giovedì 18 febbraio 2021

Corso Donati, il nemico di Dante Alighieri - "Literary"


Corso Donati. Disegno di Enrico Guerrini.

Collegamento Literary 22 febbraio 2021


Nell’incontro online di lunedì 15 febbraio, Roberto Mosi ha illustrato la figura di Corso Donati, l’acerrimo nemico di Dante Alighieri, uno dei personaggi ai quali è dedicata una delle sette passeggiate che sono descritte dal libro, recentemente pubblicato, Ogni sera Dante ritorna a casa, Il Foglio Edizioni. L’ incontro è stato registrato dalla casa editrice.


 ( https://www.facebook.com/groups/65808867039/?multi_permalinks=10158935608602040&notif_id=1613410331900512&notif_t=feedback_reaction_generic&ref=notif ).



Sono le “Sette passeggiate” di un gruppo di amici per le strade di Firenze per riscoprire insieme a pagine emozionanti di poesia, i luoghi che videro Dante crescere come uomo, affermarsi come politico e poeta, fino alla condanna all’esilio. Si percorrono strade dall’antico selciato, a fianco di antiche chiese, case torri che si innalzano ancora nel paesaggio dall’impronta medievale, luoghi carichi di memorie. Per il gruppo di amici sono momenti di serenità, che sollevano, nei tempi della pandemia, dall’atmosfera da incubo che pervade la vita quotidiana. 


Si riscopre la città del Medioevo, dell’epoca violenta e straordinariamente ricca di Dante: le voci degli amici, nei commenti, nella lettura corale, a piena voce, della poesia, si alzano in alto per le strade strette, in alcuni tratti, cupe, seguendo la musica delle terzine della Divina scandito da oltre trenta lapidi con incise nel marmo parole emozionanti del viaggio del poeta nell’Oltretomba. Le lapidi furono poste dal Comune di Firenze, in varie parti del centro cittadino, agli inizi del Novecento.

Il percorso parte dalla Casa di Dante con i versi: Io fui nato e cresciuto/ sovra ‘l bel fiume d’Arno alla gran villa. Inferno XXIII, 94-95 e termina al bel San Giovanni con riferimento ai primi versi del Canto XXV Paradiso, alla speranza di Dante, exul immeritus, di tornare al bello ovile e per una pubblica incoronazione a Firenze. E noi a distanza di tanti secoli dalla sua scomparsa, viviamo di questa speranza, siamo certi che ogni sera Dante ritorna a casa.





Roberto Mosi ha ricordato che la figura di Corso Donati è presentato nel corso della terza passeggiata. Il gruppo degli amici protagonista nel racconto del libro, si trova in via del Corso, davanti alla lapide di marmo posta proprio sulla torre della famiglia dei Donati, che così recita:


però che ‘l loco u’ fui a viver posto,

di giorno in giorno più di ben si spolpa,

e a trista ruina par disposto”.

Or va’; diss’ el; “che quei che più n’ha colpa,

vegg’ ïo a coda d’una bestia tratto

inver’ la valle ove mai non si scolpa.

Purg. XXIV, 79-84



Le parole sono di Forese Donati, amico di Dante, con il quale aveva gareggiato in prove di sonetti scherzosi e satirici. L’amico predice la tragica morte del fratello Corso, capo dei Neri. Uno dei personaggi del libro, Elisa, parla di Corso Donati:

Corso Donati, detto il Barone, cugino di Gemma Donati, fu descritto nella Cronica di Dino Compagni come uno cavaliere della somiglianza di Catellina romano, passato alla storia per crudeltà, ambizione e mancanza di scrupoli. Di bella figura, abile oratore attirava dalla sua parte il popolo, arrivava a intimidire gli avversari con la violenza, a piegare giudici e governanti con la corruzione. Combatté a Campaldino al comando della riserva della cavalleria e il suo intervento nella battaglia fu decisivo per la vittoria. Nello scontro fra la fazione dei Neri e dei Bianchi, la spregiudicatezza di Corso, gli episodi di violenza, sono rimasti memorabili. Anche dopo la sconfitta dei Bianchi – e l’esilio di Dante – continuarono le violenze dei Neri nella città e l’arroganza di Corso riprese a manifestarsi in vari episodi, fino a quando si arrivò all’ottobre del 1308: una coalizione di cittadini si schierò contro di lui. Corso, in un primo momento, si asserragliò nelle torri dei Donati, assediate dal popolo, con i suoi ultimi fidi. Messer Corso per paura di cadere nelle mani dei suoi nemici e d’esser giustiziato dal popolo, fuggì di tetto in tetto, di torre in torre, arrivò alla piazza di San Pier Maggiore dove si trovava il complesso della celebre chiesa e del convento delle Benedettine, per lasciare la città dalla porta di San Piero”.



Corso saltò con un gran balzo sul cavallo che uno dei suoi seguaci – ricorda il libro - aveva portato nella piazza, poi la fuga, il rimbombo degli zoccoli nel passaggio sotto la volta della Porta di San Piero, il disperato incitamento con gli sproni ai fianchi della bestia, per il Borgo dei Pinti. Poco dopo, dietro di lui apparve a breve distanza, un drappello di soldati catalani a cavallo, armati di lance, al servizio del Comune.”


L’episodio si conclude con la fuga di Corso per i campi della Piagentina, per il sentiero del bosco verso San Salvi: “I soldati ormai gli sono addosso – si legge sul libro - mentre è lancinante il dolore, per la gotta di cui soffre, alle mani e ai piedi. Ecco fra gli alberi s’intravede il campanile, appare la chiesa di San Salvi: Corso scivola giù dal cavallo, è nella polvere della piazza, lo raggiunge alla gola la lancia scagliata da uno dei cavalieri catalani.”


Questa scena drammatica anima dunque queste pagine del racconto dedicato alla passeggiata dal centro di Firenze alla periferia della città, alla antica chiesa di San Salvi: catturano la nostra attenzione e sono un caldo invito a compiere anche noi questo percorso, alla ricerca di testimonianze di altri tempi sulla scia della poesia di Dante.









 

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