lunedì 22 aprile 2024

Progetto "Paolina Bonaparte devota seguace di Eros": R.Mosi: Mostra "Eros", Circolo degli Artisti Casa di Dante 20-4 /2-5 2024


Progetto "Paolina Bonaparte devota seguace di Eros": Mostra "Eros", Circolo degli Artisti Casa di Dante  20-4 /2-5  2024 


Ἔρως

Nei tempi più antichi Ἔρως era considerato una forza primordiale, per diventare in tempi successivi, il figlio di Afrodite e di Ares. Il tema dell’eros ha costituito una inesauribile fonte di ispirazione per poeti ed artisti che hanno illustrato nelle loro opere il fascino e la bellezza di questa forza primitiva, tanto forte da far scatenare guerre come nella mitica storia d’amore narrata da Omero nell’Iliade tra Elena, moglie di Menelao, e Paride.
Un’energia irresistibile in grado di far perdere la ragione , di causare la distruzione della città di Troia, di ripresentarsi nella storia per mille versi, per infinite sembianze: noi fermiamo l’attenzione sulla storia di Paolina Bonaparte, sulle azioni che Eros le ispirò, sulla forma nella quale la fissò il più celebre scultore della sua epoca, la statua alla quale appose un meccanismo che la faceva roteare di 360 gradi, che poteva essere osservata dai quattro punti cardinali, come faremo in questo scritto, suoi devoti ammiratori .



Il simbolo di Ἔρως, Antonio Canova // 0° //
Giaceva il suo bel corpo abbandonato sopra un sofà, un braccio le sosteneva la testa e l’altro pendea mollemente
Foscolo, L’apparizione di Teresa a Jacopo Ortis

“12 maggio
Non ho osato no, non ho osato. – Io poteva abbracciarla e stringerla qui, a questo cuore. La ho veduta addormentata: il sonno le tenea chiusi que’ grandi occhi neri; ma le rose del suo sembiante si spargeano allora più vive che mai su le sue guance rugiadose. Giacea il suo bel corpo abbandonato sopra un sofà. Un braccio le sosteneva la testa e l’altro pendea mollemente. Io la ho più volte veduta a passeggiare e a danzare; mi sono sentito sin dentro l’anima e la sua arpa e la sua voce; la ho adorata pien di spavento come se l’avessi veduta discendere dal paradiso – ma così bella come oggi, io non l’ho veduta mai, mai.
Le sue vesti mi lasciavano trasparire i contorni di quelle angeliche forme; e l’anima mia le contemplava e – che posso più dirti? tutto il furore e l’estasi dell’amore mi aveano infiammato e rapito fuori di me. Io toccava come un divoto e le sue vesti e le sue chiome odorose e il mazzetto di mammole ch’essa aveva in mezzo al suo seno – sì sì, sotto questa mano diventata sacra ho sentito palpitare il suo cuore. Io respirava gli aneliti della sua bocca socchiusa – io stava per succhiare tutta la voluttà di quelle labbra celesti – un suo bacio! e avrei benedette le lagrime che da tanto tempo bevo per lei – ma allora allora io la ho sentita sospirare fra il sonno: mi sono arretrato, respinto quasi da una mano divina”.
                                     U. Foscolo, Non ho osato no, non ho osato, da Le ultime lettere di Jacopo Ortis


Paolina ancora oggi riceve i suoi amanti nella Galleria Borghese di Roma con l’eterna bellezza che le ha donato Antonio Canova. Si respira ancora la leggenda intorno alla Venere vincitrice di una donna meravigliosa, sfrenata nei piaceri, sfrenata nei desideri. Paolina è viva nei ricordi popolari dei suoi vizi.
La Venere Vincitrice continua in allegria la tradizione libertina ed epicurea del XVIII secolo. Il celebre scrittore francese, Léon Daudet, di rado incline all’indulgenza, non si sbagliava quando diceva: “Quella che mi piace di più è lei. Era bella e debole. Non fece uccidere nessuno. Sapeva ricevere, soprattutto nella più stretta intimità”.
Il racconto storico di Paolina è legato con quello della vita di Napoleone, chiamati al ruolo dell’eroico guerriero e della divina seduttrice, al segno duraturo che lasciano nel mondo, fissato per sempre nel marmo da Canova, con le figure di due divinità, di Marte e di Venere, inarrivabili per la forza delle loro conquiste, con le armi e con la seduzione. Napoleone provoca feroci sanguinose battaglie, Paolina sembra conoscere solo le parole dell’amore, sembra una seguace dei nostri giorni del detto “fate l’amore, non fate la guerra”, il suo fine ultimo sembra il piacere. Il loro fascino è nel loro limite tragico, per l’uno l’inseguire il potere universale, per l’altra il perseguire il piacere illimitato.
Canova tenne presente l’immagine evocata da Ugo Foscolo per scolpire quello che è ritenuto il suo capolavoro assoluto. La statua rappresenta Paolina nella gara istituita da Paride con il pomo della vittoria nella mano sinistra. La fama di quest’opera si diffuse rapidamente, numerosi artisti e visitatori accorrevano per ammirarla. Una sottile sensualità emana dalla figura femminile pulsante di vita, l’aura di Ἔρως investe l’immagine di Paolina. L’artista tratta con tecnica diversa le varie parti dell’opera, la materia si fa morbida sotto il gioco di luci ed ombre che danno naturalezza alle carni e alla stoffa. Canova stese una cera che dette al marmo un leggero tono ambrato; alla base dell’opera pose un
meccanismo che permetteva alla scultura di girare attorno al suo asse verticale.
“Venere vincitrice – ha suggerito Antonio Paolucci (2022) - è lo splendore di un giovane corpo femminile, trasmette la sensazione d’immortalità che la giovinezza ci consegna per un attimo, esprime i sentimenti di amore, di tenerezza, che attraversano i pensieri degli uomini, è il Mito che si fa carne e diventa accessibile ai desideri e ai sogni di ognuno, fa avvertire la pulsione del desiderio”.“

I.
La stanza era ben riscaldata”

“Scopro con meraviglia fra le carte un disegno dell’opera Venere vincitrice con dietro alcuni appunti della visita compiuta da Sylvia, in maniera riservata, al capolavoro di Canova, nei giorni precedenti alla partenza per Firenze. Come è noto Camillo Borghese dispose nel 1818, anche su raccomandazione della stessa Paolina, che la statua non fosse più esposta in pubblico e che venisse relegata in un sotterraneo del Palazzo di Campo Marzio, per contrastare l’attenzione morbosa che si era creata intorno all’opera e per rispondere alle preoccupazioni di alcuni cardinali. Anche Sylvia ha dato una lauta mancia ad un servitore di casa Borghese, come facevano, del resto, viaggiatori di passaggio e abitanti dell’Urbe per entrare nel palazzo e fermarsi davanti alla statua solo per alcuni minuti. Sylvia però si poté fermare a lungo, da sola, di sera, alla luce delle candele, nel silenzio dell’intero palazzo.
Negli appunti si trova traccia delle emozioni e dei pensieri davanti alla statua di Venere, Sylvia sa che Paolina è malata e guardando la statua riflette sulla caducità della bellezza, della vita umana. Paolina è rappresentata come la donna più bella dell’epoca, vince ogni confronto, come Venere ha vinto il pomo di Paride, per questo giace fiera e incurante sulla sua dormeuse: ha appena trionfato in una prestigiosa gara di bellezza, è la più bella tra le dee.
“Canova non copia i Greci ma inventa, come avevano fatto i Greci, una nuova bellezza”, giustamente afferma Stendhal. Paolina Borghese come Venere vincitrice è uno straordinario esempio del concetto di bellezza ideale, una grazia divina e idealizzata spira dalle sue forme perfette e allo stesso tempo una mano sapiente infonde vita al candore del marmo, che si piega come pelle giovane, si fa velo o morbido cuscino, si scalda del tepore della carne. Lo stupefacente materasso affonda sotto il peso della dea e la posa della principessa sull’agrippina evoca i sarcofagi etruschi e romani, le Veneri di Correggio, di Tiziano e di Giorgione.
Il destino della statua è legato alla storia di Napoleone. Quando Canova realizza la scultura, Napoleone si è appena proclamato imperatore dei francesi a Notre-Dame, un personaggio così celebre getta la propria luce su tutta la famiglia e l’apologia della bellezza di Paolina Bonaparte è una celebrazione indiretta del grande condottiero, tanto più che Canova è lo scultore più famoso dell’epoca. Il destino della statua segue le evoluzioni della storia: esposta in pompa magna nella residenza dei Borghese a Torino, dove Camillo è Governatore dei Dipartimenti Transalpini, alla caduta di Napoleone sarà trasferita a Roma e dopo qualche anno sarà chiusa in una cassa per evitare problemi con la corte pontificia.
Suscitò la curiosità morbosa di tutta la società europea il fatto che la sorella dell’imperatore si mostrasse seminuda in una posa così sensuale. Quando qualcuno osava chiederle come si era sentita a posare nuda, rispondeva imperturbabile e maliziosa: “Ma la stanza era ben riscaldata!” oppure “Ogni velo può cadere davanti a Canova”. Difficile appurare la verità.
Canova scolpì questo ritratto di Paolina Bonaparte in marmo bianco e ricoprì poi la superficie con una patina di cera rosata per rendere più realistica la scultura così che la luce, scivolando morbidamente sulle varie parti del corpo, creasse graduali passaggi di chiaroscuro. La bellezza del capolavoro di Canova non si limita però solo alla visione frontale, lo scultore immaginò che l’opera potesse essere osservata da diverse angolazioni, ciascuna portatrice di nuove suggestioni e dettagli. A questo scopo inserì alla base della statua un ingranaggio capace di farla ruotare. Giochi di luci e ombre sempre differenti si rivelavano agli ospiti dei Borghese, enfatizzati da una spettacolare illuminazione a lume di candela”.
(da Tre principesse francesi a Firenze).




“La donna più bella del suo tempo”, Napoleone // 90°//

“Aveva un profondo affetto per Paolina: si sentiva amato da lei con una abnegazione, una sottomissione, una dedizione, l’adorava come un dio. Scherzava volentieri sull’eleganza e le fantasie della “dea dei capricci”, ma nessuna donna della famiglia le era cara come lei. “Paolina – diceva – la più bella donna del suo tempo, è stata e rimarrà la migliore creatura vivente”. Nel testamento la nomina per prima fra i fratelli ed esprime tutto l’affetto a lei che, sola fra i suoi, l’aveva amato in maniera disinteressata, senza guardare se era Imperatore, nella convinzione che era un fratello carissimo e il più grande uomo che ci fosse al mondo”, Frédéric Masson, Napoleone e la sua famiglia
Paolina è ricordata come una donna bellissima e assetata d’amore, non conosce regole nella sua sensualità, nella seduzione, è ricordata come una nuova Venere che fa rivivere l’antico mito della dea, destinata ad amare, sempre.
Riportiamo alla fine del testo, il quadro degli eventi legati al personaggio e cenni di bibliografia; di seguito alcuni degli episodi della vita di Paolina secondo il racconto di Antonio Spinosa (Paolina Bonaparte. L’amante imperiale. Rusconi Edizioni) e di Geneviéve Chastenet (Paolina Bonaparte. La fedele infedele. Mondadori Edizioni).

I.
L’iniziatore. Un dongiovanni del Terrore

Dopo la fuga della famiglia dalla Corsica, a Tolone il Terrore e la controffensiva antirealista dei giacobini ebbero in questa città riconquistata un interprete travolgente e crudele nella figura del rappresentante del popolo Stanislao Fréron. Fu Stanislao ad accendere in Paolina la fiamma del primo amore. La ghigliottina lavorava senza posa ed egli scriveva: “Dal giorno del nostro ingresso qui abbiamo tagliato quotidianamente cento teste”.
Paolina era una ragazza molto vivace e libera, entrava e usciva di casa quando e come voleva, né temeva di stringere forti amicizie maschili. Sembra che si bagnasse nuda nelle acque del porto sotto lo sguardo dei marinai, rispondendo agli impulsi esibizionistici che diventeranno una costante della sua esistenza (Spinosa, p. 19).
Ricevendo buona accoglienza in casa Bonaparte, Fréron cominciò a passare in rassegna le tre grazie mettendole a confronto: Carolina era appena tredicenne, Elisa gli pareva troppo brutta, ma Paolina era il fiore più soave di quel giardinetto corso. Senza troppe circonlocuzioni, si dedicò a farle la corte in piena regola. Con le occhiate tenere, la voce stretta dall’emozione, le lettere ardenti, l’accento parigino, riuscì ad abbagliare le quindici primavere di Paolina. Con la benedizione dei suoi, che l’avevano abituata ad attribuire la massima importanza ai segni esteriori del successo, Paolina, come intrappolata nella pania, si gettò anima e corpo nelle braccia di un Romeo in età avanzata, ma ammantato di tutto il prestigio del potere (Chastenet p.27).

II. La gelosia del novello sposo generale Leclerc

Il “matrimonio di guarnigione fra Paolina e Leclerc fu celebrato a Mombello il 14 gennaio 1797. Le due spose, Paolina e la sorella Elisa, sono in abito bianco, i mariti in sgargianti uniformi teatrali. Bonaparte indossa invece una disadorna divisa da campo. Paolina è allegra, bellissima, tornita come una Venere greca; appare ancor più incantevole, al fianco di Elisa, segaligna e mascolina.
Il matrimonio rende Paolina più libera che mai. Il marito è assorbito fino a notte alta dagli impegni militari. Ella va spesso a Milano, visita i negozi, frequenta la società lombarda. La sua carrozza, dicono, nel tragitto fra la capitale e Mombello, può trasformarsi spesso in un’alcova per i suoi capricci amorosi.
Leclerc ogni volta che torna a Milano dai suoi viaggi si fa sempre più sospettoso, non si fida della moglie e timidamente le manifesta i suoi sospetti. Paolina invece lo aggredisce: “Accontentati. È già un onore per te aver sposato la sorella di Bonaparte”. Poi si pente delle brusche parole e lo abbraccia piangendo. Ma la luna di miele è già tramontata.
In un pomeriggio di particolare nervosismo, Leclerc, divenuto più diffidente che mai, rompe una sedia sulla schiena di un suo caro amico e commilitone, il pur grande generale Lannes, che era entrato in eccessiva confidenza con Paolina (Chastenet p. 49).
III. La gelosia di Camillo Borghese, nobile romano
Nel 1802 Leclerc muore di febbre gialla a Santo Domingo e Paolina rientra in Francia con la salma del marito. Dopo breve tempo, il 23 agosto 1803, sposa Camillo Borghese a Montefontaine e si trasferisce a Roma nel Palazzo Borghese.
A Roma si ebbe un’esplosione di notorietà dopo l’incontro con lo scultore Antonio Canova e la realizzazione della celebre statua. Da principio l’artista pensava di raffigurarla come Diana, dea della castità, ma la sua cliente preferì Venere: secondo gli accordi ufficiali, avrebbe dovuto posare soltanto per la testa, ma di fronte alla bellezza della statua vivente, di carne, lo scultore si infiammò e volle tradurre nel marmo l’intero suo corpo. La Venere vincitrice, illanguidita su un’agrippina, nuda fino alla vita, braccia e gambe scoperte, tiene nella mano sinistra il frutto della sua brillante vittoria, dono del pastore Paride: una mela d’oro, rotonda come il globo su cui si estende la sovranità della sua bellezza.
Paolina si trovò sottoposta a una stretta sorveglianza: nell’aristocrazia romana vigeva la massima indulgenza o addirittura una libertà completa nelle faccende dell’amore, sia per le relazioni extraconiugali a lungo termine, sia per le avventure passeggere, ma la sorella di Napoleone non poteva goderne. Il marito sempre in agguato le vietava di permettersi non solo un amante, ma perfino un cicisbeo. L’uso del cicisbeo, caro agli italiani, non era stato ancora abbandonato del tutto, e ai primi dell’Ottocento in molte grandi famiglie romane continuava ad esistere, come una sorta di marito supplementare.
Sembra che la prima avventura sentimentale vissuta da Paolina a Roma, risalga a questo periodo. In una lettera indirizzata al cavaliere Angiolini, Camillo se ne lamenta:
Caro amico, sono stato quasi di continuo scontento di Paolina. Mi sono recato fino a Napoli per farle capire che non ero contento di lei. Non è servito a niente. Poi stupidamente si è fatta trovare una lettera, che avrei dato la vita per non trovare. Vi dico tutto questo perché se mai sentirete dire qualcosa su di noi, voi che avete cooperato alla nostra unione sappiate da me le mie motivazioni.
Camillo ricevette in risposta una lettera dal cavaliere assai sorprendente.
Le donne, amico mio, soprattutto prima di arrivare a una certa età, vogliono quel che vogliono, e non vi è modo di frenarle, né con la forza né con l’autorità. È una vera fortuna quando si limitano a servirsi di artifici e a operare in modo da lasciarci all’oscuro di quel che sono. Ciò detto, constato con una qualche soddisfazione come in gran parte la vostra afflizione venga dal vostro essere innamorato all’eccesso.
La notizia arriva fino a Parigi, a Napoleone, che offre al cognato uno stupefacente consiglio di saggezza: Camillo avrebbe dovuto “mostrare maggiore deferenza verso le abitudini di una parigina, tenendo conto delle libertà alla quale le giovani donne sono abituate nel nostro paese” (Chastenet p. 123).

IV. Un numero incredibile di amanti

Si racconta che nel periodo del suo matrimonio con Camillo Borghese, furono trenta gli amanti di Paolina. Ci soffermiamo sulla figura di due amanti, il conte di Forbin e il tenente Conrad Friedrich. Un accenno infine al giudizio di un celebre medico, molto citato, sulle sue frenesie amorose.
Il conte di Forbin – L’arrivo della principessa a Plombières suscitò viva curiosità fra i frequentatori delle terme, uno dei quali, il conte di Forbin, rampollo di una delle più illustri famiglie dei Provenza, le ricordò che si erano conosciuti a Roma. Era un giovane pittore, di alta statura, elegante e nobile nella persona, con begli occhi e lineamenti regolari da richiamare alla memoria le fisionomie più belle del Rinascimento. Nella stazione termale, lontano dagli ambienti termale, l’idillio poté fiorire protetto da una certa discrezione. Ogni giorno il felice prescelto si univa alle dame di compagnia per la curiosa
cerimonia del bagno quotidiano di colei che Napoleone aveva soprannominato “la Paganetta”. Veniva a prenderla ad un certo momento Paul, il fedele domestico nero, Paolina lasciava cadere la vestaglia e l’atletico servitore la portava, reggendola fra le braccia, fino alla vasca. Si avvicinava poi un paggio, le massaggiava i piedi e, talvolta, infreddolita, doveva ricorrere al calore corporeo delle sue dame di compagnia: a richiesta la dama prescelta si slacciava il corpetto, esponendo un petto abbondante, e quindi si stendeva a terra; Paolina posava i piedi sul seno della bella la posizione orizzontale. Forbin contemplava rapito lo spettacolo.
Riprendiamo una delle lettere scritta da lei ad Auguste Forbin:

Diletto, nessuna lettera tua stamani, sono molto impaziente di riceverne. … Per me che sono costretta a limitarmi, a nascondermi, ma che ti amo, ti amo teneramente, e già te ne ho dato tante prove, e che non posso essere felice se non per opera tua. Non sei forse tu il mio sposo? Il mio ha forse meritato un appellativo così dolce e sacro? No, non lo ha meritato, altrimenti non saresti tu il mio sposo. E dunque mi deve essere reso amore per amore, confidenza per confidenza, credere che tutto quello che faccio è per il nostro bene, per il bene del nostro amore (Chastenet p. 124).

Il tenente Conrad Friedrich – L’ufficiale, che aveva partecipato all’arresto di papa Pio VII e al suo trasferimento a Savona, venne a sollecitare una raccomandazione della principessa Borghese. Dopo averlo squadrato, lei stabilì che per un tedesco aveva un bell’aspetto e lo trascinò a fare quattro passi nel giardino del castello di Neuilly; chiacchierando passarono davanti a una grotta e Paolina le fissò un appuntamento per il giorno dopo, spiegandogli che gli avrebbe fornito tutte le informazioni sulla sua faccenda. Ci affidiamo alle Memorie di Conrad Friedrich per sapere come andò a finire.
All’ora stabilita mi rimisi in cammino diretto a Neuilly, mi recai nel punto del giardina che mi era stato indicato e attesi gli eventi sotto un colonnato, davanti alla grotta. Comparve una donna che aprì una porta laterale e mi introdusse nella grotta dove c’erano molte camere e gallerie, tra l’altro una sala magnifica con dentro una magnifica vasca da bagno. Da una porta accanto entrò una figura femminile, velata della più fine batista. Riconobbi subito la bella sorella di Napoleone, perché le sue forme opulente e perfettamente plastiche apparivano sotto i drappeggi ogni colta che si muoveva. Mi porse la mano da baciare, mi augurò il benvenuto a casa sua e mi pregò di sedermi accanto a lei su un soffice canapè. In quell’occasione non fui certo io il seduttore, ma piuttosto il sedotto, perché Paolina impiegò tutte le sue malie per farmi infiammare il sangue; ben presto i cuscini di velluto furono testimoni di effusioni indicibili. Paolina si rivelò una maestra esperta, ne sapeva più di me. Quando la nostra febbre fu placata, Paolina fece preparare un bagno; indugiammo quasi un’ora nell’acqua azzurro limpido
chiaro, quindi in una stanza attigua fece servire un pranzo squisito e ristoratore (Chastenet p. 142).

L’attenzione dei medici – Il medico personale di Paolina, il dottor Peyre, era molto preoccupato dagli alti e bassi della salute della principessa, passava per fasi alterne dalla depressione alla sovraeccitazione. Si rivolse al dottor Hallé, un collega che era un’autorità in materia di ginecologia, che dopo aver proceduto ad una serie di accertamenti, rilasciò una diagnosi dei malanni della principessa.

Ho continuato a meditare sulle condizioni in cui ho trovato Sua Altezza. Sono le condizioni di un’affezione isterica. La matrice era ancora sensibile, i legamenti conservavano ancora l’orma di quel dolore irritativo per il quale giovedì scorso le avevamo fatto fare un bagno. Gli spasimi che ho visto che ho visto durante i bagni erano spasimi isterici. L’aspetto generale è di abbattimento e sfinimento.
Non si tratta qui di un’infiammazione qualsiasi; lo stato infiammatorio che abbiamo visto era soltanto transitorio: la condizione abituale e costante è quella di una eccitazione dell’organo uterino, condizione che, quando è notevole e continua, può essere molto fastidiosa.
Il malanno è questo. Alle cause ho accennato giovedì scorso, parlando anche cona la principessa per mezze parole … (Chastenet p. 126).

V. Comportamenti particolari

Il viaggio da Nizza a Torino – Fu straordinaria la partenza del viaggio per Torino, quando Camillo Borghese fu nominato governatore del Piemonte da Napoleone. La carovana fu teatrale perché fastosa e ancora teatrale perché tragicomica. Il convoglio era composto da sette carrozze e da una portantina sulla quale la principessa salirà ogni qualvolta si stancherà di viaggiare nella sua berlina, che pure era comodissima, ben molleggiata e stracolma di cuscini.
Particolare il ballo dei cuscini in cosa consisteva? Se Paolina aveva freddo raccoglieva tutti i soffici piumacci della carrozza e se ne fasciava mollemente fino scomparire. Quando però la temperatura cominciava a salire, i cuscini venivano lanciati addosso al ciambellano, il quale essendo un ometto assai minuto, doveva issarsi in piedi sul sedile per non farsi seppellire, mentre Paolina esclamava: “Conte, vi nomino conservatore dei miei cuscini”. Se la principessa aveva nuovamente freddo e i guanciali non le bastavano rivolgeva la sua attenzione a Madame Chambaudouin che le sedeva di fronte: allungava le gambe, le deponeva su quelle che la dama di compagnia e con i piedini cercava senza arrossire un posticino caldo caldo, proprio quello, assai recondito, che la decenza consiglia di non nominare anche perché tutti sanno qual è (Spinosa p. 161).
Durante quel viaggio Barras fu testimone di una sosta che rappresentò un intervallo sorridente, e così lo narra:

La principessa Borghese si fermò al limitare di una prateria e discese dalla carrozza per sedersi sull’erba. Due cortigiani si spogliarono rispettosamente, deponendo i loro vesti sull’erba, perché la principessa potesse sedersi senza soffrire per l’umidità del terreno. M. Desbains, sottoprefetto di Grasse, offrì la propria schiena come appoggio alla schiena della principessa; il generale Guyot, disteso per traverso, sosteneva i piedi della principessa con il ventre … (Chastenet p. 131).

Il rito della toilette – Il rito della toilette dimostra quanta cura Paolina dedicasse al culto del suo corpo. La principessa Ruspoli. A Roma, le fece visita una mattina, durante questo rito: la principessa era distesa con noncuranza su una chaise longue, con i piedini ben in evidenza. Un paggio entrò reggendo un bacile di argento dorato, una raffinata salvietta di batista, profumi e altri cosmetici; la principessa vi stese graziosamente una gamba e il paggetto tolse la calza e cominciò a massaggiare, a frizionare, profumare il bel piede. L’operazione fu lunga e lei chiacchierava e sembrava del tutto indifferente a quelle operazioni. Tale comportamento può apparire provocatorio ma è semplicemente regale. Con Luigi XIV si svolgevano le cerimonie mattutine del grand e del petit lever, seguite dalle più eminenti famiglie del regno. La “lavanda dei piedi”, senza dubbio un po’ profana, aveva almeno il vantaggio di offrire una festa agli occhi e allo spirito. Insomma, la principessa Borghese aveva Roma ai suoi piedi (Chastenet p. 200).

VI. La macchina del fango

Dalle voci che giravano all’epoca, si potevano raccogliere racconti poco edificanti. Si distinse fra tutti un camaleontico agente dello spi1onaggio inglese, il giornalista Lewis Goldsmith, che accusava di tenere un comportamento leggero non solo Paolina e le sue sorelle, ma la stessa madre, donna Letizia. In una cosiddetta Storia segreta egli scrisse che “Madame Bonaparte teneva a Marsiglia “Una casa aperta”, in cui agivano le due figlie maggiori”.
Anche le carte di un oscuro generale, il de Ricard, e di una gentildonna, Madame de Rémusat, contenevano la narrazione di altre nefandezze. Il primo ammette che “può darsi che qualcuno, per vendicarsi di favori non ricevuti, abbia sparso voci calunniose sulle figlie di Madame Letizia”. La seconda lanciava frecce velenose nei suoi Memoires contro i Bonaparte: “se dobbiamo credere agli abitanti di Marsiglia che vissero accanto alle due giovinette, dobbiamo pensare che esse non furono minimamente allevate secondo i principi di una sana morale” (Chastenet p. 19).




Donna libera, don Giovanni in abiti femminili // 180° //

Il matrimonio è per le donne qualche cosa a cui non si può sfuggire, ma l’amore è ben altro. L’amore è un nostro diritto, anche se purtroppo è ancora chiuso dentro la Bastiglia. Noi donne avremmo mai il nostro 14 luglio? - sosteneva Paolina”,
G. Chastenet, Paolina Bonaparte. La fedele infedele
Sposò il generale Leclerc per volere del fratello Napoleone nel 1797 e, per quanto innamorata, scelse di non concedere allo sposo in via esclusiva, quella che lei stessa definiva i “i vantaggi concessimi dalla natura”, ovvero quel corpo considerato il più bello e desiderato di Parigi, dalla pelle bianchissima, curato con docce di acqua gelida e bagni nel latte d’asina. Giunta a Roma come sposa di Camillo Borghese (1803), Paolina iniziò a mostrare segni di insofferenza, trovando sollievo, ancora una volta, negli incontri con i suoi numerosi amanti, frequentati durante le lunghe assenze del consorte, militari, politici, artisti, cantanti. La principessa fu in grado di “rompere gli schemi”, vivendo la propria vita da devota seguace di Ἔρως, senza farsi influenzare da pregiudizi e stereotipi.

I.
Paolina non ha regni da difendere

Paolina non ha regni da difendere, è felice della sua libertà, è libertà di amare chiunque, di disporre comunque del proprio corpo contro la visione dei maschi e le strettoie della morale. Napoleone riconosceva quanto fosse innocuo il delirio psico-motorio d’una sorella inquieta rispetto alle feroci ambizioni e alla rapacità degli altri familiari. Vera machine à mouvement va peregrinando da una stazione termale all’altra, da una spiaggia della Costa Azzurra a un borgo montuoso della Provenza, per bizzarria e per illudersi di guarire dai suoi.

II.
È di una grande generosità. Raggiunge il fratello all’Elba

È l’unica fra i fratelli e le sorelle a raggiungere Napoleone all’isola d’Elba, come angelo consolatore a bordo della nave Inconstant, a Portoferraio pavesata a festa. Scrive Pons de l’Hérault nelle Memorie: “Cominciò il regno di Paolina , un regno di grazia leggiadra, di sorriso, di fantasia. Paolina si rivelava per quello che era sempre stata, con la sua spontanea bontà e il cuore incapace di calcolo, ben diversa da Carolina e da Elisa, divorate dall’interesse e dalla smania politica; non era ambiziosa, non aspirava al potere, non era intrigante. Per lei la famiglia restava al primo posto e nella sua devozione si accontentava anche di annoiarsi accanto alla madre, senza la minima ipocrisia ma soltanto per intelligenza del cuore”.

III.
A Roma incontra la comunità inglese per portare aiuto al fratello prigioniero a S. Elena

L’esilio di Napoleone a Sant’Elena era peggio della morte: appena due anni prima il nome di Napoleone risonava con fragore in tutto il mondo. Con altrettanta passione era stato odiato, adorato, tradito, servito; ma ormai tutto era silenzio. Nemmeno un’eco giungeva dallo scoglio deserto, battuto dalle onde oceaniche. Paolina, la piccola còrsa arrivata dal nulla ai vertici della società, poi privata dei beni imperiali, e scaraventata giù dal piedistallo edificato dalla grande avventura del fratello, si batteva con tutte le forza per vincere il silenzio. Le armi erano sempre le stesse: aveva la sua sfolgorante bellezza, resa ancora più commovente dalla fragilità e dal coraggio.
Le sue apparizioni nella società romana, divennero degli avvenimenti. Paolina valutava con fino a qual punto si estendesse il suo potere: si sarebbe servita con estrema abilità del fascino esercitato sugli inglesi, diventando il loro idolo. Quei grandi signori, così legati all’ordine della Giarrettiera, non potevano fare a meno di ammirare una virtù Paolina: l’autenticità. Finivano per
farle ricevere certe lettere sottratte all’occhio del censore, in cui il prigioniero di Sant’Elena chiedeva che fosse attenuato il duro regime carcerario a cui era sottoposto.
Fin dal mese di dicembre del 1816 Metternich segnalava al governo britannico: “I vostri sudditi approfittano del loro soggiorno a Roma per riavvicinarsi alla famiglia Bonaparte”. L’osservazione riguardava, in verità, un solo membro della famiglia, la principessa Borghese.




L’incontro di Ἔρως con Θάνατος // 270° //

“Io muojo in mezzo ai crudeli, ed orribili dolori di una lunga malattia che ho sopportata con sentimenti di rassegnazione da vera Cristiana”, dal Testamento di Paolina
Muore a 44 anni, a Firenze, per un cancro al fegato, assistita dal marito Camillo. Chiede “di non essere esposta ma di essere imbalsamata e condotta nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Roma, nella Cappella Borghese”.

” Ho visto poi il misero corpo, oggetto di tanta cura e strumento di tante passioni, giacere nudo, con una lama infilata nel seno. I medici hanno tolto il cuore e hanno gettato aromi nella piaga sanguinosa, poi hanno velato il volto disfatto, hanno raccolto il lenzuolo funebre sul corpo giallo al pari della cera di favo e hanno dato alle prefiche la triste bisogna dell’ultima toilette. E alle prime luci dell’alba, una carrozza, nera e chiusa, è partita inosservata, verso Roma … Eppure è quell’arido corpo imbalsamato che ancora attira e seduce … è Paolina che viva e morta accende il desiderio di sé in questa povera terra, sofferente d’amore”,
E. Lazzareschi, Le sorelle di Napoleone. Paolina.

I.
L’incontro con Θάνατος

La fedele Sylvia Boucot che ha vissuto con lei gli ultimi cinque anni della sua vita, scrive nel Diario riguardo al commiato finale di Paolina, nella villa Strozzi sulla collina di Montughi, a Firenze:
Roma, 13 giugno 1825
Gli ultimi giorni trascorsi a Firenze alla villa di Montughi, sono stati convulsi, tremendi per me e per coloro che hanno assistito alla fine della principessa Paolina, tormentata dal male che la stava consumando.
La mattina presto ha ricevuto il notaio Antonio Jacopo Chelli e alla presenza di cinque testimoni ha dettato con voce calma e ferma le sue ultime volontà confermando le decisioni delle quali mi aveva già parlato. Commovente la generosità verso le persone più semplici che erano state al suo servizio.
Dopo che il notaio se ne è andato, mi ha chiamato a sé, mi ha stretto forte la mano:
“Giurami che farai in modo che la mia volontà sia rispettata, di non essere esposta alla curiosità del mondo in una camera ardente”.
Si apprestava al gran passo, da compiere in silenzio senza più gli sguardi del mondo fissi su di lei. Nella stanza è entrato monsignore Vincenzo Strambi, vescovo di Macerata, che, in presenza di Camillo e del fratello Girolamo, le ha somministrato, ancora cosciente, gli ultimi sacramenti.
Al marito ha ripetuto più volte con un filo di voce:
“Perdonami per i dispiaceri che ti ho dato”.
Le ultime parole che ho compreso sono state come uno sguardo ultimo alla vita che si spengeva:
“Uno specchio…Napoleone”.
Ha continuato a parlare sommessa fino agli istanti di quello stesso giorno, giovedì 9 giugno 1825, nel quale ha reso lo spirito, senza apparente dolore, alle ore una del pomeriggio sfolgorante di vita e di luce nella campagna e nel cielo. È morta tranquilla e presente a sé stessa. Al finire dell’agonia parlava sovente a bassa voce con l’occhio sempre fisso al ritratto del fratello, sembrava parlare con lui e qualche volta un sorriso di dolcezza infinita veniva a rischiarare il suo viso, sempre bello…bello anche negli orrori della morte.
Ho visto poi il misero corpo, oggetto di tanta cura e strumento di tante passioni, giacere nudo, con una lama infilata nel seno. I medici hanno tolto il cuore e hanno gettato aromi nella piaga sanguinosa, poi hanno velato il volto disfatto, hanno raccolto il lenzuolo funebre sul corpo giallo al pari della cera di favo e hanno dato alle prefiche la triste bisogna dell’ultima toilette. I necrofori hanno sollevato la salma e l’hanno deposta in un feretro d piombo.
E alle prime luci dell’alba, l’indomani, una carrozza, nera e chiusa, è partita rapida, inosservata, verso Roma.
Dal romanzo storico Tre principesse francesi a Firenze 


Paolina Bonaparte

1780 20 ottobre Maria Paola Bonaparte, conosciuta come Paolina, nasce ad
Ajaccio, sesta di otto fratelli
1793 maggio Paolina raggiunge dalla Corsica, con la famiglia, Tolone
1797 14 luglio Paolina sposa il generale Leclerc
1798 20 aprile Nasce a Milano il figlio Dermide
1801 14 dic. Parte verso Santo Domingo con il marito Leclerc,
designato comandante in capo nella spedizione contro i
ribelli
1802 2 nov. Leclerc muore di febbre gialla a Santo Domingo e Paolina
rientra in Francia con la salma del marito
1803 23 agosto Paolina sposa Camillo Borghese a Montefontaine e si
trasferisce a Roma nel Palazzo Borghese
1804 agosto Muore a Frascati il figlio Dermide mentre Paolina si trova
alle Terme di Bagni di Lucca
1805 Paolina è ritratta dallo scultore Antonio Canova nelle vesti
di Venere vincitrice
1806 marzo Paolina è nominata principessa di Guastalla
1808 2 febbr. Camillo Borghese è nominato governatore del Piemonte, si
trasferisce con la moglie a Torino. Paolina ha come
damigella d’onore la coetanea Adele de Sellon, madre di
Camillo Benso di Cavour. Camillo e Paolina sono i
padrini di battesimo del piccolo Camillo
1814 Dopo l’abdicazione di Napoleone Camillo e Paolina si
separano. Camillo, dopo un breve soggiorno romano, si
stabilisce a Firenze, nel palazzo Salviati-Borghese
dell’attuale via Ghibellina
4 maggio Napoleone è esiliato all’isola d’Elba e Paolina lo raggiunge
nei mesi successivi
1815 Dopo la fuga di Napoleone dall’isola d’Elba (26 febbraio)
Paolina soggiorna forzatamente a Viareggio, a Bagni di
Lucca e a Compignano (Lucca). Si stabilisce infine a
Roma e tenta di raggiungere in tutti i modi di raggiungere
il fratello a Sant’Elena ma non le viene concesso il
permesso
1816 Paolina cerca di riavvicinarsi al marito che la respinge.
Vive a Villa Sciarra, ribattezzata Villa Paolina, nei pressi di
Porta Pia
1824 Si riavvicina al marito per intercessione del papa Leone. Raggiunge il marito a Firenze, al palazzo Salviati-Borghese
1825   9 giugno, muore a Firenze a Villa Strozzi, oggi Villa Fabbricotti. La salma è trasportata a Roma; è sepolta nella Cappella Paolina della Basilica di Santa Maria Maggiore.





21 aprile 2024, presentazione del Progetto


https://www.facebook.com/watch/live/?ref=watch_permalink&v=1176622790027555

Mostra Circolodegli Artisti Casa di Dante 20-4  2-5 2024









L'autore Roberto Mosi 



Dal Catalogo della Mostra 

Ἔρως

Paolina Bonaparte Leclerc Borghese, Venere vincitrice, seguace di Ἔρως

 

Ἔρως mi ha ispirato una visita alla Galleria Borghese di Roma per rendere omaggio a Venere vincitrice, il capolavoro di Antonio Canova, immagine dello splendore di un giovane corpo femminile, opera che esprime i sentimenti di amore, di tenerezza, che attraversano i pensieri degli uomini, “è il Mito che si fa carne e diventa accessibile ai desideri e ai sogni, fa avvertire il tepore delle forme femminili, la pulsione del desiderio” (A. Paolucci, 2022). Venere/Paolina, la modella, tiene nella mano sinistra, con indicibile grazia, il pomo della vittoria vinto nella gara istituita da Paride.

Nella sala della Galleria, davanti alla statua colgo la sottile sensualità che emana dalla figura di Paolina, il gioco di luci ed ombre che danno naturalezza alle carni e alle stoffe, il tono leggermente ambrato dei marmi. Canova per rendere più viva l’opera aveva spalmato  una cera rosata e aveva escogitato un ingranaggio che faceva girare la statua intorno all’asse verticale, di 360 gradi.

Seguo idealmente il movimento della Venere vincitrice e riprendo con la macchina fotografica quattro punti di  osservazione che mi viene spontaneo collegare allo straordinario, irrequieto, personaggio di Paolina Bonaparte Leclerc Borghese:

1° - Il simbolo di  Ἔρως; 2° - La donna più bella del tempo (Napoleone); 3° - Donna libera, don Giovanni in abiti femminili; 4° - L’incontro di Ἔρως con Θάνατος.

Prende così vita il mio progetto per l’ottavo anniversario dell’Officina del Mito, legato a Paolina Bonaparte e alla presenza di Tre principesse francesi a Firenze, sorelle di Napoleone.

Blog: www.robertomosi.it , www.poesia3002.blogspot.it ; e-mail: mosi.firenze@gmail.com










 

 




"Tre principesse francesi a Firenze", Pontecorboli Editore - Roberto Mosi


 


Anno/Year 2024
172 pagine/pages
22 illustrazioni/illustrations.
12x19 cm.
ISBN 9788833841977
€17.00





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Roberto Mosi

Tre principesse francesi a Firenze
Sylvia Boucot e le sorelle di Napoleone, Elisa Baciocchi, Paolina Borghese e Carolina Murat

E' affascinante seguire le storie delle tre principesse sorelle dell’imperatore Napoleone, Carolina, Paolina ed Elisa, a Firenze e in Toscana, con lo sguardo di Sylvia Boucot che per trent’anni, in tempi diversi, fu al loro servizio come dama di compagnia, nella buona e nella cattiva sorte, secondo le straordinarie vicende del generale corso. Sylvia nella sua esperienza, unica, ha modo di raccogliere le confidenze delle tre donne, i racconti dei loro amori, la loro determinazione e il loro coraggio, i momenti dell’orgoglio per la famiglia di cui fanno parte, il rapporto con il potere, le angosce degli anni dopo la sconfitta di Napoleone, quando la famiglia dell’imperatore è proscritta, perseguitata dalle nazioni vincitrici. Firenze, con la sua storia, lo spettacolo del suo patrimonio d’arte, le sue bellezze, l’effervescenza della società di quel periodo, è fra i protagonisti del romanzo storico.

Le principesse Elisa Baciocchi, Paolina Borghese e Carolina Murat, grazie alla fortuna e alle capacità di uomo d’arme e di governo del fratello Napoleone Bonaparte, si trovarono dalle umili origini in una terra isolata, povera, come la Corsica, a conquistare onori e ricchezze sullo scenario europeo; la sorte fatale poi del generale corso, il crollo dell’impero, determinò il rovesciamento della loro fortuna, la decadenza. Sylvia Boucot fu dama di compagnia, in tempi diversi, per un periodo di oltre trenta anni, delle tre principesse; sono preziose le testimonianze che ci offre nelle pagine del romanzo: portano a delineare i caratteri diversi delle tre sorelle e, allo stesso tempo, il loro coraggio di donne libere, la loro determinazione e ad illustrare, per altro verso, i volti che mostra il potere, nei diversi frangenti della storia, l’affermarsi della nuova classe borghese. In questo quadro, Firenze fa da scenario all’agire dei diversi protagonisti, è all’incrocio di dinamiche particolari, incisive per il futuro della città e dell’Italia. Emergono inoltre analogie con il tempo presente, come il mito della nazione e il mito del comandante supremo, del leader, che oggi ricompaiono sugli scenari incerti del nostro presente.
 






Roberto Mosi vive a Firenze, è stato dirigente per la Cultura alla Regione Toscana, si interessa di letteratura e fotografia. Ha pubblicato i romanzi Non oltrepassare la linea gialla (Europa Edizioni 2014) ed Esercizi di volo (Europa Edizioni 2016; premiato al concorso Casentino 2017). Ha pubblicato i romanzi storici: Elisa Baciocchi e il fratello Napoleone (Il Foglio, 2013), Ogni sera Dante ritorna a casa. Sette passeggiate con il poeta (Il Foglio 2021), Barbari. Dalle Steppe a Florentia alla porta contra aquilonem (Masso delle Fate 2022). Per la poesia, Itinera (Masso delle Fate 2007), Poesie 2009-2016 (Ladolfi 2016), Eratoterapia (Ladolfi 2017), Navicello Etrusco (Il Foglio 2018), Orfeo in Fonte Santa (Ladolfi 2019), Sinfonia per San Salvi (Il Foglio 2020), Promethéus. Il dono del fuoco (Ladolfi 2021), Amo le parole. Poesie 2017-2023 (Ladolfi 2022). Queste opere poetiche hanno ricevuto vari riconoscimenti; l’ultimo per Il profumo dell’iris (Gazebo 2018): Premio speciale in Memoria di Duccia Camiciotti, Città di Montevarchi (2022). L’autore ha realizzato mostre di fotografia presso biblioteche, caffè letterari e sale di esposizione, in particolare al Circolo degli Artisti “Casa di Dante”. È presidente dell’Associazione Testimonianze che pubblica l’omonima rivista fondata da Ernesto Balducci. Fa parte della rivista diretta da Mariella Bettarini L’area di Broca. Cura i blog: wwww.robertomosi.it, www.poesia3002.blogspot.it

mercoledì 17 aprile 2024

"EROS": 21 aprile, ore 17- Paolina Bonaparte, Venere Vincitrice: 4 sguardi: Arte e Mito, Partriarcato, Libertà, Tanatos- CircoloArtisti Casa di Dante -


 Ἔρως

Paolina Bonaparte Leclerc Borghese, Venere vincitrice, seguace di Ἔρως

 

Ἔρως mi ha ispirato una visita alla Galleria Borghese di Roma per rendere omaggio a Venere vincitrice, il capolavoro di Antonio Canova, immagine dello splendore di un giovane corpo femminile, opera che esprime i sentimenti di amore, di tenerezza, che attraversano i pensieri degli uomini, “è il Mito che si fa carne e diventa accessibile ai desideri e ai sogni, fa avvertire il tepore delle forme femminili, la pulsione del desiderio” (A. Paolucci, 2022). Venere/Paolina, la modella, tiene nella mano sinistra, con indicibile grazia, il pomo della vittoria vinto nella gara istituita da Paride.

Nella sala della Galleria, davanti alla statua colgo la sottile sensualità che emana dalla figura di Paolina, il gioco di luci ed ombre che danno naturalezza alle carni e alle stoffe, il tono leggermente ambrato dei marmi. Canova per rendere più viva l’opera aveva spalmato  una cera rosata e aveva escogitato un ingranaggio che faceva girare la statua intorno all’asse verticale, di 360 gradi.

Seguo idealmente il movimento della Venere vincitrice e riprendo con la macchina fotografica quattro punti di  osservazione che mi viene spontaneo collegare allo straordinario, irrequieto, personaggio di Paolina Bonaparte Leclerc Borghese:

1° - Il simbolo di  Ἔρως; 2° - La donna più bella del tempo (Napoleone); 3° - Donna libera, don Giovanni in abiti femminili; 4° - L’incontro di Ἔρως con Θάνατος.

Prende così vita il mio progetto per l’ottavo anniversario dell’Officina del Mito, legato a Paolina Bonaparte e alla presenza di Tre principesse francesi a Firenze, sorelle di Napoleone.

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Progetto: Paolina Bonaparte, Venere Vincitrice, devota seguace di Eros
Progetto di Roberto Mosi
Interventi di Virginia Bazzechi, Andrea Simoncini, Roberto Mosi, Enrico Guerrini (pittore). Letture di Renato Simoni.
L'iniziativa si svolge nell'ambito della Mostra sul Mito di Eros presso Il Circolo degli Artisti Casa di Dante (20 aprile- 2 maggio 2024).
Il progetto ricerca una visione universale, partendo dalla storia di Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone, e dall'opera di Antonio Canova ("Venere Vincitrice" alla Galleria Borghese), sulla relazione fra la la fiamma di Eros e Paolina, Venere Vincitrice: 4 punti di vista: Arte e Mito, Partriarcato, Libertà, Tanatos 

venerdì 5 aprile 2024

"Toscana nuova": Curarsi con la Poesia: "Dino Campana, una ricetta per i passaggi difficili della vita" -Aprile 2024

 


Rubrica aprile 2024

 

Curarsi con la poesia

Dino Campana: una ricetta per i passaggi difficili della vita

 

Mi hanno scritto alcuni lettori, e ne ho parlato con vari amici, sull’idea di curarsi con la poesia e alcuni hanno tenuto a sottolineare come l’arte, in generale, possa rappresentare un’efficace cura. Trovo che sia senz’altro vero, devo però aggiungere che le mie esperienze mi hanno portato a cogliere direttamente il valore della poesia.

Per quanto mi riguarda, è stato importante l’incontro con Dino Campana (Marradi 1885-Castelpulci 1932).  A quindici anni, vengono diagnosticati al poeta i primi disturbi nervosi che non gli impediranno di frequentare i vari cicli di scuola. Quando rientra a Marradi dopo gli studi, le crisi nervose si acutizzano, come pure i frequenti sbalzi di umore, sintomi dei difficili rapporti con la famiglia, soprattutto con la madre, con il paese natio. Campana espresse il suo "male oscuro" con un irrefrenabile bisogno di fuggire e dedicarsi ad una vita errabonda. La prima reazione della famiglia e del paese, e poi dell'autorità pubblica, fu quella di considerare le stranezze di Campana come segni lampanti della sua pazzia. Nel 1913 Campana si reca a Firenze e si presenta a Giovanni Papini e ad Ardengo Soffici, cui consegna il manoscritto dal titolo "Il più lungo giorno". Non viene preso in considerazione e il manoscritto va perso. Nell'inverno del 1914, convinto di non poter più recuperare il manoscritto, Campana decide di riscriverlo tutto affidandosi alla memoria. Nella primavera del 1914, riesce finalmente a pubblicare la raccolta, con il titolo di "Canti Orfici". Conosce Sibilla Aleramo, l'autrice del romanzo “Una donna”, ed inizia con lei un'intensa e tumultuosa relazione. Nel 1918 Campana viene internato presso l'ospedale psichiatrico situato nella Villa di Castelpulci, presso Scandicci, dove muore per una forma di setticemia.

Nella sua poesia visionaria, ricca di immagini molto intense, si amalgamano i suoni, i colori e la musica in potenti bagliori, mi colpisce particolarmente il motivo dell’oscurità fra il sogno e la veglia e come questo viene reso nei suoi versi: gli aggettivi e gli avverbi ritornano con una ripetitiva insistenza come di chi detta durante un sogno, sogno però interrotto da forti trasalimenti. Fino al suo internamento a Castel Pulci, lotterà per la sua poesia e per una vita che non era mai riuscita a donargli nulla in termini di serenità e pace, anche la strada dell'amore, il suo incontro con Sibilla Aleramo, si trasformerà in una sconfitta.

L’incanto della sua poesia mi è  vicino e riaffiorano spesso  alla mia mente i suoi versi, ad iniziare dal canto “L’invetriata”, che esprime attraverso l’immagine del tramonto, simbolo di ferita e disfacimento, il suo tormento esistenziale: La sera fumosa d’estate/Dall’alta invetriata mesce chiarori nell’ombra/ E mi lascia nel cuore un suggello ardente … Ho letto i libri e visto i film sulla vita, ho ricercato poi, dal vivo, lo “sguardo del poeta”, i luoghi del paese celebrati dalla poesia, i leggii con i testi dei componimenti  che il Comune di Marradi ha posto negli angoli più suggestivi del paese, ho ricostruito percorsi a tema, sulla base dei testi poetici e delle notizie sulla vita: l’incontro di Dino Campana con Sibilla Aleramo, al Barco, sotto il Passo del Giogo e il cammino verso Moscheta e la valle dell’Inferno, la sosta a Casetta di Tiara; il pellegrinaggio da Marradi a Stia, al Falterona, alla Verna; la visita al parco dell’ex Manicomio di San Salvi, con il pensiero rivolto alla degenza alla quale fu costretto. Questi percorsi sono stati scelti da un’ associazione di trekking per i propri soci e ho avuto l’incarico di guidare un gruppo alla scoperta di questi luoghi, seguendo le orme di Dino: nel percorso ogni socio aveva i testi dei canti e nelle diverse soste, abbiamo letto insieme alcuni versi, ad alta voce, nei boschi, davanti alle montagne, lungo i corsi d’acqua, con lo spirito di cui parla Mariangela Guarnieri nel suo libro – L’incanto fonico. L’arte di dire la poesia, Salerno Editrice: “Questo ci tocca, liberare nell’aria il verso, trovare/ la sua forma sonora. Incanto fonico si chiama.”

Questa esperienza mi ha particolarmente coinvolto e mi ha fatto capire come la poesia possa alleviare le sofferenze del poeta e, d’alta parte, arricchire di nuove sensazioni e sentimenti, il lettore. La familiarità con alcuni luoghi dei Canti Orfici è stata per me fonte di ispirazione per un mio poemetto, L’invasione degli storni, Ed. Gazebo, nel quale canto, anche se con flebile voce poetica, la bellezza selvaggia della Valle dell’Inferno, presso Moscheta: Sopra la cima dei castagni/ la vertigine delle rocce, / colonne aeree di una cattedrale/ aperta sul candeggiare del cielo.

Per coloro dunque che si trovano ad affrontare una fase impegnativa della loro vita – che per me ha riguardato il passaggio dall’attività lavorativa alla pensione - Erato ha la ricetta pronta, per superare meglio il trauma del passaggio fra “stagioni” diverse dell’esistenza: l’incontro con la poesia, la storia, i sogni di un grande, amato poeta.

 

 

(FOTO)

 

Roberto Mosi si interessa di poesia, narrativa e fotografia, collabora con riviste fiorentine. È stato dirigente per la cultura alla Regione Toscana. Per la poesia ha pubblicato Sinfonia per San Salvi (Il Foglio 2020), Orfeo in Fonte Santa (Ladolfi 2019), Il profumo dell’iris (Gazebo 2018), Navicello Etrusco (Il Foglio 2018); le antologie  Poesie 2009-2016 (Ladolfi 2016) e Amo le parole. Poesie 2017-2023 (Ladolfi 2023). Per la narrativa: Barbari (Masso delle Fate 2022), Ogni sera Dante ritorna a casa (Il Foglio 2021), Elisa Baciocchi e il fratello Napoleone (Il Foglio 2013), Esercizi di volo (Europa Edizioni 2016). Blog: www.robertomosi.it e www.poesia3002.blogspot.it ; e-mail: mosi.firenze@gmai.com