario –
l’antico Monte Asinaio, sopra il paese di Bivigliano – a “Casa al vento”, fra
le prime ombre della sera per partecipare all’evanescenza, al profumo di un
sogno, reso nella forma di un incantevole spettacolo.
Essenziale
il cartellone dello spettacolo: “Opus 3” al teatro Oklaoma, estate 2018. Il
testo era tratto da un’opera preziosa di James Joyce “Finnegans wake” (“La
veglia per Finnegan”), pubblicata a Londra nel 1939, “una novella dalla trama
complessa che mescola la realtà con il mondo dei sogni”.
Gli
attori, una comunità di dilettanti entusiasti del teatro, devoti al
regista-condottiero, pronti a seguirlo nelle più stupefacenti avventure.
Il
luogo dello spettacolo, alle pendici della collina. Il pubblico si distende sul
prato degradante, di fronte al palcoscenico - non è un vero e proprio
palcoscenico ma una serie di strutture che su spazi a più livelli, rievocano i
luoghi della rappresentazione, il tutto immerso fra gli alberi del bosco.
L’ora
dell’inizio, tardi, dopo che si sono allungate le prime ombre della notte, le
cicale si sono chetate, discende per ogni dove un profondo silenzio,
interrotto, a tratti, dal fruscio del vento fra le foglie degli alberi e dal
gracidare delle rane nel vicino laghetto.
Infine
Stefano, il regista-condottiero, l’anima del teatro Oklaoma, di una sensibilità
e competenza profonda, per la musica, le scene, il testo, le dinamiche della
regia, la scelta di ricorrere alle molteplici forme della multimedialità;
competenze che sabato passato si sono rivelate ancora una volta strategiche per
l’originale copione che è stato composto e animato.
Finnegans Wake è
l'ultimo romanzo di James Joyce considerato
uno dei testi letterari in cui la tecnica del “flusso di coscienza” viene portata
alle estreme conseguenze.
L'opera,
un poema eroicomico in prosa, scritto con un linguaggio onirico e polisemico.
Concepito come una sorta di "storia universale", la suprema sintesi
del creato, Finnegans Wake trae spunto dall'omonima ballata popolare tradizionale
irlandese, Finnegan's Wake, che si era diffusa
intorno al 1850; la morte e la comica
resurrezione del protagonista, Tim
Finnegan, entrambe causate dall’ "acqua della vita", diventano
un'allegoria del ciclo universale della vita. L'inglese wake significa
allo stesso tempo "veglia funebre", ma anche "risveglio".
La
tecnica del “flusso di coscienza”, già usata in
precedenza nell'Ulisse è
qui portata alle sue estreme conseguenze. La narrazione, la storia di una
famiglia residente nel villaggio di Chapelizod, accanto a
Phoenix Park, alla periferia
di Dublino,
si svolge interamente all'interno di un sogno
del protagonista: vengono abolite le normali norme della grammatica e
dell'ortografia. Sparisce la punteggiatura, le parole si fondono tra loro
cercando di riprodurre la
simbologia del linguaggio onirico [informazioni
queste riprese da pagine di Wikipedia].
Partendo
dunque da questo complesso quadro narrativo del romanziere irlandese, il
regista e gli attori sono stati quanto mai bravi, a ricreare per brani e per
cenni,
l’a
tmosfera d’incanto dell’opera, con una proposta equilibrata ed
efficace. Un vero e proprio dono per il pubblico che è stato preso per mano a
scoprire le diverse
pagine del “sogno”, risonanti di un linguaggio dagli
accenti musicali, un tipo di dono del quale si avverte oggi quanto mai il
bisogno, per gli anni critici che stiamo vivendo.
Bravo Roberto!!! Non avrei saputo fare un commento migliore !! Sei uno spettatore attento, nonché graditissimo... Grazie!!!
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