Villa
Arrivabene, Firenze 10 febbraio 2017 - Appunti di Anna Maria Volpini
Presenta
Francesco Stella che ricorda altri incontri con il poeta Maurizio Cucchi e con
lo scrittore Alberto Bertoni più volte ospiti di Semicerchio. Poi prende la
parola Bertoni e dice che presentare questo volume “POESIE 1963-2015” Oscar Mondadori del 2016, è una grande
occasione che gli permette di esplorare a fondo tutte le tematiche di questo
poeta. Nel suo saggio introduttivo Bertoni per definirlo usa questa frase “è un vero classico della modernità”,
volendo significare che è più di un importante poeta perché per lui è l’ultimo
dei classici. Cucchi ha una lunga storia editoriale che inizia quando pubblica “Paradossalmente e con affanno: trentatré
poesie, Milano, 1971”, cui fa seguito dopo qualche anno il secondo libro di
poesie “ Il disperso” (Mondadori 1976, poi ripubblicato con alcune varianti
da Guanda nel 1994). Questo è un libro giovanile, già articolato e complesso,
dove possiamo leggere una lingua poetica nuova ma fortemente comunicativa, e
che è stato decisivo per le vicende storiche della nostra poesia. In seguito
pubblica “Le meraviglie dell’acqua” (Mondadori
1980), e “Glenn” (San Marco dei Giustiniani
1982, Premio Viareggio 1983).
Glenn è la prima delle sue
maschere allegoriche (Glenn come il nome dell’attore hollywoodiano o come il
famoso cosmonauta americano) e in questo libro porta la poesia in una
dimensione allegorica. L’io è un io
che non s’identifica con la persona autobiografica ma che agisce su diversi
piani storici, che può raccontare aneddoti della vita privata ma anche
inventarli. Cucchi è un poeta con molti libri di poesia diversificati ma è
anche un prosatore. Infatti, specialmente dal 1970 in poi, quando non ha più
senso tenere “steccati“ di generi, lui come tanti altri autori si cimenta con
libri di narrativa: “Il male è nelle
cose” (Mondadori, 2005), “La
traversata di Milano” (Mondadori, 2007), facendo intendere la scrittura
come un viaggio, come un camminare. Esplora la sua Milano camminando a piedi,
un modo che può sembrare anacronistico ma che gli serve per farci ritrovare
delle tematiche dominanti. Abbiamo, infatti, quella del realismo profondo,
quella descrittiva, la dominante della luce e delle ombre (che ricorda i quadri
del Caravaggio) e quella onirica, liquida, acquatica, amniotica e anche
piovosa. Nelle sue poesie usa una metrica molto variegata e il verso libero ha
una profonda necessità ritmica che rivela, a volte, un realismo fotografico e
cinematografico come se ci fosse una macchina da presa con primi piani assoluti
e con sfondi e paesaggi.
Troviamo in Cucchi varie dimensioni
e una è quella che lo incardina perfettamente in una scuola milanese perchè
qualunque fatto storico letterario ha anche una collocazione geografica. Questa
scuola milanese che nasce con Parini, prosegue poi con altri autori come Carlo
Porta (Milano, 15 giugno 1775 – Milano, 5
gennaio 1821 un poeta italiano, nato a Milano
sotto la dominazione austriaca. È
considerato il maggior poeta in milanese), arrivando fino
al nostro ‘900 con Giovanni Giudici e Antonia Pozzi, con Vittorio Sereni e
Giovanni Raboni e anche con l’ultimo Montale.
Un'altra dimensione
importante è quella dell’anno di nascita, il 1945, che lo fa appartenere alla
generazione dei nati all’indomani della seconda guerra mondiale, di chi si
lascia le esperienze belliche alle spalle e si avvia verso il periodo storico
della ricostruzione, di chi cresce tra i fervori del boom economico e del ’68
cui appartengono anche Giuseppe Conte e Dario Bellezza, poeti con cui è entrato
in dialogo diretto.
Un’importante tematica che possiamo ritrovare nella raccolta Il disperso è quella del padre, non
solo una figura di padre biografico ma molto di più. Si può intendere come un
elemento che, pur seguendo una linea della cultura psicanalitica mostra sia le
proprie contraddizioni interiori sia anche un forte senso onirico. E’ una
raccolta che si può addirittura leggere come un canzoniere di cui ha la densità
tanto da farlo risalire fino alle origini petrarchesche, ma che diventa anche
un romanzo perchè ne possiede tutte le libertà interiori.
Cucchi
prende la parola e, prima di declamare dalla raccolta Il disperso la poesia “Coincidenze”
del 1973, precisa che ogni riferimento alla figura di suo padre è
un’esemplificazione banale. E’ vero che
ognuno trae ispirazione dalla propria esperienza ma questa può essere anche una
condizione fantastica se non addirittura onirica. A volte, leggendo, la
consequenzialità del discorso può essere sfuggente ma quando incontriamo una
narrazione sempre franta, sono proprio le infrazioni e le interferenze
all’interno di un discorso che creano una maggiore energia e una maggiore
produzione di senso, fuori da un percorso logico cui siamo stati educati. E se
ci liberiamo di certi ingombri, possiamo avere delle reazioni e delle emozioni
maggiori.
NOTA: non sono riuscita a trovare su Internet tutte le poesie lette, di
alcune trascrivo solo qualche verso.)
Coincidenze
“Poveri fantasmi, trame scucite. Ogni
tanto
una frase. Così… un barlume nella compagnia, nel dormiveglia;
buttata là ad illustrare; nella conversazione stenta.
In questa poesia ha introdotto una frase di un suo alunno (ha insegnato
per sette anni alle scuole medie) che gli era piaciuta molto perché era
l’osservazione di un bambino che si interroga senza saperlo sul mondo.
“Sto seduto in giardino, guardo la mia
tartaruga: mi domando se anche lei,
si sarà accorta
che è passata l’estate…”
Spesso gli è capitato
di usare parole e frasi che aveva sentito dire dalla gente e una volta copiò in
un testo delle frasi che aveva ascoltato mentre faceva un viaggio in treno.
Oggi non lo può più fare: la gente parla malissimo e la maggior parte delle
volte ripete quello che sente dire alla TV, parla male e non inventa più una
lingua perché prima era il popolo che la creava. Rimpiange la perdita di queste
possibilità di creazione di un nuovo linguaggio. Oggi le parole appartengono
alla lingua sessuale e fecale, spesso sono usate anche impropriamente e i
romanzieri che le usano troppo spesso o a sproposito sono scrittori da poco.
Può succedere che la stessa parola se la dico o la scrivo o la canto abbia una
valenza diversa perciò se voglio riprodurre la realtà non posso semplicemente
copiarla. I romanzieri scadenti quelli che vincono i premi POP (popolari) credono
che essere realisti significhi copiare la realtà, mentre ciò non è vero e non
si deve fare.
Cucchi col passare del
tempo ha un po’ cambiato registro a proposito della liricità perchè quando era
giovane la lirica, si doveva togliere dalla poesia. Però una volta andò ad
ascoltare la presentazione di un libro e capì invece che la lirica bisogna
recuperarla e a ben guardare tanti grumi nel brano che ha letto, sono tutti di
ordine lirico. In seguito trattò la tematica dell’amore e le poesie d’amore
sono le più praticate ma le più difficili da fare.
Da
“Le meraviglie dell’acqua” legge “Stazione paradiso”, alcuni testi, dove
si ritrova la “gabbia” di una struttura classica e, infatti, sono poesie di tre
quartine.
“Dipingerò come il cinese anch’io
la morte del fiore sulla terracotta con
un tratto lieve sul bianco candido
della tazza: ultimo meccanico
approccio…”
Legge
poi da “ La poesia della fonte “ le “Lettere di Carlo Michelstaedter”
Vi siete accorti, dal modo
come scrivo,
che ho molto sonno…
Però non mi lasciate senza lettere,
scrivetemi, vi supplico…
Sarò calmo e normale,
ma che angoscia il distacco, non è vero?
E tu, mamma, non puoi non esserne contenta:
sono con tutti allegro, sempre,
sono stato sincero con voi,
sono sempre lo stesso…
Ma le strade hanno in fondo
come una nebbia dorata e gli occhi
non vedevano che buio da ogni parte…
È un incubo d’inerzia faticosa,
l’inerzia nemica delle cose…
Il porto è la furia del mare,
Vi bacio, miei stronzetti adorati.
che ho molto sonno…
Però non mi lasciate senza lettere,
scrivetemi, vi supplico…
Sarò calmo e normale,
ma che angoscia il distacco, non è vero?
E tu, mamma, non puoi non esserne contenta:
sono con tutti allegro, sempre,
sono stato sincero con voi,
sono sempre lo stesso…
Ma le strade hanno in fondo
come una nebbia dorata e gli occhi
non vedevano che buio da ogni parte…
È un incubo d’inerzia faticosa,
l’inerzia nemica delle cose…
Il porto è la furia del mare,
Vi bacio, miei stronzetti adorati.
Carlo
Michelstaedter nasce a Gorizia il 3 giugno 1887 e muore suicida per un colpo di
rivoltella, sempre a Gorizia, il 17 ottobre 1910. Nell'arco dei suoi ultimi
cinque anni, elabora la tesi di laurea “La persuasione e la retorica” e affianca agli studi
universitari la composizione di saggi, racconti e poesie. Michelstaedter ha scritto molto, sperimentando
diversi generi letterari. Questo nucleo
è costituito dalla riflessione sul rapporto tra individuo, vita e morte. Cucchi
ha letto tutti i suoi scritti e rimanendo molto impressionato ha composto
quella poesia usando le sue parole e le sue frasi. Resta però il fatto che
questo testo, anche se è un collage, risulta un’opera assolutamente originale.
Per quanto riguarda il suicidio Cucchi azzarda questa ipotesi: la percezione
del non esserci più aveva talmente travolto il giovane che non è riuscito ad
affrontare questa situazione e così si è suicidato.
Poi legge una prosa davvero
bellissima “E’ un’ora così bella di tarda
mattina che vorrei essere meglio nel mondo, esserci dentro con più vita, con
maggiore naturalezza … mi piace
esserci, vivere. Mi piace.” e scrivendola ha voluto fare qualcosa che
oltrepassasse un determinato genere letterario perchè la poesia può essere in
grado di riassumere in sé la narrazione, la tensione lirica, la riflessione.
Quando si riesce ad attenersi alla ossessiva economia della parola, rendendosi
conto che ogni minimo dettaglio produce senso, quando la parola è pregnante non
importa che sia scritta in versi o in prosa e ci può essere scrittura poetica
al di là della versificazione: pure Leopardi diceva che il verso non è indispensabile
alla poesia. Cita “Gaspard
de la nuit” di Aloysius Bertrand (20 aprile 1807 – Parigi 29 aprile 1841) Un poeta francese nato a
Ceva, in Piemonte, da un
ufficiale napoleonico e da madre italiana che rimase in Italia fino al 1815, quando il padre si ritirò a Digione. Qui
compì gli studi (1826) e
cominciò ad interessarsi di letteratura. Considerato l'inventore del poema in prosa, è l'autore di un'opera unica e postuma passata
alla posterità, Gaspard de la Nuit (1842). Riconosciuto come un poeta maledetto, diverrà
l'ispiratore di Charles
Baudelaire il quale confesserà che la tentazione di scrivere “Le Spleen de Paris” gli venne dopo aver
letto molte volte quel libro, opera da lui molto ammirata, come lo sarà, più
tardi, dai surrealisti. Un
volume interessante, un libro scritto ai primi dell’800 in una prosa poetica,
narrativa e lirica allo stesso tempo, realizzata con piccoli blocchetti di
prosa e cioè raccontini su varie situazioni, di tre o quattro righe e di
poesie. Non è interessante per quello che dice ma perché è riuscito a
introdurre una novità formale che potrebbe essere utilissima anche per noi
oggi.
Poi fa una riflessione sulla
struttura della versificazione avendo sempre tenuto molto al fatto che ogni
verso avesse una sua necessità. Il verso deve poter avere una consistenza reale
e forte, non può essere un punto di passaggio vuoto. Anche l’andare a capo deve
avere una sua necessità, deve avere un suo potente significato perché è lì che
s’introduce il silenzio. Il verso non deve corrispondere all’unità di senso
logico e grammaticale del testo. Per esempio: gli attori quando recitano un
copione non necessariamente scandiscono la loro recitazione secondo l’unità di
senso perchè magari, volendo sottolineare una parola, fanno un attimo di
sospensione, una pausa. La poesia quando usa il verso libero dovrebbe seguire
questo tipo di movimento, dovrebbe sottolineare e giustificare la musica
d’insieme e non limitarsi agli accenti e alla quantità.
Prima
di leggere un altro testo da “Poesia
della fonte” racconta un aneddoto che riguarda due visite che aveva fatto
alla casa del Petrarca ma non essendo mai riuscito ad entrare perché l’aveva
sempre trovata chiusa, allora gli venne da pensare “Forse il Petrarca mi vuole
punire perché non l’ho amato abbastanza”. Considera questo poeta un genio
assoluto che ha creato una lingua, inventandola, una lingua che arriva fino ad
oggi con tutti i secoli che sono passati, con una limpidezza e una grandezza
mostruosa e che ha inventato la lirica di tutti secoli successivi. Cita il verso“Passa la nave mia colma d’oblio”. Ogni volta che incontra versi
come questi gli vengono i brividi e rimane annichilito dalla meraviglia. Col
passare del tempo la stima per il Petrarca gli cresce sempre di più e spesso
gli viene da pensare che l’uomo non è solo cattivo ma ha risorse straordinarie
verso il bene e la bellezza che in un certo senso lo consolano di tutte le brutture
che oggi ci circondano, ci assillano e ci asfissiano.
Salire e infossare lo
sguardo:
nel cupo ci dev'essere un
punto geometrico,
fra questi blocchi di pietra
e questa spaccatura e ogni
volta
appare, sgorga, va e allora
è
come se fosse incessantemente
nel chiuso della valle.
Sul tetto di roccia
strapiombano
le rovine dell'ospite.
Io mi incammino tra i
passeggeri e i vigili
in nulla differente
divisibile.
Però cerco una fonte che sia
solo mia.
Qui parlo per me
senza schermo o figura
e mi basto com'ero:
questa sola radice ricoperta
di terra.
Forse la fonte è una frase,
una domanda spaccata, una
figura
che copre un'altra figura
e un'altra ancora.
Ma non all'infinito.
Infine venga al sole
sgominando
tra due attimi altissimi.
I miei volti abolisca,
luce nella luce
Ho bussato per la seconda
volta
alla piccola casa del poeta.
Alle spalle un verde senza
roccia,
acque rimaste dolci
e quasi una pianura.
Mi respinge, pensavo,
per non averlo abbastanza
amato.
Nell'imbrunire tornavo a crogiolarmi
e la mia luna era l'elogio
dell'oblìo.
Da
“L’ultimo viaggio di Glenn” legge
questo testo :
“Glenn, come lo chiamavo nella mia
mente io,
o com'è più dolce e semplice
com'è più vero:
Luigi.
Resti per me una crepa d'affetto
o un lampo intermittente nel cervello.
E anche tu, che non l'hai mai visto,
lo ami.
Tu che hai taciuto, e oggi non taci
più,
hai la memoria smangiata come la tua
macula:
cerchi e non trovi più
nemmeno la sua voce.
Facevo il viale: per arrivare al
campo.
Attorno, uomini coi badili,
e io piangevo poco.
Ma davanti alla scatola col tuo vago
sorriso,
bellissimo, con la camicia scura
aperta
e il distintivo del ferito,
il gelo mi è venuto dentro.
<<Cosa vuoi che ti
dica?>> ho fatto allora
con le mie rose in mano e con paura,
<<forse è già il tempo
dell'indifferenza>>
Forse sono decotto, forse io stesso,
sono solo memoria di me stesso.
Lui
se ne andò gettandoci
nell'improvviso smarrimento.
In un sacchetto della polizia,
ecco gli assegni, il pettine,
la benda per il polso...
Ciao, dico adesso senza più tremare.
Io ti ho salvato, ascoltami.
Ti lascio il meglio del mio cuore
e con il bacio della gratitudine,
questa serenità commossa.
Alla domanda di spiegare
meglio cosa intende con la frase ”è un classico della modernità”, Bertoni fa
questa precisazione e spiega che Cucchi è qualcosa di più di un poeta
importante, che c’è una differenza e una distinzione tra la persona (che può
essere un amico o un’amica) e la realtà testuale che è soggetta al tempo,
giudice inappellabile per qualunque produzione artistica. Continua dicendo che
ogni giorno legge una o più poesie di vari autori e quando ha più tempo legge e
rilegge anche i loro libri e trova che ci possono essere punti di caduta e
tanti difetti. Alcuni hanno libri meravigliosi ma unici, invece non trova in
Cucchi punti di caduta e ogni suo libro è migliore dell’altro: il Disperso è uno dei più grandi libri del
‘900. Lui sa considerare e vivere e praticare la poesia con una sorta di perno
che ruota con la vita quotidiana e con altre arti come la narrativa, la musica,
la pittura e il cinema. Importante è il suo rapporto rispettoso con chi è
venuto prima e con cui ha avuto sempre un dialogo. Per esempio sono molto
importanti i suoi rapporti con i grandi maestri della cultura francese ma anche
con quelli italiani come Montale, Sereni, Giudici, Raboni e succede che, pur
avendoli frequentati così da vicino, lui non abbia mai perso la propria voce.
Data anche la sua forte cultura storica si può ben definire l’ultimo dei
classici.
Alla domanda “Quanto
lavora un poeta sull’unità libro per creare una raccolta che abbia unità di
significato?” Cucchi risponde che gli è sempre sembrata un’ottima idea pensare
un libro come un organismo e non solo un repertorio di testi. Questa è
assolutamente un’idea del ‘900 e la trova straordinaria perca in un percorso di
scrittura ci sono sempre richiami, simmetrie e ci deve essere un’architettura,
dove ogni elemento deve trovare il suo spazio e il suo tempo e non limitarsi a
essere una sequenza di testi magari messi in ordine cronologico. Di ogni cosa
di cui siamo autori, dobbiamo essere responsabili e ciò che spinge a dire una
parola, a usare un’immagine piuttosto che un’altra, a introdurre un qualsiasi
dettaglio, tutto deve essere motivato. La grandezza dell’arte deve essere
motivata dalla necessità di farlo. Quando era ragazzo faceva il confronto tra
la Nuova Avanguardia degli anni ’60 e gli autori della scuola milanese come
Sereni, Giudici, Raboni, Tiziano Rossi e trovava che questi ultimi avevano
portato una innovazione nel linguaggio e nella forma senza volerlo fare, invece
leggendo i testi degli scrittori della Nuova Avanguardia scoprì che il loro
progetto era quello di intervenire sulla lingua e sulla forma diventando così
un’operazione letteraria.
Avanguardia è la
denominazione attribuita ai fenomeni del comportamento o dell'opinione intellettuale, soprattutto artistici e letterari, più estremisti, audaci, innovativi. In Italia abbiamo un primo periodo che parte dal 1956, anno in cui fu
fondata la rivista Il Verri e
pubblicata l'opera di Edoardo
Sanguineti Laborintus,
che termina nel 1962. Nel secondo periodo si delimita il momento di maggior forza del Gruppo 63 con Angelo
Guglielmi, Alfredo Giuliani, Renato
Barilli, Umberto Eco e Alberto Arbasino che cercarono di modificare il rapporto tra linguaggio e
letteratura decretando il primato del primo nella costruzione dei significati
di un testo. Cucchi non voleva fare nessuna operazione letteraria però quello
che lo aveva preceduto era stato di così grande livello che certo lo ha
influenzato. Comunque è molto contento di sentirsi parte di quell’insieme di
scrittori che sanno produrre opere altissime, è contento di aver dedicato tutta
la sua vita alla poesia e, anche se pensa di non esserci riuscito in pieno,
l’intenzione era buona. Poi ricorda Guido Cavalcanti e il verso “Perch’i non spero di tornar giammai” un
verso addirittura sublime che gli pare rappresenti l’epitaffio dell’intera
umanità.
Alla domanda “C’è una
poesia che gli ha fatto scattare l’innamoramento verso questo genere?” risponde
di sì. Infatti quando aveva circa 16 anni andava alla biblioteca americana USIS
dove davano in prestito libri di autori stranieri e lui lesse una poesia di Eliot
che gli piacque moltissimo e che gli fece capire che ciò che sentiva
oscuramente dentro di sé poteva diventare materia di poesia. Infatti pensa che
qualunque elemento dell’esperienza e del linguaggio se l’autore è capace di
reggerlo può diventare materia di poesia. Oltre a Eliot in quel periodo lesse
Pound, i narratori americani, Kafka e capì non solo la bellezza della poesia ma
anche l’importanza di avere maestri e polemizza con chi dice che non serve
avere un padre: questo per lui non è vero perché avendolo perso molto presto ne
ha sentito sempre la mancanza.
Parla poi di Caproni,
un poeta che ha personalmente conosciuto e che era una persona semplice ma
grande e pur consapevole dei propri limiti. Nelle raccolte “Il seme del piangere” e “Annina” riesce a utilizzare elementi
linguistici nuovi con estrema impeccabilità e nel suo ultimo libro ”Il muro della terra” del 1975 introduce
una modalità espressiva completamente nuova per lui e per la nostra
letteratura. E’ impressionante il suo senso musicale della parola e Cucchi fa
una distinzione tra musica, intesa come matematica associata al suono con
fortissima e fondamentale precisione, e musicalità che invece può essere
semplice cantabilità.
ANCH’IO
Ho provato anch'io.
È stata tutta una guerra
d'unghie. Ma ora so. Nessuno
potrà mai perforare
il muro della terra. (da Il muro della terra, Garzanti, 1975)
È stata tutta una guerra
d'unghie. Ma ora so. Nessuno
potrà mai perforare
il muro della terra. (da Il muro della terra, Garzanti, 1975)
Parla poi quei poeti nati negli anni 10 del novecento che comprendono
Caproni1912, Luzi1914, Bertolucci1911, Sereni1913, Bellintani1914, cioè quella
generazione bersagliata dalla storia che hanno attraversato la prima guerra
mondiale quando erano piccoli, il ventennio fascista da giovani e infine furono
coinvolti nella seconda guerra mondiale. Nonostante ciò quella generazione ne
venne fuori con una robustezza morale che consentì loro di migliorarsi, di
inventare nuovi linguaggi e rinnovarsi fino all’ultimo. Avere la possibilità di
leggere e rileggere le loro opere è sempre un’emozione grandissima. A volte ci
sono testi del passato che deludono, si sente che sono datati, mentre altri
testi riescono migliorati.
Cucchi conclude il
suo incontro dicendo che, come un vasaio che sa far bene i vasi, il poeta deve
essere capace di far bene il suo mestiere.
Maurizio Cucchi è nato a Milano, dove vive, il 20 settembre 1945. È
consulente editoriale e pubblicista. Collabora attualmente al quotidiano “La Stampa”.
Ha pubblicato questi libri di poesia: Il disperso (Mondadori 1976 e Guanda 1994), Poesia
della fonte (Mondadori
1993. Premio Montale), L’ultimo viaggio di Glenn (Mondadori 1999), Poesie
1965-2000 (Mondadori,
2001), Per un secondo o un secolo (Mondadori, 2003), Jeanne
d’Arc e il suo doppio (Guanda,
2008, ) Vite pulviscolari (Mondadori,
2009). Malaspina (Mondadori,
2014).
Ha inoltre curato un’antologia di Poeti
dell’Ottocento (Garzanti
1978), il Dizionario della poesia italiana (Mondadori 1983 e 1990), ha tradotto
un'antologia di Fiabe lombarde (1986) e con Stefano Giovanardi, l’antologia Poeti
italiani del secondo Novecento (Mondadori 1996). In prosa ha scritto: Il male è nelle
cose (Mondadori, 2005), La
traversata di Milano (Mondadori,
2007), La maschera ritratto (Mondadori, 2011). ) Ha diretto per due anni la rivista “Poesia” (1989-1991), ha
tradotto dal francese opere di vari autori tra cui Stendhal, Flaubert,
Lamartine, Villiers-de-I’Isle Adam, Valéry.
------
molto interessante, un utile approfondimento sulla poesia di Maurizio Cucchi. Un dialogo con Alberto Bertoni che delineano le figure di una parte importante della poesia italiana.
RispondiEliminaUn caro saluto
Presenta Francesco Stella che ricorda altri incontri con il poeta Maurizio Cucchi e con lo scrittore Alberto Bertoni più volte ospiti di Semicerchio. Poi prende la parola Bertoni e dice che presentare questo volume “POESIE 1963-2015” Oscar Mondadori del 2016, è una grande occasione che gli permette di esplorare a fondo tutte le tematiche di questo poeta. Nel suo saggio introduttivo Bertoni per definirlo usa questa frase “è un vero classico della modernità”, volendo significare che è più di un importante poeta perché per lui è l’ultimo dei classici. Cucchi ha una lunga storia editoriale che inizia quando pubblica “Paradossalmente e con affanno: trentatré poesie, Milano, 1971”, cui fa seguito dopo qualche anno il secondo libro di poesie “ Il disperso” (Mondadori 1976, poi ripubblicato con alcune varianti da Guanda nel 1994). Questo è un libro giovanile, già articolato e complesso, dove possiamo leggere una lingua poetica nuova ma fortemente comunicativa, e che è stato decisivo per le vicende storiche della nostra poesia. In seguito pubblica “Le meraviglie dell’acqua” (Mondadori 1980), e “Glenn” (San Marco dei Giustiniani 1982, Premio Viareggio 1983).
RispondiEliminaAlla domanda di spiegare meglio cosa intende con la frase ”è un classico della modernità”, Bertoni fa questa precisazione e spiega che Cucchi è qualcosa di più di un poeta importante, che c’è una differenza e una distinzione tra la persona (che può essere un amico o un’amica) e la realtà testuale che è soggetta al tempo, giudice inappellabile per qualunque produzione artistica. Continua dicendo che ogni giorno legge una o più poesie di vari autori e quando ha più tempo legge e rilegge anche i loro libri e trova che ci possono essere punti di caduta e tanti difetti. Alcuni hanno libri meravigliosi ma unici, invece non trova in Cucchi punti di caduta e ogni suo libro è migliore dell’altro: il Disperso è uno dei più grandi libri del ‘900. Lui sa considerare e vivere e praticare la poesia con una sorta di perno che ruota con la vita quotidiana e con altre arti come la narrativa, la musica, la pittura e il cinema. Importante è il suo rapporto rispettoso con chi è venuto prima e con cui ha avuto sempre un dialogo. Per esempio sono molto importanti i suoi rapporti con i grandi maestri della cultura francese ma anche con quelli italiani come Montale, Sereni, Giudici, Raboni e succede che, pur avendoli frequentati così da vicino, lui non abbia mai perso la propria voce. Data anche la sua forte cultura storica si può ben definire l’ultimo dei classici.
RispondiElimina